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Capitolo 5: Annoyed.

Che il lunedì fosse in assoluto il peggior giorno della settimana forse era il pensiero di chi viveva gli altri in attesa di un allettante weekend, ma per lei che sapeva già fin troppo bene che cosa avrebbe fatto in quei giorni per, almeno, il rimanente anno scolastico, ogni giorno le sembrava esasperante come il lunedì.

Anche il martedì le appariva noioso, il mercoledì poi, così mediocre, il giovedì piatto come i due giorni precedenti e il venerdì la coronazione della banalità della sua vita.
Se addirittura il sabato e la domenica si prospettavano come quelli appena passati, avrebbe preferito essere colpita da un maledettissimo fulmine piuttosto che riviverli.
Naturalmente il cielo, quella mattina, era serenissimo.

Dopo l'uscita di sabato assieme a Kita e Aran e dopo la sua pessima condotta, come l'aveva apostrofata Atsumu, i due fidanzatini avevano passato buona parte della notte e l'intera domenica mattina a litigare, finché lui era ripartito per Osaka e lei non lo aveva neanche accompagnato in stazione.
Magari avrebbe sbagliato treno, focalizzato com'era unicamente da sé stesso, e sarebbe finito il più lontano possibile dalla sua vita: Y/N era così furiosa che, per un solo momento, pensò addirittura di lasciarlo.

Non la sorprese per niente, però, il fatto che solo poche ore dopo, fatta l'ora di cena, le era già passata totalmente la rabbia e gli aveva mandato un messaggio per chiedergli se fosse arrivato.
Lui aveva risposto nello stesso modo apatico in cui gli era stata posta la domanda e così avevano dimenticato i diverbi del weekend.
Funzionava così, per loro: i problemi non li risolvevano, facevano semplicemente finta che non fossero mai esistiti.

Entrambi, a circa cinquecento chilometri di distanza, in prima serata appoggiarono i rispettivi telefoni in un angolo delle loro stanze e riposero, in quel modo, la parentesi del fine settimana in un antro profondo delle loro menti, riprendendo le loro vite come se niente fosse, come se lo spettacolo dovesse riprendere in futuro, ma che per il momento non li riguardava minimamente.
Scoccata la mezzanotte e iniziato il lunedì, lo sfondo del teatrino cambiava e tornavano nella loro favola: erano una coppia felice e tutto andava bene, anche con due messaggi al giorno e mille dubbi alle spalle.

Y/N viveva nella costante attesa che qualcosa cambiasse, pur sapendo, nel profondo, che doveva essere la prima a farlo se voleva che le cose funzionassero.
Eppure si ostinava a procrastinare: il cambiamento non la entusiasmava, anzi, le faceva una gran paura.

Così, quel lunedì se ne stava ancora rannicchiata nel suo angolo privato di autobus in attesa di un messia che andasse a strapparla da quel grigiore quotidiano per portarla in un mondo di passioni tanto violente da bruciarla.

Si accigliò: neanche il volume alto della musica nelle cuffiette le impedì di pensare a una folta cesta nera di capelli.
Kuroo Tetsurō le aveva fatto sperare, sotto sotto, che avrebbe dato un po' di brio alla sua esistenza.

Durante quelle scarse ventiquattro ore in cui si erano parlati Y/N si era arrabbiata, era arrossita, erano tornate nel suo stomaco delle farfalle impazzite e aveva perfino riso di gusto.
Certo, era anche spaventata a morte dall'idea che qualcuno scoprisse di quell'innocente, o quasi, scambio di messaggi, ma anche la paura l'aveva fatta sentire viva, le aveva ricordato che non era una bambola priva di emozioni che doveva apparire sempre perfetta ma che, come tutti gli esseri umani, era ancora in grado di sbagliare e sentirsi in colpa.

Da quando gli aveva scritto di essere con Atsumu, il corvino non si era più fatto sentire.
Neanche la domenica sera o quella mattina di inizio settimana per mandarle il buongiorno come aveva fatto il venerdì.
Probabilmente si era già dimenticato di lei: Y/N sbuffò, sistemandosi in una posizione più comoda su quel sedile polveroso e scarabocchiato di scritte di inchiostro indelebile, nero quasi quanto il suo umore.

Che poi, alla fine, era meglio così: meno problemi e seccature, nessuna necessità di nascondere il cellulare da occhi indiscreti e zero distrazioni durante le lezioni in classe.
L'attenzione per lo studio, in effetti, doveva rimanere una sua priorità: maggio era ormai alle porte e il suo arrivo coincideva con l'inizio di tutta una serie di test che avrebbero sancito il risultato scolastico del penultimo anno di superiori.
Inspirò profondamente, socchiudendo gli occhi e stringendo lievemente le dita contro i palmi delle mani: il cambiamento che tanto aspettava sarebbe arrivato con la fine dell'ultimo anno, non doveva avere fretta.
E, soprattutto, non le serviva Kuroo Tetsurō.

I suoi nervi ormai al limite della sopportazione sembravano essersi lievemente distesi e, quando riaprì gli occhi una volta finita la canzone nelle cuffie, l'autobus si stava fermando pochi metri prima dei cancelli d'ingresso del liceo Nekoma di Tokyo.
Aspettò che le sfilassero accanto gli altri studenti prima di tirar giù le scarpe dal sedile e seguire la lunga processione verso la soglia dell'inferno.

Nella strada antistante l'istituto demoni in gonne svolazzavano con frivolezza, in gruppo o in solitario, intorno agli esseri abominevoli di sesso maschile come se fossero in preda a una tempesta ormonale, come se trovare un compagno nella stagione degli amori fosse una questione di vita o di morte.
Y/N sorrise a un gruppetto di ragazze che la salutarono prima di continuare a sparlare di un altro paio più piccole che camminavano, timide e a capo chino, alla loro destra: gli anni delle superiori, pensò tra sé e sé, erano un covo di arpie.

Poco più distanti, cinque o sei ragazzi del terzo anno, tra cui le sembrò di riconoscere almeno altri due pallavolisti che dovevano aver giocato qualche volta con Atsumu, si congratulavano a vicenda per le conquiste del sabato sera, scambiandosi opinioni più o meno volgari delle ragazze che avevano ammaliato.
Uomini: un branco di scimmie ammaestrate.

Chissà perché quel giorno si stava concentrando così tanto sulle persone attorno a sé: di solito fingeva di indossare dei paraocchi immaginari ignorando ogni essere vivente fino al suo ingresso in aula, dove si costringeva a saluti e sorrisi di circostanza con i compagni.
L'unico con cui aveva il sincero piacere di scambiare quattro chiacchiere era, naturalmente, Kenma.

Ma quel lunedì mattina di frizzante primavera aveva voglia di vedere qualcun altro e, si da il caso, che proprio quel qualcuno nutrisse lo stesso desiderio.
Ancora un passo e il suo telefono vibrò nella cartella.
Prima di trovare il cellulare nel disordine di libri, fogli e quaderni, Y/N sapeva già, o quantomeno sperava, chi fosse a chiamarla a quell'ora del mattino: sul display non c'era un nome, solo un emoji stilizzata di...un gallo.
Quel gallo era associato ad una singola persona al mondo e Y/N, forse addirittura con troppa impazienza, non attese un attimo di più a rispondere.

«Konnichiwa, bambina.»
Due sole parole erano bastate per scatenare dentro di lei un mare in tempesta di emozioni.
Era prima di tutto arrabbiata perché aveva aspettato che si facesse sentire per tutto quel tempo e, ora che l'aveva finalmente fatto, se ne usciva fuori con quel buongiorno che sapeva tanto di presa in giro.
Sentiva anche un briciolo di eccitazione perché era la primissima volta che la chiamava al cellulare, o forse era perché la sua voce sembrava ancora più attraente attraverso le linee telefoniche.

Diamine, ma che andava a pensare?! 
La voce di Kuroo Tetsurō non le provocava altro che fastidio, ecco.

«Che cosa vuoi?»
Diede due leggeri colpi di tosse per schiarirsi la voce e darsi un tono: se avesse capito che, per un solo momento, era stata felice di quella chiamata, sarebbe stata la sua rovina.

«Sei un raggio di sole stamani!»
Dall'altro lato del telefono lui sghignazzava divertito, inconsapevole che quell'ironia non avrebbe fatto altro che peggiorare il suo umore.
I passi di Y/N calcavano pesantemente il cemento del marciapiede, facendosi prepotentemente largo tra una mezza dozzina di primini che avevano deciso, a quanto pare, di prendere la residenza proprio in mezzo al passaggio pedonale.
Fu sul punto di rispondergli o di attaccargli il telefono in faccia, quando lui smise di ridere tutto a un tratto.

«No, non entrare: va' avanti.»
L'aveva interrotta così bruscamente e con un tono così allarmato che l'aveva fatta fermare sul posto, esattamente di fronte ai cancelli d'ingresso della scuola: adesso era lei ad ingombrare il passaggio.

«Mi stai seguendo?!»
Era chiaro che quell'idiota fosse da qualche parte e la stesse osservando mentre parlavano al telefono: difatti le aveva ordinato di fermarsi appena un attimo prima che potesse varcare la soglia dell'istituto.
Non volendo, Y/N doveva aver alzato la voce per lo shock, dato che una studentessa del quarto anno le passò di fianco guardandola incuriosita e stranita.

«Frequentiamo la stessa scuola, è improbabile che non capiti di vederti.»
D'accordo, quello era un punto a suo favore. Ciò nonostante non gli dava il diritto di spiarla da chissà quale oscuro anfratto.

«Vuoi muoverti o rimanere lì impalata tutto il giorno?»
Il suono della sua voce la scosse di nuovo, facendola sussultare: possibile non avesse notato che la stesse seguendo da quando era scesa dall'autobus? 
Eppure non dovevano essere difficili da vedere, quei capelli spettinati.
Y/N salutò con un cenno del capo la piccola Akane Yamamoto che saltellava, con una cartella più grande di lei, verso i suoi compagni della classe IA, approfittando del momento per dare un'occhiata ai dintorni: dove diavolo era Kuroo Tetsurō?

«E finiscila di guardarti intorno, sei fin troppo agitata.»
Effettivamente, a guardarla doveva sembrare niente meno che una pazza paranoica: gli altri studenti avrebbero potuto iniziare a chiedersi con chi stesse parlando, dato che si atteggiava in quel modo.
Prese un grosso e profondo respiro, prima di rispondergli.

«Dimmi che cosa hai intenzione di fare.»
La voce di Y/N era ferma e decisa: doveva smetterla con quel mistero, se voleva che stesse al gioco.

«Fidati di me.»
Fidarsi: la faceva facile, lui.
Kuroo Tetsurō era tutto ciò che esisteva di più lontano dall'aggettivo "affidabile".
Anzi, non solo da quello: lui era il diavolo tentatore in persona che l'aveva convinta ad accettare prima una sfida ad uno stupido gioco, poi una scommessa e, infine, la stava persuadendo persino a farsi condurre chissà dove.
Presumibilmente, agl'inferi

Che poi, a dire la verità, l'avrebbe seguito anche lì: Y/N non ne era ancora consapevole, ma sarebbe stata totalmente incapace di dirgli di no per un bel po' di tempo.
Il fatto che avesse già cominciato a camminare in avanti fu solo una delle tante volte in cui dimostrò di essere completamente stregata da lui: aveva davvero stretto un patto con il diavolo.

«Mi risulta abbastanza difficile dato che mi stai parlando come uno stalker.»
Il motivo per cui gli stesse dando retta e si stesse avviando tra le fiamme dell'Ade proprio non lo sapeva, ma la cosa più strana era che lo stesse facendo con la più completa naturalezza: si stava lasciando guidare come se si fidasse davvero di lui.

«Hai hai, sono dietro di te per derubarti di tutti gli appunti del prof. Nekomata.»
Mentre si torturava l'orlo della gonna della divisa le sfuggì un sorriso sincero, nonostante si fosse morsa il labbro inferiore per impedirsi di farlo: diamine, sembrava una scolaretta alle prese con la prima cotta adolescenziale.

«Non sorridere, so già che sei felice di sentirmi.»
In un lampo il sorriso scomparve dalla sua faccia, lasciando spazio ad un intenso colore rosso purpureo sulle guance e una smorfia infastidita: quel ragazzo era intollerabile.

Quando sollevò il mento per guardare di fronte a sé se lo ritrovò, con un insopportabile sorrisetto soddisfatto, a pochi metri davanti a lei che la fissava divertito: Kuroo era all'ombra di un albero che costeggiava la strada, esattamente all'imbocco di un vicolo talmente stretto che Y/N era sicura di non averlo mai notato.
Smise per un momento di respirare quando incontrò i suoi occhi felini che, alla luce del pallido sole mattutino, sembravano ancora più ambrati.
Poi, in un secondo, sparì dietro l'angolo con un cenno della testa che la invitava a seguirlo.

«Kuroo dove diavol-»
Adesso perché se n'era andato? Non l'aveva chiamata per portarla da lui?! Lo detestava, lo detestava da morire, lui e quel suo maledetto modo di fare arrogante, misterioso e...
Non fece in tempo né a finire la frase, né a terminare di inveire mentalmente contro di lui.

«Svolta dove ho svoltato io.»
...e indiscutibilmente affascinante.
Y/N sospirò, riprendendo a camminare verso quella stradina che sapeva tanto di proibito.

«Qualcuno potrebbe-»
Appena imboccato il vicolo quando il timore di essere vista insieme a lui la avvolse di nuovo, ma prima di poter esprimere i suoi dubbi un suono meccanico all'orecchio destro la avvertì che il suo interlocutore aveva riattaccato.

«No, nessuno ti stava guardando, smettila con queste paranoie.»
Quando risollevò lo sguardo dal display del cellulare, Kuroo Tetsurō era di fianco a lei, intento a riporre il suo telefono in una delle tasche della divisa.

Le prime volte sono sempre indimenticabili.
Quella era la prima volta che si trovarono da soli a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altra. Y/N avrebbe dovuto accorgersi già quella mattina che il loro era uno di quei rarissimi legami in cui non serve conoscersi alla perfezione per suscitare certe emozioni, ma capita semplicemente che si provi un interesse strano.
Uno di quegli interessi destinati a diventare qualcos'altro, qualcosa di importante.

«Aspetta!»
La perfetta studentessa della Nekoma era un disperato caso di impulsività cronica: non appena l'aveva visto fare un passo in avanti l'aveva afferrato per un braccio come se avesse paura che se ne andasse.
Se n'era pentita un attimo dopo e aveva ritirato la mano, ma lui aveva già cominciato ad arricciare le labbra.
Prima che potesse dire qualsiasi cosa, Y/N prese parola.

«Dove stai andando?»
Aveva aggrottato le sopracciglia e, dal basso in alto, lo guardava con aria di rimprovero tentando di nascondere l'imbarazzo: la miglior difesa, dopo tutto, è l'attacco.

«Sul retro dell'edificio.»
Kuroo le aveva risposto come se fosse la cosa più naturale del mondo, facendo le spallucce.

«Perché?»
Per lei, al contrario, era una risposta insoddisfacente e priva di ogni senso logico: che voleva fare sul retro della scuola?!

«Perché voglio parlare con te.»
Il tono del corvino era sempre più sconcertato dal fatto che lei non avesse ancora compreso le sue intenzioni: l'aveva preso seriamente per un maniaco, per caso?

«Faremo tardi a scuola, non c'è tempo.»
L'aveva sorpresa, di nuovo: lei era stata prevenuta, quando lui era solamente interessato a conoscerla.
Si sentiva colpevole per aver pensato male di lui, ma non per questo sarebbe rimasta.

«Entreremo alla seconda ora.»
Kuroo Tetsuro era perfettamente a suo agio, in netta contrapposizione alla palpabile apprensione di lei.

«Cosa?! Ci vuole la firma di un genitore per farlo!»
Era fuori di testa, non c'era nient'altro da dire: era un pazzo scellerato e lei aveva avuto la brillante idea di seguirlo.

«Falsificala.»
Le nerissime sopracciglia che incorniciavano i suoi occhi allungati si sollevarono in un'espressione stupefatta, quasi a volerle dire che non esisteva niente di più semplice da fare.

«Assolutamente no!»
Quella, infine, fu la goccia colpevole di aver fatto traboccare la pazienza di Y/N: le regole esistevano per essere rispettate, non infrante.
Girò sulle sue impeccabili scarpette nere della divisa e fece due passi in avanti per andarsene da lui e le sue folli, sconsiderate, idee.
Alle sue spalle, un attimo dopo, sentì una sonora risata.
 
«Non hai mai falsificato una firma?»
Quando si voltò di tre quarti, attirata da quella confusione, Kuroo si stava letteralmente soffocando con la sua stessa risata sguaiata.

«Sei proprio una brava bambina.»
Rideva ancora, con le lacrime agli occhi, riprendendo ossigeno a ritmi di respiro irregolare.

Y/N non sapeva se lo facesse di proposito, se fosse consapevole del fatto che l'unico modo per convincerla a fare cose che, normalmente, non avrebbe mai fatto per paura, timidezza o rigore, era esattamente quello: colpirla nell'orgoglio.
Si sentì drizzare ogni capello che aveva in testa, tanto si era impermalosita: glielo avrebbe fatto vedere lei, chi dei due era il bravo bambino.
Lo sorpassò con il mento in alto e il portamento altezzoso: lei aveva tanto coraggio quanto lui.

Alla fine della stradina c'era uno spazio circondato a destra dal retro del liceo Nekoma, a sinistra dalla cantina di un vecchio stabile abbandonato e, di fronte, da un muro in cartongesso che doveva essere stato costruito da poco per evitare che gli studenti, dal cortile della scuola, se ne andassero chissà dove.
L'unico modo per accedere a quello spazio era il vicolo da cui era arrivata.
In precedenza doveva essere stato utilizzato come retrobottega: c'era ancora un cassonetto abbandonato, vuoto ma pieno di scritte di qualche ragazzino che doveva essersi divertito con le bombolette spray e, in un angolo, una rientranza nel muro probabilmente era servita ad appoggiarvi qualche macchinario.
Lei, la utilizzò per sedersi.

«E' stato più facile del previsto convincerti.»
Con calma, anche lui l'aveva raggiunta.
Prese posto di fianco a lei, lasciò cadere la cartella ai suoi piedi e appoggiò la testa al muro chiudendo gli occhi: doveva essere il suo modo di rilassarsi, quello, dato che aveva assunto la stessa posizione in autobus.

Passarono qualche minuto in silenzio e poi, quando Y/N sentì suonare la campanella della scuola in lontananza, sospirò: le lezioni ormai erano iniziate, tanto valeva rassegnarsi.

«Perché vuoi parlare con me?»
La vera domanda che avrebbe voluto fargli sarebbe stata più specifica e, a dirla tutta, le ronzava in testa da giorni: perché aveva detto di volerla?
Perché si ostinava ad insistere con lei quando avrebbe potuto semplicemente vivere in serenità con la sua ragazza o provare ad averne altre ai suoi piedi di sicuro più facili da conquistare?

«Me lo devi dopo essere sparita per tutto il weekend, non credi?»
Come facesse ad essere così a suo agio mentre sparava cazzate così grosse, rimaneva tutt'ora un mistero.
Eppure Kuroo Tetsuro non si era scomposto di un millimetro, parlava come se fosse sinceramente convinto della sua affermazione.

«Sei tu quello che non si è più fatto sentire!»
Ecco, l'aveva detto.
Si era ripromessa di non fargli vedere quanto la cosa gli avesse dato fastidio, ma non ce l'aveva fatta a trattenersi: era stata, di nuovo, troppo impulsiva.

Il problema era che non ne poteva più delle mancanze, era stanca di aspettare messaggi che non sarebbero arrivati, esausta di promesse non mantenute: non da Kuroo, era ovvio, ma era più facile riversare su di lui le frustrazioni della sua relazione con Atsumu.
Gli uomini erano tutti uguali: le aveva detto fin troppo esplicitamente di essere interessato a lei e poi era scomparso.
Tipico.

«Non potevo sapere quando il tuo ragazzo sarebbe andato via.»
Chiaro, plausibile, coerente.
Con poche parole era riuscito a farle capire che non aveva secondi fini, che non aveva inutili scuse da proferirle per la sua assenza, ma solo la naturale conseguenza della situazione in cui si trovavano.
Non le aveva scritto semplicemente perché Atsumu avrebbe potuto vedere un messaggio e la cosa avrebbe comportato non pochi problemi.
La sua risposta fu talmente sincera da lasciarla spiazzata.

«Potevi scrivermi tu, se ti mancavo tanto.»
L'atmosfera fu rovinata dal quell'irritante sorrisetto che spuntò sulle sue labbra, mentre con un occhio solo aperto la guardava di sbieco.

«Continua a sognare.»
Y/N assottigliò le palpebre, replicando a tono.
Lui continuò a sorridere, richiudendo gli occhi e tornando all'interno di pensieri che, nemmeno dopo anni, Y/N riuscì mai a scorgere.

«Anche tu potevi essere con la tua ragazza.»
Ad interrompere il silenzio fu di nuovo lei e, stavolta, Kuroo aprì entrambe le palpebre sogghignando appena.

«Io non ho una ragazza.»
Si era sporto in avanti con il busto appoggiando le braccia sulle ginocchia, aveva tirato su con il naso e l'aveva guardata negli occhi: era sincero.

«Ma-»
Era sicurissima che frequentasse una ragazza: per quanto sembrasse onesto, la prima sera in cui avevano parlato era stato proprio lui ad ammettere di essere impegnato.
Non poteva credergli.

«L'ho lasciata.»
Lo disse con così tanta freddezza che fu proprio l'assenza di rimorso a colpirla, più del fatto in sé.

«Cosa?! Quando?!»
Come si poteva rimanere impassibili di fronte alla fine di una relazione? Come riusciva a sorridere, ridere ed essere lì con lei come se nulla fosse?

«Mmh...sabato sera.»
Prima di risponderle stiracchiò le lunghe braccia verso l'alto, sbadigliando pigramente e sollevando un sopracciglio nell'intento di ricordare.

«Perché?!»
Era così semplice, per lui, lasciare qualcuno che l'aveva fatto stare bene? Era davvero il bastardo senza cuore di cui si parlava tanto tra le mura scolastiche?

«Qualcun altro ha attirato la mia attenzione.»
Non gli rispose, era confusa.
Da una parte Y/N sentiva di ammirarlo dal profondo del suo cuore: quel ragazzo non si faceva problemi per niente e per nessuno, se non per sé stesso.
Non esistevano vie di mezzo per Kuroo Tetsuro, non c'era un forse che stava tra il giusto e lo sbagliato: se qualcosa non gli piaceva più, veniva messo da parte.
Lui non tentava di aggiustare, di rimediare, di trovare una soluzione se non ne vedeva la reale necessità o qualcosa che gli facesse credere che ne valesse la pena.

Loro due erano, almeno in quel periodo, gli esatti opposti: Y/N arrancava in una relazione in cui non c'era alcun futuro, si aggrappava alla speranza che le cose cambiassero senza dover fare nulla, inerte ai sentimenti che piano piano sviluppava per Kuroo e ignara del fatto che, in quel modo, avrebbe ferito non solo sé stessa, ma anche gli altri due.
Kuroo aveva sentito il bisogno di voltare pagina e l'aveva fatto, aveva compreso di provare interesse per Y/N e aveva lasciato la sua ragazza: non c'era nessuno che avrebbe potuto ferire, tranne sé stesso.

«Come va con Miya?»
Chissà quanto tempo era rimasta a fissare un punto vuoto del muro, prima che lui le ponesse quella domanda inaspettata.

«Bene.»
Era automatico, ormai, che rispondesse in quel modo sulla difensiva: era come una macchina automatizzata che rispondeva in base alle impostazioni di fabbrica, solo che non avrebbe voluto farlo così aspramente.
Notò lo sguardo sorpreso di lui e gli fu grata quando non infierì, nonostante fosse certa che avesse capito cosa si nascondesse dietro quella risposta fin troppo tempestiva.

«State da tanto insieme, vero?»
C'era qualcosa in lui che le infondeva sicurezza: se qualcuno li avesse visti da fuori, magari in un bar e non in uno squallido vicolo nascosto dal resto del mondo, avrebbe pensato che fossero puramente due amici che non si vedevano da tanto tempo e si aggiornavano a vicenda sulle loro vite.

«Hai, quasi tre anni.»
Anche lei si era tranquillizzata, dopo aver compreso che Kuroo non si sarebbe spinto troppo nei particolari con le domande: le aveva dimostrato, a modo suo, che forse poteva davvero fidarsi.

«Beh, più o meno.»
Non seppe mai spiegarsi il motivo per cui si sentì in dovere di chiarire quel dettaglio: di solito, quando parlava del suo ragazzo, evitava di soffermarsi su quell'argomento per evitare di ricordare.
Ma quella mattina, ormai, era tutto diverso dal solito.
Kuroo la osservava con aria interrogativa, tuttavia senza parlare: era sempre stato un buon ascoltatore.

«Ci siamo lasciati un anno fa, poi siamo tornati insieme a settembre.»
Aveva deliberatamente omesso il fatto che fosse stato Atsumu a lasciarla e che lei avesse passato l'estate a piangere.
Non era ancora pronta a raccontargli tutto.

«Capisco.»
Kuroo aveva annuito, si era passato la mano destra tra i folti capelli neri e aveva distolto lo sguardo per un momento, prima di tornare ad osservarla.
Sembrava intento a decidere qualcosa di importante, probabilmente se parlare o meno, visto quello che le disse un attimo dopo.

Quella fu la prima volta che Y/N notò il modo in cui serrava la mascella indurendo tutta l'espressione del viso quando era indeciso sul da farsi: succedeva poche volte, data la sua estrema arroganza, ma quando accadeva, lei sapeva sempre riconoscerlo.

«Mi è sembrato di vederlo a qualche festa, durante l'estate.»
C'era molto altro dietro quelle parole.
Y/N era a conoscenza di quanto e in che modo Atsumu si fosse divertito per tre mesi mentre lei soffriva, sapeva della sua presenza a quasi tutte le fottutissime feste che c'erano state nel periodo estivo ed era al corrente di tutte le altre ragazze con cui era stato.
Kuroo lo sapeva, ma non glielo disse: forse per non ferirla, o forse solo per sondare il terreno, non aggiunse altro.

«Lo so.»
Il suo cuore non era ancora guarito del tutto da quel periodo, forse non l'avrebbe mai fatto davvero: sperava che, con quella risposta, lui...capisse.
Kuroo la guardò intensamente, poi annuì, tornando ad appoggiare la schiena al muro.

«Tu stavi da tanto con quella ragazza?»
Aveva parlato tanto di sé, forse addirittura troppo, e si era dimenticata di chiedergli qualcosa di lui.

«Due o tre settimane, forse.»
L'atmosfera non era più pesante, Kuroo diede un'occhiata all'orologio ed entrambi capirono che era giunta l'ora di andare.

«Ma non preoccuparti...»
Il corvino si alzò, si sistemò la camicia, diede due leggeri colpetti sui pantaloni per rimuovere la polvere del posto in cui si trovavano, e le porse la mano invitandola ad alzarsi.
Lei la rifiutò, lui sorrise.
Orgogliosa.

Quando furono fianco a fianco, in piedi, lui la guardò sornione.

«Posso sempre tornare da lei alla fine dell'estate, sembra sia la chiave per una relazione da favola.»
Y/N tentò di trattenersi in ogni modo, ma scoppiò a ridere: con qualcun altro, o da sola, oppure in una qualsiasi altra situazione avrebbe pianto.

Con lui no: lui l'aveva fatta ridere.

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Quanto amo gli inizi di un amore, non avete idea!
Più che altro amo descriverli, insomma, avete capito (spero).

Vi è piaciuto il capitolo?
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Love u guys

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