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Capitolo 31 - Partita

Era la sera della partita, la serata più importante dell'anno per il coach siccome avremmo sfidato i suoi più acerrimi avversari.
«Diana, oggi contiamo su di te per una buona difesa.» cominciò lui assestandomi una pacca sulla schiena con tono di scherno: sapevo che se non fosse stata assente Kira non avrei fatto altro che scaldare la panchina. Grugnii un grazie e mi guardai intorno: ai miei lati Scott e Stiles che mi sorridevano incoraggianti, sugli spalti tutti i nostri più cari amici eccetto Kira, che si era presa la giornata libera e nessuno l'aveva più sentita o vista da quel giorno.
Dopo le ultime parole di incoraggiamento, scendemmo in campo, agguerriti come non mai, pronti a sfogare tutta la nostra rabbia e disperazione.
I minuti trascorrevano lenti e per ogni metro di terreno che guadagnavamo, ricevevamo un numero spropositato di colpi e umiliazioni. Fu quando vidi Scott scontrarsi con un ragazzo di statura più minuta e venire scaraventato a svariati metri di distanza che ebbi il presentimento che qualcuno di loro fosse un essere sovrannaturale.
«Forza mezze cartucce! Questo è il meglio che sapete fare?»
Frasi del genere continuavano ad uscire dalla bocca dal coach, ogni volta condite con insulti vari. Eravamo allo stremo e finalmente l'arbitro annunciò la fine del secondo quarto con un paio di fischi.
«Abbiamo qualche possibilità di recupero?» domandai a Scott dopo che egli si fu appoggiato a me in cerca di sostegno.
«Se il numero dodici non la smette con quei placcaggi, giuro che gliela faccio pagare.» replicò lui duramente con un lieve fiatone.
Stiles ci raggiunse, porgendoci due bottigliette d'acqua che impiegammo pochi attimi a svuotare. «È solo una mia supposizione oppure anche loro stanno usufruendo di un piccolo "aiuto"?» s'intromise il ragazzo dagli occhi nocciola, enfatizzando le proprie parole con ampi gesti delle braccia. Il suo migliore amico gli spiegò la propria retorica e la sua eventuale offensiva nel caso non avessero terminato di agire in tal modo, coinvolgendo anche Liam che nel frattempo era giunto al nostro fianco.
Le urla del coach ci fecero tornare alla realtà, costringendoci ad abbandonare momentaneamente i nostri piani. In quel momento una folta chioma di capelli neri, sfrecciò sull'erba umida, parandosi davanti a noi.
«Yukimura, che ci fai qui?» chiese scocciato il professor Finstock.
«Vogliamo vincere o no?» domandò lei retorica con tono arrogante ed una strana luce negli occhi. Il resto della squadra, travolta da quella speranza improvvisa, si precipitò sul campo, urlando carica come non mai. Corremmo come pazzi, saltammo a destra e a sinistra, schivavamo ogni ostacolo ed infine la palla continuava a finire in rete, o almeno loro facevano così. Già, io ero stata demansionata a riserva dopo l'arrivo di Kira; non che non mi dispiacesse, semplicemente avrei preferito fosse così anche nei precedenti quaranta minuti. Un rumore agghiacciante attirò la mia attenzione: in campo era disteso Liam, che si dimenava come un forsennato e urlava di dolore, poco dopo notai molto sangue macchiargli la divisa all'altezza del ginocchio e per un attimo mi parve di aver visto l'osso. Ebbi un improvviso conato che repressi a fatica; mi dispiaceva per lui tuttavia sapevo che si sarebbe ripreso in fretta e la cosa mi rincuorò.
«Shaw, prendi il posto di Dunbar!»
«Cosa? Ma io non-»
«È un ordine! Non mi sembra poi tu abbia altre possibilità se vuoi rimanere in questa squadra.»
Quelle parole, nonostante fossero solo a scopo di intimorirmi, mi diedero da pensare molto. Mi alzai, indossai il casco e, dopo aver lanciato un'occhiata incoraggiante al giovane beta, fui pronta ad affrontare la partita.
Assunsi una posizione di difesa, strinsi forte la mazza e divaricai le gambe pronta a chiunque si fosse parato davanti a me, non gli avrei reso la vita facile. Persi il conto di quante volte finii con il sedere per terra o con il fango in bocca: da quando anche la nostra squadra aveva avuto un rinforzo nessuno si era più risparmiato. Individuati i ragazzi "dotati", li lasciavamo rispettivamente a Scott o alla kitsune che, senza faticare troppo, li contrastavano in maniera eccezionale. Ero pronta con il possesso di palla a tirare in rete, nessuno che mi avrebbe intralciato, ero ad un passo dal lancio quando, con la coda dell'occhio, vidi la ragazza dai capelli neri che si scagliava con eccessiva forza contro il numero dodici. Li vidi abbandonare le mazze e cominciare a colpirsi in un corpo a corpo terrificante; il suo compagno di squadra e l'alpha tentarono di separarli invano, l'arbitro fischiava come un ossesso ed i coach si sbraitavano contro dibattendo su chi dei due avesse cominciato. Sugli spalti ugualmente era scoppiato il putiferio: chi scappava impaurito, chi urlava per farsi sentire e chi invece -i nostri amici- erano corsi sul prato, sperando di aiutare.
Sentii chiamarmi da varie direzioni: Lydia, nel mentre che aiutava sua madre a sgomberare, mi intimò di andarmene, Theo mi faceva segno di seguirlo dicendo che mi avrebbe accompagnata a casa ed infine Malia mi sorpassò senza nemmeno degnarmi di un'occhiata. Ignorai entrambi e corsi verso la massa di gente che si era formata attorno ai due litiganti. Arrivare fino al centro non fu facile come credetti: dovetti scansare malamente tre ragazze alticce che mi avevano accerchiata e, una volta che crederti di essermi liberata, un ragazzo dai capelli neri che era apparso alle mie spalle, mi spinse con forza facendomi, perdere l'equilibrio. Si dipinse immediatamente un sorriso sinistro sul volto, asciugandosi con la mano del sangue rappreso che aveva sull'angolo della bocca.
«Ti siamo mancati?»
Realizzai a cosa si riferisse e sentii pian piano, la paura che serrava con la propria  morsa gelida il mio stomaco. Gattonai all'indietro, scivolando più volte a causa della fanghiglia, sperando di scappare il più lontano possibile. Egli aspettò e, senza staccarmi gli occhi di dosso, con un paio di grandi falcate mi raggiunse e mi prese per i capelli, scrollandomi con violenza. Urlai di dolore e calde lacrime bagnarono le mie guance, lui rideva. Mi dibattei ma ad ogni movimento, lui mi strattonava con maggiore intensità e mi colpiva con svariati pugno allo stomaco o al petto. Fu quando credetti che non sarei sopravvissuta questa volta, che non avrei avuto altrettanta fortuna siccome ognuno era impegnato a salvare la propria pelle che il ragazzo davanti a me mi lasciò andare. Alle sue spalle vi era Theo, gli occhi che brillavano e gli artigli sfoderati. «Lascia andare la mia ragazza.» ringhiò prima di avventarsi su di lui con una potenza tale che mi incusse quasi terrore. Lo ringraziai mentalmente e per pochi attimi mi soffermai sulle sue parole, dimenticandomi della situazione circostante. Dal momento che ero libera, avrei fatto meglio ad andarmene, smettendola di dare preoccupazioni alle persone a me care, mossi qualche passo in direzione degli spalti ed in quel momento, quando ormai ero certa di esser fuori dal mirino della rissa, una mano si strinse attorno al mio polso, trascinandomi via con forza.

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