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Chapter 17: My Heart

New York ad aprile è sempre un terno al lotto.

Ci sono anni in cui fa così freddo che sembra di essere ancora a febbraio, nonostante le piogge ricorrenti, e ce ne sono altri in cui l'aria comincia a scaldarsi, permettendomi di andare in giro semplicemente in maglione senza l'uso di una giacca.

Questo aprile, per mia fortuna, è mite e soleggiato, motivo per cui ho dato appuntamento ad Angel in un piccolo caffè vicino a Central Park una volta finite le lezioni di lingua e traduzione spagnola II, il corso che più detesta di questo semestre.

"Ti giuro, a volte mi viene voglia di andare dalla professoressa e spiaccicarle la testa contro la cattedra. Già non mi piace lo spagnolo, se lei è pure un dito su per il culo non so che altro fare!" Sbotta davanti al suo cappuccino, gesticolando animatamente, abbastanza da farmi scoppiare a ridere.

"E quanto hai preso all'esame di metà corso?" Domando, inarcando un sopracciglio, facendole alzare gli occhi al cielo quando capisce dove voglio andare a parare.

"Ho preso A, lo so, ma fatto sta che odio la materia. Ho rifatto tutte le traduzioni del libro due volte per prendere quel voto".

"Sei assurda, Angel" sospiro, nascondendo il sorriso dietro alla tazza di cappuccino, osservandola alzare nuovamente gli occhi al cielo mentre passa una mano tra i capelli biondi più corti dell'ultima volta, adesso lunghi appena fino alle spalle, ravvivandoli prima di spalancare gli occhi fissi sull'altro lato della strada.

"Kelly" sussurra, la sua voce bassa e poco controllata "non girarti, ma... Oh mio Dio, quella è tua madre".

A quelle parole scatto all'erta, drizzando la schiena e girandomi appena, ma questo mi basta per riconoscere mia madre.

È impeccabile come sempre, con il suo tailleur celeste e le scarpe stile Chanel dello stesso colore, e il cipiglio sul suo viso è esattamente come me lo ricordavo, solo con qualche ruga in più.

"Merda" mormoro tra me e me, e quasi mi avesse sentita si gira nella nostra direzione, spalancando gli occhi sorpresa quando ci vede.

Immediatamente abbasso la testa, prendendo il cellulare e chiedendo a Luke se quando ha finito con il suo incontro di lavoro può passare a prendermi, mandandogli l'indirizzo e sottolineando che è urgente, ma non ho tempo di fare altro che...

"Kelly?".

Alzo lo sguardo, incrociando gli occhi azzurri di Angel che quasi vogliono chiedermi scusa, ma io scuoto appena la testa nella sua direzione, alzando poi lo sguardo su mia madre che mi osserva, severa.

Non è mai stata una donna calorosa, e soprattutto nei miei confronti ho conosciuto più severità che affetto, ma adesso, invecchiata di un paio di anni, la durezza del suo sguardo mi colpisce, facendomi quasi sussultare, quasi tornare bambina.

"Mamma" la saluto, aggiungendo anche un cenno con la testa, e quando spero che lei si apra in un sorriso, vedo i suoi occhi esaminarmi dalla testa ai piedi, giudicando tutto ciò che incontra con il suo passaggio.

Il disagio mi spinge ad accavallare maggiormente le gambe, e questo gesto le fa notare subito le mie scarpe, un paio di Jimmy Choo trovate stamattina nell'armadio scelte rigorosamente da Luke, a giudicare dal pallido color rosa della vernice.

"Hai trovato un ulteriore lavoro, per caso? L'ultima volta che ti ho vista eri messa peggio. Oppure hai messo la testa a posto? Trovato un buon partito? Anche se non credo che gli uomini di un certo livello escano con ragazze che lavorano come bariste o come cameriere in locali squallidi".

Ogni parola è come un vento gelido che sferza il mio viso, e Angel se ne accorge, mi guarda preoccupata, ma rimane in silenzio.

Sa che questa battaglia è solo mia.

"Wow, mi sembrava strano che non mi avessi ancora ricordato cosa faccio nella vita aggiungendo un po' del disgusto che tanto provi nei miei confronti. È sempre un piacere vederti e sentirti, mamma".

A quelle parole mia madre scoppia in una risata che di divertito non ha nulla: "sentirmi? Ti prego, non rispondi mai alle mie chiamate e quelle volte che lo fai ti comporti sempre da superiore".

"E non ti sei mai chiesta perchè?" Domando a mia volta, sentendo le mani stringersi in due pugni, sentendo la rabbia fluirmi nel corpo.

"Con te ho smesso di chiedermi le cose da molto tempo, ormai. Tanto hai deciso di essere così, una vergogna, una persona priva di ambizioni e vuota, insipida. Se ti vuoi accontentare di fare la barista nella tua vita, io non posso cambiare la tua opinione. Tanto, non sei mai stata brillante come le tue sorelle".

"E tu non sei mai stata amorevole, come madre".

"Ho fatto di tutto per te, Kelly. Eri la figlia più problematica, la testa calda, e io ti sono stata dietro per insegnarti la disciplina e...".

"Ma non mi hai mai insegnato l'amore. Io non so neanche cosa sia, e la colpa è solo tua. Tua e di papà, che ti dà retta" la interrompo, alzandomi in piedi, sentendomi così frustrata che in questo momento vorrei solo correre e urlare e...

Luke.

In questo momento vorrei Luke.

Mia madre alza gli occhi al cielo: "l'amore non esiste, Kelly. Te l'ho detto un milione di volte. Esiste l'affetto, ma non pensare che le relazioni siano dettate dall'amore. È tutto puro interesse".

"Questa è la tua opinione. Io nell'amore voglio credere, ma quello che so per certo è che tu, nei miei confronti, non hai mai mostrato neanche un briciolo d'amore. Hai passato vent'anni a dirmi che non ero all'altezza delle vostre aspettative, delle mie sorelle, che ogni mio progetto era fallimentare e che ero una vergogna perchè non volevo diventare medico o avvocato o architetto. Trasferirmi in città è stata la prima scelta giusta che ho fatto, perchè almeno mi ha portata lontana da te".

Il mio fiume di parole mi lascia quasi senza fiato, lasciando esterrefatte sia Angel che mia madre che mi osserva per qualche secondo prima di tentare di dire qualcosa quando, con la coda dall'occhio, vedo Luke appoggiato alla sua Ferrari nera che mi guarda stupito, e non appena i nostri occhi si trovano si avvicina a noi.

"Scusate" annuncia, facendo girare sia mia madre che Angel, e mia madre deve riconoscerlo perchè spalanca gli occhi, ma la sua sorpresa aumenta soltanto quando Luke avvolge un braccio attorno alla mia vita, portandomi vicino a sè.

"Stai bene?" Sussurra appena, facendo in modo che le sue parole si perdano nei rumori della città, probabilmente per evitare che mia madre e Angel lo sentano, ed io annuisco appena.

"Portami a casa, ti prego".

Luke accenna un sorriso, annuendo prima di girarsi verso mia madre: "ora, se non le dispiace, porterò Kelly a casa mia. Non è stato affatto un piacere incontrarla, e vorrei che stesse lontana da Kelly il più possibile, ma non ho potere decisionale su queste cose. Per ora, gradirei che la lasciasse in pace, visto che mi sembra sconvolta abbastanza".

Mia madre lo guarda, di stucco, quando sento il braccio di Luke attorno a me farsi più stretto, più protettivo mentre si gira verso Angel: "tu hai bisogno di un passaggio a casa? Non sarebbe un problema, assolutamente".

Gli occhi della mia amica trovano i miei, e mentre vedo lo stupore e la confusione decido di scuotere piano la testa.

Dovrò darle delle spiegazioni, ma non ora.

"No, no, grazie mille ma mio fratello verrà a prendermi" sorride piano lei, e Luke annuisce prima di guardarmi nuovamente, e sul mio viso la mia espressione deve parlare da sola perchè sospira, posandomi poi un bacio sulla fronte.

"Andiamo a casa".

***
La mano di Luke percorre pigramente la curva del mio fianco, andando e tornando come una specie di onda infinita che mi procura una sensazione di pace che mi spinge a sospira contro la sua spalla.

"Mi dispiace che tu... Che abbia dovuto assistere a questa scena" sussurro, alzando appena il viso per vederlo guardarmi con un sorriso leggero.

"Dispiace a me non essere arrivato prima. Stavo per venire a casa quando mi hai scritto, ma il tuo messaggio mi ha fatto preoccupare... Ho fatto il più veloce possibile".

"Grazie mille, Luke. Davvero. Non volevo spaventarti, era solo... Avevo bisogno di te" confesso a voce bassa, evitando i suoi occhi, ma lui mi prende il mento con due dita, alzandomi il viso e baciandomi piano.

È un bacio diverso dal solito, più lento e dolce, quasi languido, un bacio che vuole iniziare e finire così, senza diventare altro, e non appena si stacca sorrido, posando nuovamente la testa sulla sua spalla, quando Luke si gira verso di me: "tu ti chiami Russell di cognome".

"Sì... Perchè?".

"Tuo padre è per caso Alfred Russell? Il proprietario della Barnes & Noble?" Domanda, e a quelle parole arrossisco, annuendo appena.

"Dovevo immaginare che saresti risalito a lui... Possiede la catena di librerie più importante d'America" sospiro, chiudendo piano gli occhi, quando sento piccoli baci posarsi sulle mie guance, abbastanza da farmi scoppiare a ridere.

"Sai che ho un appuntamento con lui domattina alle undici?".

"Per cosa? Non sapevo foste soci" domando, decisamente incuriosita, e lui sorride.

"Lui ci sta provando da anni, prima con mio padre e ora con me. Gli offrirei delle stampe esclusive, ma diciamo che non ci ha mai convinto il suo atteggiamento. Mi dispiace dirtelo, perchè è tuo padre, ma...".

Interrompo Luke posando le mie labbra sulle sue, salendogli sopra, baciandolo un po' meno dolcemente di prima, infilando le dita tra i suoi capelli e sentendo le sue braccia avvolgersi attorno alla mia figura, separandomi poi appena ma rimanendo nella sua presa: "non voglio avere nulla a che fare con loro. Non voglio che questo cambi nulla. Rimango la tua sugar baby... Una sugar baby che, adesso, si sente di darti un po' di zucchero".

E se dopo quelle parole non ho più avuto modo di dire nulla perchè avevo la bocca troppo piena, questo è meglio che rimanga un segreto.

Non sono morta, lo giuro.
Ci ho messo di più perchè sono in vacanza con i miei e scrivere una sugar daddy con i propri genitori accanto non è esattamente semplice... Ma spero che questo capitolo vi piaccia!
Avevo programmato questo momento dall'inizio, e forse il prossimo capitolo potrebbe essere narrato da Luke...
Amore e biscotti per tutte,
Claire.

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