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~15~

Il giorno dopo doveva essere una bella giornata. Doveva esserlo davvero. Era il 26 di Gennaio, e l'Ikigai Shop sarebbe stato riaperto al pubblico. Da alcuni fu definito un fatto miracoloso, e non a torto. Neanche Goku e la sua nuvoletta Speedy sarebbero mai stati più veloci della famiglia di Akira nel sistemare il negozio.

Il fatto era, e Akira ormai se ne era convinta, che non era del tutto merito loro. Perché gli oggetti e i mobili che si erano magicamente sistemati da soli non avevano fatto che aumentare esponenzialmente, senza che nessuno se ne accorgesse.

Akira scese i gradini d'ingresso di casa sua, chiudendo dietro di sé il portone d'ingresso.

Era una giornata fredda, ma il profondo cielo azzurro e l'assenza di nuvole la misero di buon umore. Prese un respiro profondo, pronta a cominciare una nuova, dura, giornata di lavoro.

Si incamminò verso la fermata della metro, quando sentì un rombo di un motore e il suono perforante di un clacson.

Di fianco a lei, sulla strada bagnata dalla pioggia che era arrivata durante la notte, si era fermato un motorino rosso fiammante.

«Prendere i mezzi è sottovalutato»

«Anche tu li prendevi, fino a qualche giorno fa»

«Oggi è una giornata troppo importante per arrivare in ritardo, salta su».

Akira odiava il motorino di Max, ma non aveva così tanti istinti suicidi da ammetterlo in presenza del proprietario. Il fatto era che il sedile era scomodo, perché ormai tutto la gommapiuma al suo interno si era appiattita. Il veicolo andava avanti a balzi e boccheggiando, perché ormai era così vecchio che tentava in tutti i modi di far capire a chi ci era seduto sopra che era arrivata la sua ora. Solo la vernice era scintillante e nuova, perché l'unico tipo di manutenzione che Max faceva, o era in grado di fare, consisteva nel cambiargli colore una volta alla settimana. Come con qualsiasi altra cosa, il ragazzo si annoiava molto facilmente del colore del suo bolide.

Maximilian le passò un secondo casco, la sicurezza prima di tutto, e Akira si sedette a cavalcioni dietro di lui, stando attenta ad attaccarsi alle maniglie dietro il sedile per evitare che altre parti del corpo sue e del ragazzo si toccassero. Con uno scatto, che sicuramente sarebbe costato giorni di vita al motorino, superarono la Jaguar parcheggiata davanti a loro e si introdussero nel traffico mattutino di Londra.

"Ho visto la cosa più straordinaria che la terra possa mostrare all'anima stupefatta: l'ho vista e ne sono sbalordito... mi sta sempre davanti alla memoria quella foresta pietrificata di case e, in mezzo, il fiume impetuoso di vive facce umane con tutto l'arcobaleno delle loro passioni, con tutta la loro fretta disperata di amore e di fame, di odio: Londra. "

Così diceva Heinrich Heine. Una visione molto poetica, non c'è che dire, ma era un visione da turista. Per Akira, Londra era semplicemente casa sua. Si era ripromessa che la sua vita non sarebbe stata completa fino a che non avesse visitato tutti i suoi quartieri, tutti i suoi musei, e tutte le librerie. Al momento era circa al quindici per cento dell'opera.

All'Ikigai Shop i clienti non si sprecarono. Tutti erano entusiasti della nuova apertura, ma ancora di più erano entusiasti degli super sconti che il padre di Akira aveva deciso di fare.

«Dobbiamo far capire alle persone che siamo tornati» annunciò nel retrobottega, dove tutti e tre stavano indossando i loro grembiuli da lavoro, «e dobbiamo farlo in grande stile».

Akira e Maximilian si occuparono dei clienti, aiutandoli nella scelta dei prodotti. Più che altro, cosa da non sottovalutare, alle persone piaceva avere che qualcuno che le ascoltasse. Il fatto era, e Akira lo aveva capito da poco, che alle persone non sempre piaceva parlare, ma di certo piaceva essere ascoltate. E in questo Akira era brava. Ascoltare le veniva naturale.

Per questo la signora Burton la stava cercando per tutto il negozio.

«Akira! Akira, bambina cara, che bello rivederti!».

Akira dovette appoggiare a terra uno scatolone che stava trasportando, per evitare che tutto fosse travolto dall'entusiasmo di una cliente abituale.

«Salve signora Burton, i suoi figli sono a scuola?». Infatti la signora dai lunghi capelli marroni raccolti in una crocchia, e dalle forme morbide, era la madre di tre pargoletti dell'asilo che avevano una predilezione per Akira e tutto ciò che ella faceva. Ogni volta che la andavano a trovare in negozio non c'era modo di farli uscire senza averla salutata e averle fatto vedere i loro disegnini. Avevano provato anche a regalargliene qualcuno. La ragazza era sempre felice quando ciò accadeva, e aveva preso i tre bambini sotto la sua ala protettrice. Insomma, erano così carini.

E poi, aveva scoperto che parlare coi bambini era molto più semplice che parlare con gli adulti.

«Oh si, volevano venire qua veramente, ma come dico sempre io...prima il dovere e poi il piacere!»

«Sembra un buon consiglio» rispose Akira, sorridendo dolcemente, «senza l'istruzione non si combina niente». Detto da lei, che non era andata al College perché le mancava la voglia di studiare, sembrò un ragionamento a vuoto; ma questo lo colse solo la ragazza.

«Oh Akira!» esclamò la signora, crogiolandosi nelle sue parole sagge. «Ma mi dici chi sei? Sembri uscita dal libro della figlia perfetta! Ah, quanto sono fortunati la tua mamma e il tuo papà».

"Questo lo dica a loro" pensò Akira, mentre nella sua mente la conduceva a tutte quelle volte in cui la madre non faceva altro che dirle quanto poco valesse e quante volte sbagliasse.

«Definire preclude la possibilità di cambiamento signora Burton, non so cosa sono»

«Lo so io cos'è, signora Burton» si intromise Maximilian di fianco a loro, mentre stava assistendo un altro cliente. «Dei bei occhi marroni e una testa piena di pensieri. Con la filosofia non si cambia il mondo»

«Neanche con i videogiochi che ti ostini a giocare» borbottò la ragazza, per poi dileguarsi il prima possibile.

La conversazione l'aveva turbata più di quanto non pensasse. Passo il resto della giornata immersa nei suoi pensieri, lavorando come un piccolo robot che carica e scarica oggetti sugli scaffali.

Dei bei occhi marroni e una testa piena di pensieri.

Be', dopotutto non le dispiaceva come definizione.

La giornata finì più velocemente del previsto. Dopotutto faceva freddo, e le persone desideravano andare a casa il più velocemente possibile. Alle cinque e mezza, vedendo che non entrava più nessun cliente, Reece decise che era giunta l'ora di tornare a casa, e lasciò Max e Akira da soli per l'ultima mezz'ora, convinto che se la potessero cavare.

Il silenzio di quella giornata d'inverno li avvolgeva in una coperta calda

«Allora» considerò Maximilian, saltando seduto sul bancone, proprio vicino a dove Akira stava sistemando i vari scontrini e facendo i conti. «Fra poco è S. Valentino».

«Wow, non sospettavo fossi così perspicace» commentò Akira, senza staccare gli occhi dal suo lavoro, «dopo Gennaio c'è Febbraio, non l'avrei mai detto».

«L'ironia non ti aiuterà sempre a stare lontano dalle cose serie»

«Ma forse mi aiuta a stare lontano dagli imbecilli, che è già un ottimo risultato»

«Se poi l'imbecille è lui, la cosa migliore che puoi fare è stargli alla larga». Sia Max che Akira alzarono lo sguardo verso l'ingresso, dove, appoggiato con la schiena alla porta e le braccia conserte al petto, uno dei due gemelli Weasley li stava guardando con un sorriso da furfante in volto. I denti brillavano nella semioscurità del locale.

«Parlavo di lui e di tutti quelli del suo tipo» si sentì in dovere di specificare Akira, sorpassando sul fatto che non lo avessero sentito entrare, perché la campanella attaccata alla porta non aveva suonato.

«Avete finito di insultarmi entrambi?»

«Perché sei scappata così?» chiese il rosso, ignorando Max come se non esistesse.

«Non avevo motivi per restare» rispose Akira, guardandolo negli occhi. Il tempo si azzerò.

L'universo ogni tanto è un gran burlone. Si prende gioco di noi esseri umani e ci muove come pedine degli scacchi, in una scacchiera grande quanto la terra. Perché egli ci manda esattamente quello per cui siamo pronti, al momento esatto in cui ne abbiamo bisogno nelle nostre vite. Ma spesso noi non sappiamo di essere pronti, non sappiamo neppure di averne bisogno quando ce lo ritroviamo davanti. Quindi spesso, ritiriamo la mano da questa occasioni come se fossero fuoco. Non ci avviciniamo abbastanza per renderci conto che è un fuoco che non brucia.

«Avete fatto un buon lavoro» si congratulò il ragazzo, dandosi una spinta per staccarsi dalla porta e avvicinarsi al bancone. La sua altezza gli dava un'aria minacciosa, nonostante il sorriso impresso sulle labbra.

«Non è stato tutto merito nostro» rivelò la ragazza, chiudendo l'ultimo cassetto sistemato e strofinandosi le mani sul grembiule per togliere la polvere.

«Ancora con questa storia?» si intromise Max, stanco dei vaneggiamenti della ragazza.

«Stai zitto, testa di Snaso, potrebbe dire la verità» lo zittì il rosso, appoggiandosi con le mani al bancone. Si piegò verso la ragazza, guardandola negli occhi con le sopracciglia aggrottate, curioso. «Se non è stato merito vostro, di chi?»

«Non lo so, qualcuno che voleva farci aprire in fretta» rispose Akira, intimorita dalla vicinanza.

«Perspicace» ridacchiò il rosso, «e comunque, a San Valentino è occupata»

«Cosa?» chiesero Max e Akira in contemporanea. Entrambi sorpresi, perché Akira non era mai, mai, occupata a San Valentino.

«E' occupata ad uscire con me»

«Non ne ero a conoscenza» si affrettò a dire Akira, quando Max la guardò con un sopracciglio alzato. «Non guardarmi così, non ho intenzione di andare!».

«Eddai!» la pregò il rosso, «George esce con Angelina, Lee con Alicia, Oliver con Katie, sei rimasta solo tu!».

«COME PREGO?!» esclamò Akira, spalancando gli occhi.

«Amico, certo che ci sai fare con le donne» lo prese in giro Max, allungandosi poi per avvolgere Akira con un braccio. Lei si staccò di scatto, arretrando fino a che la sua schiena non toccò il muro dietro di lei. Voleva stare il più lontano possibile da quegli individui. Da quegli insensibili.

«Cosa?- chiese Fred, guardandola perplesso, «io non intendevo mica...»

«Esci» mormorò Akira, mordendosi il labbro per trattenere le lacrime, il mento che le tremava più di quanto sarebbe stato possibile. «Esci, ti prego».

«Hai sentito?» chiese Max, alzando il mento con aria di superiorità.

«Anche tu Max» sussurrò lei.

«Io? Ma che c'ent...»

«USCITE IMMEDIATAMENTE!» gridò lei, scoppiando poi a piangere. I due ragazzi non se lo fecero ripetere un'altra volta. Spaventati dalla sua esplosione di rabbia, spaventati perché non la avevano mai vista in quel modo, Fred corse verso la porta d'ingresso, mentre Max la superò e andrò nel retrobottega, per prendere le sue cose ed uscire.

Akira rimase sola, con le sue lacrime e i suoi pensieri. Si lasciò scivolare a terra, tenendosi la testa con le mani. E per l'ennesima volta il mondo le aveva fatto capire come affezionarsi a qualcuno volesse dire distruggersi.

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