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24. Il suo destino (REV)

All'improvviso, Crystal entrò nel suo appartamento: il mago aveva apposto un incantesimo che permetteva a lei sola di entrare lì e nello studio anche quando erano in essere tutte le protezioni di chiusura.

- Perché non sei tornato? – chiese bellicosa.

Uno rapido sguardo alla pendola rivelò che era chiuso in camera da un'ora: aveva pensato troppo e fatto uno stupido tentativo che già sapeva inutile.

Sospirò:

- Stavo venendo.

- Non mi sembra proprio!

Crystal era davvero arrabbiata.

Sospirò ancora: cosa avrebbe dato per sorriderle e stringerla tra le braccia! Desiderava baciarla e sussurrarle tutto il suo amore, accarezzarle i capelli immergendo le dita in quell'oro di seta, sfiorarle piano la pelle e farla godere con i suoi baci.

Il suo corpo non gli rispondeva più, eppure lui continuava inesorabilmente a desiderarla: gli pareva d'impazzire.

- Accidenti, Severus: sono tre settimane che non ci vediamo e non ho avuto notizie di te. Ero preoccupata, spaventata di quel che poteva esserti successo!

- Non mi è successo nulla: va tutto bene. – rispose piatto.

Gli occhi di Crystal lampeggiarono:

- Allora avresti anche potuto mandarmi uno straccio di messaggio, non credi?

La rimirò estasiato: non la ricordava così bella.

- Sono stato molto occupato e non sempre è possibile inviare messaggi. Devi imparare a pazientare. – rispose scortese.

- Maledizione, Severus, non hai pensato che, dopo quello che ti era appena successo, potevo anche essere terrorizzata e avere bisogno di rassicurazioni?

Ecco, già aveva cominciato a farla soffrire: no, non c'era speranza, doveva allontanarla al più presto da sé.

- Sai quanto è importante la mia missione: non posso rischiare di farmi scoprire solo perché diventi isterica se non hai mie notizie per qualche giorno.

Era riuscito a essere odioso, proprio come un tempo, e Crystal lo osservava sorpresa e lievemente irritata. Nel fondo dei suoi occhi vide nuvole di paura ad oscurare la luce dell'amore.

Doveva far crescere il timore e costringerla a fuggire.

- Del resto, mi aspetto che mia moglie sappia controllare i nervi. – azzardò con distacco.

- Tua... moglie? – sussurrò appena.

Si finse stupito dell'ansia che le incrinava la voce:

- Moglie, compagna, donna: usa il termine che preferisci. Mi aspetto di trovarti ad accogliermi quando torno dalle mie missioni, pronta ad aiutarmi e senza fare troppe domande. – sibilò secco.

Le nuvole negli occhi di Crystal si erano fatte più scure; Severus sapeva che i propri occhi erano diventati un nero cristallo impenetrabile e la sua solita odiosa maschera era tornata a coprire, ancora una volta alla perfezione, il pallido volto e il dolore che squassava il suo povero cuore.

- Le cose sono peggiorate all'improvviso e finché durerà la guerra non avrò molto tempo da dedicarti. Sai che ti amo, ma il mio dovere ha la preminenza su tutto. Però, troverò anche il tempo per fare l'amore con te, ogni tanto, stai tranquilla. – mentì con abile freddezza.

Crystal non riusciva più a riconoscere il suo dolce Severus che la desiderava immensamente: non l'aveva neppure abbracciata, non le aveva sfiorato le labbra, non le aveva accarezzato i capelli respirando il suo profumo con voluttà.

Le stava solo ricordando con gelida durezza i doveri di una moglie e cosa si aspettava da lei. Non le stava facendo tenere promesse d'amore: stava solo esigendo totale dedizione, indifferente alle sue emozioni e paure.

Era davvero questo l'amore?

All'improvviso tutte le sue paure si fecero solide intorno a lei, a frapporre una barriera d'incomprensione con l'uomo che credeva di amare, ma che non riusciva più a riconoscere.

- Allora, non dici nulla? Hai forse cambiato idea sull'amore che dicevi di provare per me? – incalzò Severus, insidioso.

Era mai possibile che, per il solo fatto d'avergli detto d'amarlo, ora la considerasse di sua proprietà, proprio come tutti gli altri uomini avevano sempre fatto con lei? Era mai possibile che si fosse sbagliata così tanto sul suo conto?

Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi e si rese conto che stava cercando di leggerle la mente. Non si oppose: chissà, forse avrebbe capito le emozioni che stava provando meglio di quanto lei stessa non fosse capace di fare.

Sostenne lo sguardo penetrante delle iridi nere e mormorò:

- Lo sai, Severus, perché ho paura d'amare?

"Lo sai che non volevo amare, che avevo troppa paura per farlo, che troppe volte i sentimenti mi avevano ingannato e ferito in profondità. Ma per te avevo vinto ogni paura, perché tu sembravi diverso da chiunque altro, e ho sperato che tu, forse, non mi avresti mai deluso, perché avevo infine trovato un uomo di cui potermi fidare fino in fondo. Un uomo da amare con tutta me stessa."

Severus chiuse di colpo gli occhi e interruppe il contatto: non poteva disilluderla con tale brutalità, ferirla e farla soffrire come ogni altro uomo prima di lui aveva sempre fatto.

Si avvicinò timoroso, tendendole le braccia, e Crystal vi si rifugiò come una bambina spaventata. La strinse a sé, con amore e con dolcezza, accarezzandole piano i lunghi capelli e sfiorandole la fronte con le labbra.

La sua meravigliosa Crystal non doveva soffrire, non a causa sua.

- Ti amo, Crystal, ti amo. – sussurrò con intensità. - Perdonami, perdona le stupide parole che ho appena detto e che non pensavo.

Scese delicato con le labbra lungo la guancia a cercare la piccola bocca e, rispettoso, attese che fosse lei a iniziare il lieve bacio.

Un tenero bacio, pieno di paura e amore, che si trasformò adagio in un bacio di amore purissimo, mentre la cullava piano tra le braccia.

Riaprì gli occhi e sospirò sulle sue labbra, prima di sussurrare:

- Perdonami, amore mio. Conosco le tue paure e le comprendo. Non aver timore, non voglio forzarti.

Lacrime di sconforto brillavano negli occhi della donna che amava immensamente e Severus si chinò a baciarle.

- Le cose si sono svolte troppo in fretta e poi sono precipitate all'improvviso. Tu sei troppo bella ed io ti ho desiderato a dismisura, mio splendido amore.

- Anche io ti desideravo...

Severus le sorrise osservando il cielo luminoso delle sue iridi, sempre assediato da nuvole di paura:

- Ed io ti ho crudelmente torturato negandomi a te fino al punto di costringerti a dirmi che mi amavi.

- Ma io...

Severus pose le labbra sulle sue per non lasciarle finire la frase.

- Poi è accaduta... quella cosa terribile. Sapevi che avevo un assoluto bisogno del tuo amore e me lo hai donato, ancora una volta, con generosità, ignorando i tuoi timori.

Le lacrime scivolarono dalle ciglia di Crystal.

- E' tutta colpa mia. – sussurrò – Avevi solo bisogno di un po' di tempo ed io te l'ho negato.

Le dita di Severus raccolsero delicate le perle di dolore che con lenta disperazione rigavano le gote della sua donna.

- Ti amo, Crystal, ti amo immensamente e voglio solo che tu sia felice. Non voglio ingannarti, non voglio deluderti e non voglio ferirti.

Tornò a sfiorarle le labbra, piano, con dolce lentezza, con amore e desiderio.

- Hai solo bisogno di un po' di tempo, e non voglio più negartelo.

Il cielo degli occhi della maga svelò ancora i suoi segreti a Severus: la piccola Crystal aveva già da tempo donato tutto il suo amore alle iridi di nero cristallo e ora gli sorrideva fiduciosa, ringraziandolo.

Severus chiuse gli occhi trattenendo a stento le lacrime: non poteva, non doveva piangere, altrimenti Crystal avrebbe potuto capire il suo inganno disperato.

Le stava regalando del tempo: proprio l'unica cosa che lui non aveva.

Il Tempo m'inghiotte, minuto per minuto,

come l'immensa neve un corpo irrigidito;

contemplo dall'alto il globo nel suo girotondo

ma non vi cerco più il rifugio d'un tugurio.

Valanga, su, perché non mi travolgi nella tua rovina? [1]

- Non ti ho mai mentito, Severus, quando ho detto di amarti. – mormorò.

Il mago sorrise, sfiorandole ancora le labbra.

- Lo so, lo so, amore mio. Ma non voglio forzarti: sento ancora forte il timore dentro di te ed è giusto che tu abbia tutto il tempo per affrontarlo e vincerlo con calma.

- Mi dispiace, Severus, ci ho provato, lo sai. Ma quella paura maledetta è ancora lì.

Di nuovo il mago le sorrise con tenerezza accarezzandole la guancia, ancora umida di lacrime.

- Sembra più forte di me: non ce la faccio. – mormorò Crystal abbassando gli occhi. – E' così grande e forte il tuo amore per me, che temo di non esserne all'altezza, di deluderti e farti soffrire.

Severus la strinse a sé, opponendosi ancora con strenuo sforzo alle lacrime.

Se solo avesse potuto lottare per trattenerla: sarebbe stato così facile tranquillizzarla e convincerla che l'amore che provava per lui era più che sufficiente e che non l'avrebbe mai deluso! Che lei era perfetta, la donna che aveva sempre sognato!

Si morse forte le labbra e soffocò i sospiri: Crystal non doveva comprendere la sua pena, doveva poter andare via tranquilla.

Tornò a guardarla dolcemente negli occhi con un lieve sorriso sulle labbra:

- Aspetterò, Crystal, non temere. Aspetterò fino a quando ti sentirai pronta. Il mio amore rimarrà inalterato, per quanto lunga potrà essere l'attesa. – sussurrò con voce roca. – Anche se non dovesse mai aver fine, Crystal, continuerò ad amarti, per sempre, finché avrò vita.

Crystal si scostò un poco da lui, un sorriso amaro sulle labbra:

- Ora me ne andrò via, Severus. Lo sai, vero?

- Lo so.

- Ho bisogno di pensare, lontana da te, dai tuoi occhi e dalle tue labbra. – disse sospirando triste. – Ho bisogno di pensare, a tante cose, da sola.

- Lo so, Crystal, lo so. Ti chiedo solo una cosa, di ricordare queste mie parole: ti amo, e qualunque cosa accada, continuerò ad amarti. – sussurrò con voce incrinata dall'emozione. – Intensamente, profondamente, perdutamente. Qualunque cosa potrà accadere, il mio amore per te non verrà mai meno e dovunque mi troverò il mio cuore sarà solo per te, per sempre. Per un istante non riuscì più a continuare e socchiuse gli occhi, pregando di non cedere proprio all'ultimo momento:

- Ti aspetterò, Crystal, per tutta la vita, se necessario.

Gli occhi di Severus erano cristallo nero che bruciava straziato nella notte, purissimo cristallo che stillava lacrime d'amore per lei.

Crystal avrebbe voluto baciarle, avrebbe voluto avere il coraggio di amarle fino in fondo, subito.

Invece disse solo, con voce soffocata:

- Lo ricorderò.

Poi gli volse le spalle e uscì di corsa dalla stanza, mentre la bimba che abitava il suo cuore piangeva disperata.

*

Era fuggita, per la prima volta in vita sua era fuggita.

Aveva avuto paura, paura di amare Severus fino in fondo, con tutto ciò che significava e comportava; paura di non saper ricambiare a pieno il suo immenso amore.

Così era fuggita via, disperata, senza voltarsi, senza sorridergli, senza dargli un ultimo bacio.

L'aveva lasciato, senza neppure promettergli di ritornare.

*

Se n'era andata.

La sua donna, il suo amore, il suo sogno meraviglioso se n'era andato ed era rimasto di nuovo solo.

Ed io, proteso come folle, bevevo

la dolcezza affascinante e il piacere che uccide

nel suo occhio, livido cielo dove cova l'uragano.

Un lampo... poi la notte! Bellezza fuggitiva

dallo sguardo che m'ha fatto subito rinascere,

ti rivedrò solo nell'eternità?

Altrove, assai lontano da qui! Troppo tardi! Forse mai!

Perché ignoro dove fuggi, né tu sai dove vado,

tu che avrei amata, tu che lo sapevi! [2]

Non aveva fatto nulla per trattenerla, non aveva neppure provato a combattere.

Non per timore di perdere, no, per l'esatto contrario: sapeva con certezza che avrebbe vinto, che se non l'avesse spinta e aiutata ad andarsene, lei sarebbe rimasta.

Ma cosa poteva offrirle, alla fine? Solo il suo grande amore disperato, null'altro.

Non era sufficiente, non per la sua Crystal: l'avrebbe resa infelice.

Solo pochi giorni prima aveva stretto con Narcissa il fatale Voto Infrangibile. Aveva giurato di proteggere Draco, a costo della propria vita.

No, non era quello il problema. Aveva inesorabilmente promesso, se fosse stato necessario, di portare a compimento la missione che l'Oscuro Signore aveva affidato al ragazzo.

Che idiozia, come se Draco avesse mai potuto farcela: a mente fredda era evidente che era una trappola costruita apposta per lui, che vi era caduto dentro in pieno, come un pivellino.

Le lacrime di Narcissa, vere e disperate, dense di dolore materno, gli avevano bruciato il cuore e non aveva saputo sottrarsi alla pericolosa richiesta. Ma le lacrime erano state sfruttate con perfidia per incastrarlo e Narcissa era stato solo l'incolpevole strumento di cui Voldemort si era servito per inchiodare un servo della cui fedeltà dubitava da troppo tempo.

Alla fine aveva dovuto riconoscere l'amara e cruda verità: aveva giurato di uccidere Silente. Questo aveva fatto, pena la sua vita che, da quell'istante, aveva perso per lui ogni valore.

Quanto era stato idiota!

Il suo massimo errore, secondo solo al primo e insuperabile, quello compiuto da un ragazzo troppo ambizioso per capire la vera portata delle proprie azioni. Quel giovane, avido di sapere e di potere, che in una notte indifferente aveva teso il braccio all'Oscurità e si era rovinato per sempre la vita.

Aveva giurato di uccidere l'unica persona che credeva in lui. L'unica persona che lo stimava e che gli voleva bene.

A cui lui voleva bene.

Un idiota totale: aveva bluffato cercando di scoprire i piani dell'Oscuro Signore ed era rimasto incastrato in modo orribile con il Voto, spietata trappola predisposta per mettere alla prova la sua fedeltà e, nel contempo, punirlo per non aver stuprato Jamie con la crudeltà che il suo Signore si attendeva da lui.

Troppo tardi ne aveva compreso il vero significato: rispettoso del dolore di Narcissa, non aveva voluto indagare nella sua mente, certo che, per quanto difficile, l'incarico affidato a Draco non potesse essere una cosa impossibile.

Solo all'ultimo momento, quando già aveva intrecciato la mano di Narcissa con la sua e l'aveva fissata in profondità negli occhi, non aveva potuto fare a meno di leggere nella mente disperata di quella madre e aveva compreso tutto.

Ma ormai era troppo tardi, non poteva più tirarsi indietro.

La mano aveva tremato in quella di Narcissa e il suo cuore aveva sussultato, ma la voce era stata ferma nella promessa.

Solo una lieve esitazione, un piccolo buco di silenzio.

Poi aveva coscientemente firmato la propria condanna a morte.

O, per lo meno, era questo che aveva creduto di aver fatto, in quel momento.

Aveva subito raccontato tutto a Silente e si era all'improvviso reso conto che la realtà era peggio di quanto avesse mai pensato.

Non era la propria morte che aveva giurato, ma quella di Albus.

Si era ribellato e gli aveva gridato in faccia con ostinata decisione che non l'avrebbe mai fatto, che mai l'avrebbe ucciso.

Il vecchio gli aveva sorriso con dolcezza e poi aveva parlato a lungo, con tranquillità, spiegandogli, come si fa con un bambino ribelle, tutti gli importanti ed essenziali motivi per i quali avrebbe dovuto ucciderlo se non fossero riusciti a trovare una soluzione migliore.

Gli aveva ricordato perché era meglio che fosse l'anziano e saggio preside a morire, invece di un maledetto ex-Mangiamorte.

E, dannazione, Silente aveva ragione, come sempre.

Ma lui l'avrebbe trovata una soluzione, un'altra fottutissima possibilità affinché Albus potesse continuare a vivere.

Non desiderava morire, non più adesso che c'era Crystal nella sua vita, ma per nulla al mondo avrebbe ucciso il caro vecchio a cui voleva troppo bene e a cui, per primo, doveva la vita.

No, non l'avrebbe ucciso, nessuno poteva imporglielo: non ce l'avrebbe mai fatta.

Molto meglio morire, sì, molto meglio.

Anche se doveva rinunciare a Crystal.

Più facile.

Ma non più giusto.

Non più giusto per la causa per la quale combatteva da sedici anni, da quando aveva compreso l'errore commesso, da quando il Marchio aveva cominciato a bruciare d'orrore sulla sua pelle anche quando Voldemort non lo stava chiamando.

Da quando aveva promesso a Silente che avrebbe fatto di tutto pur riparare la propria giovanile follia. Un giuramento morale, un altro maledetto giuramento che lo vincolava e al quale non poteva non tener fede.

E, in tutto questo, come un gioiello d'inestimabile valore, l'amore per Crystal!

Nato senza che lui lo volesse, ma troppo forte per sradicarlo dal cuore. Per questo non aveva detto nulla, non aveva cercato di fermarla, anzi l'aveva aiutata ad andarsene via da lui.

Per questo non l'aveva stretta a sé in quell'addio straziante, non l'aveva nemmeno baciata per l'ultima volta.

L'ultima volta.

L'aveva lasciata andare via sapendo che, molto probabilmente, non l'avrebbe mai più rivista.

Madonna, amante mia, voglio innalzarti

un sotterraneo altare in fondo alla mia angoscia

e scavare nell'angolo più nero del mio cuore,

lontano da passioni mondane e beffardi sguardi,

una nicchia, tutta smaltata d'oro e azzurro,

dove tu t'ergerai, Statua meravigliata! [3]

Poi, solo la morte, immensamente agognata, o la disperazione più totale di un assassinio obbligato e poi... poi molto più della disperazione: l'Inferno come sola realtà di ogni giorno.

Chiuse gli occhi, nel silenzio dell'oscurità che di nuovo l'avrebbe accompagnato nel futuro solitario, invocando la benedizione di lacrime che sapeva non sarebbero mai più scese.

Non poteva piangere, non più, non ora.

Non era più suo diritto farlo: doveva solo pensare a tornare a essere un assassino.

E gli assassini non piangono.

Anche se hanno perso l'amore e la speranza.

Gli assassini uccidono e lui avrebbe dovuto farlo ancora, se non fosse riuscito a trovare un'altra possibilità.

Ma doveva trovarla, quella dannata possibilità, doveva riuscire a scovarla.

Se esisteva.

O tutto sarebbe stato perduto, definitivamente.

Silente.

E Crystal.

Scosse la testa scoraggiato: in che orrenda situazione s'era cacciato! Senza alcuna via d'uscita.

La fiducia, la stima e l'affetto.

L'amore, il sogno e la speranza di una nuova vita.

Aveva distrutto tutto, ancora una volta, ancora un errore irreparabile.

E questa volta non ci sarebbe stata un'altra opportunità, non dopo quell'assassinio impossibile.

Gli assassini non piangono, ma lacrime cocenti solcavano il suo volto pallido.

L'aveva lasciata andare via, sperando che Crystal fuggisse lontana da lui, al sicuro, e non tornasse mai più.

Aveva lasciato andare via l'amore che sapeva di non meritare.

Sperando di essere destinato a morire in breve tempo.

*

Ma non era stato quello il suo destino.

Sarebbe stato troppo facile così, ma lui aveva troppe colpe da espiare.

Non era riuscito a trovare alcuna soluzione e, in quella notte fatale, aveva dovuto uccidere Albus Silente.

Aveva ucciso un amico: aveva ucciso la fiducia e la speranza.

Si era negato per sempre l'amore di Crystal ed era sceso all'Inferno.

Ancora una volta, ancora volontariamente.

Ma questa volta era per sempre, senza nessuna possibilità di salvezza.

Quando il cielo basso e cupo pesa come un coperchio

sullo spirito che geme in preda a lunga noia

e abbracciando il cerchio di tutto l'orizzonte

ci versa una luce nera più triste delle notti;

quando la terra si muta in umida spelonca

dove la Speranza, come un pipistrello

va battendo i muri con la sua timida ala

e picchia la testa su fradici soffitti;

quando la pioggia distendendo immense strisce

imita le sbarre di una vasta prigione

e un muto popolo di ragni infami

in fondo ai nostri cervelli tende le sue reti,

campane a un tratto scattano con furia

e lanciano verso il cielo un urlo orrendo

come spiriti erranti e senza patria

che si mettano a gemere ostinati.

E lunghi carri funebri, senza tamburi né musica,

sfilano lenti dentro la mia anima; la Speranza,

vinta, piange, e l'Angoscia atroce, dispotica,

pianta sul mio cranio il suo nero vessillo. [4]



[1] Baudelaire, Les Fleurs du Mal, tratto da « Spleen e ideale » : LXXX – Il gusto del nulla.

[2] Baudelaire, Les Fleurs du Mal, tratto da « Quadri parigini » : XCIII – A una passante.

[3] Baudelaire, Les Fleurs du Mal, tratto da « Spleen e ideale » : LVII – A una Madonna.

[4] Baudelaire, Les Fleurs du Mal, tratto da « Spleen e ideale » : LXXVIII – Spleen.

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