Capitolo VI - Fratres in fide
N.d.A. Capitolo scritto a tempo di record...cioè era già formato nella mia mente ma dovevo metterlo nero su bianco! Spero piaccia! Ribadisco il concetto secondo cui questo scritto non ha pretese di fine ricostruzione storica (sebbene cerchi di essere più fedele possibile al contesto storico di riferimento), pertanto se vengono riscontrati errori, me ne scuso, mentre i personaggi sono di mia invenzione.
Buona lettura!
Capitolo VI - Messaggi
Il banchetto degli sponsalia era oramai terminato e gli ultimi ospiti erano appena andati via. La pioggia aveva cominciato a scrosciare violenta, inondando il piccolo giardino interno della sontuosa domus.
Camilla, sola tra le colonne stuccate a rilievo, si riempì i polmoni dell'odore che emanava la terra bagnata, mentre gli schizzi d'acqua le solleticavano i piedi. Sospirò, assaporando quasi con gioia quel momento di solitudine.
Mentre le si avvicinava, i profondi occhi scuri di Sergio indugiarono su di lei e sul delicato profilo della sua promessa, che guardava tranquilla la pioggia al debole chiarore delle lucerne.
Sentendosi osservata, Camilla si voltò. Era stata così assorta che non si era accorta della sua presenza. Il tribuno era così vicino a lei, da avvertirne il lievissimo odore; era molto alto rispetto a lei, con spalle ampie e dritte, i piedi ben piantati al suolo.
"Tito e Claudio dicono che sono stato molto fortunato" cominciò a dire lui.
Quel tono di voce basso e profondo provocò un leggero brivido in Camilla: "Perchè?"chiese.
"Perché a loro parere avrò la possibilità di sposare una fanciulla intelligente e bella".
Camilla sorrise: "I tribuni Corvo e Peregrino sono molto simpatici, ma troppo adulatori!".
Sergio fece un passo avanti, guardandola negli occhi: "Io credo che abbiano ragione".
Il tribuno notò il lieve rossore che aveva cominciato ad imporporare le guance di Camilla. Aveva perso il conto delle volte in cui quegli occhi di un blu infinito, intensi e grandi, quasi che poteva tuffarcisi dentro, lo avevano spiazzato. Perché era così che poteva finalmente dire di sentirsi con lei, dopo le ore appena trascorse: spiazzato. Per qualche istante, assaporò la sensazione avvolgente di incertezza che sapeva trasmettergli quella fanciulla sconosciuta.
"Perdonami per quanto ho detto prima" le disse.
Camilla aggrottò la fronte, perplessa. Nel giro di pochissime ore si era ritrovata a fare i conti con un tribuno laticlavio che prima aveva parlato di condanne a morte e che ora osava dirsi fortunato. Le stava perfino chiedendo perdono. Era profondamente confusa e ciò le infuse un senso di totale impotenza. Lo perdonava in cuor suo, ma avrebbe potuto fidarsi? Per un'istante, ripensò al terrore che le aveva pervaso ogni vena del suo corpo la notte della retata contro i cristiani.
Come stavano i suo confratelli arrestati? Stavano bene? Soffrivano? Che ne sarebbe stato di loro?
In qualità di tribuno, Sergio Sestio Scaptio era tenuto ad obbedire agli ordini dell'imperatore e del Senato: non dipendevano da lui né l'editto né gli arresti.
Sergio la vide vacillare; poi lei sospirò in modo greve: "Ti perdono, tribuno".
Lui sorrise, sinceramente sollevato. Camilla non potè fare a meno di osservare il bel volto di Sergio, dai lineamenti armoniosamente forti e nobili. Quello sarebbe stato il volto di colui con il quale avrebbe vissuto per il resto dei suoi giorni. Sperò che la guardasse sempre così, come in quel momento, sereno ed attento, con le labbra appena piegate in un sorriso gentile.
"Non sono il tipo di uomo che minaccia delle giovani donne" precisò lui.
"In effetti non vorrei uno sposo che passi tutto il tempo a minacciarmi" gli rispose, arricciando il naso.
Entrambi risero a quella battuta e lui trovò adorabile l'espressione di lei.
"Riguardo all'altra notte..." cominciò a dire Camilla Verania, tornando seria.
"Non ora".
Sergio si piegò su di lei e la baciò.
Camilla si irrigidì, colta di sorpresa.
La bocca di Camilla era morbida ed invitante, e, dopo averla vista ridere, lui non sarebbe riuscito a trattenersi oltre. Era rimasto integerrimo ed educato durante la cerimonia degli sponsalia e solo in quel momento realizzò quanto invece avrebbe voluto impossessarsi di quelle labbra anche prima, quando l'aveva solo sfiorata frettolosamente per pura convenzione. Senza alcuna fretta, il tribuno si soffermò su quelle labbra, per poi aprirle con la lingua. La fanciulla, con gli occhi chiusi, schiuse timidamente la bocca al suo promesso; fu scossa dai brividi, quando la lingua di Sergio entrò a contatto con la sua. Il tribuno la strinse tra le braccia, rendendo il suo bacio più profondo e possessivo, istintivamente pervaso da un bruciante desiderio. Un improvviso languore si diffuse nel corpo di Camilla, stretto a quello di Sergio, che sembrava non saziarsi mai. Le loro bocche si staccarono a fatica e la fanciulla riaprì gli occhi, stordita, mentre il respiro accelerato del giovane le accarezzava il viso.
Si guardarono negli occhi, intontiti e ansimanti.
"Devo andare" le disse, con la voce un po' roca.
"Anche io... mi aspettano" biascicò lei.
Sergio la lasciò e Camilla provò uno strano senso di abbandono; sensazione che rimase anche mentre lo guardava andare via.
L'ultima spinta la fece sussultare e gridare di piacere. Sudata, accaldata e coi lunghi capelli attaccati alla schiena, la donna si abbandonò affannata sul fresco lenzuolo di lino. Gemette ancora, avvertendo il pulsare dei muscoli tra le cosce che continuava a stuzzicarla. Non aveva più memoria dell'ultima volta che aveva goduto cosi tanto.
"Come hai detto che ti chiami, mia signora?"
Quella domanda ebbe il potere di spegnere ogni suo ardore all'istante: "Sono Annia Peregrina".
"Ah... giusto. Ora ricordo" rispose Publio Veranio Maecia, riprendendo fiato "Gran bella scopata, eh?".
"Non posso negarlo" gli rispose.
Annia Peregrina si sollevò a sedere e non le dispiacque la vista del corpo longilineo e ben fatto del giovane senatore.
Avevano parlato poco. Avevano bevuto molto. Qualche sguardo di troppo e, senza eccessivi convenevoli, si erano allontanati dal banchetto degli Scaptii a bordo di una piccola lettiga che li aveva portati alla domus di Annia, poco lontano.
Nell'alcova riccamente affrescata, arrivò il rumore dello scrosciare della pioggia e la donna si sentì irrimediabilmente sola. Anche se suo marito non le aveva accennato niente a riguardo, Annia sapeva che Claudio Decio non sarebbe rientrato quella notte, motivo per cui aveva deciso di consumare il suo ennesimo adulterio tra le mura della sua stessa casa.
Lei lì, con Publio. Claudio con Tito Fabio Corvo, chissà dove.
Il senatore si levò in piedi, nudo e sudato, e si riempì nuovamente la coppa di vino. Bevve a piccoli sorsi e poi si voltò a guardare la donna con la quale aveva appena giaciuto. Era stordito dal vino, ma non abbastanza da tornare subitaneamente lucido quando aveva sentito il nome di Annia, la moglie del tribuno Claudio Decio Peregrino, sposato dopo che una precoce vedovanza l'aveva resa ricchissima.
Si compiacque per quell'inaspettato colpo di fortuna. E mentre ritornava da lei per prenderla ancora, cominciò a riflettere su come avrebbe potuto sfruttare quella situazione a suo vantaggio.
"Sergio!"
Il giovane tribuno venne fermato dalla voce amica di Claudio Decio Peregrino, mentre attraversava il tablinium della sua domus.
"E' arrivato un messo di Gallieno" cominciò a spiegare Tito Fabio Corvo "A quanto pare, ci sarà un'altra assemblea cristiana".
Sergio Sestio aggrottò la fronte: "Dove? Quando?".
"Domani notte, alla Suburra".
"Quale posto migliore per nascondere una riunione di persone se non in un luogo stracolmo di persone?" riflettè Sergio, grattandosi il mento.
"E noi siamo stati incaricati di rovinare anche questa seconda festa" riprese Claudio Decio, in tono ironico "La nostra prima operazione è stata apprezzata molto".
I muscoli della mascella di Sergio si contrassero nervosi sotto il leggero filo di barba che andava crescendo. In un'altra occasione, vedersi affidare nuovamente un incarico di fiducia come quello, lo avrebbe lusingato e reso orgoglioso del suo lavoro. Ora invece provò un leggero senso di fastidio, e il suo pensiero corse a Camilla Verania. Le aveva chiesto di professare la sua fede in segreto e mai come in quell'istante sperò che lei avesse accettato e seguito il suo consiglio.
"Tutto bene?" chiese ad un tratto Tito, vedendo il compagno assorto.
Sergio Sestio si riscosse: "Oh, si. Tutto bene".
"Gli incanti di Venere stanno facendo effetto!" lo canzonò Claudio.
"Vado a dormire!" dichiarò Sergio, ignorandolo a fatica "Dovreste riposare anche voi stanotte, visto che la prossima la passeremo in bianco". E i giovani tribuni si salutarono.
Fuori dalla domus sul Gianicolo, Claudio Decio sfiorò la mano di Tito: "Hai intenzione di riposare stanotte?" domandò, respirando l'aria serena ma umida della pioggia appena caduta.
Lo sguardo azzurrino di Tito Fabio Corvo si addolcì: "Non saprei... Hai proposte alternative?".
"Qualcuna..." rispose Claudio, piegandosi a baciarlo.
"Domina?".
Camilla Verania sussultò al richiamo di Kara.
"Domina Camilla! Dove sei?".
La fanciulla uscì fuori dal suo nascondiglio, un piccolo cubiculum a ridosso dell'ampio tablinium. Vi ci si era infilata silenziosamente, non appena aveva sentito Sergio Sestio Scaptio interloquire con i suoi compagni.
"Sei qui! La domina Cornelia ti stava cercando ovunque! La lettiga è pronta per tornare a casa".
Camilla la guardò con apprensione, ma senza profferire parola. Non era a conoscenza della nuova assemblea alla Suburra. E il suo promesso sposo avrebbe nuovamente arrestato persone innocenti, colpevoli solo di perseguire il proprio credo di uguaglianza e fratellanza.
Sentì le lacrime salirle agli oggi e pungerle le ciglia, ma strinse i denti ricacciandole indietro. Non avrebbe potuto chiedere a Sergio Sestio di rifiutare gli ordini dell'imperatore, né tantomeno chiedergli di far qualcosa per mandare tutto a monte, anche perché erano coinvolti i tribuni Peregrino e Corvo.
Seduta sulla lettiga che riportava a casa lei e sua madre Cornelia, sotto l'occhio vigile di Handal, pensò che l'indomani stesso avrebbe dovuto parlare con Aulo Pollio e Fannia. Li avrebbe avvisati di non andare alla riunione, nel caso fosse quello il loro intento. E avrebbe chiesto loro di avvisare tutti i partecipanti. Avrebbe fatto in modo che l'assemblea fosse annullata.
Si dispiacque per Sergio, ma sorrise con sollievo tra sé e sé pensando alla sua sorpresa nel non trovare nessuna assemblea cristiana alla Suburra.
Camilla percorreva nervosamente l'atrio della sua domus, in attesa dello schiavo che aveva inviato quale messaggero all'abitazione di Aulo Pollio.
Non aveva potuto uscire poiché aveva passato tutta la mattinata assieme a sua madre Cornelia Verania a scegliere delle stoffe portate da un mercante. Il pensiero del futuro matrimonio aveva infuso una certa energia in Cornelia, oramai convinta che l'unione di sua figlia con gli Scaptii era quanto di meglio potesse accadere.
"Manca poco più di un mese ed è il caso che ci diamo da fare. Bisogna preparare il tuo corredo. Come moglie di un tribuno imperiale e futuro senatore, sarà opportuno che tu abbia vesti adatte" aveva sentenziato la matrona, visionando delle preziose sete.
Camilla aveva cercato di assecondarla, tentando di nascondere l'ansia e l'apprensione per il messaggio inviato di primo mattino. Ma più stoffe passavano sotto i suoi occhi, più il tempo passava e del messo nessuna traccia.
Era oramai pomeriggio inoltrato, quando la ragazza vide lo schiavo tornare trafelato.
"Domina!" chiamò trafelato.
"Perché ci ha messo tutto questo tempo?" chiese spazientita.
"Domina Camilla! Il senatore Aulo Pollio e sua moglie non erano in casa" spigò il ragazzino.
"Come? E dov'erano?".
"Ho chiesto ai loro servi e nessuno sapeva dov'erano. L'archimagirus* mi ha detto che erano in visita dal senatore Cassio e sono andato lì".
Camilla annuì: il senatore era cristiano e il fatto che Aulo e Fannia fossero andati da lui in visita poteva significare solamente che quella notte avrebbero partecipato tutti all'assemblea.
"Bravo. E allora?" lo incalzò lei.
"Quando sono arrivato però non c'era nessuno, erano andati già via".
"E dove?" chiese allarmata.
Lo schiavo scrollò la testa a dire che non lo sapeva: "Mi spiace domina" piagnucolò.
Camilla si portò le mani alla testa, in un gesto disperato. Mandò a rifocillarsi nelle cucine il ragazzino, poi percorse i corridoi finemente affrescati della domus, fino a trovare Handal.
Il gigante biondo era intento a sistemare con una pietra mole il filo di un gladio che la stessa Camilla Verania gli aveva procurato. Era stata un'ulteriore prova di fiducia da parte sua nei suoi confronti: niente e nessuno avrebbe impedito ad Handal di usare quella corta spada contro di lei per ucciderla e scappare dalla domus. Ma Camilla era profondamente convinta che lui non l'avrebbe usata per farle del male. Aveva deciso di fidarsi di lui, sperando che quel sentimento fosse ricambiato allo stesso modo.
Nel vederla arrivare, Handal posò l'arma su di un basso tavolino e si erse in tutta la sua stazza. La ragazza si compiacque nel vederlo: in pochi giorni, pulito e ben nutrito, il suo schiavo germano aveva ripreso vigore e forza; ad ogni movimento, i possenti muscoli di braccia e torace guizzavano. L'espressione accigliata della sua domina, riuscì a provocare nel viso austero del barbaro una leggera espressione di disappunto.
La fanciulla gli si avvicinò e lo fissò negli occhi: "Al tramonto dovrai accompagnarmi alla Suburra. Strada facendo, ti spiegherò tutto. Tieniti pronto".
Lo schiavo annuì, in silenzio, senza chiedere niente.
Gli occhi blu di Camilla, incupiti dall'ansia, si posarono sul gladio: "Portalo con te, potrebbe servirci".
GLOSSARIO
Archimagirus: una sorta di maggiordomo, capo degli schiavi
Gladio: spada dalla lama corta, tipica arma romana
Suburra: quartiere di Roma
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