~36~
La giornata era cambiata, il vento si era alzato. I capelli di Akira le svolazzavano davanti al viso, rendendola nervosa più del solito. Si era alzata di colpo, capendo che qualcosa non stava andando nel verso giusto. D'un tratto, tutto Hyde Park si era svuotato. Max continuava a blaterare qualcosa sul fatto che l'avesse aiutata molto da quando era scappata di casa, ma tutto ciò non la stava aiutando al momento.
Si guardò intorno, la gamba che le ballava per il nervosismo.
Lo prese per il polso, tirandolo in piedi. Aveva la pelle liscia, calda. In un altro momento si sarebbe soffermata sulle sensazioni che le provocava toccarlo, ma in quel momento era troppo concentrata ad utilizzare tutti i suoi sensi per avvistare il pericolo. Non vedeva niente, non sentiva niente, ma sapeva che stava succedendo qualcosa. Era quasi un sesto senso. Forse frutto di tutta quella magia che si era abituata ad avere intorno.
E poi lo vide.
Era una figura alta, slanciata, coperta da un mantello nero. Il viso era un maschera d'argento. In mano, una bacchetta lunga e affilata sembrava pronta a colpire.
«Non capisco come i Weasley possano piacerti così tanto da...»
«Max» sussurrò Akira, con un tono di voce che faceva paura. «Devi metterti a correre».
Max alzò lo sguardo per la prima volta verso Akira, un po' scocciato per le continue interruzioni, solo per notare che lei non lo stava guardando. Stava fissando verso il viale davanti a loro, la mano che gli stritolava il polso in una morsa.
Quella figura si avvicinava lentamente, zoppicando. Aveva l'andatura di chi non aveva fretta, l'andatura di un cacciatore che aveva avvistato la sua preda, di chi sapeva di avere la vittoria in pugno, di chi non avrebbe sbagliato di nuovo.
Max e Akira si allontanarono lentamente, non osando dare le spalle per girarsi e correre. Il primo aveva una maschera di terrore in volto, la seconda di cupa rassegnazione. Quasi come se avesse la sensazione che quel momento sarebbe prima o poi arrivato.
Il primo incantesimo colpì la panchina sulla quale poco meno di cinque secondi prima i due ragazzi erano seduti. Andò immediatamente a fuoco.
Il secondo incantesimo colpì l'albero di fianco a Max. Andò immediatamente a fuoco.
O quel Mangiamorte aveva una pessima mira, o stava giocando con loro. Giocando al gatto e al topo, giocando come chi sa di avere la situazione in pugno.
Fu solo dopo il terzo incantesimo, indirizzato ad un cestino che andò a fuoco, spargendo nell'aria un disgustoso odore di spazzatura bruciata, che i due ragazzi si girarono sui tacchi e iniziarono a correre. Come le prede corrono davanti al predatore.
«Un Mangiamorte?» esclamò Max più parlando tra sé e sé che ad Akira. «Cosa vuole un Mangiamorte da due babbani?!».
Ci mancò molto poco che Akira non inciampasse nei suoi stessi piedi, lì, davanti al Library Bar, un locale molto affascinante dove si sarebbe volentieri fermata a prendere qualcosa da bere. Si girò per guardare Max, mentre giravano in Grosvenor Cres. Perchè lì? Non lo sapevano, ma si avvicinavano al quartiere delle ambasciate, un posto che le aveva sempre suscitato un senso di sicurezza. Non che i soldati potessero fare qualcosa contro un mago, questo era chiaro.
«Quanto ne sai tu di tutta questa storia?» lo attaccò lei, lanciandogli un'occhiataccia.
«Be' ecco...io...»
«Max!».
Una cassetta delle lettere di fianco a loro esplose, sputando pezzi di carta e di metallo verso la strada. Akira lanciò uno sguardo alle sue spalle. Il Mangiamorte camminava, ma nonostante ciò sembrava guadagnare terreno.
«Ti sembra il momento adatto per discuterne?» chiese il ragazzo mentre giravano in Halkin Street, stavano percorrendo il quartiere a zig zag, nel tentativo di far perdere le loro tracce.
«Be' mi sembra abbastanza importante!»
«Che ne dici se te lo spiego quando saremo il salvo, possibilmente vivi?»
«Se saremo ancora vivi» gli concesse Akira.
«Adoro il tuo ottimismo».
Lo sapevano di non poter andare avanti ancora per molto. Akira non era mai stata una gran corritrice, aveva sempre saltato le campestri a scuola facendo finta di essere malata. In più, stavano sprecando solo tempo. E non avevano nessun piano.
Si abbandonò contro un muro, sfinita. Gli occhi erano offuscati dalle lacrime, il tremore era di chi stava per avere un attacco di panico. Max la sorresse con un braccio, guardandosi intorno prima di concentrarsi su di lei. Erano troppo esposti, non avrebbero potuto rimanere fermi a lungo.
«Ce la puoi fare» gli sussurrò guardandola negli occhi, tenendola stretta. «Lo so che ce la puoi fare». Akira scosse la testa.
«Non voglio morire» si lasciò sfuggire in un sussurro, per poi scoppiare in un singhiozzo. Si premette la mano sulla bocca, per evitare di fare rumore.
«Stai scherzando, vero? Certo che non morirai, non lo permetterò» affermò Max, aiutandola a staccarsi dal muro. «Non puoi lasciarmi prima che io ti abbia vista almeno una volta ubriaca».
«Allora tanto vale che io ti lasci subito» mormorò Akira, ma stava di nuovo sorridendo. Si asciugò una lacrima, e prese un respiro profondo. «Be', hai un piano?».
«I maghi non sono invincibili. Ci sarà pur qualcosa che li possa fermare. Dopotutto chi conosce meglio Londra, lui...o noi?» considerò, lanciandole un sorriso con un angolo della bocca.
«Be' non che io sappia, nessuno mi ha mai detto...», spalancò gli occhi quando gli arrivò l'illuminazione, «dobbiamo trovare una fermata della metro».
Si diressero correndo verso Knightsbridge Station, il Mangiamorte che non si vedeva più ma erano sicuri essere sulle loro tracce.
Avrebbe dovuto ringraziare Fred il prima possibile. Fred che era stato talmente curioso da chiederle cosa fosse quel piccolo oggetto che emetteva un fascio di luce che Akira portava come portachiavi. Fred che non sapeva cosa fosse l'energia elettrica. Fred, che mettendo a confronto la luce della torcia con quella del suo lumos scoprì che l'incantesimo non gli veniva. Fred, che grazie alla sua curiosità si accorse che l'energia elettrica andava in conflitto con la sua magia. Poca corrente elettrica annulla poca magia...ma se avessero trovato una fonte di energia abbastanza potente...
«Spero solo che funzioni» borbottò Akira, scendendo le scale verso la stazione della metro.
«Vuoi spiegarmi?» chiese Max, tenendosi al corrimano per non cadere.
«Se rimarremo vivi».
Il cervello di Akira stava lavorando così intensamente che non si sarebbe stupita se avesse visto del fumo uscirle dalle orecchie.
"Corrente...corrente elettrica" continuava a pensare. "Se riuscissimo solo ad annullare la sua magia non rimarrebbe che un uomo. Un uomo che zoppica, un uomo come qualsiasi altro. Un uomo che si può sopraffare".
Scavalcarono i tornelli della metro con un balzo. Dietro di loro, gli stessi tornelli esplosero.
«Mi sono stancato di giocare!» esclamò il Mangiamorte, la voce storpiata dalla maschera che portava sul volto. «Siete solo dei babbani schifosi».
Max strinse le mani in un pugno, e si girò per affrontarlo a viso aperto. Nessuno poteva prendersi la libertà di insultarlo, di insultare Akira. Nessuno.
«No!» esclamò Akira, tirandolo per un braccio. «Dobbiamo andare nella stanza dei controlli, subito!».
La porta della stanza dei controlli era grossa, spessa, di ferro, e chiusa.
«Merda!» esclamò Akira, dandole un calcio in preda alla frustrazione.
«Non abbiamo più tempo!» la avvisò Max, guardandosi intorno. Il Mangiamorte non si vedeva, ma sapevano che sarebbe arrivato da un momento all'altro.
«E' la nostra unica opzione» sibilò Akira, togliendosi una forcina dai capelli e inginocchiandosi vicino alla serratura.
«Quando hai imparato?!» domandò Max, facendole intanto scudo con il proprio corpo.
«Sono una ragazza con molto tempo libero» rispose lei, appoggiando l'orecchio alla porta come se dovesse scassinare una cassaforte. Dopo pochi secondi sentì il click della serratura che scattava.
«Akira?» supplicò Max, «dimmi che hai aperto la porta».
Lo Stupeficium arrivò mentre i due stavano caracollando dentro la stanza. Akira era convinta che avesse di nuovo mancato il bersaglio, poi sentì il corpo di Max, che gli stava dietro, pesare su di lei. Caddero a terra. La ragazza ebbe la prontezza di spirito di chiudere la porta dietro di sé, e ci appoggiò contro un carrello pieno di strani marchingegni, molto pesante, prima di concentrarsi su Max.
Erano entrati in una stanza piccola, quasi uno sgabuzzino per le scope, con un grande pannello con leve, bottoni e qualche schermo. Era tutto spento e inutilizzato, perchè ormai il controllo dei treni era tutto centralizzato. Eppure la speranza di Akira era che funzionasse ancora.
Max era stato colpito su un fianco. Era cosciente, ma gemeva di dolore. Akira non poteva crederci. Tutta la strada che avevano fatto...erano quasi arrivati al capolinea. Ce l'avevano quasi fatta. Eppure non era riuscita proteggerlo. Come non era riuscita a proteggere la sua famiglia quella sera. Come non era mai riuscita neanche a proteggere sé stessa. Si accucciò vicino a lui con gli occhi che le si appannavano, ma con uno sguardo Max la intimò di lasciarlo perdere e di concentrarsi. Aveva qualcosa di più importante di cui occuparsi. Mentre Max andava a nascondersi dietro la porta, Akira iniziò a premere ogni pulsante, attivare ogni leva. Lentamente, il macchinario iniziò a prendere vita. Il ronzio dell'elettricità le entrò nelle orecchie, rassicurandola.
Poi ci fu un'esplosione. La porta volò via. Max si protesse alla bene e meglio con un braccio, troppo dolorante per mettersi in piedi.
Akira si schiacciò con la schiena contro il pannello di controllo dei treni, tremante. Il Mangiamorte aveva ripreso la sua lenta andatura. La maschera non tradiva nessuna espressione, ma Akira credette di veder un sorriso celato sotto di essa. Si rigirava la bacchetta in una mano. Una lunga bacchetta nera.
«Chi sei? Che cosa vuoi?» domandò Akira con tutte le forze che le rimanevano, con la voce più ferma che fosse riuscita a fare. Vedeva Max dietro al Mangiamorte alzarsi faticosamente appoggiandosi al carrello. Voleva dargli più tempo possibile per poter scappare. Forse non era lui che voleva, forse poteva farcela. Cercare aiuto, farsi guarire la ferita.
«Akira Campbell» sussurrò lui, puntandole la bacchetta contro, «finalmente.»
«Come sai il mio nome?»
«E' da mesi che ti osservo. Una strega non addestrata...faremo un buon uso di te»
«Io», Akira non credeva possibile che stesse avendo una conversazione con la persona che la voleva uccidere. «State cercando la persona sbagliata».
«Stupida ragazzina. Questo fallo decidere a noi!», strinse la presa sulla bacchetta, poi a voce più alta gridò: «IMPERIO!».
Akira strinse gli occhi, aspettandosi un dolore incredibile. E poi...poi non successe nulla. Li riaprì piano piano, solo per vedere il Mangiamorte intento a guardare la sua bacchetta come se fosse stato tradito.
«Che cosa...».
Venne investito da un carrello che viaggiava alla velocità di un treno. Si schiantò contro la parete, e la testa fece un brutto rumore, come un pezzo di legno che cade dopo essere stato tagliato. Poi si accasciò alla parte, svenuto o forse morto.
Max ansimava dietro al carrello, faticando a stare in piedi. Akira tremava dallo shock.
«E'...E' morto?» chiese, avvicinandosi leggermente.
«Non rimarrò qui ad accertarmene» mormorò Max con un filo di voce, e Akira riuscì a prenderlo poco prima che cadesse di nuovo a terra. La mano che teneva premuta contro il fianco era ricoperta di sangue. Il colore gli era svanito dal viso, lasciando una maschera di cera.
«Dobbiamo curare questa ferita. Abbiamo bisogno di un mago», Akira lanciò uno sguardo al Mangiamorte accasciato sul pavimento, «un mago buono».
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