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Capitolo 5.

Saint's pov.
Quando aprii il pacchetto che mi consegnò rimasi impietrito.
Per chi mi aveva preso? Mi aveva compatito come avevano fatto tutti gli altri in passato?
Come poteva? Come, dopo tutto quel tempo.
Evidentemente non valeva niente la mia amicizia per lui.
Mi arrabbiai.
Mi arrabbiai come mai prima e non volevo neanche parlargli.
Quando se ne andò non lo fermai, non mi sentiva, non mi aveva capito e io non volevo farlo con lui.
Non ascoltai davvero le sue parole, dalla mie labbra uscirono delle sillabe in automatico senza neanche posarci un pensiero.
Non riuscivo ad oltrepassare il suo comportamento per quanto volesse aiutarmi non era quello il modo.
Passarono molti giorni, giorni che sembravano contenere l'eternità, il tempo si era così tanto dilatato che un solo momento trascorso senza sembrava una stagione intera.
Non lo incontrai neanche per sbaglio, anche se andai in quel lato del corridoio dove c'era la sua classe.
Per appianare e dare pace alla mia mente, per far finta di mantenere quella parvenza e facciata d'orgoglio che mi divorava mi dicevo che ero di passaggio, che dovevo camminare necessariamente lì o non sarei potuto arrivare nella mia aula quando in realtà non era vero.
Ero così dannatamente orgoglioso che non riuscivo a chiamarlo ora che potevo, che, anche se guardavo nella sua aula in realtà speravo di non incrociare il suo sguardo perché per me aveva sbagliato.
Aspettavo, aspettavo e speravo che tornasse da me, mi mancava.
I miei pensieri erano in perenne contraddizione.
"Manda un messaggio"
"Ma no, così ti pieghi deve capire che non può usare i soldi con te in questo modo"
"Zee mi manchi da morire, torniamo come prima, non abbiamo mai litigato così, non voglio perderti."
Iniziai esternamente a toccarmi i capelli e a buttarmi letteralmente sul banco incatenato dai miei continui cambi di idee.

<<Hey amico, cos'hai? Oggi sei davvero strano>> mi disse Tommy, intanto a prendere i libri della prossima materia in programma.

<<Odio la letteratura, non la sopporto>> non ero abituato a dire agli altri come mi sentivo, tendevo a tenerlo dentro per paura che non mi capissero a pieno, che prendessero in giro le mie emozioni, così mentii, trovavo riparo nella menzogna quando non riuscivo o volevo espormi.
Solo con Zee ero me.

<< Dai, se vuoi posso darti una mano, mi piace davvero l'argomento che stiamo studiando...>> continuò a parlare come suo solito.
Avevo il cuore pesante e le orecchie ovattate, abbassai la testa tra le braccia che erano ormai abbandonate su quella superficie fredda quando decisi che a fine lezione lo avrei aspettato fuori i cancelli della scuola.
Per quanto continuassi ad andare al salice non lo trovai, non venne, almeno non fisicamente.
Lui non c'era ma c'erano i nostri ricordi che acquietavano il mio cuore in balia del dolore.
Avevo sbagliato? Perché non tornava? Perché non gli mancavo come lui mancava a me?
Più dell'aria, più del cibo, più della libertà, mi mancava.
Aspettai, continuai ad aspettare anche non vedendolo arrivare, la scuola non era proprio l'ambiente di Zee, dovevo immaginarlo che non ci avrebbe messo piede.
Capii ancora di più com'era Zee
Non esternava spesso come si sentiva e la maggior parte delle volte, se lo faceva, lo dimostrava con le azioni.
Era testardo, come me.
Era orgoglioso, peggio di me
Perché faceva venire meno i miei capisaldi?
Perché non riuscivo a mantenere le mie posizioni con lui?
Perché solo il mio orgoglio si sgretolava?

Zee's Pov.
Sarei un bugiardo a dire che non andavo al salice perché quello era l'unico posto davvero suo e che volevo lasciarglielo.
Non andavo perché non volevo vederlo, perché mi faceva stare male l'idea che lui tra tutti, infondo, non mi conoscesse davvero.
A scuola ci andavo ma rimanevo per poco o sgattaiolavo via prima così non correvo il rischio di situazioni imbarazzanti.
La cosa era diventata più grande del previsto e nessuno dei due riusciva a fermarla, tutte e due sapevamo ma nessuno la interrompeva.
Erano trascorsi cinque giorni, cinque giorni in cui non avevo vissuto per questo li tenevo a mente.
Quanto può essere devastante l'assenza di qualcuno che era il tuo pilastro, supporto, essenza.
I piedi quel giovedì, di quello che credevo un normale giorno d'ottobre mi condussero al nostro posto.
L'erba ormai era diventata secca, l'autunno iniziava ad avanzare sempre di più e lì disteso tra le dolci carezze del vento si trovava il corpo della mia persona, perché Saint era parte di me, la parte più bella.
Dormiva.
Dormiva beato.
Mi avvicinai piano, cercando di non fare rumore l'unico che si sentiva era il flebile movimento dell'acqua del fiume contro la riva non molto lontano.
Era sdraiato con la schiena rivolta al cielo e le braccia portate intorno al capo, quasi a volersi nascondere.
Appoggiai la giacca della mia divisa sulle sue spalle troppo magre e che erano coperte solo dal leggero tessuto della camicia scolastica. Portai cautamente la mia mano contro quei capelli color caramello che ricadevano sulla fronte, lì dove c'era quell'orrenda cicatrice.
Quando la vedevo mi ribolliva ancora il sangue, sapevo che era per questo che portava quel taglio ma gli donava, tutto stava bene al mio nong.
Cominciai ad accarezzarlo quasi in modo impercettibile non volevo riportarlo alla realtà, nel mondo sei sogni poteva essere chi voleva e dove voleva.
I miei occhi però caddero suo una cosa che non avrei mai voluto vedere.
Viola.
Quel colore accecante mi riempì le iridi viola.
Grandi chiazze di varie sfumature  orrende ricoprivano la parte del suo volto che tanto cercava di coprire, che riuscivo a vedere a stento.
Sarebbe stato meglio se il sangue avesse smesso di scorrere nelle mie vene, invece arrivò come il mercurio che sale in termometro messo sotto l'acqua cocente, mi esplose letteralmente nel cervello.
Le vene sulle mie mani si fecero più evidenti, gli occhi presero lucidità e rossore.
Presi il suo viso tra le mani come una furia incurante ormai che fosse perso nelle braccia di Morfeo.

<< Cosa è successo?>>

Dapprima tentò di celarsi a me ma quando capì che ero al suo fianco intravidi sollievo, sollievo che presto venne soppiantanto da una vergogna che non gli apparteneva che si impossessò del suo viso già rovinato, vergogna che doveva appartenere a chi l'aveva ridotto così.
Gli presi entrambi i polsi stringendo con una forza brutale che non mi apparteneva che non sapevo neanche di avere.

<<No Saint non scappare ancora. È stato lui? Dimmi la verità.>>
Urlai e non mi contenni, urlai con tutto me stesso perché no, non il mio nong, toccate me ma non lui.
Perché non era possibile che succedesse questo sotto i miei occhi.
Perché non ero stato in grado di proteggerlo, ancora, ancora una volta non c'ero.
Mi odiai talmente tanto.

Saint's pov.
Se mi stendessi qui, nel nostro luogo, mi sentirei meglio?
Sentirei che sei ancora con me?
Arrivai al salice stremato, per la corsa, per quello che mi era stato fatto, stremato dalla vita.
Mi sentivo valere meno di niente perché ancora una volta ero fuggito, ancora una volta non ero riuscito ad affrontarlo.
Pezzi di vetro, piatti rovesciati sul pavimento in un mosaico di rovine, pugni, tanti pugni, rivedervo le stesse scene di poco prima anche nel sonno, anche nel sonno non ero salvo.
Zee vorrei tanto che fossi qui al mio fianco, come sempre.
Mi sembrò di sognare quando me lo ritrovai davanti, i miei occhi erano offuscati da una lacrima che mi era scesa inconsciamente, forse era solo un'illusione.
L'idea che avevo venne sfatata subito quando percepii il suo tocco sul mio viso e subito tentai di ritrarmi.
Non so esattamente perché lo feci, forse l'istinto, per paura che in realtà quello non fosse Zee ma solo il volore della mia mente bastarda che giocava con me.
La sua voce risuonò ripetutamente nelle mie orecchie, era furioso.
Tentai di rispondere ma le urla ruppero la quiete del tramonto.

<< Non è niente... >>

<<Perché non hai chiamato? Perché non sei venuto da me? >>

Mi lasciò bruscamente incamminandosi nella direzione di casa mia.

<<Zee... Zee fermati dove vai>>
Mi alzai in fretta per tentare di interrompere le sue intenzioni e presi il suo braccio ma non si voltò.

<< Non c'è neanche bisogno che tu risponda, lo so, l'ho sempre saputo ma ora basta. Basta Saint non starò più a guardare aspettando che tu faccia qualcosa. Non rispetterò più il tuo silenzio né la situazione delicata. E ora lasciami se non vuoi che anch'io ti faccia del male.>>

<< Zee... passerà. Ti prego, ti prego resta con me, so che non ne saresti capace.>>

Questa volta si girò per guardarmi dritto negli occhi, con un'intensità che mi sembrava non appartenere alla persona che conoscevo.
Mi strinse le spalle tenendomi fermo.

<<Non sai di cosa sono capace.
Non mi interessa se sarai incazzato almeno potrò pensare che la nostra amicizia sarà finita per un valido motivo.>>

Mi spinse abbastanza per prendere vantaggio e arrivare in fretta alla porta di casa mia, poco distante da là.
Anche io ero incazzato, perché si intrometteva? Perché non mi lasciava fare?

<<Non puoi, è la mia vita non la tua! >>
Provai a fermarlo ancora prima che bussasse contro la dura superficie di legno vecchio e stantio.

<<Prova a fermarmi!>>
Era già dentro casa quando mi disse questa frase.
Corsi più del solito per entrare e ritrovarmi lo scenario più brutto della mia vita.
Zee come una bestia sguinzagliata si avventò sull'ammasso informe attaccato ad una bottiglia di scotch in cucina tirando un pugno con così tanta violenza che le sue nocche iniziarono a sanguinare.
Vidi il suo collo divenire scarlatto per tutta la foga con cui pronunciò ogni singola parola.

<<Metti un'altra mano addosso a Saint e ti rispedisco all'inferno con un calcio in culo>>

Mia madre non osava avvicinarsi né parlare fui io ad allontanare Zee da quella cosa troppo ubriaca per capirci qualcosa.
Dovetti mettere le mie braccia intorno le sue spalle per portarlo lontano o lo avrebbe ucciso.

<<Zee va via, smettila, non sono affari tuoi!>>
Gridai così forte per la prima volta contro di lui che si slegò dalla mia presa per immergere le sue iridi scure nelle mie.

<<Ho fatto quello che avresti dovuto fare tu sin dall'inzio!>>

<<E adesso cosa Zee? Smetterà di picchiarmi secondo te perché tu lo hai minacciato? Cosa volevi dimostrare?>>

Prima che potesse rispondermi non lo vidi più.
Con le mani alla testa cadde sul pavimento perché qualcuno gli aveva appena rotto un bicchiere nel punto in cui si toccava.
Sgranai gli occhi.
La stessa sensazione di rabbia, di disgusto che aveva provato Zee pervase ogni tessuto, capillare del mio organismo.
Mai come quella volta ebbi il coraggio che in quasi 16 anni di vita mi era mancato.
Non Zee, nessuno poteva toccarmi Zee ne tanto meno lui con quella merda che si ritrovata al posto delle mani.
Forse non era così ubriaco come faceva credere, forse nascondeva solo il suo essere violento dietro l'alcool.
Ancor prima di vedere come stava Zee senza rifletterci su neanche per un secondo il mio pugno entrò in contatto con il suo stomaco.
Mi faceva schifo toccarlo ma in quel momento esatto mi interessava solo il pensiero che lui aveva fatto del male all'unica persona importante nella mia vita.
Non gli diedi il tempo di toccare terra che mi misi a cavalcioni per vedere cosa avrebbe fatto ora.

<<Non ti permettere mai più è chiaro? Picchia me. Uccidi me.
Non hai nessun diritto su Zee.>>

La mia saliva toccò la sua faccia per quanto fossimo vicini, per quanto velocemente le parole lasciarono la mia bocca con il tono più elevavo che potevo.
Tante volte avrei voluto farlo quando picchiava mia madre ma non c'ero mai riuscito, quella sera aveva fatto scattare qualcosa in me che non riusciva a trovare pace fin quando non sarebbe scomparso dalla mia esistenza.
Lo trascinai di peso fuori mentre tentava di parlare e dire qualcosa, di ribellarsi alle mie azioni. Provò a mettersi in piedi ma non ci riuscì così mi pronunciò qualcosa dal terreno su cui era mezzo disteso.

<< N-non sei diverso d-da me..>>
A stento riusciva ad aprire bocca.

<< A-anche tu usi la v-violenza sugli altri. Guarda dove hai p-portato il tuo amico>>

Ancora.
Tentava di colpirmi ancora, questa volta con le parole.
Quelle sillabe mi entrarono nel cervello, girarono nella mia mente e rimbombarono nelle mie orecchie mentre continuavo a colpirgli il costato, speravo morisse.

<< Io non sono te, non sarò mai come te! Mi fai schifo.
Non provare più a mettere piede in questa casa!>>

Delle mani, quelle mani troppo grandi per la sua età mi afferrarono il petto portandomi lontano da quel rifiuto umano abbracciandomi, stringendomi forte.
Sentii il suo viso contro i miei capelli mentre innumerevoli lacrime crearono solchi invisibili sulle mie guance rosse per lo sforzo, per la rabbia, per la delusione e le grida.

<<basta, basta Saint fermati. Sto bene, sono qui>>

La sua voce, il profumo di casa, era lui.

<<Io non sono come lui, non lo sono>>
Continuai a ripetere sempre la stessa frase, più a me stesso che agli altri.
Non riuscii a smettere di piangere, non riuscii a smettere di urlare tutto il dolore che avevo nascosto per anni, che mi aveva divorato, che aveva fatto sua una parte di me e l'aveva resa marcia.
Gli angoli degli occhi iniziarono a bruciare per la quantità di acqua salata che continuò a sgorgare.

<<Andrà tutto bene.>>

Quella frase mi riportò indietro di anni.
Zee stava bene.
Zee era con me, anche stavolta.
Piansi.
Piansi fino a non avere più le forze per farlo e anche quando finirono continuai ancora.

Ci ho messo un po' a scriverlo spero vi arrivi tutto, avevo pensato di dividerlo ma penso vada letto tutto insieme.
Buona lettura.♡

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