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Capitolo 21 - Terzo Grado

A metà mattina finsi un fortissimo mal di testa per avere il permesso di tornare a casa: ero già stanca ed erano accadute d'un troppe cose da quando mi ero svegliata, avevo bisogno di riposo.
Avvisai i miei amici con un messaggio e, velocemente, mi incamminai.

Non feci nemmeno in tempo a tirare fuori le chiavi di casa che venni travolta da mio fratello.

«Dove vai così di fretta?», domandai curiosa.

Si sistemò un grosso borsone nero in spalla e fece qualche passo, allontanandosi da me. «A far delle cose.»

«Cose di che tipo?». Incrociai le braccia al petto e lo guardai in attesa di una risposta soddisfacente.

Sbuffò ripetutamente e infine si decise a vuotare il sacco. «Devo aiutare un mio amico a organizzare una sorpresa per la fidanzata.»

Sgranai gli occhi, sorpresa. «Tu hai amici qui?» Mi suonava tanto di scusa, poco credibile per lo più.

«A differenza tua, io mantengo i contatti.»

«E quando li avresti presi questi "contatti", dato che non vieni qui da circa quindici anni e che, da che ne ho memoria, al massimo giocavi con il fratello maggiore dei Lahey?» 

«Quando torno ti racconto come ho fatto», dichiarò facendomi l'occhialino.

Venimmo interrotti dal suono di un clacson, proveniente da una macchina nera con i finestrini oscurati che era parcheggiata in fondo al vialetto. «Ci vediamo mercoledì.», mi stampò un veloce bacio sulla testa e corse in macchina.

Non riuscii nemmeno a protestare.

Borbottante, entrai in casa e mi godetti la tranquillità e il silenzio che regnavano: mi sarei finalmente rilassata. Buttai sul divano la borsa e la giacca, calciai via con poca delicatezza gli stivaletti e corsi al piano di sopra per prepararmi un bel bagno caldo: ne avevo così bisogno.
Presi con me il libro di storia e, immersa fino alle spalle, tentai di usufruire di quel momento per provare a studiacchiare qualcosa dato che ero certa che non sarei uscita di lì per molto tempo.
Leggendo di guerre, ripensai al battibecco di quella mattina con Malia e al bacio con Theo: non sapevo come potere gestire questo nostro rapporto, perché continuavo a chiedermi se il reale motivo per cui l'avessi baciato mi fosse stato fornito dall'attrazione nei suoi confronti o dal fatto di voler far ingelosire Stiles.
Un fastidioso e persistente suono mi destò dal torpore dell'acqua, orami diventata fredda.
Feci per uscire da lì e diedi un'occhiata veloce al telefono: sette chiamate perse da Lydia e decine di messaggi.
Mi asciugai il più in fretta possibile e mi affrettai per andare ad aprire la porta. 

Una ragazza mi superò con fare molto irritato prendendo posto sul divano ancora ricoperto delle mie cose. «Ti sembra normale?» cominciò subito, dopo che mi accomodai al suo fianco. «Scappi praticamente dalle lezioni fingendo di star male avvertendomi con un misero messaggio, e questo è davvero il minimo. Per non parlare del fatto che mi avevi detto che mi avresti chiamata sabato per raccontarmi ogni cosa e indovina? Ovviamente non l'hai fatto. Come se non bastasse oggi la prima cosa che vedo appena messo piede a scuola, sei tu avvinghiata Theo un secondo dopo che Malia si è buttata su Stiles. Senza menzionare poi l'acceso scambio di battute durante matematica a cui, tra l'altro, praticamente tutta la classe stava assistendo divertita» sbottò tutto d'un fiato la rossa. Prese un bel respiro profondo e proseguì con tono non meno minaccioso. «Tu adesso ti siedi accanto a me, e mi racconti tutto, cascasse il mondo, voglio ogni dettaglio.»

Sbuffai a metà tra il divertito e l'irritato, indecisa su cosa omettere; cominciai dal principio, ossia dall'uscita di venerdì per poi tralasciare gli eventi di sabato e saltare direttamente alla mattinata di quel giorno. 

Lei ascoltò attentamente, facendo sporadiche domande e annuendo di tanto in tanto, la sua espressione mutò solo quando mi soffermai sul fatto che Theo mi avesse portata nel bosco di notte.
«Quindi siete una coppia adesso?»

Era davvero l'unica cosa che era riuscita ad elaborare? «Hai ascoltato almeno una parola che ti ho detto?»

«Certo, appunto perché ho sentito tutto e non mi sembra sia successo nulla di particolarmente strano ti chiedo ciò.»

«In realtà c'è dell'altro-»

Il suo telefono squillò, interrompendomi proprio mentre stavo per svelare la parte più importante. «Scusa, devo rispondere» si congedò lei prima di dirigersi in cucina.

Non seppi il perché ma mi alzai di soppiatto e la seguii, cercando di carpire più parole possibili; fossero stati due mesi prima non l'avrei mai fatto ma adesso qualcosa era cambiato, io ero cambiata.

Mi addossai al muro, tentando di fare il minor rumore possibile e tesi le orecchie; mi sentivo terribilmente in colpa, eppure sapevo che c'era qualcosa che mi sfuggiva.
"Sì, sono qui con lei... Sì, sta meglio... malata... Probabile... Non ancora!... D'accordo, ciao."
Riattaccò ed io, con uno scatto fulmineo, mi precipitai nuovamente sul divano assumendo una posizione del tutto naturale.

«Tutto bene?» mi chiese lei accigliata quando tornò in soggiorno.

«Perfettamente» risposi con un leggero fiatone.

«Hai per caso corso?» domandò retorica mentre era intenta a raccogliere la giacca e la borsa.

Tentai di sviare l'attenzione da me, aiutandola nel vestirti e le domandai, con una punta di tristezza, «Vai già via?»

«Purtroppo. Era mia madre al telefono: voleva venire lei in prima persona a venire a vedere come stavi, ma fortunatamente sono riuscita ad intercettarla usando come scusa il fatto che con me ti saresti sentita più a tuo agio. Dopo il lungo discorso che le ha fatto Elizabeth ha deciso che il minimo che potesse fare, fosse controllare ogni tua minima mossa, per assicurarsi che fosse tutto a posto.»

Quella donna era incredibile: non sentiva sua figlia da giorni, ma aveva trovato il tempo di parlare con Nathalie.  «L'ha davvero chiamata?»

Lei annuii concorde liquidando l'argomento e perciò la accompagnai all'uscita senza indagare ulteriormente, per ora. «Mi raccomando, non fare stupidate e se hai bisogno di me, chiamami.»

L'abbracciai forte e la ringraziai: pian piano stava diventando la mia àncora, senza di lei non so come avrei fatto.

Passai il tempo fino all'ora di cena a riordinare - svuotando gli ultimi scatoloni- e a fare varie telefonate ad amici e parenti. 

"Ciao mamma, come state?"

"Tutto bene, tesoro. Tu invece, ti trovi bene?"

"Certo, mi sono fatta-"

"Nathaniel che cosa ti ho detto?!... Non osare rispondermi in quel modo, abbi rispetto... Lo so, arrivo."

"È un brutto momento?"

"Scusami, davvero. Ti chiamo appena ho un attimo di respiro. Ti voglio bene cucciola. Mi dispiace."

Che bella conversazione! Probabilmente la più lunga nelle ultime settimane. Non incolpavo mia madre per questo, sapevo che voleva esserci davvero ma purtroppo non riusciva.

Provai nuovamente a chiamare Hanna, sperando di avere più fortuna e, nuovamente, non mi rispose; allo stesso modo Giselle ignorava le mie chiamate da quando ero partita: non capivo il perché e ci rimasi davvero male quando scattò la segreteria per la terza volta consecutiva.
Una volta finito di sistemare, parecchio affamata e totalmente priva di voglia di cucinare, decisi di ordinare una pizza. Attesi impaziente per una buona mezz'ora, tentando di ingannare il tempo con lo studio - altresì detto farsi i fatti propri con il computer- fino a quando non udii il suono del campanello e mi precipitai affamata ad aprire. 

«Quanto le de-»

«Offro io stasera.»

Alzai lo sguardo e incorniciai due occhi nocciola, il mio cuore saltò un battito. 

«Stiles, che sorpresa. Hai cominciato a lavorare come fattorino?»

Cominciai a torturarmi le mani che tenevo dietro la schiena, abbozzando un sorriso imbarazzato. «In realtà stavo venendo per scoprire che cosa fosse accaduto oggi e quando ho notato il fattorino, per risparmiargli il viaggio fino a qui», e indicò con un cenno la soglia su cui era, «gli sono andato incontro, l'ho convinto con il mio charme del fatto che ero un tuo amico e che dunque poteva affidare a me il carico.» Fece una pausa per poi timidamente chiedermi se potesse entrare. Mi scostai e lui andò subito ad accomodarsi in cucina, preparando la tavola.

Fortuna volle che quella sera ordinai ben due pizze tanta era la fame che avevo, fino a cinque minuti prima almeno.

Il ragazzo cominciò ad abbuffarsi come se non mangiasse da mesi, non appena presi posto di fronte a lui, mentre io lo guardavo esterrefatta: come riusciva ad essere così in forma, nonostante fosse peggio di un pozzo senza fondo?

«Non lo mangi?» chiese lui con la bocca ancora piena. Feci un segno di diniego con la testa e, senza farselo ripetere due volte, si avventò anche sulla mia porzione. 

«Perché sei venuto?» sbottai ad un certo punto: non potevo resistere ancora. 

«Volevo sapere come stavi. Oggi sei scappata via senza dire niente a nessuno.»

«Stiles...» lo ammonii, sperando cominciasse a dirmi qualcosa in più.

Allungò la mano e la poggiò sulla mia, stringendola leggermente e sfoggiò un sorriso malizioso. «Abbiamo molto di cui parlare, ma prima finiamo di cenare. A pancia piena le cose si capiscono meglio.»

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