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✯𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 𝖘𝖊𝖙𝖙𝖊✯

Il sole bruciava basso sull'orizzonte, gettando ombre lunghe e sottili sulla distesa sconfinata della steppa. Il silenzio era profondo, rotto solo dal lento avanzare dei cavalli, i cui zoccoli affondavano nel terreno arido,
sollevando nuvole di polvere rossastra. I due uomini cavalcavano fianco a fianco, senza parlare, con lo sguardo fisso verso le piccole zone boschive dinanzi a loro.
I mantelli si muovevano come ali al vento, mentre i loro visi segnati dal sole restavano impassibili, come scolpiti nel marmo.

I cavalli nitrirono e si fermarono appena le loro briglie furono tirate con decisione, poco dopo essere penetrati in una radura verde mantenuta in vita dalle acque di un fiume.

I due uomini erano in testa ad un piccolo gruppo di trenta soldati diretti al villaggio devastato, con il preciso scopo di concludere il massacro che era stato iniziato.
«Devo assolutamente bere dell'acqua ed è meglio far riposare anche i cavalli».
«Queste stupide bestie, si stancano in fretta», sbuffò l'altro, conducendo il suo animale verso il lato del fiume più lento, dove l'acqua era appena torbida, seguito dagli altri soldati. Tutte le bestie bevvero grate e anche qualche soldato.
Era un notte d'inizio inverno, i loro abiti di lana e pelliccia li tenevano al caldo: elleni, vestiti come persiani per passare inosservati nelle terre nemiche.

Daniel, ancora chino sulla sponda del lago per abbeverarsi, guardò il suo riflesso negli occhi: troppo azzurri per poterlo confondere con la gente del luogo, e capelli fini di un nero intenso. Il suo corpo non era cambiato durante l'incarnazione, le sue spalle erano ancora larghe, il fisico sembrava ancora un compromesso tra quello di un fanciullo e quello di uomo e per fortuna l'altezza gli garantiva il rispetto che il suo fisico non avrebbe incusso.

Il vociare dei soldati al suo fianco lo distolse dalle sue riflessioni, li guardò distrattamente uno per uno. Qualche giorno prima erano ricoperti di sangue innocente, non erano umani, ma angeli della guerra, dediti a massacrare senza remore per un semplice ordine.

«Sono scappati solo una manciata di umani, tra anziani donne e bambini. Ucciderli non ti sembra una codardia?» domandò l'uomo al generale con voce seccata.

Flibel lo guardò con noncuranza. Aveva ricevuto degli ordini dall'alto e nonostante i demoni fondassero la loro esistenza sulla ribellione, quel compito, accompagnato da un "eseguilo come più ti aggrada" valeva essere compiuto.

«Si tratta di un mucchio di barbari, nessuno noterà la loro morte. Camael doveva già essere arrivata qui a Tiro da tre giorni, ma le nostre sentinelle non l'hanno ancora vista. Se non riusciamo ad andare da lei, sarà lei a venire da noi. Dobbiamo spostare la guerra con quei dannati angioletti sulla terra e per farlo dobbiamo infastidire un po' quell'arcangelo» spiegò Flibel.

I demoni si erano mischiati agli uomini, portando loro conoscenza e progresso. Gli angeli non si sarebbero mai confusi così fra creature tanto imperfette: per loro incarnarsi in corpi umani era una punizione, non un'opportunità.

Per questo i demoni volevano indurli a scendere sulla terra, a mescolarsi fra gli uomini e a diminuire i loro poteri e la loro forza. Sarebbe stato semplice sconfiggerli.

Serviva un piano astuto. Se minacciare le creature eteree di far elevare l'uomo a divinità non aveva costituito una valida provocazione, la perdita di un altro arcangelo Maggiore avrebbe potuto dare i suoi frutti.
Flibel era stato anch'egli un angelo. Un semplice angelo e adesso un semplice demone. Una creatura dai tratti mediocri e nella norma: volto ovale, sopracciglia spesse, labbra carnose, fisico pronunciato e imponente.

Molti demoni ancora non erano in grado di discernere fra il bene e il male, concetti ancora da decifrare per loro, ma Flibel era diverso: egli conosceva la differenza, ma aveva scelto il male perché più emozionante.
I demoni erano talmente simili agli uomini che questi ultimi erano arrivati al punto di temerli per non rischiare di vederne le somiglianze.

Daniel sospirò. Non poteva cambiare quella situazione; a Flibel era stato chiesto di trovarla da sola con ogni mezzo, a Daniel di consegnarle un oggetto da parte di Arael, probabilmente serviva per supplicarla ancora di entrare nella schiera demoniaca.
Camael era uno degli arcangeli maggiori, custode della giustizia divina e in quel momento condannata a vivere una vita umana in un corpo umano per aver salvato la vita di un demone.

«Avrei preferito che mi consultassi prima di commettere un genocidio, non era il giusto metodo» puntualizzò Daniel, asciugandosi il viso.
«Hai paura che si arrabbi? »
Ci fu un momento di silenzio tagliente. Daniel guardò Flibel con astio, ma preferì mantenere la diplomazia. Sali sul suo cavallo, tirò le redini e tornò sul sentiero per il villaggio.
No, non aveva paura della sua ira, temeva la sua indifferenza.
«Andiamo» concluse «Devo rivederla».

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