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✯Capitolo trentatreesimo ✯

La notte era limpida, il cielo un mantello di stelle che sembravano pulsare come cuori lontani. Una brezza gentile sussurrava tra le rocce, portando con sé il profumo della terra. Sotto quel firmamento infinito, due figure erano sdraiate su una pietra liscia, i loro corpi intrecciati in un abbraccio che sfidava le leggi del loro essere.

Arael e Uriel custodivano un segreto che nessuno avrebbe mai immaginato, qualcosa di troppo prezioso e proibito per condividerlo. Prendevano in prestito corpi umani, giovani amanti che somigliavano loro abbastanza da potersi specchiare l'uno negli occhi dell'altra e sentire, per un breve istante, di appartenere al mondo materiale.

Si erano incontrati tempo addietro nella luce dorata del tramonto.
Uriel era sceso lentamente dai cieli, il suo sguardo fisso sul campo di battaglia ai piedi della collina. Il terreno era disseminato di corpi, uomini mortali che avevano perso la vita in una guerra tanto feroce quanto insensata. Il sangue si mescolava alla polvere, e un silenzio innaturale avvolgeva il luogo, rotto solo dal lieve lamento delle anime che si alzavano dai cadaveri, confuse e spaventate.

Tra loro si aggirava una figura oscura, vaporea: Arael. La sua tunica, nera come la notte, si muoveva fluida mentre il demone avanzava, stringendo una falce scintillante. Ogni anima che sfiorava veniva trascinata via, incatenata da un'energia lugubre che la legava all'abisso infernale. La sua bellezza era fredda e distante, e il suo sguardo non mostrava né gioia né pietà.

Uriel si avvicinò, la luce delle sue ali rischiarirono l'oscurità crescente.
«Fermati» la sua voce risuonò, un comando tanto solenne quanto inamovibile.

Arael si voltò lentamente, incontrando lo sguardo dell'angelo. I suoi occhi, di un azzurro profondo, brillarono di una luce curiosa.
«Fermarmi?» ripeté, con un sorriso sarcastico. «Non sei un po' in ritardo, Arcangelo maggiore del perdono? Queste anime sono già state giudicate».

Uriel serrò la mascella. «Non spetta a te condannarle. Portano già il peso della loro vita. Lascia che sia il giudizio divino a decidere il loro destino.»

Arael rise piano, una risata amara e priva di allegria. «Ah, il giudizio divino. Quel giudizio che abbandona i mortali alle loro debolezze e poi li punisce per averle seguite. Dimmi, angelo, dove eri quando questi uomini si sono uccisi a vicenda per il potere e l'avidità? Quando gridavano il nome dei loro dèi, aspettandosi un aiuto che non è mai arrivato?»

Uriel fece un passo avanti, le sue ali tremolanti di luce. «Non sono qui per discutere delle colpe degli uomini, ma per salvare le loro anime.»

Arael inclinò la testa, curiosa. «Salvarle? Da cosa? Dalla loro stessa natura? Queste anime sono qui per le loro azioni, non per le mie. Io non li spingo a uccidersi a vicenda. Non li costringo a mentire, a tradire, a odiare. È la loro vita che li ha portati qui. Io sono solo una conseguenza.»

Uriel rimase in silenzio per un momento, turbato. C'era una logica crudele nelle parole di Arael, ma non poteva accettarla. «Allora perché lo fai? Perché li trascini all'Inferno? Non senti il peso di ciò che stai facendo?»

Arael abbassò lo sguardo sulla falce che stringeva tra le mani. Per un attimo, il suo volto sembrò meno freddo, quasi vulnerabile.
«Non sono io a decidere il destino di queste anime. Sono una serva, come te. Eppure, a volte mi chiedo... chi sta realmente scegliendo? Gli uomini? Lucifero? O quel Dio che ci ha creati tutti? Tu credi di essere dalla parte giusta, ma dimmi: quante anime hai realmente salvato oggi? Quanti di questi uomini avrebbero meritato un'altra possibilità?»

Quei discorsi, quelle parole, avevano profondamente turbato l'animo già incerto di Uriel. Così, ogni volta che Arael veniva mandata per raccogliere anime, Uriel era lì accanto a lei.
Parlando, finché un giorno, sempre tra cadaveri e sangue, le loro labbra si erano toccate.
E, da quel gesto, era fiorito un sentimento forte che li portò a cercare l'unica soluzione per essere liberi: avere un'anima.

Erano passati due giorni da quando Arael aveva intromesso Camael nel loro piano, e Uriel non era ancora convinto di quella mossa.
Sdraiati su una pietra, si trovavano sotto un cielo stellato e una brezza fresca che li accarezzava.

Arael scivolò con grazia contro Uriel, accoccolandosi sul fianco del suo arcangelo. La luce delle stelle accarezzava la pelle di quel corpo prestato, rendendola quasi eterea.
«Credo che fosse pronta,» sussurrò con voce morbida, rompendo il silenzio.

Uriel sospirò, lo sguardo fisso sulle stelle come se cercasse risposte nel loro eterno scintillio. «Camael è un'incognita. Michael l'ha rinnegata, sì, ma conosci la sua natura. E troppo simile a lui, troppo rigida. Il rischio è enorme.»
Arael fece scivolare una mano lungo il suo petto, tracciando lentamente i muscoli levigati.

Quell'umanità prestata era un dono fragile, ma per lei era un ponte verso il piacere e la connessione che gli angeli, pur immortali, non potevano mai sperimentare del tutto.
«Uriel,» mormorò lei, sollevandosi appena per guardarlo negli occhi. «Tu sei sempre così prudente, così spaventato... ma questa è l'unica via per noi. La Fonte ha perso Camael incarnandola; ormai non appartiene più a loro, lo so. Mia sorella ci aiuterà.»

Lui la osservò a lungo, i suoi occhi un mare di luce cobalto. «Non si tratta solo di noi. Se falliamo, tutto è perduto. Il ciclo di guerra continuerà, e nessuno potrà mai sfuggirgli. Non avremo altro che paura e morte definitiva.»

Arael rise piano, un suono dolce che sembrava danzare nell'aria. Poi si sporse sopra di lui, il suo sorriso un misto di affetto e sfida. «Ecco che torna il mio fifone preferito.»
Prima che Uriel potesse replicare, Arael si mosse con la grazia di una predatrice, sedendosi sopra di lui.

I capelli sciolti di quel corpo prestato le ricadevano come un velo scuro intorno al viso. La luce delle stelle illuminava i suoi occhi, che brillavano di una malizia giocosa.
«Sei solo un codardo, amore mio» lo prese in giro, posando le mani sulle sue spalle.
Uriel rise, il suono basso e caldo. Le sue mani salirono lentamente, sfiorando i fianchi di Arael e sollevando con delicatezza l'abito leggero che indossava. «E tu sei una guerriera avventata... una guerriera incredibilmente seducente, devo ammettere.»

Arael si chinò verso di lui, le labbra sfiorando le sue. «Adesso basta pensare ai piani e alla guerra. Siamo qui, in questi corpi, solo io e te.
Vediamo di usarli.»

Il bacio che seguì fu profondo, carico di desiderio e disperazione. Era un atto di ribellione contro la loro natura, contro un mondo che non lasciava spazio per un amore come il loro.
Quando si staccarono, Uriel la guardò con un'intensità che le fece trattenere il respiro. «Mi ami davvero, Arael?»
Lei lo fissò, i suoi occhi scintillanti come le stelle sopra di loro. «Ti amo, Uriel. Sei l'unica creatura che abbia mai amato, e l'unica che amerò mai.»

Le loro essenze, legate da un legame che sfidava il destino, si unirono nella danza dell'amore. Sotto il cielo infinito, nascosti dal mondo ma visibili agli occhi delle stelle, si concessero al momento.
Per quanto proibito, il loro amore era reale. E in quell'istante, nulla sembrava poterli toccare.

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