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Capitolo 5 - Sparizioni (R)

«Le ripeto, che non ho memoria di ciò che è accaduto. L'ultimo ricordo risale a quando ho aperto la porta Theo e ci siamo messi a chiacchierare sul divano; in seguito due persone si sono introdotte in casa mia e da qui tutto inizia a essere sfocato. Ciò che però ricordo bene è di averle prese alla grande.»

Parlavamo già da due ore e non eravamo arrivati ancora ad alcuna conclusione.
Lo sceriffo appariva stanco, ma comprensivo: una scintilla nel suo sguardo mi diceva che qualcosa aveva capito.

«D'accordo. Non preoccuparti. Se ti venisse in mente qualcosa, sai dove trovarmi.» Mi lasciò poi pochi attimi con il vice sceriffo, bisognoso di sapere quali furono i danni riportati all'abitazione mentre io, stizzita, gli rispondevo di non essermi molto focalizzata sull'arredamento distrutto, quanto semmai sulla mia vita.

Battibeccammo qualche minuto fino a quando un'infermiera corpulenta ci interruppe per somministrarmi l'ennesima dose di medicine; un piacevole silenzio calò in quella piccola stanza e feci un sospiro di sollievo: finalmente sola.

La fame mi assalì di colpo, ma non ne volevo sapere di chiamare qualcuno così, feci la cosa più stupida che mi potesse venire in mente: alzarmi dal letto e, appoggiandomi all'asta che portava le flebo, andare a cercare il mio telefono con passo tremante per dare notizia ai miei genitori del fatto che fossi viva - sempre che sapessero che ero ricoverata - in modo tale da distrarmi.

Il display si illuminò e constatai stranita che la batteria era al massimo. Subito mi venne notificato l'arrivo di decine di messaggi, tutti da numeri sconosciuti e un paio da mia madre che mi chiedeva di chiamarla appena ne fossi stata in grado.
Per noia, iniziai ad aprirli tutti e con molto piacere notai che erano di Stiles, qualcuno di Scott e uno di Lydia. Nessuno di Theo.

Theo!

Chissà come stava! Fino a quel momento non mi aveva nemmeno sfiorato il pensiero che lui... Be' potesse stare peggio di me. Se non fosse venuto a disturbarmi, a quest'ora probabilmente sarei in un altro reparto dell'ospedale.

Composi meccanicamente il numero di mia madre e attesi che scattasse la segreteria - perché ero certa che non avrebbe risposto - e le lasciai un sintetico messaggio, affermando di essere salva, più o meno.

L'indomani venni svegliata presto, prospettandomi, assieme ad un cocktail di medicine, una lunga giornata di visite; la prima persona che si presentò fu la rossa, sempre impeccabile tanto che mi fece sentire così a disagio con il mio camice slavato, i capelli arruffati e il viso emaciato. Il vestito color carta da zucchero le fasciava perfettamente il busto, scendendo morbido sui fianchi; la borsetta nera abbinata alle scarpe e alla cintura era un tocco di classe.

«Ciao! Come stai?» Si sedette sul bordo del letto scrutandomi appieno; di rimando alla domanda quasi stupida, le lanciai un'occhiataccia mostrandole la flebo conficcata nel mio braccio. «Giusto, di sicuro non va tutto bene.» Fece una lieve smorfia e, subito dopo, mi abbracciò forte forte sussurrandomi che le dispiaceva moltissimo, quasi fosse colpa sua.

Mi irrigidii: non ero abituata a certe effusioni da parte di semi sconosciuti, tuttavia essendo quella una situazione particolare, non potei fare altro che godermi un po' di sana preoccupazione altrui. Ero bello vedere che la mia salute importava a qualcuno.

«Non preoccuparti, passerà.» Tentai di sfoggiare un sorriso incoraggiante, ma dubitai di averla convinta molto, sicché mi guardò tristemente. «Perché non parliamo d'altro, ti va?»

«Tipo del tuo aspetto fresco come una rosa?» ammise lei, ridacchiando.

«Ehi!» Le lanciai contro uno dei tanti cuscini su cui ero appoggiata «Non sono mica rinchiusa in un centro di bellezza.»

«Lo so, lo so. Infatti ho deciso che io sarò la tua luce in fondo al tunnel.» Prese una mia mano tra le sue, stringendola.

«Cioè?»

Estrasse poi dalla sua borsetta rossa una trousse colma di cosmetici «Restauro totale. Andiamo in bagno.»

Le lanciai un'occhiata scettica. «Le infermiere ti hanno dato il permesso di strapazzarmi?»

Esitò un attimo, contraendo le labbra. «Più o meno.»

Mi lasciai sfuggire un sorriso furbo e la seguii.

Dopo un tempo interminabile, fui libera dalla sua morsa e tornammo tranquille ad accomodarci sul letto; non che fosse riuscita a rimediare chissà quanto al mio aspetto fisico, però almeno avevo i capelli puliti e in ordine, quasi sembrava che i lividi che mi percorrevano il corpo fossero meno viola.

Lei, non soddisfatta, prese un grosso quaderno e mi disse: «Ti ho portato degli appunti, così mentre sei bloccata qui puoi ricopiarli e iniziare a studiarli. Se hai bisogno di aiuto e non hai capito qualcosa, io ci sono.» Strinse di nuovo le mie mani con calore: sentivo che non erano parole di circostanza, percepivo la sincerità. Tuttavia, questo non bastò ad indorarmi la pillola.

«Scuola?! Io sfrutterò la scusa del ricovero per un sacco di tempo, sperando nell'esonero e credo proprio che chiederò un qualche permesso speciale alla madre di Scott. Credi possa funzionare?»

«Purtroppo temo che non avrai successo.»

Ridemmo entrambe e continuammo a chiacchierare del più e del meno: mi stavo davvero affezionando a quella ragazza dalla personalità solare ed esuberante.

Mi stava raccontando della sua migliore amica che si era trasferita qualche anno prima, quando un nuovo mix di farmaci venne a interromperci, avvertendomi che c'erano altre persone che attendevano di vedermi.

Salutai Lydia e attesi un po' impaziente, sistemando alla bene e meglio il mio disastroso aspetto.

«Toc-Toc. Si può?»
Un sorriso dolcissimo fece capolino dalla porta seguito a ruota da due formidabili occhi nocciola.

«Stiles, Scott! Che piacere vedervi. Sono felicissima che siate passati.»

I due ragazzi si avvicinarono cauti e, dopo aver poggiato un bellissimo mazzo di fiori sul davanzale della finestra, presero posto su un paio di sedie poco distanti. Li ringraziai per il bellissimo gesto, risposi tranquilla alle varie domande sul mio più che evidente stato di salute, subito chiesi ciò che mi premeva maggiormente: «Ci sono novità in città?»

Non sapevo per quale motivo, ma ero nervosa: torturavo le lenzuola con mani sudate, percepivo una strana sensazione alla bocca dello stomaco e non riuscivo a smettere di osservare come i raggi del sole filtrassero dalle veneziane semichiuse e carezzassero la pelle di Stiles.

Scossi la testa: dovevo aver preso una bella botta in testa!

«Non hai saputo?» chiese Scott incredulo.

«Che cosa?»

«Theo dopo aver dato l'allarme, è sparito. Nessuno sa più nulla di lui: né dove sia, né perché sia scomparso.»

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