Capitolo III - Ecclesia domus
Camilla era stata inquieta per tutto il giorno. Aveva tentato di dissipare il nervosismo con varie attività, come la lettura, la preparazione di unguenti medicali e il lavoro al telaio, ma nessuna di queste le era stata utile.
Quella sera ci sarebbe stata una riunione e lei non avrebbe potuto ascoltare la Parola. Sarebbe rimasta segregata in casa, in attesa che Fannia Pollia la venisse a trovare nei giorni a seguire per raccontarle tutto e impartirle la dottrina.
Aveva pregato, prima mentalmente, intenta nelle sue faccende; poi nel suo piccolo nascondiglio, davanti all'immagine del pesce che lei stessa aveva inciso con uno stiletto di legno nell'intonaco del muro. Più passavano le ore e più nella sua mente vorticava sempre lo stesso pensiero: quella notte, con le dovute precauzioni, doveva andare all'assemblea.
Sentiva il desiderio di farlo, ma non per contravvenire al divieto e alle preoccupazioni di Fannia Pollia. Aveva bisogno di ascoltare parole di amore, fratellanza e comprensione, le uniche che avrebbero acquietato il suo animo, in ansia. Non seppe spiegarne il motivo, ma quella mattina, più che mai, avvertiva la responsabilità e il peso del matrimonio che era stato accordato per lei con un perfetto sconosciuto. Tutto ciò che fino a quel momento pareva qualcosa di remoto ma comunque inevitabile come il giorno che lascia spazio alla notte, ora le infondeva una sottile paura.
Accompagnata dalla sua schiava nubiana Kara, si spogliò della veste per immergersi nei vapori delle piccole terme private della sua domus. L'acqua calda della vasca l'accolse in un abbraccio consolatorio e odoroso di rose, tra fumi di vapore. Si rilassò e chiuse gli occhi.
E se quel Sergio Scaptio fosse stato di aspetto sgradevole a dispetto di ciò che aveva ipotizzato sua madre? In fondo, lei non lo aveva incontrato. E se invece avesse subìto una qualche menomazione o sfregio in guerra, al seguito dell'Imperatore? Oppure... se fosse stato un bruto che l'avrebbe trattata male, condannandola ad una vita orribile? Queste riflessioni, che inizialmente non l'avevano impensierita nell'accettazione di quella decisione, l'avevano investita tutte assieme, lasciandola sgomenta e col fiato corto.
Rannicchiò le gambe sotto di sé, passandosi una mano bagnata sul viso. L'acqua era calda eppure le parve di avvertire un brivido improvviso quando pensò che quell'uomo l'avrebbe toccata lì dove nemmeno lei stessa aveva mai osato.
Non poteva raccontare i suoi dubbi e le sue ansie a Cornelia: sua madre era sempre stata una donna orgogliosa ma prudente e accorta; se aveva preso tale decisione, voleva dire che era la cosa migliore per lei e la sua famiglia. Ed esprimerle le sue remore ora, sarebbe servito a ben poco.
Si girò su sé stessa, facendo increspare l'acqua. Kara, seduta poco distante, si sollevò per assisterla portando un telo di lino candido.
La fanciulla uscì dall'acqua e si avvolse nel telo: "Kara" chiamò sottovoce "stasera andremo ad ascoltare la Parola. Prepara tutto".
La schiava annuì.
La nubiana dalla pelle d'ebano voleva molto bene alla sua domina: la serviva fin da quando, poco più di una bambina, era stata acquistata e portata in quella domus. Era praticamente cresciuta assieme a Camilla. Era la sua confidente e, a differenza della madre Cornelia, non aveva mai alzato la mano o la frusta contro di lei per punirla delle sue negligenze. Anzi.
Camilla era sempre stata buona con lei, le aveva persino insegnato a scrivere il suo nome e a leggerlo. E assieme al quella giovane ragazza, aveva accolto il nuovo credo, nel quale si parlava di fratellanza e uguaglianza tra gli uomini. Cose che non esistevano in quel mondo terreno, fatto di schiavi e padroni, ma che invece caratterizzavano quello che chiamavano il Regno di Dio.
Per questo fu ben lieta di sapere che quella notte avrebbe ascoltato la Parola.
Camilla e Kara agirono secondo un loro personale codice, fatto di occhiate e gesti calcolati, senza emettere un solo suono, se non quello dei sandali che strusciavano contro le tessere dei pavimenti mosaicati.
Agivano sempre al termine della prima vigilia*, quando Cornelia Verania si era già ritirata nelle sue stanze, Publio fuori da ore chissà dove e la maggior parte dei servi si godeva il meritato riposo notturno.
Nel massimo silenzio, uscirono dalla grande domus da una porta secondaria: al di là della strada lastricata, illuminata debolmente dalla luna, su di un piccolo carretto trainato da un asino, venne accesa una lucerna. L'uomo che la impugnava, agitò da destra a sinistra la piccola fiamma. Era il segnale.
Le ragazze attraversarono la strada deserta a quell'ora e salirono sul carretto, accomodandosi su dei sacchi di grano. L'asinello venne pungolato dal suo padrone e prese a camminare abbastanza velocemente; le ruote del carretto cominciarono a cigolare.
Ogni volta, Camilla, in preda all'agitazione, pregava che nessuno sentisse tutto quel baccano e li scoprisse. Ma questa volta, Camilla pregò più intensamente del solito. L'editto dell'imperatore che imponeva a vescovi, preti e diaconi di sacrificare agli dèi, pena l'esilio, e proibiva inoltre ai cristiani le assemblee di culto sequestrando chiese e cimiteri cristiani, era stato emanato da poco e le preoccupazioni di Fannia Pollia erano ben fondate. Eppure non erano ancora giunte notizie di condanne o sequestri. Forse, prima che fosse applicata la legge, sarebbe passato del tempo. Questa era una delle motivazioni che l'avevano convinta a partecipare all'assemblea notturna.
La domus dei Veranii non era lontana dalla via Appia e, quando da lontano scorse una vecchia costruzione intonacata di bianco, Camilla si rilassò.
Si trattava di una villa molto antica e oramai in rovina, abbandonata da molti anni, affrescata alla vecchia maniera: era in quel luogo che avvenivano la maggior parte delle riunioni dei cristiani.
Il carretto si arrestò. Le due giovani, avvolte dai mantelli che le proteggevano dall'umidità notturna e a capo coperto, scesero e si avviarono a passi svelti tra i muri diroccati della villa, unendosi agli altri.
"Sono tanti".
La voce di Corvo arrivò debole alle orecchie di Sergio Sestio Scaptio e di Peregrino. Il giovane tribuno dagli occhi azzurri aveva un'espressione corrucciata, visibile anche nella penombra lunare.
Su di un pianoro rialzato, ben nascosti da una fitta fila di pioppi, i tre uomini osservavano la scena che avveniva sotto di loro, poco lontano, nel buio notturno della Via Appia.
Una gocciolina di sudore calò dall'elmo finendo sui begli occhi verdi di Peregrino, che dovette asciugarsela con le dita: "Tanto meglio. Le casse dell'erario hanno bisogno di fondi".
"Se solo si convincessero a offrire sacrifici all'Imperatore...".
Sergio rimase in silenzio, guardando gli adepti cristiani che arrivavano alla spicciolata. Vide uomini, donne, giovani e persino bambini che in totale silenzio giungevano a piedi o a bordo di semplici carri per poi infilarsi all'interno di una vecchia residenza.
"Attenderemo che siano tutti dentro" disse poi "Gli ordini sono di arrestare i loro capi e quante più persone sia possibile. Niente uccisioni, a meno che reagiscano in armi".
Non dovette attendere molto e quando finalmente la funzione iniziò, un senso di pace pervase l'animo di Camilla. Si guardò attorno: senatori e ricchi commercianti si mescolavano alla gente comune e agli schiavi. Tutti vestiti con abiti semplici, alle luci delle lucerne, apparivano tutti uguali. Tutti fratelli, uniti nella fratellanza della preghiera. La fanciulla notò che erano assenti Aulo Pollio e Fannia. Che avessero deciso infine di non partecipare? Per certi versi, Camilla ne fu sollevata; chiuse gli occhi e si raccolse in preghiera.
I legionari agli ordini dei tre ufficiali vennero schierati davanti all'entrata principale della villa e a quella secondaria, bloccando le uscite.
Dall'interno della domus diroccata provenivano lievi delle preghiere intonate in coro. Sergio e i suoi compagni si divisero e il tribuno si augurò che l'operazione andasse per il meglio: un conto era agire contro dei brutali barbari di confine, un altro, contro dei cittadini romani come lui.
Camilla chiuse gli occhi: era il momento più solenne della cerimonia, quello della distribuzione del pane e del vino, e lei voleva arrivarci con l'animo sereno.
Il silenzio del rito venne bruscamente interrotto dall'urlo di un uomo anziano: "I soldati di Valeriano! Sono qui!".
La fanciulla spalancò gli occhi e vide il panico diffondersi per l'assemblea.
"Ci uccideranno tutti!" urlò una donna, disperata.
Urla e gemiti angosciati rimbalzarono contro gli intonaci scrostati della sala e le persone assiepate tra quelle mura cominciarono a muoversi come schegge impazzite. La folla si diresse in modo disordinato verso le due uscite, quella principale e quella sul retro, urlando terrorizzata ma bloccandosi di colpo: da sopra la ressa, Camilla intravide i pennacchi scarlatti degli elmi legionari. Kara afferrò la mano della sua padrona e la strattonò verso l'uscita secondaria, la più vicina.
La schiava nubiana andò a sbattere contro la schiena di un ragazzo che cercava di trascinare l'anziana madre fuori dalla sala. "Ci hanno circondati!" gridò qualcuno "E' finita!".
La calca sembrò implodere su se stessa, schiacciando le due ragazze tra corpi nervosi e membra sudate. Camilla, non credendo possibile il poter attraversare la calca, tirò il mantello di Kara, cercando di farsi largo tra le persone a gomitate. Era già stata in quella domus. Doveva esserci un'altra uscita. Riuscirono a farsi spazio e imboccarono un lungo corridoio stuccato di bianco che dava verso un peristilio interno alla costruzione. Dietro di loro qualcuno le seguì, sembrando avere avuto la stessa idea. Davanti a tutta la serie di cubicula di servizio che davano sul peristilio, si fermarono un momento a riprendere fiato. Dalla sala principale, le urla aumentarono quando si sentì il rumore delle spade legionarie che venivano sfilate dai foderi.
Kara strattonò nuovamente Camilla e si infilarono nella stanza più lontana. L'interno era illuminato dal debole chiarore della luna che proveniva da una bassa finestra. D'istinto, la schiava spinse la sua domina contro l'apertura e, quando lei fu fuori, la seguì.
Il tribuno Sergio Sestio Scaptio dirigeva le operazioni esterne, dal lato dell'uscita di servizio. Il trambusto interno era aumentato nel momento in cui Peregrino aveva fatto irruzione nell'assemblea. I cristiani non erano soliti partecipare ai loro riti armati, quindi l'operazione di arresto si sarebbe svolta senza intoppi, ma era sempre opportuno restare all'erta. Sembrava tutto sotto controllo. Si allontanò per circondare a piedi il perimetro della costruzione, seguito a sua volta da un soldato che portava una torcia per illuminare i dintorni. Percorse solo pochi passi quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Vide una donna scavalcare una bassa finestra, seguita da un'altra. Entrambe coperte dai mantelli, cominciarono a correre lungo il prato incolto, cercando di raggiungere la vegetazione poco lontana.
Sergio, nonostante il peso dell'armatura che aveva forgiato il suo fisico, prese a correre velocemente verso di loro. La seconda donna sembrò andare più spedita, quindi prese la mano della sua compagna, la quale inciampò e cadde. La vide spingere via l'altra e il tribuno la sentì dire "Va via!".
Quella in piedi, dalle braccia d'ebano che contrastavano con la tunica chiara, non sembrava volerla abbandonare. La tirò ancora per il braccio e finalmente l'altra ragazza si alzò, ma continuando a spingerla via, a volerle dare del vantaggio. Gettò via il mantello che le dava intralcio e cominciò a correre dietro la compagna.
"Tu! Ferma!" gridò il soldato che era con Sergio.
La fanciulla si voltò, in preda al terrore. Sergio che si era avvicinato di molto, si bloccò d'improvviso nel vedere, al chiarore della luna e della torcia retta dal suo soldato, l'ovale perfetto del viso della ragazza: un volto dalla pelle chiara come l'alabastro, le labbra rosse, i lunghi capelli, neri come la notte, che le si erano sciolti dietro la schiena. I grandi occhi dalle iridi blu come il mare aperto sbarrati per la paura. Dopo qualche istante che i loro sguardi si erano incrociati, si voltò e riprese a correre.
Il legionario fece per correrle nuovamente dietro, ma Sergio lo fermò: "Furio! Lasciala andare".
"Tribuno! E' una cristiana!".
"E' solo una ragazzina. Quelli che ci interessano sono i capi della setta" spiegò.
Il soldato grugnì e ubbidì, tornando verso i suoi compagni. Sergio rimase a guardare il lieve pendio, oltre la strada, ma della fanciulla non c'era più traccia.
Albeggiava quando il tribuno Sergio Sestio Scapto rientrò nella sua domus sul Gianicolo. Aiutato da un servo ancora insonnolito, si spogliò della lorica* di cuoio e della tunica impolverata. Con indosso il solo subligaculum*, attraversò i corridoi della ricca domus e si inoltrò nelle terme private. Prese un mastello da un secchio di acqua fredda e se lo rovesciò direttamente sulla testa.
Il viso di quella fanciulla che era scappata dalla finestra. Occhi blu, di un blu visibile persino col solo chiarore della luna. L'immagine gli si era impressa nella mente, senza abbandonarlo un momento. Neanche i complimenti del legato imperiale sul successo della missione contro i cristiani erano riusciti a distogliere i suoi pensieri da ciò che aveva visto. Era solo una ragazzina. Una ragazzina con le fattezze di una ninfa dei boschi.
Gli scappò uno sbadiglio.
Forse solo il sonno e la stanchezza lo avrebbero distolto da quel pensiero che si rifiutava di abbandonarlo.
Glossario:
prima vigilia: dalle 18 alle 21
lorica: corazza che proteggeva petto e addome
subligaculum: biancheria intima che copriva i genitali
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