Capitolo 7: Used.
La matematica non era e non sarebbe mai stata il suo futuro.
Non che non le piacesse o la odiasse, era fermamente convinta che essa si trovasse in tutti gli aspetti dell'universo e, come si ostinava ad affermare il professor Yasufumi Nekomata, era il linguaggio attraverso cui si esprimeva ogni concetto e grazie ad essa i popoli di tutto il mondo potevano comprendersi.
Insomma, Y/N ne afferrava l'importanza, ma nonostante questo non andavano molto d'accordo.
Perciò il fatto che quella dannata equazione non le riuscisse da più di mezz'ora, unito alla stanchezza per le mancate ore di sonno e alla consapevolezza che Atsumu non si sarebbe fatto sentire per chissà quanto, la stavano per portare ad un esaurimento nervoso, ne era certa.
Poi, come se non bastasse, anche Kuroo non si era più fatto vivo dopo il loro incontro, quella mattina sull'autobus.
Y/N sbuffò, chiudendo il quaderno con un gesto nervoso: alla fine, anche lui si era dimostrato essere l'ennesima delusione.
Come aveva potuto essere così ingenua da credere che si fosse interessato veramente a lei?
Era chiaro che non avrebbe dovuto dirgli che non stava affatto bene, avrebbe dovuto semplicemente rispondere che era tutto a posto e insistere con quella stupida scusa dell'insonnia, piuttosto che cedere alla debolezza di quel momento.
Eppure non poteva fare a meno di sentirsi delusa, abbandonata, incazzata. Si era sempre vantata della sua capacità di riconoscere, più o meno sempre, le vere intenzioni che si celavano dietro una persona, e le era sembrato che l'interesse di Kuroo fosse sincero.
Evidentemente si sbagliava: appena aveva scorto in lei un problema, si era subito allontanato.
Ormai erano passate ore dalla mattina: lo schermo del cellulare segnava quasi le cinque del pomeriggio.
Riordinò libri e penne sulla scrivania: studiare in quelle condizioni era totalmente inutile. Avrebbe chiesto a Kenma di spiegarle gli esercizi di matematica più tardi, dopo una bella dormita, se solo ce l'avesse fatta a chiudere occhio almeno per un paio d'ore.
Nonostante maggio fosse ormai alle porte, lei continuava ad avere quella fastidiosissima sensazione di freddo che le impediva di mettersi a letto senza una coperta che le coprisse perlomeno le gambe: o stava invecchiando precocemente, oppure il suo sistema di termoregolazione aveva qualche problemino.
Si distese e chiuse gli occhi, provò ad immaginare di far parte di uno dei tanti libri che aveva letto, oppure di trovarsi dentro ad un film d'avventura in cui non esisteva nessun Atsumu, nessun Kuroo, nessun prof Nekomata che pretendeva sempre il massimo da lei.
C'erano solo creature inesistenti, posti nuovi da vedere, tante cose da fare che la tenevano impegnata.
I pensieri presto si accavallarono tra di loro e tutto divenne nebuloso e confuso, il tepore della coperta di lana e il suono dei suoi respiri profondi la stavano spingendo verso il mondo dei sogni che tanto amava: magari lì sarebbe stata in pace.
Era sicura di essersi appena addormentata, quando partì la suoneria del telefono: sullo schermo, c'era la stilizzata forma di un gallo.
Se non fosse stato per il battito del suo cuore che le tamburellava nel petto, avrebbe quasi pensato che Kuroo Tetsurō fosse arrivato a tormentarla anche nei sogni.
Quello che Y/N non sapeva, era che l'avrebbe fatto molto presto.
«Hai?»
Tossì un paio di volte prima di rispondere per svegliarsi completamente: se quel maledetto gallo avesse capito che stava dormendo non avrebbe più smesso di prenderla in giro, sicuro come il sorgere del sole.
«Perché sussurri? Pensi che ti tengano d'occhio i servizi segreti?»
Non solo l'aveva appena interrotta sul principio di un sonno ristoratore che aveva ardentemente desiderato per tutto il giorno, adesso si metteva pure a fare il simpatico.
Come se potesse trovarlo divertente.
Meditò di attaccargli il telefono in faccia e di spegnerlo, oppure di mandarlo direttamente a quel paese e bloccare il suo numero per sempre, ma forse il suo caratteraccio era ancora troppo attutito dal dormiveglia per farlo davvero.
In realtà era semplicemente felice di sapere che non si era affatto dimenticato di lei, ma non lo avrebbe mai ammesso neppure a sé stessa.
«Perché mi hai chiamata?»
Invece, si limitò ad alzare gli occhi al soffitto e pregando che la sua buona condotta, un giorno, venisse ripagata mandandogli qualcosa di buono, per una buona volta.
Un miracolo magari, ecco cosa ci voleva.
«Scrivere mi annoia da morire.»
Poteva figurarselo di fronte ai suoi occhi come se fosse davvero nella sua stessa stanza, con quell'aria da saccente che si portava sempre dietro.
L'aveva già detto che non lo sopportava?
«E poi non è la prima volta che ti chiamo.»
Y/N sapeva perfettamente a che cosa alludesse, ma la chiamata della mattina precedente non aveva niente a che fare con quella di adesso.
Insomma, il giorno prima l'aveva colta di sorpresa chiamandola non appena scesa dal bus: che cosa avrebbe dovuto fare? Lasciar squillare il telefono in modo che lo sentisse tutto il cortile?
E poi non significava che da ora in poi poteva chiamarla quando gli pareva come se fossero due vecchi amici.
O che avessero qualsiasi tipo di relazione, in sostanza.
«È diverso.»
Avrebbe voluto sembrare sicuramente più scontrosa di quanto in realtà non fosse apparsa, ma sia l'esitazione con cui rispose che il tono la tradirono: quello che la fece arrossire, anche se lui non poteva vederla, era l'intimità strana che si avvertiva tra loro due, anche se attraverso un telefono.
Come lui si accorse di quell'imbarazzo misto a felicità rimaneva tutt'ora un mistero, fatto sta che lo sentì ridere lievemente per una manciata di secondi, la risata di chi aveva capito alla perfezione tutto ciò che lei stava pensando.
«Allora, mi racconti o no?»
Y/N udì, dall'altro capo del telefono, il rumore delle molle di un letto che si appiattiscono sotto il peso di qualcuno che, stanco di un'altra pesante giornata scolastica, aveva deciso che una bella chiacchierata, comodamente sdraiato, era quello che ci voleva.
Si trovavano nella stessa identica posizione, solo a qualche chilometro di distanza.
«Che cosa?»
Il fatto che lo stomaco le si fosse attorcigliato era la dimostrazione che Y/N avesse già capito che cosa volesse sapere Kuroo: si riferiva a quello che gli aveva detto poche ore prima.
«Stai bene?»
«No.»
Tutto il peso della notte in bianco, delle lacrime, delle urla soffocate nel cuscino le piombarono di nuovo addosso al solo ricordo di come si era sentita quando lui le aveva chiesto come stesse: ma ora avrebbe avuto la forza di parlarne?
«Il motivo per cui hai pianto.»
Diretto.
Non ci aveva per niente girato intorno alla cosa, non aveva fatto allusioni né doppi sensi, non le aveva di nuovo chiesto come si sentisse, non aveva fatto battute sui suoi occhi gonfi: sapeva che aveva versato delle lacrime e voleva conoscerne la causa, niente di più semplice.
Lei trattenne appena il respiro, come se le avessero pugnalato l'addome di sorpresa, un attacco alle spalle che non si aspettava.
Ma un attimo dopo si era sentita meglio, aveva percepito il peso sulle sue spalle affievolirsi, la stanchezza dolorosa che si era portata dietro dalla sera prima era diventata improvvisamente più sopportabile e la mente le si era svuotata.
Sentiva di essere più leggera: lui sapeva e lei poteva parlargliene.
Prese un grosso respiro, poi rispose.
«Ho litigato con Atsumu.»
Buttò fuori la verità da dentro di sé e fu come se avesse appena sputato veleno, anche se le appariva così strano sfogarsi con qualcuno che non fosse Kenma.
«Non ti dirò che mi dispiace.»
Brutalmente sincero.
Era logico che non gli dispiacesse, le aveva fatto capire fin troppo chiaramente quanto avesse flirtato con lei e quale fosse il suo obiettivo, ma un'altra persona avrebbe finto di essere rammaricato solo per avere qualche chance in più magari, per consolarla prima e portarsela a letto poi.
Kuroo non lo fece.
La sua sincerità fu il punto di inizio della loro storia: da quel momento in avanti lui non le avrebbe mai mentito, per quanto dura potesse essere la verità non avrebbe esitato a dirgliela.
«Ma ti ascolterò se hai voglia di parlarmene.»
Lui era lì per lei, l'aveva chiamata perché voleva comprendere la sua storia, il suo passato e le sue sofferenze; non si conoscevano se non da qualche giorno ma lui era pronto ad ascoltarla senza chiedere nulla in cambio.
La cosa la stupì: lei sarebbe stata disposta ad ascoltare il racconto di uno sconosciuto?
Se i loro ruoli fossero stati invertiti, lei lo avrebbe fatto?
Improvvisamente ebbe paura di sembrare superficiale ai suoi occhi, ebbe il timore che, una volta saputo il perché delle sue lacrime, lui si sarebbe allontanato considerandola una sciocca ragazzina piagnucolona.
E allora chi l'avrebbe chiamata nel bel mezzo di un pomeriggio primaverile per ascoltarla?
Neanche si conoscevano e già sentiva la sua mancanza, solo che non se ne era resa conto.
«Dovrei partire dal principio.»
Era una storia lunga la sua: per capire il motivo della sua tristezza Kuroo avrebbe dovuto sapere tutto ciò che era accaduto con Atsumu; ma l'avrebbe ascoltata fino alla fine senza annoiarsi, senza pentirsi di averglielo chiesto?
Si morse il labbro inferiore, sperando allo stesso tempo che lui insistesse e che lasciasse perdere.
«Ho tutta la serata libera.»
Y/N sorrise: avrebbe insistito esattamente come aveva già fatto per avere il suo numero di telefono.
Incredibilmente testardo.
«Non dovresti studiare?»
Lei stava ancora sorridendo: in poco più di qualche minuto di chiamata, le aveva già risollevato l'umore.
«Non ne ho bisogno, mi sembra di avertelo già dimostrato.»
Quel ghigno sornione che sicuramente aveva sulla sua fastidiosissima faccia Y/N poteva sentirlo bruciare sulla pelle: solo perché l'aveva battuta a quello stupido gioco non significava che avrebbe dovuto rinfacciarglielo a vita.
«Baka.»
Avrebbe voluto rimanere seria e offesa, ma quando lo sentì ridere non poté impedirsi di farlo anche lei.
Quando ebbero finito di fare gli idioti, perché questo fondamentalmente erano, quei due, ci furono diversi secondi di silenzio e Y/N capì: era giunto il momento di raccontarsi.
«Ti ho già detto che io e Atsumu ci siamo lasciati lo scorso anno.»
Era cominciato tutto da lì: quel giorno di una primavera giunta quasi al suo termine, in cui il caldo dell'estate pretendeva con prepotenza di fare suoi anche i primi giorni di giugno, nonostante non fosse ancora arrivato il suo momento.
«Mh, mh.»
Kuroo aveva annuito senza interromperla: gliene aveva parlato lei stessa il giorno precedente, ma la notizia era giunta alle sue orecchie parecchio tempo prima, forse addirittura lo stesso giorno che era accaduto il fatto.
Le voci, al liceo Nekoma, correvano velocissime; soprattutto se si trattava della coppia più in vista della scuola.
Al tempo il corvino aveva alzato le spalle con indifferenza: a lui i pettegolezzi non erano mai interessati.
«E' stato lui a lasciarmi.»
Atsumu le aveva detto che qualcosa era cambiato, che non gli andava più di stare con lei e che la stava lasciando non per colpa sua, ma che era lui il problema.
La classica frase che si usa per lavarsene le mani, per non dover giustificare il fatto che si fosse annoiato della sua compagnia: lei non era abbastanza divertente, bella, sveglia.
Non gli bastava e sentiva la necessità di divertirsi, niente di più semplice: questo Y/N lo capì soltanto mesi più tardi, quando ormai erano tornati insieme e la noia aveva investito anche lei.
Ma allora fu come se il suo cuore fosse andato in frantumi, spaccato in mille piccoli pezzi che solo provare a rimetterli a posto la feriva ancora di più.
Com'era possibile che avesse smesso di amarla tutto ad un tratto? L'amore vero, quello che Y/N era convinta ci fosse tra lei e Atsumu Miya, non finisce da un giorno all'altro.
Solo a mente fredda, arrivato l'inverno, aveva analizzato ciò che era accaduto e si era resa conto di cose che le erano sfuggite, perché quando si ama così intensamente si tende sempre a non vedere cose che sarebbero visibili a chiunque altro.
Il biondo alzatore si era allontanato da lei tempo prima, quando aveva cominciato a trovare scuse per non vederla, quando dopo gli allenamenti di pallavolo non passava più sotto casa sua solo per darle un bacio o quando evitava di risponderle ai messaggi.
Avevano progressivamente smesso di parlare di quello che avevano fatto durante la giornata e di studiare insieme, di andare a vedere film al cinema e avevano limitato il loro rapporto al minimo indispensabile.
Y/N però non l'aveva notato, finendo con un'interminabile cascata di lacrime e un teatrale dramma adolescenziale di fronte all'intera scuola, il giorno in cui l'aveva lasciata.
«Questo l'avevo intuito.»
Per quella sua insopportabile arroganza e antipatia Kuroo Tetsurō si sarebbe meritato ogni tipo di insulto Y/N conoscesse, ma sotto sotto lo ringraziò per quell'ironia che spezzava la drammaticità dell'argomento di conversazione.
Era sempre stato grazie al suo modo di fare che riusciva a parlare così facilmente con lui.
«Che cosa vorresti dire?!»
E poi sapeva perfettamente che cosa intendesse il corvino: lei non avrebbe mai avuto il coraggio di lasciarlo, dato che non ce l'aveva neanche adesso.
«Va' avanti.»
Kuroo sospirò: conoscendolo, chissà quanto sforzo gli ci volle per trattenersi dall'urlarle contro quanto fosse stupida a non lasciare immediatamente Atsumu, o quanto fosse stata ingenua tornando con lui alla fine dell'estate.
«Ecco, io...»
In confronto al fatto di essere stata lasciata, che già di per sé lei riteneva un'umiliazione non da poco, visto quell'insormontabile ego e orgoglio che la contraddistinguevano, ciò che avrebbe dovuto ammettere adesso era ben più grave.
«...non l'ho presa molto bene.»
Dire che non l'avesse presa bene era peggio che un eufemismo, era come dire che un poema epico della portata dei capolavori omerici non fosse nient'altro che una favola per bambini.
«E' il tuo modo di dire che hai passato l'estate a piangere e guardare le stelle cadenti desiderando che il caro Atsumu Miya tornasse da te con un anello in mano?»
Neanche l'evidente presa in giro di Kuroo si avvicinava minimamente alla realtà di ciò che aveva pensato, fatto, sperato.
Oh sì, aveva fatto molto peggio.
Y/N si era sempre considerata un'orgogliosa, un osso duro insomma: una di quelle ragazze forti e sicure di sé che mai e poi mai avrebbero pianto per un ragazzo, figurarsi poi per uno come Atsumu, che non avrebbe fatto altro che godere della cosa.
Invece lo aveva fatto eccome, più e più volte, in mille occasioni e luoghi diversi.
Aveva iniziato componendo lei stessa quei poemi succitati, messaggi più che chilometrici ai quali lui aveva raramente risposto e, quando lo aveva fatto, erano state risposte secche, scocciate e pietose che tutt'ora la facevano imbarazzare.
Per non parlare delle infinità di volte in cui l'aveva chiamato a tutte le ore della giornata e anche nel cuore della notte.
Si era perfino presentata sotto casa sua a piangere supplicandolo di tornare insieme a lei.
Se ne vergognava, se ne vergognava talmente tanto che aveva sempre tenuto la maggior parte di quel dolore per sé: solo Osamu l'aveva vista piangere, qualche volta e, ancor più raramente, si era confidata con Kenma.
Il resto, l'aveva affrontato da sola e nessuno avrebbe mai dovuto saperlo.
«E' impossibile vedere le stelle cadenti, con tutte le luci di Tokyo.»
Quei due avevano, entrambi, uno spirito beffardo: quella bizzarra tendenza che mescola un'apparenza d'ironia con i sentimenti più seri.
Y/N stava parlando del periodo, almeno fino a quel momento, più penoso della sua vita, ma aveva la forza di scherzarci su: forse ci riusciva perché ormai era passato un anno, o magari era proprio Kuroo Tetsurō a renderlo così facile.
«Vuoi dirmi che sennò lo avresti fatto?»
Il fatto che quella domanda gli uscì con un marcato tono di disappunto la fece ridere spontaneamente, mandando all'aria tutti i suoi buoni propositi di rimanere seria ed impassibile.
«Certamente.»
Tra uno sghignazzo e l'altro tentò inutilmente di ricomporsi, naturalmente senza successo.
Kuroo tirò un sospiro di sollievo, prima di unirsi alla sua risata: aveva già capito che quella ragazza non fosse come le altre e che quelle cose fin troppo romantiche non le appartenevano, ma per un attimo ebbe il dubbio di sbagliarsi.
«Continua.»
Non appena si ripresero da quelle risate il corvino la spronò a continuare, pronto ad ascoltarla ancora. Le stava dando attenzioni che nessuno, prima di quel giorno, le aveva mai dato e non ne avrebbe mai avuto abbastanza.
«Il punto è che durante l'estate lui-»
Quando pensò, tra sé e sé, che nessuno sarebbe mai dovuto venire a conoscenza di tutto quell'implorare, pregare, supplicare ,che era arrivata a fare con Atsumu era serissima: non riuscì mai a raccontarlo nemmeno a Kuroo, per l'intera durata della loro storia.
Perciò decise di passare direttamente al vero motivo che l'aveva portata a non fidarsi più non solo di Atsumu, ma dell'intero genere umano.
Prima di poterlo fare, però, lui la interruppe.
«Si sbatteva qualche puttana durante le feste?»
Y/N rimase con il fiato sospeso a mezz'aria, le labbra ancora semiaperte e gli occhi spalancati.
Durante tutta l'estate erano state numerose le volte in cui qualcuno, ragazze per la maggior parte, era andato riferirle di come e con chi si divertisse quello che considerava ancora il suo Atsumu, nonostante si fossero lasciati.
Ma nessuno prima d'ora era stato diretto come Kuroo Tetsurō: perlopiù le era stato detto che l'avevano visto appartato con una della quinta B, poi con una matricola della sezione F, e ancora con quella bella bionda di un altro istituto che, a quanto si diceva, lavorava come modella.
Il motivo per cui lo facessero non era chiaro, forse pensavano di farle un favore, magari si sarebbe dimenticata di lui più velocemente sapendo che aveva già ben altro a cui pensare, oppure era semplice cattiveria gratuita.
Lei si limitava ad annuire, lo sguardo fisso nel vuoto a tentare di concentrarsi su qualcos'altro, per poi piangere una volta arrivata a casa, da sola.
«Scusami.»
Doveva essere rimasta in silenzio per un minuto o due, quando sentì di nuovo la voce del corvino dall'altro capo del telefono.
Scosse la testa, imponendosi di riprendere coscienza di sé: era finito quel periodo, non aveva senso ripensarci.
«No, lo sapevo.»
Kuroo non aveva motivo di scusarsi con lei: era stato l'unico a dirle in faccia la verità senza mezzi termini, lo apprezzava molto più dei giri di parole di tutti gli altri.
E poi le aveva già fatto capire di esserne a conoscenza la mattina precedente, quando aveva accennato di aver visto Atsumu a qualche festa, aveva solo avuto esitazione nel dirle ciò che pensava: ora che era lei a raccontarglielo, però, non aveva più motivo di trattenersi.
«Solo che io ero la prima di quelle puttane.»
Y/N deglutì, come se tirar giù la saliva la aiutasse a digerire anche quel fatto, poi rimase in attesa di una risposta, di qualsiasi cosa lui avesse voluto dirle dopo quella confessione, sperando solo che non le chiedesse una spiegazione più approfondita.
Non ce l'avrebbe fatta a dargliela.
«Avete continuato a scopare nonostante vi foste lasciati?»
Ma Kuroo aveva già capito tutto, non c'era nient'altro da dire, da sottolineare: era già abbastanza grave così.
Sentì il cuore accelerare i battiti e la gola seccarsi ad ogni parola scandita al di là del telefono, la voce del corvino che aveva preso una strana inclinazione.
Sembrava agitato, sconvolto e incredulo. Beh, non che ci fosse da meravigliarsi della sua reazione: nessuno oltre Kenma sapeva quella parte della storia.
«E nel frattempo lui-»
Lo interruppe prima che potesse andare avanti, Y/N sapeva già che cosa avrebbe detto: Atsumu si fotteva allo stesso tempo la sua ex, ancora perdutamente innamorata di lui, e altre ragazze di circostanza, una diversa per ogni serata, senza alcun rimorso.
Ma si sbagliava a puntare il dito contro di lui, Atsumu non aveva nessuna colpa.
«Gliel'ho chiesto io, Kuroo.»
La responsabilità era unicamente sua.
Era successo dopo circa due settimane da quando si erano lasciati e per l'ennesima volta lei si era presentata sotto casa sua in preda ad un'altra patetica crisi di pianto: Atsumu l'aveva fatta entrare in casa e le aveva di nuovo spiegato che non c'era niente che potesse fare per fargli cambiare idea.
Lui la sua decisione l'aveva presa, ora spettava a lei farsene una ragione.
E la cosa migliore da fare, secondo l'alzatore, sarebbe stata non vedersi più, tagliare ogni tipo di legame o conversazione, cominciando col bloccare il suo numero di telefono.
In quel momento Y/N vide scomparire ogni possibilità di riconciliazione, un anno e mezzo di relazione buttato in una decina di giorni, il suo cuore infranto che le supplicava di trovare una soluzione.
Fu in quell'istante che quasi certamente la disperazione la fece diventare cieca, incapace di ragionare e capire che ciò che stava per proporre ad Atsumu avrebbe finito definitivamente di annientarla.
Era disposta a qualsiasi cosa pur di rimanere legata a quel filo sottilissimo che ancora li univa, così glielo disse: gli propose di continuare a vedersi solo per il mero atto carnale e lei non avrebbe preteso nient'altro.
Atsumu accettò.
«Non avrebbe dovuto farlo.»
Era la primissima volta che sentiva la voce di Kuroo Tetsurō così seria, a dire la verità non pensava neanche che potesse essere capace di tanta seriosità.
No, non avrebbe dovuto.
Non avrebbe dovuto acconsentire a quel compromesso, sapendo come l'avrebbe fatta sentire, quanto le avrebbe fatto male.
E quel male lo aveva sentito forte e chiaro ogni volta, psicologicamente s'intende, ma Atsumu non si era mai tirato indietro: al contrario, la maggior parte delle volte era lui a chiederle di vedersi.
Le inviava messaggi a orari improbabili, ma lei rispondeva ogni volta, poi la andava a prendere a casa e la portava in qualche parcheggio isolato, andavano nei sedili posteriori e...beh, scopavano.
Perché questo era per Atsumu Miya: una scopata.
Lei piangeva.
Lo faceva sempre quando la riaccompagnava a casa e non restava con lei, tentava di farlo in silenzio ma il più delle volte non ci riusciva e finiva col farsi scoprire.
Allora lui si limitava a guardarla, ogni tanto abbassava lo sguardo per colpevolezza, se ne andava senza salutarla, ma la settimana successiva arrivava sempre un messaggio per vederla di nuovo.
E la storia si ripeteva, la ferita si riapriva, più profonda della volta precedente.
«Beh, è passato.»
Y/N inspirò forte con il naso, drizzò le spalle e sbatté un paio di volte le palpebre: non era al telefono per parlare di quello che era successo un anno prima, ma del motivo per cui avevano litigato, giusto?
«Il punto è che si sta comportando come lo scorso anno e io non voglio passare lo stesso inferno.»
La storia poteva anche essere ciclica come affermavano gli esperti, ma lei non aveva davvero intenzione di ripetere gli errori del passato: doveva solo smetterla di pensarci, di dubitare di Atsumu e tutto si sarebbe aggiustato.
Solo che non sapeva come fare per tornare a fidarsi.
«La sera ad Osaka è sempre con questa ragazza e-»
Insomma, come poteva stare tranquilla quando Misaki Hana gli ronzava sempre intorno come una fastidiosissima vespa?
Come se non la stesse neanche ascoltando, Kuroo la bloccò di nuovo a metà frase.
«Perché sei tornata insieme a lui?»
Adesso non sembrava solo incredibilmente serio, ma il tono pareva addirittura arrabbiato.
«Perché lo amavo.»
Rispose immediatamente, perché di questo era certa: tutto quello che aveva fatto, sopportato e tentato di dimenticare era dovuto all'amore che provava per Atsumu.
Non si rese conto, tuttavia, di aver parlato al passato.
«E lo ami ancora?»
Ovviamente la cosa non sfuggì all'altro: Y/N non riuscì mai a capire se la sua era un'invidiabile e incredibile attenzione ai dettagli, o più semplicemente riusciva a leggerle nella mente.
Col passare degli anni, optava più per la seconda.
«Che domanda è?»
Si era risentita per ciò che le aveva chiesto, insomma, non era una domanda che si poneva dopo solo qualche giorno di conoscenza: come diavolo si permetteva?
«Una domanda semplicissima: lo ami?»
Eppure, quel quesito con cui continuava a tormentarla, le aveva agitato l'anima: non se lo chiedeva da un bel po' di tempo, ormai. Era così abituata a rispondere "anche io" quando Atsumu diceva di amarla, che ormai sembrava automatizzata.
Ma poteva ancora dire di provare davvero amore? Era amore se non si fidava più di lui? Lo amava nonostante si sentissero poco e niente e non provasse la sua mancanza quando era lontano?
Sarebbe stata capace, se ora fosse stato lì con lei, di dirgli "ti amo" come la prima volta in cui glielo disse?
«Io-»
Provò a rispondergli, ma stavolta si interruppe da sola: non lo sapeva.
«Le persone non cambiano, Y/N.»
Avrebbe dovuto ricordarsi delle parole che gli disse quel martedì pomeriggio anche in futuro, anche quando passarono mesi e anni da quella chiacchierata: le cose sarebbero andate in modo diverso, se l'avesse ricordato.
Fu la frase più vera che si sentì mai dire in tutta la sua vita.
«Neanche se continui ad amarle.»
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Aspettavo di scrivere questo capitolo praticamente da quando ho messo su il primo, perché ho adorato con tutta me stessa questa parte, anche se non esattamente allegra ecco, ma comunque fondamentale.
Come state, lettori miei?
Non ve lo chiedo mai e vi parlo sempre di me, sciagura su questa crudele scrittrice! ◭,◭
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