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Capitolo VII - Suburra

Lo schiavo siriano strinse le cerniere di cuoio della lorica del suo padrone, il tribuno Sergio Sestio Scaptio. Poi gli sistemò il mantello scarlatto sulle spalle; infine raccolse l'elmo e lo pose su di un basso tavolino, a portata di mano del giovane dominus. Con un cenno del capo si accomiatò, lasciando Sergio da solo.
Il senso di fastidio che aveva percepito alla notizia del nuovo incarico non lo aveva abbandonato per tutta la giornata.
Camilla Verania.
Inevitabilmente, i pensieri erano corsi a lei più e più volte, e il ricordo del bacio che si erano scambiati la sera prima sembrava essere l'unica cosa che lo distoglieva da quel senso di disagio che avvertiva. Aveva militato per anni sul fronte renano. Aveva combattuto in diversi scontri contro le ostili tribù germaniche. Il nuovo incarico lo aveva accettato con indifferenza, anzi, forse con un lieve sollievo: si trattava di qualcosa di ben più facile dell'aver a che fare con dei barbari agguerriti e assetati di sangue romano. Eppure si trattava di persone disarmate, che si riunivano per delle celebrazioni religiose.
Aveva ancora bene impresso nella mente lo sguardo terrorizzato di Camilla durante l'incursione dei suoi legionari.
Si passò una mano sul viso, con un gesto stanco, e quando si toccò la bocca, avvertì le labbra ancora bruciare dalla voglia di baciare Camilla.
Scrollò il capo, rassegnandosi a non capire come quella ragazzina avesse potuto in così poco tempo turbarlo con sentimenti contrastanti.
La curiosità nell'incrociare quel volto bellissimo alla luce della luna, durante un'operazione militare. Il disappunto nel riconoscerla come la ragazza che era scappata agli arresti. Il senso di colpa per averla impaurita, seppur senza volerlo. E poi il senso di protezione e un po' di ammirazione nel costatarne la ferma volontà, nonostante il pericolo accorso. Il desiderio di farla sua, mentre la baciava. Si era scoperto confuso, eccitato e preoccupato. Una tempesta emotiva al quale non era preparato e che forse mai aveva provato.
Gli scappò un sorriso al ricordo delle parole di Claudio Decio e Tito Fabio sul suo essersi innamorato. Dovette riconoscere che quella sorta di turbinio di emozioni e sensazioni, una diversa dall'altra, era la prima volta che l'affrontava. Mancava circa un mese alle nozze e lo concepì quasi come un lasso di tempo troppo lungo.
Viste le circostanze, però, pensò che era meglio prendere alcuni provvedimenti. Chiamò nuovamente il suo schiavo e gli diede istruzioni dettagliate su come fare a controllare chi sarebbe entrato ed uscito dalla domus dei Veranii, quella stessa notte.
Raccolse l'elmo e sperò che potesse andare tutto bene. Poi sarebbe andato anch'egli alla domus dei Veranii. Voleva rivedere Camilla.

Camilla Verania era quasi sconcertata dalla facilità con quale era riuscita a mettersi in contatto con i suoi confratelli. La domus del senatore Cassio si estendeva ai limiti dell'Esquilino, lungo le estreme propaggini della Suburra: era l'ultimo posto in cui erano stati visti lui e Pollio; sarebbe partita da lì. Si era recata in quel posto a piedi, vestita con abiti modesti per non dare nell'occhio, nonostante la figura gigantesca di Handal, che la seguiva come un'ombra, fosse alquanto difficile da non notare. Da lì, il colpo di fortuna. Era stata riconosciuta da una donna più volte incrociata durante le celebrazioni. Camilla non ne conosceva il nome, ma l'aveva riconosciuta subito quando questa l'aveva affiancata, convinta fosse anche lei diretta all'assemblea. Le aveva raccontato subito tutto e si erano dirette nel luogo scelto: il sotterraneo di un'insula, adibito a magazzino di derrate alimentari.
Trovare in quel posto Aulo Pollio e Fannia, già presenti, aveva rincuorato Camilla. Il senatore aveva sostituito l'incredulità nel vedere anche Camilla lì con lo sconcerto e la rabbia.
"Hai corso un grave pericolo, piccola mia!" le aveva detto Fannia.
"L'importante è avervi avvisato per tempo. Dovete subito andare via di qui!".
Tutti i presenti erano stati avvertiti. In pochissimo tempo, tutti i membri presenti si erano dispersi alla spicciolata tra la gente che popolava la Suburra, anche a quell'ora tarda.
Anche Camilla e Handal si erano allontanati in fretta, prendendo strade diverse dagli altri. La fanciulla camminava con animo così sollevato da rendersi conto molto dopo dove era finita.
"Ci siamo allontanati troppo" osservò "Di qua".
La stradina era ripida e sporca, con costruzioni di rozzi mattoni attaccate l'una all'altra. Da una di quelle abitazioni, una lupa dai capelli rossi raccolti in una complicata acconciatura e pesantemente imbellettata, attendeva sulla soglia i clienti.
Handal la vide richiamare i due soldati di ronda usando espressioni lascivie, condite da ammiccamenti, poi si osservò attorno, rendendosi conto che non avevano via d'uscita.
"Abbiamo sbagliato strada e in un posto come questo rischiamo di essere notati" costatò Camilla, con voce allarmata.
Handal grugnì per il disappunto, portando istintivamente la mano al gladio, nascosto alla vista dall'ampio mantello di lana grezza. Osservò i due pretoriani scambiare qualche parola oscena con le due guardie, e gli venne un'idea.
Notò una sorta di rientranza tra due costruzioni, unite da un basso muretto.
"Domina, dovrai fidarti di me e non fare nessuna domanda".
Camilla lo fissò, seria: "L'ho sempre fatto, Handal. Fa ciò che devi".
Lo schiavo spinse la sua padrona nella rientranza e la sollevò, facendola sedere sul muretto. Poi la spogliò della palla, le scoprì una spalla ed infine le sollevò la veste, mettendo a nudo le lunghe gambe. Camilla capì cosa aveva intenzione di fare il germano, per cui lo assecondò, rimanendo impassibile quando lui si posizionò tra le sue cosce.
Handal appoggiò le mani contro il muro e scrutò appena la fanciulla; Camilla rispose allo sguardo, annuendo. Due persone che consumano un amplesso non sarebbero stati insoliti in quella strada.
"Ehi! Tu!" disse qualcuno affacciandosi nella rientranza.
"Ci stiamo divertendo qui, eh?" sghignazzò uno dei soldati.
Handal si raddrizzò in tutta la sua stazza e i due pretoriani si fecero seri notando come superasse di tutta una testa entrambi in altezza.
Rivolse loro un ghigno, mostrando i denti: "Ho ricevuto la mia paga e cerco di goderne".
I due lo squadrarono, incerti: "Paga? Che mestiere fai?"
Lo schiavo sollevò il mento: "Sono al seguito del tribuno Scaptio" mentì.
"Truppe ausiliari" commentò uno dei due.
"Licenza, quindi" dichiarò l'altro, con poca convinzione. Questo s'affacciò ad osservare Camilla, nascosta dietro Handal "Vedo che pagano bene. Non sembra una di quelle della Suburra".
"M'è costata una fortuna" ripose contrariato lo germano "Ma volevo qualcosa di lusso".
Camilla pensò che se avesse continuato ad avere un atteggiamento remissivo avrebbe potuto destare dei sospetti, per cui si scostò da Handal, appoggiandosi con una mano al muretto. Con quel movimento, la spallina che le denudava la spalla, calò ancora più giù, mettendo in mostra l'areola rosea di un seno. Il pretoriano che la fissava poco convinto, cambiò totalmente espressione a quella vista; Camilla represse la paura, il pudore e l'istinto a scappare via, quando vide l'uomo leccarsi le labbra, famelico. Tentò di fare un sorriso malizioso, sperando che non apparisse come una smorfia forzata o, peggio, disgustata.
"Quando hai finito, ce la passi a noi?" domandò il pretoriano rivolto allo germano.
"Ho pagato per tutta la notte" rispose lui, infastidito.
"Soldato" intervenne Camilla "Stasera ho da fare qui. Passa domani. Se paghi bene, soddisferò volentieri te e il tuo amico".
Il soldato parve soddisfatto di quella risposta, continuando a mangiarla con gli occhi, mentre l'altro sghignazzava: "Non vedo l'ora! Aspetterò con ansia che arrivi domani".
Camilla cercò di ammiccare: "Chiedi di Cleo".
"Lo farò".
"Il tempo passa e io ho già pagato" ribattè Handal, spazientito.
I due soldati cominciarono ad allontanarsi, scambiandosi battute sul divertimento che avrebbero goduto la sera successiva. Fecero qualche passo lungo la strada, poi si fermarono, controllando i passanti e gettando spesso lo sguardo nella direzione di Camilla e Handal.
"Non vanno via" mormorò contrariata lei, tentando di sollevarsi la veste, senza dare nell'occhio.
"Se rimaniamo qui immobili, potrebbero insospettirsi".
Lo schiavo, posò le mani sulle cosce di Camilla e cominciò a strofinarle la pelle quasi con forza, ma la fanciulla lo prese per i polsi, invitandolo a farlo con più calma. Lui parve ubbidire. La ragazza era così in ansia di essere scoperta che non le importava di essere toccata in modo così intimo.
"Sono ancora lì?".
"Sì" grugnì lui.
"Perché non vanno via?" volle sapere lei, in tono preoccupato.
Handal gonfiò il petto in un sospiro frustato. Strinse le labbra e fissò negli occhi Camilla. Le circondò i fianchi con un braccio, tirandola verso di sé; la ragazza dovette allargare di più le cosce, trovandosi col bacino attaccato a quello del suo schiavo. Handal poi la strinse con impeto; la spallina scivolò giù e un seno nudo di Camilla aderì al petto dello germano, che affondò il viso nel suo collo. Camilla sbarrò gli occhi con un singulto e s'irrigidì, ma quando Handal cominciò a muoversi mimando un amplesso, capì e si rilassò. Mostrarsi riluttante, avrebbe reso inutile quella recita. Gli si aggrappò al collo e cominciò a spiare la reazione dei soldati, da dietro le spalle dello schiavo. Li vide che guardavano curiosi, ridendo fra di loro, scambiandosi occhiate complici e gomitate.
Camilla Verania sorrise quando vide i due uomini cominciare ad allontanarsi. Fu in quel momento che la fanciulla avvertì qualcosa di duro e rigido premerle improvvisamente contro l'inguine. Con la mente concentrata sui soldati, solo in quel momento realizzò cosa lei e Handal stavano effettivamente simulando. Il respiro dello schiavo era caldo contro il suo collo, così come erano calde le mani che le accarezzavano lente le cosce, tra le quali il giovane si muoveva. Avvertì un brivido attraversarle la pelle, quando il membro dello schiavo entrò in contatto nuovamente col suo inguine.
"Sono andati via" gli bisbigliò.
Handal si ritrasse subito da lei e Camilla si ricoprì in tutta fretta, risistemandosi la veste.
Lo schiavo fissò lo sguardo verso la strada oramai vuota, poi si sistemò la stringa di cuoio che usava come cintura e abbassò il capo. Camilla sollevò il viso su di lui: la sua espressione era impassibile e dura, come sempre, nonostante la sua eccitazione fosse ancora ben visibile al di sotto della tunica.
"Accetterò la mia punizione" dichiarò improvvisamente.
"Punizione?" chiese lei, perplessa.
"Per averti toccata, domina".
Camilla strinse le labbra poi lo guardò negli occhi e sorrise: "Mi hai salvato la vita. L'hai salvata ad entrambi. Non può esistere alcuna punizione per questo".
Allungò le mani verso di lui e l'aiutò a scendere dal muretto.
"Ora andiamo" riprese la fanciulla.
Handal la prese per mano e s'inoltrarono nel vicolo, diretti a casa.

Quando Camilla mise piede nella sua domus, avvertì la tensione sciogliersi improvvisamente; non si sarebbe meravigliata se avesse avvertito lacrime di sfogo colarle lungo le guance. Era riuscita nel suo intento, era andato tutto bene, e quando vide attraverso impluvium dell'atrio il cielo che andava a schiarirsi per lasciare il posto ad un nuovo giorno, socchiuse gli occhi mormorando una preghiera di ringraziamento.
Un fruscìo metallico la fece voltare di scatto. Handal le si parò davanti sguainando il gladio, ma rallentò il movimento di quel gesto quando schiavo e padrona videro Sergio Sestio Scaptio venir fuori dalla penombra.
Il tribuno fece un paio di passi in avanti: gli inserti d'argento della loricata mandarono bagliori freddi, mentre il mantello scarlatto che gli pendeva dalle spalle assecondava ogni suo passo, con movimenti sinuosi. A Camilla parve che lui fosse ancora più maestoso ed imponente nelle vesti ufficiali di tribuno e non le sfuggirono le nocche sbiancate della mano sinistra di lui, che stringeva con forza l'elmo lucidato.
L'espressione contrariata di Sergio si rivolse ad Handal, il quale restava fermo nella sua posizione di difesa tra Camilla e Sergio, gladio alla mano, nonostante avesse riconosciuto il tribuno.
Camilla sfiorò la mano dello gemano: "Handal, deponi il gladio".
Lo schiavo ubbidì, ma senza muoversi ne smettere di guardare con astio il tribuno.
"Handal" chiamò ancora con voce pacata Camilla. Questa volta lo schiavo voltò il viso a guardarla.
"Va tutto bene" gli disse "Va a riposare ora".
Lo schiavo fece un breve cenno di assenso, e dopo aver gettato un nuovo sguardo al tribuno, prese la via dei corridoi di servizio.
"Li hai avvisati tu" disse finalmente Sergio Sestio, una volta rimasti soli. Aveva tenuto un tono neutro nella voce, o almeno ci aveva provato.
Camilla lo fissò negli occhi e cercò di non far trasparire nessuna emozione. Era inutile mentire e le parole del tribuno non erano una domanda, ma un'affermazione.
"Si" rispose lei.
"Come facevi a saperlo?".
"Ho ascoltato la conversazione tra te, Decio e Corvo" rispose lei, senza distogliere lo sguardo.
Sergio le si avvicinò ancora: "Non avresti dovuto" esalò, stavolta reprimendo a stento la rabbia.
Aveva ancora negli occhi l'espressione irritata del legato imperiale alla notizia che l'assemblea non si era tenuta; e poi nelle orecchie il resoconto del suo schiavo, il quale lo informava di aver visto la domina Camilla Verania allontanarsi appena si era fatto buio, diretta alla domus del senatore Cassio, sospettato di essere anch'egli un cristiano. Non ci aveva messo molto a collegare le due cose.
"Dovevo invece!" si oppose lei.
Sergio fece cadere sul pavimento l'elmo, facendo rimbalzare contro le mura dell'atrio un forte rumore di metallo, e l'afferrò per le braccia "Io devo eseguire gli ordini del Senato e dell'Imperatore. E tu faresti bene a non uscire di notte per andare da persone sospettate di...".
"Li ho avvisati di persona" profferì Camilla. Avvertiva distintamente i palmi caldi e le dita di Sergio che le stringevano la carne delle braccia, ma non si scompose.
Sergio Sestio aggrottò la fronte, incredulo: "Stai dicendo che sei andata in piena notte alla Suburra? Da sola?".
"Si" gli rispose "Ma non ero sola, avevo Handal con me".
"Sei una ragazzina incosciente!".
Camilla si divincolò dalla presa di lui: "Se è questo ciò che pensi, rompi il fidanzamento e arrestami! Qui. Ora!".
Il tribuno la guardò senza riuscire più a districarsi tra ciò che provava e ciò che avrebbe potuto e dovuto fare. La rabbia iniziale era stata sostituita dall'amarezza, ma al contempo non riusciva a non essere ammirato dalla caparbietà e dalla testardaggine di quella ragazza. La immaginò in giro per la Suburra, di notte, immaginò a ciò che le sarebbe potuto accadere... Avvertì eccessivo fastidio e preoccupazione.
"Non ti rendi conto che non posso..." prese a dire lui scrollando il capo.
"Mi rendo conto benissimo, invece" riprese lei, interrompendolo "A quanto vedo, la carica di senatore è decisamente più importante ed io sono la strada più semplice per poterci arrivare".
Scarmigliata, con gli occhi blu lucidi di leggere lacrime e le guance arrossate, Camilla si strinse nelle spalle: "Ma ci sono altri modi per far carriera in Senato. Sono cristiana. Arrestami tribuno".
Il giovane si sentì perso: "Non ti rendi conto, Camilla" ripetè "A me non importa del Senato e non mi importa a che culto tu sia devota".
Le si avvicinò e le prese il viso tra le mani. Affondò gli occhi nei suoi, in quel mare di zaffiro, ora calmo ora tempestoso che erano gli occhi di Camilla Verania. Dalla notte in cui li aveva incontrati per la prima volta, quegli occhi, lo tormentavano costantemente. Si erano insinuati tra i suoi pensieri e i suoi sogni. Così come quella bocca rosea e tremante che aveva baciato, e il corpo morbido contro di lui. Non sarebbe riuscito a cacciarli via, né mai avrebbe voluto farlo.
"A me importa di te, Camilla" le disse in un soffio.
"Dovevo farlo... Dovevo salvarli..." esalò la fanciulla non riuscendo a trattenere le lacrime.
Costatò che lui non avrebbe mai potuto capire. Lei avrebbe anche rinunciato a partecipare ai riti, pregando in casa, di nascosto, ma il pensiero di persone innocenti in catene l'angosciava. Non aveva potuto fare altrimenti. E per quanto quel giovane uomo destinato a lei l'attraesse e si sentisse inspiegabilmente legata a lui, prese coscienza che sarebbe stato profondamente difficile anche solo riceve un po' di comprensione e di rispetto.
A un tratto, il tribuno accennò ad un sorriso. La rabbia in petto gli doleva ancora, ma era più forte la voglia di abbracciarla: "Incosciente, ma coraggiosa" e la baciò. Non fece in tempo a stringerla a sé che Camilla lo allontanò, troncando di netto il bacio.
"Lo rifarò se sarà necessario!".
Sergio avvertì nuovamente la furia montargli dentro; perché si ostinava a quel modo?
"Tu non capisci cosa hai rischiato quella notte sull'Appia" disse tra i denti "Non comprendi cos'hai potuto rischiare questa notte!".
"Se posso impedire questi arresti ingiusti, rischierò ancora" ribattè lei, con fierezza.
Il tribuno si chinò a recuperare l'elmo che giaceva ancora sul pavimento mosaicato: "Continuerò a non dire niente a tua madre e a tuo fratello" cominciò a dire dopo qualche istante di silenzio "Ma farò in modo che tu non possa più intervenire né partecipare alle assemblee cristiane, se ce ne saranno altre".
Camilla s'indignò: "Mi farai seguire?".
"Venera il tuo dio in privato e da sola" le disse, ignorando la domanda "E stavolta non è un consiglio".
"Mi farai segregare in casa?" protestò ancora lei. Ma Sergio Sestio già aveva preso l'uscita.

Glossario:                                                                                                                                                                                  Lorica: corazza anatomica, pettorale.                                                                                                                          Lupa: prostituta                                                                                                                                                                    Truppe ausiliarie: corpo dell'esercito romano reclutato fra le popolazioni sottomesse

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