8. Natale a casa Malfoy (REV)
Scrollò il capo davanti al riflesso nello specchio: troppo pallido, troppe occhiaie, troppe rughe incise sul volto stanco e scavato. Dimostrava almeno dieci anni di più dei suoi trentacinque.
Troppe Cruciatus, negli ultimi mesi, per indispensabili informazioni non rivelate e per torture non praticate con la pretesa crudeltà.
La Cruciatus di Voldemort ogni volta lasciava il segno dolorosamente più a lungo , la testa che scoppiava il mattino dopo in Sala Grande, mentre le grida degli studenti si sovrapponevano, in fin dei conti perfino gradite sebbene gli trapassassero impietose il cranio, a ben altre urla che ancora gli inchiodavano l'anima.
Così tornava adagio a rivivere, in quest'altra realtà diurna, così meravigliosamente insignificante e monotona, pur se così a lungo vituperata quand'era ancora la sua unica realtà d'attesa. La rimpiangeva, ora che danzava sul filo sottile tra vita e morte, bene e male, luce e tenebra.
Era sempre più penoso camminare ritto in mezzo ai tavoli vocianti, sostenuto solo dall'orgoglio, i muscoli irrigiditi dal dolore, le ossa brucianti e la pelle tesa fino al punto di lacerarsi. Ma non avrebbe mai ceduto mostrando loro il suo strazio.
Anche sedersi era un tormento, quasi le giunture delle ginocchia non funzionassero più dopo il tempo trascorso alla impietosa mercé dell'odiato signore d'un tempo.
Di mangiare non se ne parlava, nonostante la gentile insistenza di Minerva: lo stomaco si rifiutava, ancora orrendamente contorto, e l'intestino non sarebbe stato in grado di svolgere il necessario lavoro.
No, si limitava a sorbire solo un po' di tè caldo, giusto per ritrovare un po' di tepore, riuscendo a fatica a dominare il lieve tremore alle mani che ancora non lo abbandonava.
Poi la nuova giornata di lezione, tediosa ma gradevolmente uguale alla precedente, ancora e sempre a leggere il sospetto negli occhi degli allievi e il forzato rispetto nello sguardo dei colleghi, imposto e ottenuto solo grazie all'autorità di Silente.
Quel mattino della vigilia di Natale avrebbe solo voluto dormire ancora un poco, ma, con l'agognato sonno, arrivava il consueto tormento degli incubi e anche quella breve pace gli era negata.
Erano sei mesi, ormai, che mangiava poco e dormiva meno. Maledizione, c'era un motivo più che valido se perdeva peso a vista d'occhio e diventava sempre più pallido!
Crystal non aveva perso occasione di commentare sarcastica il suo aspetto, occhiaie e pallore, e se n'era uscita con quella provocatoria battuta:
- Ma cosa mai farà durante la notte, Professore? Sicuro che le rimanga anche il tempo per dormire a sufficienza?
L'avrebbe strozzata, avrebbe voluto ricacciarle a forza in gola le parole insolenti, avrebbe avuto voglia di gridarle in faccia che, quella notte, Voldemort l'aveva crudelmente martoriato solo perché si era rifiutato di prendersi la sua parte di schifoso divertimento violentando e torturando una ragazzina e sua madre fino a ridurle a un ammasso di carne sanguinante e gemente.
Invece, era passato oltre con passo rigido, senza degnarla d'uno sguardo: meglio che non immaginasse l'orrore delle sue notti, meglio non guardarla e, soprattutto, non desiderarla.
No, non poteva continuare cosìi: quella donna stava scardinando il delicato equilibrio costruito con lenta fatica nei lunghi anni di solitudine.
All'inizio, la pozione per addormentare ogni naturale pulsione fisica; poi, un controllo mentale sempre più severo e inflessibile, a negarsi qualsiasi umano desiderio, fino ad arrivare a tenere sempre spento il fuoco nel camino. Un rigido schema di ripetitive abitudini giornaliere, inframmezzate da piccole soddisfazioni per modifiche migliorative apportate a qualche pozione o nuovi sortilegi creati e, talvolta, imprevisti svaghi nati dalla scoperta, in qualche posto dimenticato dai vivi, di un antico libro che, dalle pagine fragili e polverose, gli raccontava con voce suadente oscuri segreti.
Oltre a questo, solo e sempre i suoi allievi, i punti tolti a Grifondoro e le infantili ripicche con Minerva per agevolare la squadra di Quidditch di Serpeverde.
Poi, solo la sua assoluta indifferenza al mondo che, imperterrito, lo disprezzava.
Fino alla ricomparsa Voldemort, quando il passato era tornato a pulsare, vivido e bruciante, nelle sue vene e nel Marchio maledetto, a trasformare ancora in sanguinosa realtà i suoi orrendi incubi.
L'aveva promesso a Silente tanti anni prima: così, nella notte dannata in cui gli spettri erano risorti, aveva mantenuto la parola e quando il Preside gli aveva chiesto se era pronto, se era in grado... gli aveva risposto che lo era.
Ma aveva mentito: non era pronto, non sarebbe mai stato pronto per tornare all'Inferno.
Nessuno lo sarebbe mai stato.
Ma doveva farlo, e lo aveva fatto.
Solo che le fiamme di quell'Inferno gli bruciavano corpo e mente ancora più di quanto i rimorsi gli avevano raccontato negli ultimi quindici anni.
Infine, la maga a impartirgli il colpo finale: Voldemort aveva di nuovo reso ardenti i suoi incubi e Crystal, invece, cercava di far rivivere i suoi sogni perduti.
Che pensieri ti scendono nell'anima vuota
da questo cielo livido e bizzarro
straziato come il tuo destino?
.........
L'orgoglio mio si specchia in voi,
cieli squarciati come greti!
Sono i carri funebri dei sogni
le vostre vaste nuvole in gramaglie!
E come si riflette nei vostri bagliori
l'Inferno ove il mio cuore si compiace! [1]
Non ce la faceva più.
Aveva smesso di sognare da troppo tempo e non ne era più capace, non ne aveva più diritto.
Solo gli incubi rimanevano ad affollare le sue brevi notti.
Aveva cercato di sottrarsi loro, trovando il modo per ridurli al minimo. Aveva sempre avuto una certa tendenza all'insonnia, fin da ragazzo, e a quell'epoca impiegava il tempo sottratto al sonno per studiare: già, come se eccellere a scuola l'avesse mai potuto rendere uguale agli altri ed essere accettato da loro!
Con gli anni aveva sfruttato la tendenza e sempre più diminuito le ore di sonno. Era così riuscito a soffocare in buona parte i tormentosi spettri che ogni notte gli ricordavano i crimini commessi: occhi dilatati nel terrore della morte e bocche spalancate nel silenzio di urla agghiaccianti, che solo risuonavano, strazianti echi interminabili, nella sua mente.
Che occhi incavati da immagini notturne!
Come a tratti il tuo viso riflette,
freddi e taciturni, l'orrore e la follia! [2]
Certo, le poche ore di sonno producevano livide occhiaie e non favorivano un roseo e sano colorito. Ma che gliene importava: non doveva presentarsi a un concorso di bellezza indetto dal Settimanale delle Streghe, il mattino successivo!
Doveva solo entrare in un freddo e umido sotterraneo per far lezione a mocciosi del tutto disinteressati della sua materia. Ovvio che poi si divertiva a terrorizzarli facendo ondeggiare il lungo mantello nero e perforandoli con lo sguardo che leggeva, irridente, le loro stupide e infantili paure: un vampiro! Ma quando mai!
Odiava il sapore del sangue, il suo odore acre, il rosso intenso che usciva a fiotti dalle ferite mortali e schizzava sulla sua argentea maschera. Odiava il sangue sulle sue mani bianche, quello innocente di allora e, ancora di più, quello obbligato di oggi.
Lo specchio si ostinava a rinviargli il suo deprimente aspetto: il viso troppo pallido con le labbra sottili sempre contratte, la cupa oscurità degli occhi, le tenebre dei lunghi capelli e il nero delle vesti.
Anche quelle di gala.
Non gli erano mai interessate le conquiste femminili, neppure da ragazzo, quindi aveva sempre evitato balli e feste varie.
Fino a quel momento.
Fino a quando non era arrivata quella... quella... maledizione, finché non era arrivata lei: troppo bella, troppo luminosa, affascinante e sensuale per uno come lui, un'ombra nera senza pace. E non era certo alla pace dei sensi che aspirava: non era quello il suo problema.
Si strinse nelle spalle, mentre un sorriso amaramente ironico gli compariva sul viso: quella pace avrebbe potuto ottenerla con una semplice pozione, ma non voleva farlo, non voleva uccidere l'ultima piccola scintilla di vita.
O, forse, voleva solo tormentarsi ancora, negandosi un desiderio che poteva facilmente soddisfare.
Ma non era il corpo di Crystal che voleva, o meglio, non era solo il suo corpo che bramava: voleva anche il cuore e l'anima in cui era imprigionata l'innocenza della maga.
L'anima, ecco, era la pace della propria anima che non aveva ancora trovato e che mai più avrebbe potuto trovare.
Colloquio d'un cuor con se stesso,
che specchio s'è fatto severo!
Chiaro e fosco pozzo del vero
in cui – stella triste – è riflesso
un faro di luce infernale,
satanica grazia che splende,
sollievo alle immagini orrende:
- l'amara coscienza del Male. [3]
Un uomo dall'anima perduta, con un cuore che ancora pretendeva, irragionevole, di sognare: questa era la vera immagine che lo specchio avrebbe dovuto riflettere.
Invece, gli inviava la sottile figura di uno stupido mago in ghingheri, il raffinato abito nero a fasciare un corpo di recente smagrito e alamari d'argento a chiudere il mantello appoggiato con eleganza sulle spalle, sconsideratamente pronto a recarsi nel maniero di Lucius Malfoy per la sfarzosa festa di Natale.
Nel covo del biondo serpente, proprio lui che, fra tutti, più aborriva quei ricevimenti, sgradevoli ritrovi di amici d'un tempo mai dimenticato.
Un'occasione che avrebbe sfuggito come la peste, se solo non avesse saputo che ci sarebbe stata anche lei, se solo il suo folle e impellente desiderio di stringere ancora Crystal tra le braccia, e di proteggerla dalle velenose parole di Lucius, non l'avesse spinto a essere là, in prima fila, come uno sciocco idiota di Grifondoro smanioso di stringere tra le braccia la principessa dei sogni.
Lui, proprio lui, solitario Cavaliere delle Tenebre: che speranze poteva avere di conquistare il cuore della bella Serpeverde che non sapeva amare?
Proprio sotto lo sguardo di ghiaccio dell'elegante, bello, nobile, ricco e potente Lucius Malfoy?
Sorrise amaro e scrutò di nuovo nello specchio: forse poteva fare qualcosa per migliorare il penoso e lugubre aspetto, magari eliminare un po' di occhiaie e dare una parvenza di vita alla pelle spettralmente diafana e tesa.
Estrasse la bacchetta e la diresse sul volto nello specchio: pochi gesti decisi e un altro uomo gli sorrideva incerto oltre la superficie riflettente. Rimase a osservarlo in silenzio, lo sguardo fisso nell'altro sconosciuto se stesso.
Vivo.
Falso.
Un'altra maschera, che negava la sua sofferenza senza guarirla.
Non l'avrebbe indossata, né quella sera né mai: ne aveva già indossato troppe in vita sua e quella era inutilmente di troppo.
Un movimento fulmineo della bacchetta e Severus Piton era tornato se stesso.
Vivo.
Orgoglioso della propria sofferenza e delle proprie scelte, come Malfoy lo era del potere e dell'incrollabile fedeltà all'Oscuro Signore.
Gli avrebbe impedito di ammaliare Crystal con il velenoso sibilo del serpente: avrebbe protetto la bambina e gli avrebbe sottratto anche la donna.
*
Ombra scura nell'ombra, riparato dietro il colonnato, Severus Piton osservava Crystal, il cuore che batteva come un ragazzino al primo appuntamento. Peccato che lei non fosse lì per lui, bensì per l'affascinante padrone di casa che la stava intrattenendo offrendole una coppa di champagne.
Che fare? Il mio orgoglio alto come i monti
è superiore alla nube e al grido dei demoni;
bastava che girassi semplicemente il mio capo sovrano;
ma in quella turba oscena ecco che vedo
la regina del mio cuore, dallo sguardo senza pari!
E non rideva pure lei della mia cupa angoscia?
E, per di più, non largiva a quelli luride carezze?
Che delitto! E tu sole perché non t'oscurasti? [4]
Rideva alle parole di Lucius, certo galanti: falsa la risata e false le parole.
Poi il sorriso beffardo di Malfoy, uno sguardo complice e poche parole sussurrate troppo vicino alle labbra della maga. L'espressione di Crystal mutò all'improvviso, l'interesse acceso nei lucenti occhi azzurri che scrutavano la sala.
Al gesto noncurante del Mangiamorte biondo, che indicava proprio nella sua direzione, il cuore di Piton riprese a battere all'impazzata, mentre Crystal si dirigeva verso di lui senza neppure rivolgere una sola parola a Malfoy.
Con che aria placida e trionfante
vai per la tua strada, fanciulla maestosa!
Voglio narrarti, bella incantatrice,
le diverse bellezze che ornano la tua gioventù;
voglio dipingerti la tua bellezza
dove l'infanzia s'unisce alla maturità.
Come proteso il tuo seno sospinge la seta!
Che splendido armadio quel tuo seno trionfante!
Convessi e luccicanti
imprigionano lampi gli sportelli
come scudi provocanti dalle punte rosa!
Che armadio dai dolci segreti, ricolmo di bontà,
di vini, di profumi e di liquori!
Che delirio per cervelli e cuori!
Quando vai spazzando l'aria con la larga gonna,
dai l'idea di un bel vascello che prende il largo,
carico di vele, e che beccheggia
con un ritmo dolce, lento ed indolente.
Che gambe nobili! Che tormento provocante
di oscuri desideri sotto le balze sospinte della gonna!
Paiono due streghe
che agitano un filtro nero in un profondo vaso. [5]
L'abito fluttuava leggero nell'aria ad avvolgerle sensuale il corpo, in una delicata carezza, un abbraccio sempre più appassionato. Quel rosso velo leggero che, invece di coprire, svelava al suo intenso sguardo il corpo infinitamente desiderabile.Chiuse gli occhi per un istante, rivedendo Crystal coperta solo dalla spuma dell'oceano: maledisse la fervida immaginazione che non pensava di possedere fino a quel punto.Li riaprì di colpo, mentre il profumo sottile di Crystal inebriava di nuovo i suoi sensi sconvolti.Cielo luminoso e sereno negli occhi, rosse ciliegie golose sulle labbra: quella donna l'avrebbe fatto impazzire.E diventare pazzo di desiderio non gli era mai sembrato tanto piacevole.
Si avvicinava lenta, la languida andatura a incendiare la sua brama, un sorriso da baciare e un corpo da fare suo.
- Professore, anche lei qui? – esclamò spumeggiante e canzonatoria. – Non lo avrei mai immaginato!
Neanche lui l'avrebbe immaginato, solo poche ore prima. Ma, ovvio, il suo viso non tradì alcuna emozione e fece solo un rigido cenno di saluto, mentre la musica si diffondeva nell'aria.
- Di solito sono i cavalieri a invitare le dame. – sussurrò Crystal. – Ma credo sia meglio interrompere la tradizione, - aggiunse sorridendo maliziosa – se voglio ballare con lei!
La risposta giusta era soffiarle in viso, beffardo, che non amava ballare e non era disposto a fare uno strappo per lei. Ma il desiderio di tenerla ancora tra le braccia e respirare il suo profumo era troppo intenso e impellente per mentire. Voldemort non riusciva a piegare la sua mente neppure con ore di tremende Cruciatus, a lei bastava un semplice sorriso per farlo capitolare.
Avrebbe dovuto girarle le spalle e fuggire via, invece le sorrise appena e le porse galante il braccio accompagnandola alla pista da ballo.
L'avvinse delicato a sé, una mano a sostenere la sua e l'altra sulla schiena, a sfiorare appena la pelle nuda e calda, guidandola nell'incanto della melodia, la notte oscura dei suoi occhi riflessa nel giorno luminoso delle iridi della maga, le sue labbra a sospirare quelle troppo vicine, eppure irraggiungibili, di Crystal.
Doveva ordinare al cuore di smettere di battere in quel modo o lei l'avrebbe sentito, nonostante la musica. Ma imporre al proprio corpo di non desiderala era impossibile.
Un tocco imperioso sulla spalla spezzò il breve incanto: il padrone di casa reclamava la preda.
Con un movimento secco si ritrasse abbandonando l'effimero sogno, lo sguardo poco prima perso nel cielo e ora improvvisamente agganciato dal ghiaccio che giungeva a spegnere il suo fuoco.
Senza una parola abbandonò la sala da ballo dirigendosi nel gelo della grande terrazza, dove avrebbe avuto tutto il tempo per calmare, in perfetta solitudine, i suoi bollenti spiriti.
Come poteva essere stato così stupido? Certo i due s'erano accordati per fargli fare la figura dell'imbecille!
Ma, in fondo, non gli importava più tanto.
Chiuse gli occhi, immobile figura nera stagliata nella luce argentea della luna: tenerla tra le braccia era meraviglioso, ammirarne il sorriso era meraviglioso, respirarne il profumo era meraviglioso.
Gli sembrava ancora di inalarlo, quel profumo inebriante, proprio come se lei fosse lì, di nuovo magicamente accanto a lui. Non aprì gli occhi, non voleva smettere di sognare: ancora solo pochi secondi di felicità, poi avrebbe ripreso il controllo di sé e se ne sarebbe andato.
- Severus...
Per un istante il cuore del mago si fermò: il suo nome pronunciato da quelle labbra sembrava persino bello e dolce.
Riaprì gli occhi e rimirò il suo bellissimo sogno, il cristallo nero delle iridi a riflettere la luce della luna.
Crystal gli sorrideva ed era ormai troppo vicina: doveva dire qualcosa, fermarla, allontanarla!
- Lucius le ha forse pestato i piedi, per farsi scaricare così velocemente? – sibilò beffardo.
- Se avessi voluto ballare con Malfoy, non sarei venuta a cercare lei, non crede?
Severus deglutì.
- Se il suo amico avesse avuto la decenza di chiedermelo, avrei rifiutato! – esclamò decisa. – E' solo con lei che voglio ballare, Severus.
La voce era un dolce sussurro, il corpo solo a pochi centimetri di distanza.
Così vicino che Piton si accorse che stava tremando dal freddo nell'abito leggero che, ancora, gli regalava seducenti visioni del suo corpo.
Premuroso, si sfilò il mantello e fece per avvolgerla, ma lei cercò di fermarlo:
- Non è il calore del mantello che voglio, ma quello del tuo corpo e del tuo abbraccio. – sussurrò, aderendo piano a lui.
Severus sospirò appena, mentre l'avvolgeva nel mantello e la stringeva fra le braccia, il desiderio a esplodergli nella mente e incendiargli il corpo, irrimediabilmente troppo vicino a quello di Crystal per poterla ancora sfuggire.
La maga aveva reclinato il capo nell'incavo della sua spalla e si era stretta a lui con dolcezza: sentiva i seni sodi che delicati gli premevano sul petto seguendo il ritmo del respiro, e poi il ventre bruciante sul proprio inguine pulsante.
Adagio prese a oscillare, accennando una danza immobile sulle note attutite provenienti dalla sala, le labbra a sfiorare appena le sfumature dorate dei capelli, lasciando che il profumo annullasse ogni razionale pensiero.
Poi Crystal sollevò un poco il capo, le labbra rosse così vicine alle sue, e sussurrò:
- In questi mesi ho scoperto che ci sono molte cose interessanti dietro la tua gelida apparenza, Severus. Ho conosciuto il tuo sorriso, la tua delicata gentilezza, il tuo premuroso e caldo abbraccio e la carezza delle tue labbra sulle mie mani.
Severus si perdeva nel cielo infinito dei suoi occhi, cullato dalle fatate parole della maga che con dolce passione stava stringendo a sé.
- Ma questa notte voglio conoscere l'impeto dei tuoi baci e l'ardore del tuo corpo, che da troppo tempo mi desidera intensamente.
Crystal si era sollevata un poco sulla punta dei piedi e con le labbra lambiva appena la sua bocca, dischiusa e fremente. Le mani della maga gli cinsero piano il collo, invitandolo ad assaporarle le labbra, a gustarle la bocca, a dare libero sfogo al travolgente desiderio.
E Severus sfiorò lieve le labbra con le sue, le accarezzò delicato con la punta della lingua, respirò il suo respiro, mentre la stringeva a sé sussurrando piano:
- Crystal...
Con gli occhi chiusi le sfiorava le labbra e bruciava di desiderio; tremante le accarezzava la bocca e ardeva di passione; innamorato sussurrava il suo nome e sognava di chiamarla amore.
Amore: un sogno impossibile che la vita e le sue colpe gli avevano sempre negato. Ma ora quel sogno era lì, fremente fra le sue braccia, le labbra dischiuse ad aspettare il suo bacio.
E se lei... lei... Non aveva più cercato di leggerle nella mente dopo il volo sul Thestral, ma se lei, ancora, solo voleva sfruttarlo per i suoi scopi, se intendeva solo soggiogarlo con l'allettante offerta del suo corpo?
No, non poteva lasciarsi andare, non poteva cedere a un sogno che forse non era mai esistito, se non nei suoi illusi pensieri. Oh quanto perdutamente desiderava quelle labbra calde e quel corpo appassionato, ma dov'era il cuore di Crystal, dov'era quella notte?
S'impose la più spietata tortura: si obbligò a smettere di lambire le labbra tanto bramate e si costrinse a scioglierla dall'abbraccio. Poi l'allontanò da sé:
- Soddisfatta? – chiese con un gelido sibilo.
Crystal spalancò gli occhi e quasi perse l'equilibrio, mentre cercava di nuovo il respiro. Deglutì a fatica e il cielo dei suoi occhi divenne tempesta:
- A dir la verità mi aspettavo di meglio! – sibilò di rimando, furiosa.
Poi incontrò lo sguardo del mago, il nero e profondo dolore delle iridi, le fiamme impetuose incatenate dalla paura, la luce persa nelle tenebre, e tenera gli sorrise, sussurrando:
- Però sono sicura che, se vuoi, sai essere dolce e appassionato, oltre ogni immaginazione. Ma vuoi?
Gli occhi del Professore erano di nuovo nero cristallo pungente: respingeva la luce della luna e i tentativi di Crystal di comprendere lo strano comportamento.
- Certo che so far di meglio, Signorina Storm, ma non è questa la materia che ho scelto di insegnarle.
Un sibilo gelido, un rapido volgere di spalle e Crystal rimase a osservare il nulla, ancora una volta stretta nel caldo mantello nero del Professore.
Questo cuore, che irrita tutto
tranne il candor dell'antica bestia,
non vuole mostrarti il suo segreto d'inferno,
berceuse la cui mano m'invita a lunghi sonni
e neppure la nera sua leggenda scritta con la fiamma.
Odio la passione e lo spirito mi duole! [6]
Scosse la testa, desolata.
Severus la desiderava, era innegabile, e nel suo nome, sussurrato a fior di labbra, c'era ben più del solo desiderio per il suo corpo: anche di questo era certa, gliel'avevano detto le fiamme imprigionate nei neri occhi ardenti.
Eppure... eppure se n'era andato!
(1) Baudelaire, Les Fleurs du Mal, tratto da « Spleen e ideale »: LXXXII - Orrore simpatico.
(2) Baudelaire, Les Fleurs du Mal, tratto da « Spleen e ideale »: VII - La musa malata.
(3) Baudelaire, Les Fleurs du Mal, tratto da « Spleen e ideale »: LXXXIV - L'irrimediabile.
(4) Baudelaire, Les Fleurs du Mal, tratto da « I fiori del male »: CXV – La Beatrice.
(5) Baudelaire, Les Fleurs du Mal, tratto da « Spleen e ideale »: LII - La bella nave.
(6) Baudelaire, Les Fleurs du Mal, tratto da « Spleen e ideale »: LXIV – Sonetto d'autunno.
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