Capitolo 29 - Massacro
«Certo, andate pure. Tanto io mi sto divertendo anche da sola.» Ci urlò dietro Lydia non appena io e Theo ci allontanammo diretti verso un posto meno affollato.
Mi stringeva saldamente la mano mentre si destreggiava nella miriade di persone, facendosi spazio; pareva conoscere la casa quasi meglio di me. Raggiungemmo la mia camera e, dopo aver cacciato malamente una coppia che si strusciava sul mio letto, allacciai le braccia dietro il suo collo e mi avvicinai a lui, sfiorando dolcemente le sue labbra con le mie.
«Tu vuoi uccidermi.» mugolò lui dopo l'ennesimo vano tentativo di strapparmi un bacio.
Risi. «Probabile.» Finalmente soli: niente problemi, niente preoccupazioni, niente litigi o screzi. Nulla. Non potevo essere più felice.
Il ragazzo, stufo dei miei giochetti, mi bloccò contro il muro con il suo corpo tenendo le mie braccia sopra le testa; esitò un secondo, fissando i suoi occhi azzurri nei miei e sussurrò sorridendo con voce maliziosa «Fin dal primo giorno sapevo di piacerti.» e, prima ancora che il mio cervello potesse anche solo formulare una qualunque risposta, lui si avventò avido sulle mie labbra liberandomi dalla presa. Il resto di me agì spinto da volontà propria: in men che non si dica sparirono gran parte dei nostri indumenti, nel mentre che le nostre mani esploravano febbrilmente i nostri corpi.
«Giuro che ho gli occhi chiusi.»
Udii Theo imprecare, con le labbra ancora sul mio collo. Non so lui, ma io non mi ero nemmeno accorta della presenza di Evelyn con una mano sul viso, nella stanza.
«Che vuoi?» chiesi con tono parecchio arrabbiato. Se solo avesse potuto vedermi, ero certa si sarebbe spaventata per l'occhiata di fuoco che le avevo lanciato.
«Dovreste venire di sotto. Ci sono delle "complicazioni".» rispose lei, prima di scappare dalla stanza. Mi strofinai il viso nervosa e sbuffai sonoramente, pronta a prendere a calci chiunque avesse interrotto quel momento. Ci rivestimmo nel giro di pochi attimi e, prima di andare a vedere che cosa stesse succedendo, il ragazzo al mio fianco mi strinse a sé e disse «Una volta risolto questo inconveniente, riprendiamo da dove abbiamo interrotto.» Arrossii violentemente e mi feci trasportare da lui fino alle scale pronta a farla finita il prima possibile quando, improvvisamente, egli si pietrificò ed io, con i miei riflessi poco pronti, sbattei contro la sua schiena.
«Ma che-» lo superai ed ebbi la sua stessa reazione. Di fronte a noi stavano ballando come niente fosse i due individui che mi avevano aggredita il primo giorno di scuola.
Presa dal panico, cominciai ad urlare a chiunque mi passasse sotto tiro che la festa era finita, sbracciandomi il più possibile e sperando che mi dessero ascolto; ricevetti insulti di ogni genere ma finché loro fossero rimasti in vita, ciò non mi importava. Pian piano mi stavo avvicinando al mio obiettivo. Non li persi d'occhio un secondo: se ne stavano lì in piedi, a scherzare con delle cheerleader come fosse tutto normale, come se non ricordassero di avermi quasi uccisa.
Una ragazza avvinghiata al suo compagno, nel mentre che si dimenava, mi diede una spinta che per un attimo mi fece perdere l'equilibrio e la concentrazione sul mio bersaglio, e tanto bastò per far sì che i due sparissero dalla mia vista. Grandioso.
Chiamai a gran voce i miei amici, grata del fatto che avessero subito compreso il mio piano senza nemmeno che glielo avessi comunicato: far andare via tutti e poi occuparsi degli ospiti indesiderati, non volevo alcun spargimento di sangue.
«Sono nel cortile sul retro.» affermò Kira interpretando il mio sguardo impaurito, con aria trafelata; poco prima l'avevo vista trasportare di peso un ragazzo ubriaco fuori dalla porta.
Theo posò una mano sulla mia schiena con fare protettivo mentre gli altri si affrettarono verso il punto indicato dalla Kitsune. «Andrà tutto bene, vedrai.»
Non appena mettemmo piede sul terreno erboso, mi si parò davanti la realizzazione di uno dei miei incubi peggiori: i cattivi non erano più due, ma una decina. Con la coda dell'occhio notai Liam che lottava strenuamente contro una ragazza ben piazzata, alta e dai folti capelli bruni; gli occhi del colore del ghiaccio. Poco distante a terra vi era Hayden, coinvolta in un corpo a corpo con un giovane dall'aspetto angelo ed i tratti delicati, al quale non si addicevano i versi animaleschi che emetteva. Lydia e Stiles erano fuori dalla mia visuale, speravo solo fossero al sicuro. Udii lo scricchiolio di ossa che si rompevano, artigli contro artigli, carni che si laceravano: avevo voglia di urlare e forse lo feci anche, ma nessuno se ne accorse. Tutto si muoveva a rallentatore, ogni colpo inflitto, ogni ringhio o rumore sembravano amplificati nella mia testa ed io, rimasi quasi per tutto il tempo immobile. Ogni tanto percepivo mani forti spostarmi per evitare che venissi colpita da qualche oggetto, oppure da qualcuno. Ero un peso, non sapevo cosa fare. Più volte il mio vestito bianco si macchiò di rosso e altrettante volte c'era sempre qualcuno che mi faceva da scudo umano per evitare che fossi ferita, ero stanca di quella situazione. Poco distante da me, vidi Evelyn cadere, un uomo nerboruto la sovrastava con gli artigli ben in vista. Non potevo continuare a non fare nulla, dovevo salvare la mia amica anche a costo di prendere la decisone più sbagliata in una situazione come quella; corsi verso di lei, incurante di ciò che mi stava attorno e quando mi frapposi tra il suo corpo e una morte certa, chiusi gli occhi e sperando di non sentire dolore. Non sentii nulla in effetti. Attesi secondi interminabili, terrorizzata dalla scena che mi si sarebbe potuta presentare davanti ed infine, con il respiro affannoso, li riaprii: il sorriso sghembo di Stiles fu la prima cosa che vidi, seguita dalla mazza da baseball che mi aveva regalato, stretta tra le sue mani.
«Stai bene?» mi scrutò premurosamente e solo in quel momento mi accorsi di ciò che era attorno a me: tutti i miei amici erano ridotti ad uno straccio, con i vestiti distrutti ed incrostati di sangue, persino la rossa ed il mio vicino avevano più lividi di me. Non feci subito caso alle sue parole, impegnata a controllare la salute di Eve; posi due dita tra il collo e la mandibola per accertarmi che fosse ancora viva e, grazie al cielo, percepii le pulsazioni anche se basse; sollevata, mi voltai nuovamente verso il moro, annuì sicura e accettai il suo aiuto per rimettermi in piedi.
«Ottimo, abbiamo fatto piazza pulita della nostra specie. Ora posso sapere per quale motivo?» Malia venne al mio fianco, con aria minacciosa e il volto stanco. «Sai, non mi capita tutti i giorni di uccidere tre o quattro lupi mannari senza nemmeno parlarci prima.» disse, accompagnando tali parole con un ampio gesto alle sue spalle, come ad indicare tutti i corpi che giacevano a terra, in una pozza di sangue. «Per di più se a dare loro il colpo di grazia eravamo io, Evelyn, Hayden e Theo, per non permettere agli altri di macchiare la propria purezza.» Puntò il suo sguardo nel mio e un lungo brivido mi percorse la schiena, indietreggiai di insito e lei emise un ringhio. «Oh giusto, dimenticavo che per te dovremmo anche farci ammazzare.»
«Basta.» l'intervento di Lydia non fu nemmeno preso in considerazione.
«Ma non vi rendete colpo che è tutta colpa sua?» Si rivolse agli altri che erano intenti a guardare per terra, senza parole. Le mani impegnate a controllare le proprie ferite ed i visi contusi furono l'ulteriore prova che Malia aveva ragione e che in fondo loro concordavano.
«Non erano qui per lei.»
L'alpha si era rimessa in piedi a stento: era pallida, le tremavano le gambe ed aveva un lungo taglio che le percorreva la guancia sinistra quasi per intero.
«Dovresti riposarti. Siediti.» allungai una mano per aiutarla, ma lei la respinse con violenza.
«No.» fece un paio di passi verso la coyote e prima ancora che potessimo realizzare cosa aveva in mente di fare, con un'agile mossa le ruppe l'osso del collo: Stiles, con le lacrime che gli rigavano le guance, si affrettò per prendere tra le braccia il corpo della fidanzata esanime mentre un urlo potente squarciò la notte placida. Evelyn approfittò di quell'attimo e sparì nella notte, saltando la staccionata. Nessuno ebbe la forza di seguirla, neppure Scott.
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