Capitolo 1 - Trasloco (R)
Bookjacket come immagine d'inizio capitolo a cura della bravissima Koaluch
L'ennesimo trasloco era appena cominciato è già non ne potevo più. Sbuffai ripetutamente pensando che, per lo meno, le altre volte avevo avuto al mio fianco i miei genitori ad aiutarmi. Essere da sola era davvero orribile, considerando che non possedevo alcuna forza sovrannaturale per sollevare certi mobili.
Tolsi la pesante felpa nera, arrotolai le maniche e, sgranchendomi le braccia, presi dal camion un pesante scatolone su cui era scritto con una calligrafia tremante - la mia - libri scolastici; che poi a cosa mi sarebbero serviti in una nuova città ed in una scuola diversa? Mah.
«Ti serve una mano?» Una voce alle mie spalle mi destò dai miei pensieri, infastidendomi leggermente.
«Certo che no, sto solo sprofondando sotto il dolce peso della cultura» dissi enfatizzando le mie parole con una scrollata di spalle.
Una risata fin troppo divertita mi irritò ancora di più. Non riuscivo neanche a vedere in faccia la persona che mi stava parlando e nemmeno volevo scoprirlo.
In un attimo, sentii le mie braccia farsi più leggere: il simpatico ragazzo che si era offerto di aiutarmi, si era finalmente deciso di entrare in azione. Alla buon ora!
Grugnii una sorta di ringraziamento non molto sentito e mi girai a osservare quante cose avessi ancora da trasportare: troppe. Tuttavia, ora che avevo trovato qualcuno di collaborativo, avrei fatto sicuramente meno fatica; dopo una lunga scórta, optai per afferrare una lampada gialla, una di quelle con dentro la "lava": peso piuma e piccola, perfetta.
«Quindi a me il lavoro sporco?» Il "vicino" era tornato a cercare un nuovo carico. Mi girai e fu così che il mio cuore iniziò a battere più veloce del solito: due occhi marroni mi scrutavano allegri e un sorriso che mi fece venir voglia di accantonare tutta la mia rabbia, mi scaldò fin nelle ossa. «Piacere, mi chiamo Stiles. O meglio, tutti mi chiamano così da, be' sempre, che a stento ricordo il mio vero nome. Oh, e abito qui di fronte» concluse indicando una villetta alle sue spalle molto simile alla mia.
La voce, ora associata a un viso tanto bello, improvvisamente divenne il suono migliore che avessi mai sentito.
Si passò nervoso una mano tra i capelli castani, probabilmente in attesa di una risposta che io tardavo a dare, perché troppo impegnata a fissarlo con la bava alla bocca.
«Il piacere è tutto mio. Io sono Diana.»
Mi diedi una sberla mentalmente: che risposta sciocca!
Un imbarazzante silenzio incombeva su di noi; non sapendo bene che dire, cominciai a fissare la lampada che tenevo tra le mani e solo in quell'istante mi ricordai che cosa stessi facendo: il maledetto trasloco.
«Be', Stiles, io devo continuare qui e scaricare prima che faccia buio. Quindi...»
Mi stavo avviando con passo deciso dentro la villetta che sotto gentil concessione di mia nonna mi ero trovata in eredità, quando un forte rumore alle mie spalle mi fece voltare di scatto e ciò che vidi mi rallegrò infinitamente: il mio nuovo vicino aveva preso alcune scatole e stava venendo nella mia direzione.
«Ti aspettavi davvero che mi sarei tirato indietro dopo il primo giro?» Mi sorpassò assestandomi una spinta affettuosa. «Devi ancora conoscermi, Diana.»
Nascosi un sorriso malizioso che involontariamente mi era spuntato e gli feci strada fin dentro casa.
Le ore passarono veloci e, in men che non si dica, stavo osservando dal vialetto insieme a Stiles il camion che se ne andava, finalmente vuoto.
Mi passai una mano sulla fronte, spostando i vari capelli che erano sfuggiti alle trecce e che per via del vento mi solleticavano la pelle. «Siamo un'ottima squadra» mormorai sottovoce. Ero talmente stanca che anche solo parlare era faticoso.
«Puoi ben dirlo!» Mi guardò sorridente e io non potei che ricambiare. A conti fatti, ero qui da poche ore e già avevo scoperto di avere un vicino superbello e gentile, non male!
«Comunque, è la prima volta che vieni a Beacon Hills?» La domanda mi prese in contropiede. Avrei fatto meglio a rispondergli sinceramente e ammettere che nipote ingrata fossi stata o a mentire spudoratamente e fingere di essere qui per motivi che mi sarei dovuta inventare al più presto? Scelsi la prima opzione, tanto prima o poi magari l'avrebbe anche scoperto.
Sospirai, tendendo le braccia verso l'alto, stiracchiandomi: ogni parte del mio corpo doleva incredibilmente. «In verità no. Quando ero piccola e mia nonna era ancora viva, venivo ogni estate. Ma da quando se n'è andata nessuno ha voluto più mettere piede qui, per non parlare poi del fatto che in questo paesino mi hanno raccontato che accadono spesso e volentieri cose alquanto strane.» L'espressione di Stiles cambiò impercettibilmente, come se le mie parole gli avessero provocato qualche strana reazione; al momento però, non ci diedi peso: sarà stato stanco.
«In ogni caso, ora che i miei sono in viaggio per motivi che neanche a me è dato di sapere e che mio fratello convive con la fidanzata a Londra, eccomi qui.»
Alle mie parole si risvegliò improvvisamente e riprese vigore, come animato da un pensiero.
«Aspetta, tu venivi qui ogni estate?» annuii, confusa. «Proprio in questa casa?» asserii nuovamente, sempre più confusa. «In questo esatto giardino?» Lui era sempre più concitato, io sempre più stranita.
Una vocina nella mia testa urlava Pazzo! Assecondalo, ma poi scappa più in fretta che puoi!, tuttavia decisi di non darle retta, non ancora per lo meno.
«Cosa stai cercando di insinuare?» sbottai esasperata.
«Davvero non ti ricordi?» Lo guardai accigliata, sperando continuasse a dar voce alle sue oscure memorie. «Tu eri la bambina mora che portava i capelli costantemente conciati in quegli orrendi codini - senza offesa - e che giocava a fare le torte di fango, mentre io, puntualmente, ero quel bellissimo bambino che veniva a distruggere il tuo operato.»
Un'immagine fece breccia tra la mia confusione e rividi uno di quei momenti che aveva appena descritto: io, con una maglietta bianca - più marrone oramai - e dei pantaloncini blu "cucinavo" con l'aiuto della mia bella pentolina rossa mente lui, maglia nera e pantaloni verdi, veniva verso di me con fare amichevole e poi, "accidentalmente", rovesciava per terra il mio capolavoro. Non pensavo a quei giorni da così tanto tempo che quasi mi ero dimenticata del tutto la mia infanzia passata qui.
Misi le mani sui fianchi, guardandolo storto. «Perché eri così crudele?» La mia voce si fece letteralmente stridula.
Mi guardò accigliato. «Ce l'hai ancora con me?» chiese stupito.
«Certo! Hai rovinato la mia carriera da pasticciera. E ora che so che sei tu il colpevole, mi vendicherò.»
«Volevo ti togliessi quesi codini perché ero certo che senza saresti stata ancora più bella.» Un lieve rossore gli colorì le guance, mentre teneva lo sguardo rivolto verso terra.
Istintivamente mi sfiorai i capelli legati in due trecce simmetriche, indecisa o no se slegarle con nonchalance. «E non bastava dirlo? Dovevi per forza distruggere il frutto del mio duro lavoro?»
«Ero solo un bambino, non farmene una colpa!» Lo guardai serissima e per un momento pensai davvero di ribattere, ma alla fine scoppiai solo in una fragorosa risata che in poco tempo contagiò pure lui.
Il suono di un clacson interruppe quel momento così perfetto per me.
«Stiles, andiamo?»
Da una macchina grigio topo si affacciò una ragazza a dir poco bellissima: capelli corti castani e grandi occhi marroni.
«Arrivo Malia» le urlò Stiles, accompagnando le sue parole con un cenno della mano.
E che ovviamente aveva anche un nome bellissimo. Non ero per nulla invidiosa, proprio zero.
«Allora ci vediamo, vicina.» Mi strizzò l'occhio e corse da Malia, mentre io rimasi imbambolata a farmi mille film mentali chiedendomi che tipo di rapporto avessero i due.
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