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Capitolo 3: Cursed.

La mattina impiegava come minimo un'ora, prima di essere bell'e pronta alla fermata dell'autobus.

Non che avesse particolari cose da fare, soprattutto in quel periodo dell'anno in cui, quando apriva gli occhi, il sole doveva ancora nascere dietro la fitta foresta di grattacieli che si stendeva ad est di Tokyo.
Semplicemente, la sua abitudine era quella di perdere un abbondante quarto d'ora lamentandosi del più e del meno: la maggior parte delle volte se la prendeva con quel maledetto che aveva deciso che si dovesse andare a scuola la mattina, altre inveiva contro sé stessa, che non aveva ancora rinunciato agli studi, altre ancora contro i suoi, che non le avevano procurato un insegnante privato a casa.

Dopo i soliti deliri, la situazione cominciava a migliorare dopo una generosa tazza di caffè fumante, rigorosamente amaro: come la sua vita, pensava spesso, con gli occhi vitrei e un sopracciglio inarcato che puntava verso il buio orizzonte oltre la finestra della cucina.

La rimanente mezz'ora le bastava per rimettersi in ordine i capelli, sempre un disastro secondo la sua opinione, concedersi un velo di mascara, infilare la divisa non mancando mai di lamentarsi anche di quella, e arrivare, arrancando e lagnandosi della fatica, appena un attimo prima che il bus proseguisse la sua corsa.

Non era colpa sua: lei ci provava ad essere sempre in orario, a volte ci riusciva pure, ma la maggior parte delle volte arrivava all'ultimo momento o in ritardo.

L'abitudine come concetto non era un'idea con cui andava d'accordo: il solo pensiero di dover trascorrere tutta la vita nello stesso identico modo e facendo le stesse identiche cose le dava sui nervi, eppure era diventata un'abitudinaria, da un paio di anni a questa parte.

Il sedile in seconda fila dell'autobus, accanto al finestrino, era stato etichettato dalla sua mente come suo e, ormai, parevano averlo capito anche gli altri passeggeri, dato che era sempre libero: si sedeva, infilava le sue cuffiette nere nelle orecchie, si raggomitolava su sé stessa e cominciava a viaggiare con il pensiero.

Aveva tanta, tantissima immaginazione, l'aveva sempre avuta fin da bambina, quando scorrazzava nel prato con un ramoscello in mano e lanciando incantesimi a destra e a manca.
Ovviamente, a pochi mesi dal raggiungimento della maggiore età, Y/N aveva smesso di gironzolare per casa con una coperta a mo' di mantello, ma continuava a fantasticare nella sua testa, rifugiandosi in mondi che erano interamente suoi: una mattina sognava di essere una guerriera che combatteva sulle note di una canzone metal, un'altra si limitava ad essere nel bel mezzo del suo romanzo preferito con l'affascinante protagonista, ballando una musica più dolce e armoniosa, un'altra ancora riviveva le avventure che aveva visto nel film la sera precedente, immergendosi nelle parole di un testo commerciale.

Certo, nessuno immaginava che in quel cespuglio di capelli h/c si nascondesse una tale creatività: da fuori era una semplice studentessa imbronciata che ascoltava la musica, non molto diversa da tanti altri ragazzi della sua età.

Il suono di una notifica nelle sue orecchie spezzò la fantasticheria di quel mattino, una nota stonata in quella magnifica canzone che stava ascoltando: chi diavolo era stato ad inviarle un messaggio a quell'ora del giorno?
Possibile che Atsumu, dopo mesi, si fosse ricordato di mandarle per primo il buongiorno?
La studentessa della Nekoma scrollò le spalle: i miracoli possono sempre avvenire e magari si era sentito in colpa per non averle risposto la sera prima.

Quando Y/N, tuttavia, sbloccò lo schermo del cellulare, si ritrovò di fronte agli occhi la dura realtà.

RoosterHead
Buongiorno, bambina.
7.47

Era stata convinta, per tutto quel meraviglioso lasso di tempo da quando si era svegliata, di aver sognato quella sfida, invece la prova che Kuroo Tetsurō l'avesse battuta era lì, tangibile sui pixel del display e Y/N sapeva perfettamente che quel messaggio era solo il primo di una lunga serie: lui voleva il suo premio.

Il motivo per cui nel suo stomaco avessero preso ad agitarsi un paio di fastidiosissime farfalle decise fosse meglio non scoprirlo e, soprattutto, non darci troppa importanza.

Il primo istinto fu quello di chiudere l'applicazione e lasciar perdere, dopotutto era meglio non rispondere e aspettare che trascorressero un paio di giorni: sarebbe passata per una vigliacca e una bugiarda che non mantiene fede alle promesse ma, in fondo, a chi importava del suo parere?
Che potesse mettere in giro la voce della loro scommessa, poi, era fuori discussione: anche lui era impegnato con una persona, perciò non gli conveniva essere al centro di pettegolezzi.
La questione sarebbe finita lì, Y/N non aveva neanche più l'ansia della sera prima: dormire aveva fatto bene ai suoi nervi.

La mente, però, funziona in modo imperscrutabile e, rileggendo le due parole di quel messaggio, il confronto fu impossibile da evitare: uno sconosciuto le aveva appena dato il buongiorno, il suo ragazzo non le scriveva dall'ora di cena del giorno prima.

Y/N
Buongiorno.
7.50

Le unghie smaltate ticchettarono sul vetro del telefono spinte da quell'irrefrenabile spirito vendicativo che era rimasto sopito per quasi tre anni e che ora era venuto fuori incontrollato, forte, ambizioso: se Atsumu avesse continuato a non darle le attenzioni che meritava, le avrebbe avute da qualcun altro.

RoosterHead
Sai che cosa sto aspettando.
7.51

Y/N sorrise: le piaceva la sua irriverenza, le piaceva il fatto che non avesse il benché minimo interesse a girare intorno alle cose, andava dritto al punto e non aveva un briciolo di pazienza.
Non tentava di piacere alle persone: era così e basta e se a qualcuno non andava bene, se ne andasse pure al diavolo.

Y/N
Non possiamo continuare a parlare da quest'app?
7.51

Il fatto che provasse innegabilmente una simpatia per quel carattere arrogante non significava però che gliel'avrebbe data vinta: un pizzico di vendetta andava bene, ma lo sapeva anche lei che concedergli il numero sarebbe stata tutta un'altra cosa.

RoosterHead
No.
Pretendo il mio premio.
7.52

Si concesse, attenta a non farsi vedere dal resto dei passeggeri, una risatina sinceramente divertita: da quanto non rideva così limpidamente?
L'allegria, però, durò poco: un altra notifica era comparsa sul telefono e, stavolta, non apparteneva al corvino.

Atsumu
Buongiorno tesoro!
Scusa, ieri studiavo con i ragazzi e non c'era segnale ;)
7.52

Chi non muore si rivede, così dice il proverbio, anche se Y/N, per un secondo, ebbe la netta sensazione di star sviluppando un certo istinto omicida verso il suo ragazzo: da quando in qua Atsumu Miya studiava fino a tardi?
Senza contare poi che si trovava in una scuola privata, dato che gli allenamenti non permettevano ai ragazzi talentuosi come lui di frequentare una scuola pubblica: non aveva bisogno di studiare così tanto.

Y/N
Con chi eri?
7.53

Se Atsumu fosse stato attento o, ancora meglio, se gli fosse importato qualcosa di ciò che la sua ragazza provava o pensava, si sarebbe accorto anche da quelle tre parole che non era il ritratto della felicità: non aveva neanche ricambiato il buongiorno, preferendo indagare, in modo piuttosto diretto, immediatamente.

Atsumu
Suna, Ginjima e Misaki :)
7.54

Già dopo aver letto i primi due nomi il suo volto aveva assunto un'espressione indispettita e il suo stomaco si era contorto su sé stesso: non sopportava né l'uno, né l'altro.
Ma solo dopo l'ultimo Y/N era stata tentata di aprire il finestrino e lanciare il telefono per strada: Hana Misaki era una ragazza che frequentava lo stesso istituto di Atsumu ad Osaka, era una delle manager delle squadre e trascorreva tutto il suo dannatissimo tempo assieme a lui.

Non le era stata simpatica fin dalla prima volta in cui l'aveva vista: quando era andata ad assistere ad una delle partite, il biondo alzatore le aveva presentate e quella se n'era uscita squadrandola da capo a piedi e affermando che non pensava che ad Atsumu piacesse quel genere di ragazza.
Che cosa diamine intendesse rimaneva tutt'ora un mistero, ma rimaneva anche il fatto che Y/N non la vedesse di buon occhio, soprattutto se passava anche la sera, oltre gli allenamenti, con il suo ragazzo, nella sua camera a "studiare".

Glielo aveva detto almeno un'infinità di volte che avrebbe preferito non trascorresse più tempo del dovuto con lei, ma l'aveva sempre liquidata innervosendosi e asserendo che stesse esagerando, con quella gelosia insensata: lui non l'avrebbe mai tradita.
Facile per lui, non era stata lei a lasciarlo prima dell'estate, non era stato lui a piangere, soffrire, supplicare affinché tornassero insieme.

Y/N sentì gli occhi inumidirsi, ricordando quel periodo: era già difficile sostenere una relazione a distanza dopo quello che le aveva fatto passare, avrebbe solo voluto un po' di comprensione e, magari, qualche attenzione in più.

Il bus arrestò la sua corsa: fuori dal finestrino gli alberi di ciliegio erano in piena fioritura e gli studenti si affrettavano a raggiungere l'entrata del liceo Nekoma di Tokyo.

Y/N si asciugò una lacrima, l'unica che era sfuggita al suo ferreo controllo, con il dorso della mano, chiuse la chat con il suo ragazzo senza neanche rispondergli e aprì quello stupido giochino di quiz: se Atsumu poteva divertirsi alle sue spalle, lo avrebbe fatto anche lei.

Y/N
*numero di telefono*
A più tardi.
7.55

Indossò il suo sorriso migliore, raddrizzò le spalle e la schiena, si passò l'indice sulla palpebra inferiore per scongiurare tracce di mascara colato e si preparò a recitare la sua parte: poteva anche caderle il mondo addosso ma lei sarebbe stata sempre, di fronte agli altri, la perfezione.

Poco prima dell'edificio scolastico, sul lungo viale contornato da alberi, due occhi dorati e dal taglio allungato si videro sfilare accanto una massa di capelli h/c che non lo notò minimamente.
Sorrise: presto non avrebbe potuto fare a meno di farlo.

☆☆☆

Il solo rumore che avrebbe voluto sentire durante l'ora della sua materia preferita sarebbe stato esclusivamente quello della voce della professoressa.
Adorava il venerdì, non solo perché ne sarebbe conseguito il fine settimana, ma anche perché, fin dalla prima ora, era un susseguirsi di lezioni interessanti e per niente noiose.
Almeno il più delle volte.

In ogni caso, la minuziosa attenzione riposta nel prendere appunti le era funzionale anche per distrarsi dai recenti avvenimenti: la sua vita, lo sentiva nel profondo del suo cuore, stava per andare a rotoli e lei stava camminando sull'orlo della disperazione.
Ci mancava solo il fastidiosissimo suono della vibrazione intermittente del telefono del suo amato vicino di banco: Y/N sollevò gli occhi dal quaderno solo per fulminare il diretto interessato, alla sua sinistra.

«Non guardare me, ho il silenzioso.»
Kozume Kenma non si era nemmeno degnato di guardarla, si dondolava sulla sedia con la schiena appoggiata al muro dietro di sé e nel frattempo giocherellava con il cellulare: il genio si poteva permettere di farsi beatamente gli affari suoi durante ogni singola lezione, avrebbe avuto il massimo dei voti in ogni caso.

Y/N sollevò gli occhi verso il soffitto: non poteva essere nessun altro, sicuramente i giochi gli avevano fritto talmente tanto il cervello da non accorgersi di non aver mutato il telefono.

Un altra vibrazione.
La ragazza si voltò di colpo verso il biondo, furente: la stava forse prendendo in giro? Era certa che quel suono provenisse da lui.
Ma Kenma non si scompose, anzi, sbuffò sonoramente attirando l'attenzione dei due compagni di fronte a loro, in penultima fila, e indicò con gli occhi qualcosa ai suoi piedi: la cartella di Y/N.

Che intendesse...?
No, non era possibile che fosse il suo cellulare, nessuno avrebbe potuto scriverle durante le ore scolastiche: Atsumu sapeva perfettamente quanto le avrebbe dato fastidio, inoltre figurarsi se avrebbe sprecato più messaggi di quelli che già le aveva mandato prima; Kenma era là accanto a lei e i suoi erano a lavoro.
Il resto degli individui che conosceva non avrebbero avuto motivo di inviarle dei messaggi e le persone più importanti nella sua vita erano già state escluse: allora chi diavolo era?

Lei non aveva gli stessi privilegi del biondo alla sua sinistra, che veniva graziato anche se trovato con il telefono in mano durante le lezioni, perciò dovette fare molta attenzione a non farsi vedere mentre si chinava a prendere il suo: doveva assolutamente spegnerlo, ma prima sentiva il bisogno di scoprire chi fosse lo sconsiderato che le scriveva così insistentemente.

Con una rapida occhiata si assicurò di non essere osservata dalla professoressa e, con la mano tremante in un misto di nervosismo e paura di essere richiamata, sbloccò lo schermo: dodici messaggi non letti.

Per un secondo, prima di aprire la chat, la vena sulla sua fronte si ingrossò pericolosamente: il mittente era un numero non registrato nella rubrica, ma Y/N non ebbe molte difficoltà ad immaginare a chi appartenesse.
Neanche un'ora prima aveva dato il suo numero a quell'idiota e già se ne stava pentendo: insomma, che cazzo aveva da dirle di così importante da scriverle ben dodici messaggi?!

Non restò molto tempo incazzata: giusto quei millisecondi prima di leggere il primo messaggio, poi, il suo volto si infiammò.

Numero sconosciuto
Sei più bella di quanto non sembri in quella foto.
8.09

In un lampo la chat era stata chiusa, il telefono spento e letteralmente lanciato all'interno della sua cartella, dove sarebbe anche potuto esplodere, tanto meglio.

Y/N aveva le guance arrossate, le mani tra i capelli, gli occhi spalancati e il mento abbassato sul quaderno nel presumibile tentativo di non far notare a nessuno quanto fosse diventata rossa.
Accanto a lei Kenma la guardava con un sopracciglio alzato, scuotendo la testa: che fosse sempre stata pazza lo sapeva, ma non fino a questi livelli.

☆☆☆

Fu condannata a passare il resto della mattinata tra improvvise vampate di calore, quasi fosse in menopausa, e scatti nervosi dovuti al ricordo di quel messaggio: per prima cosa, come diavolo si era permesso di criticare la foto del suo profilo?
A questa domanda il suo corpo reagiva assottigliando gli occhi in un'espressione contrariata e al contempo indagatrice, che fortunatamente i compagni di classe scambiavano per interesse alla lezione.

O forse le voleva fare un complimento?
Questa domanda, invece, le provocava, chissà come mai, un violento arrossamento delle guance.

Insomma, alla fine le aveva detto che era bella.
Poi era la volta del sorriso sognante e gli occhi da cerbiatta e, a quel punto, era il suo compagno di banco a fare una smorfia sospettosa, oltre che lievemente schifata.

Oh, andiamo, cosa le importava?! Assolutamente niente.
La discussione con sé stessa, che si ripeteva almeno una volta ogni trenta minuti, si concludeva con le mani sbattute sul banco e le guance gonfie di rabbia, come una bambina impermalosita.

Era così frustrata che non uscì dall'aula neanche per la ricreazione.
O almeno questo è quello che si impose di credere: in realtà fu la paura di incontrarlo e di andare maggiormente in confusione che la tennero saldamente ancorata alla sedia.

Quando, finalmente, suonò la campanella che segnava la fine delle lezioni, Y/N abbandonò il suo posto saettando tra gli studenti come un'antilope: prima sarebbe arrivata all'autobus, prima sarebbe tornata a casa, sana e salva dal pericolo di due famelici occhi dorati.

Salì i tre scalini del mezzo di trasporto cullata dalla certezza di essere al sicuro, si accoccolò nel suo solito sedile distendendo i nervi e tirando un sospiro di sollievo: non avrebbe dovuto vedere Kuroo Tetsurō fino a lunedì e, magari, durante il weekend si sarebbe scordato di lei, così da non dover averci più niente a che fare.

Sfilò il telefono dalla cartella.
Dopo averlo tenuto spento per l'intera mattina per colpa di quel farabutto era giunto il momento di accenderlo: non aveva comunque intenzione di rispondere ai suoi messaggi, era chiaro.

L'autista mise in moto il motore, le porte automatiche si chiusero e gli ultimi passeggeri si affrettarono a prendere posto.

Y/N era sempre stata una ragazza distratta, non le ci voleva niente a perdere coscienza del mondo che la circondava quando si perdeva nei meandri della sua mente complicata, e quando si accorse dell'individuo che si era appena seduto al suo fianco era ormai troppo tardi.

Si era voltata alla sua sinistra giusto per conoscere il nome dello studente che avrebbe dovuto aggiungere alla sua lista nera per aver osato sedersi al suo fianco: odiava affiancare qualcuno sui mezzi pubblici, era certa che gli abitudinari passeggeri di quella linea lo avessero capito dal fatto che appoggiava sempre la sua cartella sul sedile libero, proprio per evitare compagni di viaggio.
Evidentemente lo scellerato che le aveva appena gettato in grembo la suddetta cartella non aveva idea del nemico che si era appena creato.

Aveva previsto di vedersi accanto uno studente più piccolo particolarmente sfrontato, o magari un anziano capitato nel bus degli studenti per sbaglio, o, nella peggiore delle ipotesi, l'ennesimo ragazzo che voleva provarci con lei pur sapendo che fosse impegnata.
Andiamo, era impossibile che qualcuno non sapesse della sua relazione con Atsumu.

Solo quando mise a fuoco dei folti capelli neri a una spanna dal suo viso, Y/N realizzò che neanche nel peggiore dei suoi incubi avrebbe mai potuto immaginare che la tortura di quell'orrendo venerdì non era ancora finita.

Kuroo Tetsurō se ne stava lì seduto come se nulla fosse, gli occhi fissi di fronte a sé come se lei non esistesse, la testa appoggiata allo schienale nella posa più naturale e rilassata che avesse mai visto in vita sua: per un attimo ebbe il dubbio di aver sbagliato persona.

«Sei pazzo?!»
Era stato come il sibilo di un serpente, quello uscito dalle labbra di lei, tanto che non era neanche sicura che l'avesse sentita.
Il volto di Y/N era l'opposto di quello di lui, contorto dallo stupore, dall'irritazione e dalla rabbia, la bocca era spalancata, così come i suoi occhi: adesso sì che la sua vita era finita.

«Rilassati, bambina.»
Il corvino, in tutta risposta, aveva chiuso gli occhi e si era stiracchiato sul sedile con fare annoiato, come se volesse solamente dormire e lei lo stesse importunando.

Come faceva ad essere così tranquillo? Come riusciva a starle accanto sapendo che da quel momento in poi l'intero studentato avrebbe scoperto che nascondevano qualcosa?
Dire che Y/N fosse sconvolta sarebbe stato riduttivo.

«Ci stanno guardando tutti
Forse a quell'epoca aveva una leggerissima mania di protagonismo: ripensandoci, anni più tardi, Y/N rideva spesso ricordando quanto fosse spaventata quel giorno.
Era convintissima che, nell'esatto momento in cui Kuroo le si era seduto a fianco, un provvidenziale allarme rosso fosse scattato nella mente di tutti i presenti e che nelle loro teste si fosse materializzata, come per magia, la conoscenza dei loro messaggi.
Come se ci fosse qualcosa di male, poi, a parlare con un'altra persona.

«Tutti?»
Kuroo Tetsuro riaprì gli occhi e scoppiò in una sonora risata, trattenendosi addirittura l'addome per quanto si stesse divertendo.
Y/N, alla sua destra, lo guardava confusa, con un sopracciglio alzato: quella reazione di certo non se l'aspettava.

«Pensi di essere al centro dell'universo forse?»
Tra uno sghignazzo e l'altro, quella fu l'unica cosa che riuscì a dirle, per poi riprendere a ridere un secondo dopo.
Y/N incrociò le braccia al petto, aggrottò la fronte e si voltò, offesa e imbarazzata, dalla parte opposta: decise, in quel preciso istante, che quel ragazzo fosse la persona che odiava di più al mondo.

Kuroo, d'altra parte, era sicuro che sarebbe soffocato dalle risate: diamine, quella ragazza era davvero convinta che l'intero mondo si preoccupasse di lei soltanto?
Solo quando riprese fiato, dopo due minuti buoni, e si voltò verso di lei, si accorse che probabilmente non stava scherzando, era preoccupata davvero: si era rannicchiata il più lontano possibile da lui e non accennava a volerlo degnare di uno sguardo.

«Guardati intorno, nessuno ti sta guardando.»
La sua voce si era ammorbidita e aveva sussurrato, come aveva fatto lei, nel tentativo di cancellarle quell'espressione imbronciata.
Dopo una manciata di secondi il suo piano ebbe l'effetto sperato: guardinga, la ragazza aveva lasciato cadere le braccia e aveva voltato piano il viso, scrutando alle loro spalle.
Effettivamente, ogni persona presente non sembrava minimamente interessata a loro due.

«Nessuno...a parte me.»
Proprio adesso che Y/N si era lievemente tranquillizzata, ecco che lui se ne veniva fuori con quella frase: sentì una nuova vampata di calore infiammarla e, stavolta, non era per imbarazzo.

«Che cosa vuoi?»
La migliore difesa è l'attacco: niente di più vero.
Y/N aveva preso a rigirarsi il cellulare tra le mani, abbassando non solo lo sguardo, ma tutto il volto, nella speranza che i ciuffi dei suoi capelli andassero a nascondere l'effetto che lui le aveva provocato.

«Quanto siamo maleducate.»
Se quella ragazzina pensava di poter nascondere il colore sulle sue guance in quel modo si sbagliava di grosso: a lui non sfuggiva niente, soprattutto se il soggetto lo interessava particolarmente.

«Pensavo sorridessi sempre e fossi carina con tutti.»
Lo capì qualche tempo dopo, Y/N, che quella fu la prima della lunga serie di frecciatine che Kuroo Tetsurōo si divertiva a scagliarle contro: in pochi minuti di conversazione quel ragazzo aveva capito di lei più di chiunque altro.

«Sono carina con chi se lo merita.»
Lui, di certo, non se lo meritava per niente.
Forse, e solo forse, era un bel ragazzo, ma insopportabile.

«Come-»
D'accordo, il fatto che avesse sempre la risposta pronta era la seconda cosa che trovava di positivo in quell'individuo, ma nulla di più.
E, in ogni caso, non gli diede il tempo di replicare.

«Dimmi che cosa vuoi.»
Il calore sulle guance era passato, Y/N aveva avuto tutto il tempo di riprendersi ed era pronta ad attaccare di nuovo: si voltò verso di lui, guardandolo negli occhi per la prima volta.

Il brivido che le provocò la pelle d'oca su tutta la superficie del corpo fu lo stesso che avrebbe sempre continuato ad avere ogni volta, da quel momento, per tutta la sua vita.
Sarebbe dovuta scappare all'istante da quegli occhi, avrebbe dovuto accorgersene subito che avevano il potere di stregarla, di far sì che ci annegasse dentro senza poter riemergere: da quell'istante si sarebbe dannata l'anima per il resto dei suoi giorni.

Lui sembrava essere perfettamente consapevole dell'effetto che le aveva fatto: lo vide sorridere, un sorriso vittorioso, sicuro di sé, prima di sferrare lo scacco matto in quel gioco di sguardi.

«Te.»

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Avevo preannunciato che Omnia vincit amor ha la priorità, quindi gli aggiornamenti qui saranno un po' a rilento, ma cercherò di fare il possibile.

Si sono incontrati, finalmente.
Piano piano scopriamo il carattere della protagonista: di base pungente e orgoglioso, ma da anni dorme sotto mentite spoglie di carineria e finta dolcezza.
Al contrario, Kuroo è sempre vero.

Mentre Atsumu? Che ne pensate?

A presto, amatissimi lettori. ❤️


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