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Capitolo 10 - Tentativo Fallito (R)

Il viaggio in macchina fu caratterizzato da un imbarazzante silenzio intervallato dalle fredde indicazioni stradali del passeggero.

Possibile che quel ragazzo fosse così lunatico?! Un momento era felice, quello immediatamente dopo serio e in un secondo riusciva a diventare malinconico.
Non sarei mai riuscita a capirlo fino in fondo.

Ad un certo punto la macchina si bloccò e si spense: presa dall'agitazione di aver combinato qualche pasticcio tentai una qualunque manovra, sperando che il mio passeggero facesse qualunque cosa al posto di star fermo a fissarmi divertito. Ma mi avevano entrambi abbandonato.

«Stupida ferraglia perché non funzioni?» Diedi un colpo al volante e mi accasciai contro esso.

Subito Theo carezzò il cruscotto. «Non prendertela con la mia piccola. Non ti ha fatto niente.»
Gli assestò piccole pacche rassicuranti per poi allungare una mano e appoggiarla sulla mia spalla, che io scostai bruscamente.

«Hai ragione, dovrei prendermela direttamente con il suo proprietario perché è così dannatamente...» sexy!  «...indecifrabile» sbottai di colpo senza nemmeno una ragione precisa.

Quella serata non poteva andare peggio di così, o almeno credevo.

Rise, di gusto proprio, al che mi innervosii il doppio ed uscii dalla vettura: non potevo più a stagli accanto.

Sentii l'altra portiera sbattere e nel giro di pochi istanti Theo apparve di fronte a me.
«Hai ragione.» Lo guardai interdetta, scorgendo un'espressione allegra, e attesi che proseguisse. «Ammetto di essere stato strano ultimamente. Ed è vero che sono sparito dopo l'aggressione, ma solo perché  ho tentato di scoprire chi fossero quei due.»

Alzò una mano all'altezza del mio viso e sospirò profondamente lasciandola ricadere subito dopo sfiorandomi leggermente; sussultai al contatto con la sua pelle fredda. «Però sono tornato perché ho delle risposte e tu devi sapere. Ne hai tutto il diritto. E se io devo fare il cattivo della situazione e infrangere il tuo mondo di unicorni e arcobaleni, lo farò.» Aprii la bocca per ribattere la sua stupida affermazione, difendendomi da quella accusa implicita, ma lui continuò imperterrito. «Devi sapere che questa città non è normale, io non sono normale. Tu, non sei normale.»

Aspettai un attimo cercando di assimilare le sue enigmatiche parole, ma alla fine risi fragorosamente: questo ragazzo era davvero fuori di testa.

«Ma che problemi hai? Per favore, smettila di dire stupidaggini e aiutami a far ripartire questo catorcio.» Non attesi minimamente una riposta e mi infilai al posto del passeggero attenendo che Theo si decidesse a far ripartire la macchina in qualche modo.

Quest'ultimo rimase immobile qualche istante e poi, scrollando le spalle e mostrandomi il suo ennesimo sorrisetto da schiaffi, si diede da fare smanettando tra il cofano e il bagagliaio per tornare infine a sedersi al mio fianco.

«Era a secco.»
Queste furono le ultime parole che pronunciò prima di rimettere in moto e riportarmi a casa.

Si fermò davanti al famigliare vialetto e rimanemmo all'interno dell'abitacolo ancora qualche attimo, forse aspettando che l'altro dicesse qualcosa ma non accadde nulla.

«Be' io vado allora.»
Aprii la portiera e una mano mi bloccò il braccio: girai dunque il viso e incontrai un paio di occhi color acquamarina.

«Anche se non crederai alle mie parole, permettimi di continuare  il discorso, un
giorno.»

«Forse» commentai a voce bassa.

Mi divincolai dalla presa e mi diressi verso casa, a dir poco sfinita; guardai il mio bellissimo abito e pensai a come fosse stato sprecato per una serata tanto brutta e una violenta malinconia mi avvolse: ero qui da neanche una settimana e me ne erano già successe di ogni.

Poco dopo sentii la macchina ripartire e sfrecciare via.
Rovistai in borsa in cerca delle chiavi, ma sembravano essersi volatilizzate; optai dunque per trovare il telefono in modo da farmi luce, ma anche esso pareva sparito.

Una risata sommessa provenne dalla mia sinistra facendomi sobbalzare.

«Chi c'è? Fatti vedere.»
Tentai di scrutare nel buio fitto della veranda, ma scorsi solo una sagoma indistinta.

«E io che ero in pensiero per te. Che sciocco.»

Un viso contratto in una smorfia emerse dall'oscurità, mostrandomi due occhi color nocciola.

«Stiles, che ci fai qui?! Mi hai fatto prendere un colpo.» Posai una mano sul petto per sentire il mio cuore battere all'impazzata e, appena mi calmai, ritornai alla mia disperata ricerca. «La prossima volta annunciati, per favore.»

«Com vuole, maestà.» La sua ironia era pungente, così come il suo falso inchino.

Stufa e non dell'umore per simili giochetti, recuperai il doppione da sotto il vaso di rose a fianco allo zerbino.

«Ero in pensiero per te. Dopo la nostra incomprensione, tu sei scappata via senza dire niente a nessuno e io mi sono preoccupato: non conosci bene la città, non avevi la macchina e qui i taxi sono pressoché inesistenti.» Uscì maggiormente dall'angolo buio e venne rischiarato dalla forte luce lunare. Il mio cuore saltò un battito. «Dove hai il telefono poi?! Abbiamo tutti provato a chiamarti non so nemmeno quante volte. Abbiamo pensato il peggio, soprattutto con la quantità di aggressioni che ci sono ultimante qui nei dintorni.»
Si sfregò gli occhi con una mano, prendendo un bel respiro profondo per calmarsi e posò nuovamente lo sguardo su di me, soffermandosi sulle mie spalle: non mi ero accorta di indossare ancora la giacca di Theo. Con un gesto secco la tolsi, invitandolo a non fare alcun commento al riguardo.

«Perché sei così arrabbiato? Io sto benissimo, non ho bisogno di una balia. Non ho mai avuto bisogno di nessuno nella mia vita e di certo non  comincerò adesso.»
Credeva non sapessi cavarmela da sola? Illuso.

Alzò gli occhi al cielo, sbuffando. «Noi eravamo tutti preoccupati, io ero preoccupato che ti fosse successo chissà che cosa. Ma evidentemente mi sbagliavo, tu eri al sicuro tra le braccia di Theo e io sciocco che mi ero immaginato i peggiori scenari possibili.» Notai una lievissima nota di gelosia, o forse me la immaginai solamente.

Comunque, rimaneva il fatto che non potevo che dargli ragione, ma la mia bocca non ascoltò la mia testa e ingrandì il danno.
«Ti ricordo che ho passato un sacco di estati qui e inoltre, per la cronaca, come hai detto tu non ero sola.»

Stiles bisbigliò qualcosa che assomigliava ad un l'avevo notato, ma non ne fui affatto certa.

Mi avvicinai perciò di un passo, non volevo continuare a urlare. «Perché ti preoccupi così tanto per me? In fondo, non mi conosci.» Attesi paziente, scrutandolo in cerca di una qualsiasi reazione; impiegò molto più tempo di quanto mi aspettassi.

«Perché sei nuova, non conosci le persone che abitano qui e non tutte sono buone e gentili come me o Scott» disse con un tono di voce cupo che mi fece rabbrividire.

Scrollai la testa e aprii finalmente la porta, entrando come una furia e sbattendo a terra il cappotto e la borsa; per un istante mi dimenticai persino delle strane parole di Theo. Quando notai che la porta era rimasta aperta, mi girai ed osservai il ragazzo che stava in piedi appoggiato allo stipite.

«Che fai: entri o stai lì impalato?»

Mi lanciò un'ultima occhiata e poi si girò. «Me ne torno a casa, come avrei dovuto fare già tempo fa.»

Le sue parole mi ferirono, tuttavia il mio orgoglio non mi permise di bloccarlo e di chiedergli scusa.

«Buonanotte allora.»

Lui se ne andò, lasciandomi sola in una casa troppo grande per me a osservarlo mentre scendeva i gradini, maledicendomi mentalmente per il mio stupido comportamento.

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