✯Capitolo trentunesimo✯
La porta si aprì silenziosamente, rivelando Praxilla. I suoi occhi, scuri e acuti, studiavano Daniel con un'espressione che mescolava preoccupazione e impazienza. Si appoggiò contro lo stipite della porta, incrociando le braccia.
«Ti trovo sognante» disse, la sua voce un misto di sarcasmo e affetto.
Daniel non si voltò subito. Un sorriso sereno gli attraversò il volto. «Sognare non è forse un diritto, Praxilla? Dopo tutto ciò che abbiamo passato, non posso permettermi un momento di pace?»
Lei scosse la testa e avanzò nella stanza. «È proprio questa tua pace che mi preoccupa. Ti ricordi che qualcuno ha cercato di ucciderti, vero? O la ferita alla tua spalla è svanita insieme al tuo buon senso?»
Daniel rise leggermente, finalmente girandosi verso di lei. «Oh, quello? Qui siamo al sicuro. Non credo che valga la pena soffermarsi troppo.»
Praxilla lo fissò, incredula. «Ma cosa diavolo stai dicendo? Daniel, ti sei dimenticato di quando ti hanno trascinato sanguinante dai guaritori del tempio di Ptah? E del dolore che ti ha tormentato per giorni? Chiunque siano questi sicari, non smetteranno di cercarti. Non esiste soltanto Camael.»
Daniel alzò le spalle, il sorriso ancora dipinto sul viso. «Ci penserò quando torneremo in Grecia. Qui, in questo momento, non voglio preoccuparmi di chi trama contro di me.»
«Sei troppo indulgente con il pericolo» mormorò Praxilla, sedendosi sul bordo del letto e incrociando le gambe. « Ti ho aiutato con il tuo arcangelo, abbiamo terminato il compito che che ci era stato chiesto. Ma tu sei anche a capo di una città. Sai bene che un re non può permettersi di ignorare certe minacce.»
Lui si accigliò per un istante, ma poi il suo sorriso si fece più ampio. «Un re, dici? Allora ascolta il mio ordine: rilassati e occupati della nostra partenza.»
«Tu torna con i piedi per terra, che con i sogni ti portano solo dove è facile schiantarsi».
Daniel si alzò, avvicinandosi alla finestra. "Non chiamarli sogni così alla leggera»
«Beh, avvisa il tuo sogno che mantenere così in bellavista le sue ali la renderà una fiamma nel buio per Michael».
Tife intanto, con le ali e la sua spada si ricongiunge con la sua vera essenza, sentiva La Sapienza e i ricordi di ciò che era stata confluirle nella mente senza più nebbie e incertezza.
Ci sarebbe voluto ancora del tempo per tornare davvero se stessa, ma stava finalmente percorrendo il sentiero giusto.
Un sentiero che se non fosse stato per Daniel lei non avrebbe mai trovato.
Adesso lo ricordava davvero, come ricordava ogni singolo angelo della sua schiera.
Era stato uno degli ultimi a sorgere dalla luce, splendente come una stella, e il primo ad essersi spento quando lei era caduta dal paradiso.
"Vi seguirò ovunque, mia signora" aveva pregato, e quella preghiera le era giunta come un dardo.
E così aveva fatto.
L'aveva seguita e l'aveva salvata, ridandole la sua identità.
Tife sentiva le ali fremere alle sue spalle, come se avessero una volontà propria. Ogni fibra del suo corpo sembrava reclamare un'azione, un movimento che ancora esitava a compiere. Alzò lo sguardo verso il cielo limpido sopra di lei, e un pensiero la colpì: Cosa significa essere un'arcangelo, se non posso volare?
Si tolse gli stivali e avanzò a piedi nudi sulla sabbia fine e calda della collina. Ogni passo sembrava liberarla da un peso.
Respirò profondamente, chiudendo gli occhi e concentrandosi sul legame tra la sua essenza e le ali, percependo il modo in cui le energie fluttuavano e la chiamavano.
Fu Daniel ad interrompere quel momento, comparandole alle spalle. Sembrava essere diventato il suo angelo custode.
«Le ali ti donano in un modo incantevole» le disse avvicinandosi a lei. Le ali degli arcangeli maggiori erano diverse da quelle dei semplici angeli, più grandi e robuste, folte e splendenti come il sole. Ma al contempo delicate ed eleganti.
«Devo solo imparare nuovamente ad usarle».
«Avremo tempo, ma adesso faresti bene a ritirarle; Michael potrebbe trovarti...» poi si schiarì la voce prima di chiederle: «Faresti intanto due passi con me? Devo parlarti di qualcosa...»
Tife accettò, ritirando le sue ali e rinforzando le scarpe. Insieme scesero dalla collina e continuarono a camminare verso un'altra altura accarezzati dal tepore del sole.
«Ho trascurato un particolare. Per quanto io trovi splendido il modo in cui adatti gli abiti maschili al tuo corpo, non coincidono con la copertura che avevo pensato di darti per proteggerti in Grecia.» inizió il discorso Daniel.
Tife si osservò, l'unico dettaglio femminile era la cintura sottile che le legava la vita.
«A quale copertura stavi pensando? »
Daniel avvampò un istante. «Volevo... Ti spiego: i miei genitori sono ancora vivi e perciò restano alla mia corte. Avevo pensato di presentarti loro come mia moglie» la guardò negli occhi un solo istante. «Ma è solo un ruolo che tu dovresti interpretare e io farei in modo da limitare le tue uscite pubbliche con me».
Avevano creduto entrambi di poter evitare di pensare a quel bacio una volta che si fossero rivisti, ma dovettero ricredersi. I ricordi di ciò che era accaduto erano ancora vividi sulle loro labbra.
«Tua moglie?» gli chiese stranita.
«Si...»
Tife rimase in silenzio, seguendolo su un'altura che si affacciava sul Nilo.
«Sai, in realtà non so neanche quale sia il nome con cui ti sei reincarnato».
«Ceone» spiego in fretta lui «Ma preferisco il mio nome vero».
«Ceone...» ripetè lei, ancora frastornata da quella proposta.
«Tife davvero, se ti crea disagi...»
«No va bene. Mi va bene fingere di essere tua moglie».
Daniel neanche osava sperare. Quella risposta gli illuminò lo sguardo.
«Dove mi hai portata?» chiese lei una volta giunti su uno strapiombo. Davanti a loro si apriva il deserto rosso, che da quella altezza appariva sconfinato.
«Tu non hai ancora volato, vero?»
«No.»
«Cosa ti blocca? »
«Non lo so con certezza. La sensazione di contravvenire alla condanna a cui la Fonte mi ha destinata...»
«Tu sei libera, Camael. Libera ora e per sempre, proprio come lo sono gli uomini. Hai seguito ciò che il tuo cuore riteneva giusto, e questo è ciò che conta davvero.» La voce di Daniel era ferma, ma c'era un calore profondo nelle sue parole. Poi aggiunse, con un accenno di sfida: «E io non muoverò un solo battito delle mie ali finché non lo farai anche tu.»
Tife lo fissò, confusa. «Cosa intendi?»
Non rispose. Con un gesto improvviso, Daniel le afferrò il braccio e si gettò nel vuoto, trascinandola con sé.
Il mondo si dissolse in un turbine di aria e luce. Tife sentì il cuore accelerare come se volesse spezzarle il petto. Daniel si stava affidando completamente a lei, un atto di fede così puro da lasciarla senza fiato. La sua mente urlava contro l'assurdità di ciò che stava accadendo, ma il suo spirito angelico si risvegliò, imponendo il suo comando.
Si rese conto in quel momento che salvare qualcuno fosse molto più difficile che ucciderlo.
In un battito, le ali si spalancarono. Grandi, possenti, illuminate da una luce che sembrava divorare l'ombra intorno a loro. La presa di Daniel era salda, ma lei lo sentì cedere il peso, lasciandosi completamente alla sua forza.
A pochi istanti dal suolo, con un colpo di ali che fece vibrare l'aria intorno a loro, Tife cambiò direzione. Li sollevò entrambi, trascinando Daniel verso l'alto in una spirale di luce e vento.
Quando finalmente si fermarono, sospesi in cielo, lui la guardò con un sorriso sereno, quasi compiaciuto. «Sapevo che non mi avresti lasciato cadere.»
Lei scosse il capo, il respiro affannato, e la sua mano rimase ancora stretta nella sua. «Non potevo lasciarti andare.»
Daniel si staccò lentamente, osservandola con uno sguardo che mescolava gratitudine e una scintilla di sfida. Poi si lanciò verso il cielo, un'ombra oscura che si muoveva con eleganza, voltandosi appena per chiamarla. «Allora inseguimi, angelo. Se ne hai il coraggio.»
E Tife lo seguì, le sue ali illuminate da un'aura divina, mentre il loro volo rompeva il silenzio della notte stellata.
Tife era felice, ed era questo ciò che contava di più per Daniel, i suoi occhi verdi finalmente radiosi che specchiavano su di loro l'azzurro del cielo, quelle labbra rosee finalmente piegate in un sorriso duraturo.
«Non ricordavo fosse così stancante! » gli disse lei, con la gioia pura di una bambina, appena lui la raggiunse.
«Adesso hai un corpo, ricordatelo.»
La ragazza guardò con sfida il cielo e cercò di raggiungerlo con un'impennata. Ma accadde qualcosa: un'ondata d'energia la colpì in pieno corpo come una lancia facendole perdere i sensi.
Precipitò tagliando l'aria, ma Daniel riuscì a prenderla e, planando, la ricondusse nel deserto.
«Cosa ti è successo? » le chiese non appena lei riaprì gli occhi.
«La battaglia, ho avvertito la battaglia. E Arael, l'ho sentita chiamarmi. Vuole il mio aiuto. »
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