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Capitolo 35.

Zee's pov.
Avrei tanto voluto reputare quei giorni in gita come i nostri ricordi migliori, i più belli e felici ma non era così, almeno per me, non riuscivano ad esserlo.
Se mi guardavo indietro potevo solo accorgermi di quanto fossimo traboccanti di momenti spensierati, intrinsecamente plasmati dal nostro passato insieme, tanto, così tanto, da sapere già cosa e quanto mi avrebbe tormentato, molto e ancora di più, infinitamente di piu, di quegli ultimi istanti insieme.
Resistevo e continuavo a rimanere in piedi, a respirare senza lasciarmi sopraffare dal dolore, sospinto unicamente dall'idea che mi ritrovavo su un lago, in mezzo alle montagne per lui, per vederlo spensierato, perché desideravo imbarcarmi al gate con il pensiero di aver fatto almeno una cosa giusta.
Piu i giorni passavano però, più ogni suo tocco, incandescente sul mio corpo, ogni sua piccola attenzione, e , ogni suo casto bacio, simili a pietre pesanti scagliate contro i miei stupidi muri di vetro, mi strappavano un frammento di cuore fino a renderlo inutilizzabile, guasto.
Rimanevo fisicamente intatto ma dentro ero a brandelli, soffrivo poiché tutto aveva il sapore, l'odore, di una "ultima volta", e mi tormentavo, mi affliggevo ancora di più perché tra me e Saint ero io la sola persona ad esserne a conoscenza.
Quando in alcune occasioni mi concedevo un po' di pace, quando mi lasciavo distrarre dai suoi sorrisi smaglianti, dai suoi occhi vispi, dalle sue parole leni, mi sfuggiva totalmente il controllo sul tempo.
Mi avvedevo troppo tardi che le lancette si erano ormai spostate così in avanti da annullare il minimo che ci era rimasto.
Aspettai fino all'ultimo per dire alla persona che amavo la verità, paralizzato dalla sua possibile reazione, pietrificato dalla delusione che sarebbe comparsa sul suo volto, immobilizzato al solo pensiero delle parole che mi avrebbe rivolto.
Il mio compleanno, la bellissima torta che preparò per me, i suoi auguri, niente.
Non riuscii a godermi niente di quello che mi aveva donato, il mio cuore era linciato da quelle sillabe che non riuscivo neanche a pronunciare, che avvelenavano il mio cervello e corrodevano la mia gola ma che necessitavano di essere ascoltate da lui.
Nella mia più intima e profonda essenza lo sapevo, avevo la reale consapevolezza di aver sbagliato qualunque cosa o decisione che riguardasse noi.
Quando quel ti amo che avevo atteso per una vita intera provò ad essere articolato da Saint, allora, unicamente allora ebbi il coraggio che mi era mancato per dirgli che dovevo andare via.
Portai le mie mani intorno alle sue, le quali cingevano delicatamente il dolce, per avere un contatto quanto più ravvicinato possibile con lui, per afferrare quell'anima che stavo facendo a brandelli irricomponibili e non per salvare la montagna di panna bianca da una caduta imminente. Volevo quasi esprimere con il mio stesso corpo quanto fossi devastato dal nostro ignobile destino.
In un primo momento il suo sguardo fu spaesato, intento a collegare i pezzi che avevo disseminato qua e là nelle settimane precedenti, iniziando dai miei comportamenti ambigui per finire poi con i miei gesti estremi e anche lì, in quella singolare circostanza, mi sorprese.
La sua reazione genuina che mostrò quanta fiducia avesse in me, tanta da non arrivare neanche per un attimo a pensare che l'avrei potuto lasciare, mi interruppe la circolazione e contribuì alla formazione di una striscia bagnata lungo la base dei miei occhi.
Mi bastò sentire la sua voce, dopo aver rivelato il mio sporco segreto, per scoppiare in un pianto che non aveva consolazione, mi bastò udire il mio nome, articolato da lui, per rendermi conto che non potevo più nascondere niente, mi bastò sentire che le sue mani, fredde e sudate, volevano tirarsi indietro dalle mie per capire che era finalmente cosciente di come stavano realmente le cose, senza che neanche aggiungessi una parola.

Ma alla fine tra noi non è sempre stato così, Saint? Nessuna parola di troppo, nessuna al momento sbagliato, abbiamo sempre parlato in silenzio, non è vero?
Anche se adesso sembra non essere più lo stesso, ora non è più la mancata necessità di parlare, semplicemente non ci sono abbastanza parole, quelle giuste, nè fuoriescono.

La prima cosa che mi chiese immediatamente fu quando sarei tornato indietro, questo, esclusivamente questo.
Non voleva sapere dove sarei andato, per quanto tempo, con chi, ma se mai avrei percorso la strada inversa, se mai mi avrebbe rivisto.
Domandò con un carico di speranza tale nella voce che non potei non prendermela ulteriormente con me stesso e sprofondare sempre più giù, senza toccare mai un fondo.
Scosso e incredulo che stesse succedendo davvero a noi, che dovessimo proprio noi, tra tutti, patire quell'angoscia, non riuscii a cacciare fuori un discorso di senso compiuto ma solo gemiti soffocati a causa del mio pianto incontrollato.
<<Zee, smettila.>> mi disse Saint d'improvviso, non aspettando più che dessi una spiegazione.
La sua voce risoluta eccheggiò nel vacuo silenzio di cui era intrinseca l'aria e mi fece sussultare. Mi costrinse, in quel modo, ad alzare la testa, chinata sulle candeline consumate e spente dal tiepido vento di marzo.
<<Non piangere, smettila.>> aggiunse stringendo più forte il piatto su cui aveva allentato la presa precedentemente e su cui entrambi poggiavamo le estremità.
Il suo volto era immacolato, nessuna lacrima era scesa ma io le vedevo tutte, erano tutte lì, cucite negli angoli dei suoi occhi ormai rossi per lo sforzo che compiva nel trattenersi.
Smise di avere una maschera indecifrabile, che non riuscivo ad oltrepassare, e spostò la testa di lato, verso la sua spalla. I suoi capelli, dal colore del caramello, vi ricaddero tutti e permise ad un sorriso, che oscurava anche i lampioni artificiali sul pontile, di prendere posto sul suo volto.
Come se un pulsante nella mia mente fosse stato premuto d'improvviso, mi passò davanti l'immagine dell'ultima volta che fece la stessa identica cosa e, a quel tempo, era davvero felice.
Fu al nostro primo appuntamento nel giorno di San Valentino, il giorno in cui c'eravamo donati all'altro ma ora, ora potevo percepire quanto fosse finto e forzato, quanto non avesse neanche l'ombra dell'autenticità di allora.
<<Abbiamo un motivo in più per festeggiare, vero ragazzi?>> e si voltò verso gli altri di cui mi ero praticamente dimenticato l'esistenza.
Nessuno rispose o meglio lui non diede occasione per farlo visto che riprese a parlarmi. <<Sarà sicuramente una grande esperienza...>> le sue labbra presero a tremare così tanto che si fermò per qualche secondo, ingoiando un magone straripante di risentimento e rabbia. <<Fai buon viaggio...>> la voce si spezzò bruscamente, lasciò sfuggire una singola goccia ribelle e, provando a riprodurre un riso che non aveva alcuna motivazione di esserci, terminò. <<...Phi.>>
Si slegò con forza dalla mia presa per girarsi verso gli altri e superarli in fretta.
<<Nong! SAINT!>> urlai forte il suo nome non riuscendo a collegare cosa avesse detto davvero, non dando importanza al fatto che sembrava volermi lasciare andare come se nulla fosse successo ma lui non si voltò, neanche una volta si voltò.
Sapevo che inseguirlo, provare a fermarlo, andare da lui, non avrebbe annullato la mia partenza ma non volevo che le cose tra noi rimanessero in sospeso talmente tanto da non poterlo avere neanche vicino.
Per questo, anche se non ero nella posizione di farlo, anche se non potevo permettermelo, tentai di fare qualche passo veloce nella sua direzione.
A bloccare le mie intenzioni fu Tommy che si avventò con così tanta irruenza su di me che la torta precipitò sulle assi di legno umide scaraventandomi, con tutto il peso del suo corpo, contro l'unica barriera sottile che ci divideva dal profondo lago scuro.
Le sue mani si chiusero violentemente intorno al tessuto della mia maglietta e a pochi centimetri dal mio viso gridò: <<Vile! Sei solo un deplorevole vigliacco.>> e le gocce della sua saliva, contenenti tutto il suo disprezzo, finirono sul mio viso per la quasi assenza di distanza tra noi.

Non è il primo che mi da del codardo nè sarà l'ultimo. Fino a quando non lo diventerò anche per Saint, fino a quel momento... c'è ancora una speranza per me, come essere umano.

Nonostante la sua stretta fosse quasi soffocante, non aspettandosi che ribattessi, urlai <<Fammi... fammi andare da lui, ti prego.>> lo scongiurai, senza neanche prestare realmente attenzione alla sua uscita, cercando di liberarmi celermente ma la sua risposta non fu a parole.
Contrasse una delle sue mani in un pugno stretto, colpendo la zona sinistra del mio viso e sfiorando il naso che in poco tempo iniziò a sanguinare copiosamente.
Sapevo che si comportava così solo per il bene di Saint e questo fu abbastanza per non attaccarlo e per decidere invece di incassare il colpo.
<<Tommy fermati! E tu, fa qualcosa per l'amor del cielo!>> sentii urlare Orn nei confronti di Bright mentre lei provava ad avvicinarsi a me e Tommy, timorosa dei gesti imprevedibili dell'amico.
<<Avresti dovuto essere chiaro con lui e se proprio non volevi parlargli avresti fatto meglio a dirlo a me. L'avrei protetto, fermato in qualsiasi modo, anche a costo di farmi odiare.>> mi disse lui, questa volta con un sussurro grave e intenso, percepibile solo a noi.
<<Basta Tom, dobbiamo pensare a Saint, lui non vuole questo, lo sai!>> esclamò Orn con enfasi, tirandolo via e cercando di calmare la sua furia.
Io invece, che ero finalmente libero non riuscii a sentire le gambe abbastanza forti da potermi sorreggere, così mi appoggiai alla piccola ringhiera di legno con un braccio e con l'altro asciuga il liquido rosso che, caldo, ancora scendeva imperterrito.
Ero stanco, stanco di sentirmi così miserabile, la mia era una stanchezza emotiva che non mi dava neanche modo di respirare.
Inalai la brezza primaverile e mi decisi a ringhiare nei confronti di Tommy tutto quello che avevo da dire, nonostante mi costasse fatica anche solo parlare.
<<Lo sai, Dio, lo sai anche tu che siamo andati troppo oltre!>> ansimai e le sue provocazioni non tardarono ad arrivare come frecce infuocate contro il mio corpo di paglia.
<<Non farmi ridere, avanti. Proprio per questo, proprio perché sai a che punto siete che non avresti dovuto comportarti così!>> e mosse di scatto la testa per non guardarmi, irato.<<Credi davvero che Saint potrà vivere serenamente dopo che te ne sarai andato senza neanche ascoltare cosa aveva da dirti?!>> provò a compiere qualche passo verso di me ma Orn glielo impedì, tenendo salde le sue braccia.
<<Sarebbe stato peggio se si fosse confessato, se anche io gli avessi detto cosa provo per lui, lo capisci? Cazzo, vi comportate tutti come se fosse facile per me vederlo così, come se non avessi dei sentimenti anche io. Che cosa ne sai tu, perchè mi giudichi in questo modo se non conosci neanche la mia situazione?!>> e gridai a squarciagola l'ultima parte, covando la speranza che Saint stesso potesse sentirmi per puro caso, sperando così profondamente dentro di me che venisse a sapere realmente quanto lo amassi.
Il mio petto si abbassò e alzò ritmicamente per riprendere il fiato che mi era mancato e con una stretta al cuore tentai di aggiungere: <<Così almeno possiamo...>> ma Tommy mi interruppe bruscamente con una risata fragorosa e fuori contesto.
<<Davvero? Vuoi dirmi che potete rimanere amici?>>
<<...Possiamo almeno rimanere l'uno nella vita dell'altro, fare finta che niente sia successo.>> conclusi stremato, cercando di far valere le mie ragioni.
<<Scuse! Tutte scuse, sei un egoista Zee. Parli tanto di amore ma hai pensato solo a te stesso in questa storia, non tenendo conto della cosa più importante: delle emozioni di Saint.
Sai cosa c'è di nuovo? Sono io che ti prego questa volta, anzi ti scongiuro di partire. Parti e non azzarti più ad avvicinarti a lui, fai il favore sia a me che a lui di non tornarci più qui.>> e gesticolò in maniera incontrollata puntandomi l'indice.
Dopo aver finito mi voltò le spalle senza aggiungere nient'altro e, insieme a Orn, sparirì nelle tenebre.
<<Ricordati la promessa che mi hai fatto, Tommy.>> provai a strillare, o almeno volevo farlo ma la voce non uscì abbastanza vigorosa. Era già abbastanza distante quando provai a ripetermi, facendo riferimento alla nostra discussione sul tetto, al patto di rimanere sempre accanto a Saint, qualsiasi sarebbe accaduta, ma fu tutto vano.
Strinsi la mano intorno al sostegno di legno, pensando che anche piangere sembrava sbagliato quando in una di quelle casette, in lontananza, c'era qualcuno che stava peggio.
Bright, che invece era rimasto semplicemente a osservare una vicenda a lui indifferente, si avvicinò a me solo quando se ne furono andati tutti.
In un impeto disperato, come se fosse possibile che la mia salvezza provenisse dal cielo, volsi il mio sguardo al manto nero ma mi accorsi subito che neanche più una stella voleva farsi vedere.
Provai a recuperare le energie di cui mi sentivo privato da quando Saint si era allontanato e Bright, che piano si apprestò a raggiungermi, non accennò niente, nessun commento di cattivo gusto come era solito fare.
Al contrario, attuò un gesto che in quasi cinque anni della nostra amicizia non era mai giunto: posò il mento sulla mia spalla, circondò il mio corpo con le sue braccia e accarezzò debolmente, ma in maniera costante, la mia schiena.
Ero sorpreso, quasi stranito ma al tempo stesso grato da quel mio primo abbraccio con Bright e resi mie quelle sensazioni particolari, non volendo rovinare quel gesto che sicuramente era costato molto a lui che era sempre stato un pezzo di ghiaccio.
Mentre mi stringeva e dava affetto a suo modo, però, l'unica cosa che riuscivo a pensare era il sapore di quella torta, sparsa dappertutto, che non avrei mai modo di assaggiare non dandomi pace per la grande sofferenza che avevo procurato alla persona che mi aveva sempre amato e accettato così com'ero.

Saint's pov.
Nella fazione di secondo in cui mi resi conto che Zee non sarebbe probabilmente più tornato in Thailandia la mia mente si svuotò.
Avrei dovuto arrabbiarmi? Avrei dovuto urlare e sbraitare pretendendo di sapere perché non me ne aveva fatto parola prima? Avrei dovuto prendermela con me stesso per non aver carpito tutti i segnali che, in fin dei conti, mi aveva mandato? I suoi sorrisi spenti, la sua vicinanza constante nell'arco di intere giornate... Avrei forse dovuto piangere davanti a lui fino a non avere le forze per reggermi in piedi? Sarebbe stato più contento se lo avessi fatto?
Non ero sicuro di cosa esattamente mi spinse a reagire come se quella che mi avesse dato fosse la notizia più bella per noi, per il nostro rapporto, ma desideravo solo terminarla lì quanto prima possibile per andarmene, senza offrire né a lui né agli altri alcun teatrino.
La cappa della falsità di Zee mi faceva soffocare e corsi via senza aggiungere niente su quello che volevo realmente confessare al principio di quella conversazione.
Volevo permettere a quelle lacrime bastarde di scendere, volevo uscirne sconfitto senza neanche aver sfoderato un'arma per combattere, ma le fermai.
Le contrassi tutte, facendole rimanere dentro di me e non dando loro la possibilità di sfociare al di fuori.
Se prima ero sfrecciato via, senza dare neanche uno sguardo agli altri, ora invece le mie gambe si erano fatte così pesanti da doverle trascinare.
Più mi allontanavo dal pontile e mi accingevo nelle vicinanze delle casette di legno, che ci avevano ospitato quei giorni, più diventava difficile continuare ad avanzare.
Arrivai stremato alla porta, indeciso se aprirla o meno, indeciso sul tornare indietro e prendere a pugni Zee fino a quando ne sarei rimasto soddisfatto.
Ero in bilico, sospeso e in equilibrio troppo precario sul filo delle mie emozioni contrastanti.
Poggiai la mano tremante sulla maniglia, avendo il terrore che se non fossi andato da lui quella sarebbe stata davvero l'ultima volta che l'avrei visto, ma alla fine non l'aveva fatto di proposito?

Alla fine non mi ha impedito di parlare perché non voleva sentire, rendere concreto, quello che avevo da esternare?
Perchè alla fine, anche se avessi fatto retromarcia con l'intento di esprimere il mio amore non sarebbe servito a niente, neanche a me stesso.

Aprii con fin troppa concitazione il sottile infisso che mi divideva dall'entrata della mia stanza condivisa e mi precipitai sul mio letto, sentendomi un sasso mentre sprofondavo sul materasso morbido.
L'oscurità avvolgeva la stanza, un solo filo debole di luce notturna proveniva dalla grande finestra non coperta del tutto dalla tenda pregiata.
Non appena mi sedetti sul bordo, le ginocchia mi diedero l'impressione di cedere, tanto da farmi avere paura di alzarmi, tanto da avere il timore che non potessero sorreggermi.
Portai entrambe le mani dietro la mia testa, sfregando la parte della nuca e incurvandomi verso i miei arti inferiori, desideravo solo che Zee entrasse e mi dicesse che era tutto uno stupido scherzo.
Chiusi gli occhi cercando di sospendere quel pensiero infantile e formulane uno coerente.
Non ero davvero sicuro di aver capito cosa stesse succedendo nè di averlo elaborato, ma l'unica mia certezza era di non volere in alcun modo che la disperazione prendesse il sopravvento su di me.
Mi sentivo come se permettermi di piangere potesse decretare la mia sconfitta, come se, concedermi la possibilità di mostrare le mie debolezze, significasse automaticamente non essere capace di fronteggiare quella situazione. Oppure, più semplicemente sapevo, internamente, che se le lacrime nascoste fossero traboccante non mi sarei più ripreso, che il mantello della tristezza mi avrebbe avvolto e io non avrei fatto resistenza.
Non crollai perché non era il momento giusto, perché forse mi attendeva un dolore più grande o forse era la speranza che fosse tutto un sogno a trattenermi.
D'improvviso un rumore molto più forte del respiro assordante proveniente dai miei compagni di classe già addormentati, si diffuse nell'ambiente.
Dei passi svelti si susseguirono producendo un cigolio sulle assi di pino consumate e d'istinto mi alzai, scattante come una molla.
<<Zee...>> chiamai, credendo irrazionalmente che fosse lui, come se non avessi un altro compagno di stanza fuori con Orn.

Mi sono dimenticato di quei due... accidenti.

<<Saint...>> mi rivolse Tommy, avvicinandosi con cautela verso di me, dove c'era l'unica fonte di luce naturale creata dalla luna.
Mi accorsi di quanto aspettassi senza alcun senso una persona che non mi dava lo stesso valore che invece gli riservavo io e lo aveva dimostrato quella sera.
Pretesi da me stesso, con tutte le forze, di smetterla, di non elemosinare, mendicare il suo amore e mi girai appena.
Sgualcii il mio viso con una mano, incredibilmente in collera con me stesso e terribilmente irritato dal dover dare delle spiegazioni al mio amico.
<<Parliamone, mh?>> mi disse Tommy, protendendo un'estremità verso la mia spalla per toccarmi ma completai la mia azione, voltandogli le spalle, senza che completasse il gesto.
<<Non c'è niente da dire.>> risposi freddamente.

Mi aveva avvertito, lui mi aveva palesato la stranezza che aleggiava nelle richieste di attesa da parte di Zee, ma io non avevo ascoltato nessuno.
Ero accecato da una felicità che provavo da solo.

Rimanemmo in un silenzio turbato fino a quando la voce di Orn non sopraggiunse.
<<Siamo qui per te, lo sai no?>> disse, e un brivido mi percorse la schiena.

Come potevo essere così egoista? Alla fine entrambi sono solo preoccupati per me.
Non posso, non posso pesare su di loro in questo modo, farli correre dietro di me a notte fonda non permettendo loro di ristorarsi per il lungo viaggio di domani.

Mi costrinsi a sollevare gli angoli della bocca in un piccolo sorriso e mi voltai verso di loro, guardando prima Tommy e chiedendo scusa con gli occhi per la mia reazione precedente, per poi passare a Orn.
<<Sei ancora sveglia? Eppure credevo fossi una tartaruga molto pigra.>>
Entrambi rimasero sorpresi, socchiudendo la bocca increduli e dubbiosi su cosa dire o in che modo comportarsi.
<<Dovreste andare a dormire...>> riuscii a pronunciare con voce spenta e stentata ma Orn non mi fece continuare che si avventò su di me.
La sua testa si poggiò sul mio petto dilaniato all'interno e ben presto una sensazione di bagnato venne percepita dalla mia pelle.
Pianse graziosamente, senza interrompere quella quiete colma di pensieri inespressi da ognuno di noi e impedendomi di fermarla.
<<Orn...va tutto...>> ma non conclusi che anche Tommy si unì a quell'abbraccio indesiderato, comprimendo ancora di più l'esiguo corpo di Orn verso di me.
<<Non va tutto bene, Saint.>> disse lui, la persona che meglio di chiunque altro conosceva la sofferenza degli anni trascorsi e ora anche di quella circostanza.
Orn nel mentre strinse più forte il mio indumento e strusciò quella testa, fin troppo grande per la sua statura minuta, ancora e ancora negando con convinzione la fandonia che volevo rifilare loro.
In quel momento non mi preoccupai di Zee, di me stesso, della sua partenza o di come fosse giusto reagire, ma solo di non far pesare i miei problemi su i miei amici.

Non voglio vederli così a causa mia.

Perché, in quel preciso momento, era più facile prendermi cura di sentimenti che non mi appartenevano, perchè affrontare i miei, distrutti e insanguinati, era troppo doloroso.
Non ricordo quanto tempo rimanemmo uniti prima che Tommy accompagnasse Orn nel suo dormitorio.
Nonostante la loro volontà di dimostrarmi quanto mi fossero vicini io non riuscii a ricambiare il loro affetto, le mie braccia non si mossero dalla loro posizione iniziale e le tenni lungo i miei fianchi.

Non c'è, non c'è persona che possa rimediare a questa infelicita.

Le poche ore che ci separavano dall'inzio della nuova giornata le passai con gli occhi spalancati e il cervello in funzione, giocando a nascondino con il sonno che non si faceva neanche intravedere.
Mossi un po' di più la tenda dal mio letto, allungando un'estremità, per poter osservare il grande cerchio bianco che solcava il cielo, osservando come piano diventava quasi trasparente per il sorgere del sole.

Tu, notte sporca e disgustosa, portatrice di incubi, sostenitrice degli inganni, tu, che alimenti tutte le illusioni, questa volta, solo per questa volta, potresti essere eterna? Potresti non far sbiadire la tua oscurità?
Ti prego, non far giungere il sole.
Opponiti alla luce, impediscile di portare il domani perché io ho un insanabile e disperato bisogno di oggi.
Ho bisogno che il domani scompaia, si eclissi.

Il mio era solo un brutto sogno, non stavo vivendo davvero, sognavo, era un incubo orribile da cui volevo unicamente svegliarmi.

Perché la mia vita non può essere una linea retta? È un filo aggrovigliato e Zee, tu, non stai facendo altro che annodarlo ancora di più.
Sono legato a te, mi sento intrappolato in te.

La partenza per tornare in città era prevista per le 9 del mattino cosicché saremmo arrivati nel primo pomeriggio.
Non mi presentai alla colazione dato che non avevo finito di preparare i bagagli la sera prima e quindi non vidi nessuno se non Tommy e Orn.
Il mio amico riccioluto, con la scusa di dover controllare di aver preso tutto, rimase con me in camera e poco dopo anche Orn ci raggiunse, entrambi non mi lasciarono neanche per un secondo.
Addirittura Orn rifiutò di sedersi con la sua solita compagnia di amiche per stare nei sedili posteriori da sola, dietro me e Tommy.
<<Non vai da loro?>> domandai, cercando di farle notare palesemente che il suo comportamento destava molti sospetti e non era per nulla naturale.
<<Ah no, mi annoio.>> disse semplicemente, sistemando la sua borsa nel posto vacante.
<<Mi metto io vicino al finestrino!>> esclamò, con un allegria che non riuscivo a condividere Tommy, sviando la conversazione.
<<Come vuoi.>> risposi senza emozione.
La nostra classe era già pronta mentre la sua ancora mancava.
Quando intravidi da lontano l'ammasso di capelli scuri, ultimo in fila, evitai di incrociare il suo sguardo, guardando il paesaggio fuori dal veicolo.

Sarebbe stato meglio se avessi prestato più attenzione a dove sedermi...

<<Nong...>> una voce profonda e tranquilla mi richiamò, entrando come un uragano nelle mie orecchie ma soprattutto nel mio stomaco, mettendo tutto in subbuglio.
Delle mani, troppo grandi per appartenere a a un neo diciottenne, si posarono sulle mie ginocchia e tramite finestrino, che mi faceva da specchio, potei vedere che si era piegato in basso, nella mia direzione.
Tenendo il suo peso sulle gambe flesse tentò di avvicinarsi di più, imponendomi una vicinanza fisica che non avevo né richiesto nè desiderato e mi sentii disgustato.

La mia volontà in questa specie di storia non conta nulla, vero?
Se fossi stato realmente preso in considerazione da te non saremmo mai arrivati a questo punto.
Me lo avresti detto, mi avresti dato la possibilità di scegliere se dichiararmi o meno, invece hai deciso tu per tutti e due.

<<Nong ascoltami, per favore...>>
Mi accorsi quasi subito dello sguardo furioso di Tommy e di come strinse i pugni, in procinto di alzarsi per mandarlo via ma io lo fermai giusto in tempo, scuotendo il capo.
Mi voltai verso Zee per attuare io quello che voleva fare il riccio.
Lui mi osservò dal basso con occhi lucidi e gonfi, credendo di far leva sul mio cuore con le sue condizioni.
<<Ci siamo detti tutto, o sbaglio?>> gli dissi e alzai un angolo della bocca, incrociando le braccia.
<<Ho il volo per New York alle 18, non voglio partire sapendo che sei così in collera con me da non riuscire neanche a...>>
<<In collera?>> e trattenni una risata furiosa, divertito sinceramente dell'assurdità della situazione.
<<Non mi hai neanche dato il tempo di essere arrabbiato, Zee.>> e spostai di peso le sue mani dal mio corpo, decidendo di non continuare quel contatto visivo che pian pian stava distruggendo tutte le difese che avevo eretto.
<<No, NO! Lo capisci che senza te non sono nulla? Noi non possiamo stare così.>> disse di fretta, sconvolto dal mio gesto di rigetto nei suoi confronti, non capacitandosi che il suo adorato Nong potesse non volerlo più vedere.
Si alzò da terra così velocemente che non riuscii a evitarlo e racchiuse il mio volto tra le mani.
<<Guardami, sono sempre io, siamo sempre noi.>>
Fece un po' di forza con l'intento portare il mio volto contro il suo, ma quando notò la mia resistenza si limitò a sfiorarlo teneramente.
I suoi polpastrelli levigarono la superficie, accarezzandomi ancora e ancora, come se volesse che la sua memoria tattile non dimenticasse mai i miei lineamenti.
A quei tocchi decisi ma affettuosi la pelle del mio intero organismo rabbrividì, e quasi cedetti ai miei sentimenti pulsanti che mi sussurravano di guardarlo, di andare oltre il quando e come mi avesse detto della sua imminente partenza, che mi gridavano, invece, di amarlo e basta.
Tommy però, spezzò quell'incantesimo intervendo e spingendo via Zee.
<<Non l'hai sentito? Lascialo in pace.>> esclamò troppo a gran voce ma io gli risposi risoluto <<Fermati.>> poggiando una mano sul suo petto.
Lui, riluttante, fece come gli avevo richiesto e si accomodò di nuovo, nel mentre Zee si era pericolosamente avvicinato a Tommy nell'intento di zittirlo.
<<Non ti intromettere!>> sputò al mio amico.
<<Zee, vattene.>> dissi io, interrompendo la loro scenata <<È meglio se ora vai.>>
Quella che doveva essere un'imposizione, quella che doveva sembrare una mia ferrea e irrevocabile volontà apparve solo come una supplica nei suoi confronti. Sull'orlo delle lacrime, che potevo sentire bruciare le estremità dei miei occhi, lo implorai di andare via, senza avere neanche il coraggio di incontrare le sue iridi.

Ti ho detto di sparire come se potessi davvero scivolare via da me, come se potessi realmente permetterti di evadere da ogni parte di me.

I professori, che avevano sbrigato le ultime pratiche burocratiche con l'albergo, salirono sul pullman per accertarsi che fossimo tutti presenti e lasciare definitivamente quel luogo così Zee fu costretto, senza repliche, a trovare posto sul fondo del bus.
Da allora, per tutta la durata del viaggio, finsi di dormire e lui non provò più a entrare in contatto con me.
Giunti a destinazione, dopo circa sei ore o poco più di viaggio, non mi guardai indietro neanche una volta, prendendo il mio bagaglio e salutando frettolosamente Tommy e Orn prima che potessero braccarmi in qualche modo.
Corsi da mia madre che avvisai con un messaggio sintetico, inviato la mattina stessa, in cui indicai l'ora in cui sarei arrivato nel piazzale da dove eravamo partiti giorni addietro.
Purtroppo lei sembrava prenderla per le lunghe mentre parlava con un'altra mamma e mi irritò così tanto che per poco non le gridai di sbrigarsi davanti ai presenti.
Avevo solo bisogno di un luogo familiare per ritrovare la mia dimensione e non scoppiare come una bomba ad orologeria, dovevo tornare a casa mia.
In macchina lei non smise di fare domande sul mio soggiorno.
<<Allora, come è andata? Cosa hai visto? Mi hai scritto si e no una decina di messaggi...>>
<<Non prendeva bene per chiamare.>> inventai una scusa per non averle riferito nulla, all'inzio ero così contento e concentrato su Zee che mi era passato di mente ma poi...

Poi è cambiato tutto.

<<Avete pescato? Il lago...>>
<<Mamma, puoi stare in silenzio per un po'? Ho mal di testa.>> bruscamente, spensi il suo entusiasmo.
<<Hai messo quella valigia nel cofano come una furia, è successo qualcosa?>> domandò con torno serio in cui si poteva notare un pizzico di preoccupazione.
<<Sono solo stanco.>> conclusi aprendo la portiera perché finalmente eravamo giunti a destinazione.
Lei si occupò di trasportare il mio bagaglio all'ingresso e proprio quando stavo per fare i primi gradini delle scale che mi avrebbero portato nella mia camera lei parlò: <<Lo sai? Te l'ha detto?>>
Il cuore smise di battere e qualsiasi azione che ero in procinto di compiere venne bloccata da quelle parole inaspettate.
Girai il capo di scatto e con gli occhi fuori dalle orbite le chiesi <<Come lo sai?>>
Rimasi con i piedi in quella posizione scomoda e dislivellata non riuscendo controllare un solo muscolo.

Sta parlando chiaramente di Zee, ma come è possibile che lei...

<<La gita...>> dissi sottovoce in un sussurro.
<<Dimmi che non è così, dimmi che non è venuto qui a dirti che doveva partire e per questo ha pagato la mia quota!>> le urlai.
Sentii il sangue arrivarmi alla testa e i capillari farsi sempre più intensi nei miei bulbi oculari.
<<Dimmi che non è vero.>> e le vene lungo il mio polso palsarono.
<<Pensavo ti avesse detto tutto...>> se ne uscì lei, abbassando per un momento la testa e guardandosi le mani.
<<Non puoi averglielo permesso, perché? Perchè hai acconsentito che mi calpestasse in questo modo?>> e senza rendermene conto andai verso di lei stringendo le sue spalle tra le mie estremità.
<<Perchè?!>> le mie parole riempirono la dimora e il collo iniziò a dolere per la violenza con la quale le sillabe uscirono.

Ecco, ecco la motivazione per cui era così agitata all'inzio di quella maledetta gita.

Lei non esalò neanche un fiato, probabilmente perché in quel momento di rabbia incontrollata assomigliavo alla persona che più avevo odiato, a quella che mi aveva messo al mondo insieme a lei.
Mi ritrassi d'improvviso a quel pensiero immondo e la lasciai in solitudine per correre nella mia stanza, sbattendo la porta alle mie spalle.
Mi appoggiai alla superficie grezza per permettere ai miei polmoni di ricaricarsi, ma più inalavo aria più non arrivava e il mio affanno cresceva.
Mi sentivo come se qualcuno avesse puntato un coltello contro il mio muscolo cardiaco e giocasse con la punta, spingendo e affondando nel tessuto fibroso senza mai dare il colpo di grazia, era solo una tortura barbara.
Ma chi lo impugnava davvero, Zee o io stesso? Era solo Zee ad avermi ferito o ero anche io che non riuscivo ad ammettere una realtà in cui non avevamo futuro?
<<Saint, amore mio.>> pronunciò mia madre dal piano inferiore, accorrendo immediatamente alle soglie della mia camera.
Non volevo che mi vedesse così, non desideravo nessuna consolazione da lei, non necessitavo di sentire delle stupide scusanti e allora feci scattare la chiave, non permettendole di mettere piede e di trascinarmi via da quell'alone consistente di oscurità che mi sentivo ormai addosso.
Bloccai la porta così come stavo involontariamente serrando il dolore intorno alla mia anima.
Nel tentativo di non piangere, di non ascoltare quello che avevo dentro di me in quei giorni stavo soffocando e, compresso da tutte quelle emozioni, mi accasciai nel tentativo sofferto di raggiungere il mio letto.
Le ginocchia irregolari e ossute sfregono il pavimento gelido e mi trascinai per giungere ai suoi piedi.
Mi aggrappai subito alle lenzuola pulite come avrei voluto aggrapparmi a Zee per non farlo scomparire dalla mia vita, strinsi forte il tessuto fresco e leggero rimuginando su come avevo trattato mia madre poco prima e pensando di volere accanto solo lui, nonostante tutto.
Nonostante quello che mi avesse fatto, solo lui poteva capirmi e solo a lui avrei dato ascolto.
Esclusivamente se detto da lui non me la sarei presa con me stesso per aver cacciato la parte peggiore di me.
Per tutto quel tempo, che mi parve indefinito, avevo trattenuto il pianto e ora voleva solo imperversare irrequieto sul mio volto.
Era così impellente l'esigenza di compiere quell'azione, considerata da chiunque naturale ma che da me era stata irrimediabilmente rifiutata, che i muscoli facciali iniziarono a muoversi spasmodicamente, dalla parte inferiore del mento alle labbra.
L'incipit di tutto fu una debole lacrima che bagnò lievemente i miei occhi, ma appena iniziai non mi fermai più.
I singhiozzi scossero tutto il mio corpo e la voglia di urlare superava la paura di essere sentito da mia madre, ormai fissa fuori la porta.
La voce straziata e rotta dai miei gemiti pervase la cavità orale, non potevo più fare nulla per impedire a quella tristezza strozzata di manifestarsi.
Le mie guance cremisi si inondarono come un fiume in piena, privo di qualsiasi argine, straripando oltre ogni confine, vicino le orecchie, giù, lungo il mento, fino alla base del collo.
Il liquido che solcava il mio volto, ormai eccessivamente gonfio, faceva invidia all'acqua del mare per quanto fosse salato, stracolmo di amarezza.
Era sporco, macchiato di sentimenti insolenti e indesiderati.

Dicono che più grande è lo sconforto che si stringe intorno al tuo cuore, più grandi sono poi le lacrime versate, proprio perché traboccanti di quella pena provata.
Ma per me non è andata in quel modo, io potevo smentirlo.
Sto patendo qualcosa che non sarei stato in grando di augurare neanche al mio peggior nemico, eppure le mie lacrime sono piccole, contenute, esili.

Spiegazzai ancora di più quello che avevo afferrato sotto i palmi, odiandomi per concedere a quella, una, persona di ridurmi così.
In quel turbinio di emozioni contrastanti, diviso tra amore, mancanza e disgusto riuscii o chiedermi solo perché.

Perché non ha sentito l'esigenza di parlarmene?
Perchè deve andarsene?
E perché pagarmi la gita sapendo che me la sarei presa con lui?
Voleva darmi un premio di consolazione prima di partire?
Valgo così poco per lui?
La verità che non riusco ad ammettere è che non sono mai stato cosi tanto importante come credevo per lui se, in modo così semplice e spudorato, ha calpestato la mia dignità.
Non ho mai neanche immaginato di fargli una richiesta che comprendesse l'uso del suo cognome o del suo conto in banca, non ho mai voluto i suoi soldi, e allora perchè alla prima occasione ha sfoggiato le sue facoltose possibilità, facendomi sentire un debitore?
Gli faccio pena a tal punto?
Pensava che senza il suo dono conclusivo non sarei riuscito ad andare avanti o a sopportare la sua assenza?
Credeva che mi avrebbe fatto piacere scoprire che mi voleva comprare in quel modo?
Desiderava gratitudine, cosicché non mi sarei arrabbiato con lui per l'omissione del piccolissimo dettaglio sul suo imminente viaggio?
Cosa sperava di ricavare nascondendomi le cose, facendo tutto senza il mio permesso?
Ancora una volta io non venivo interpellato, il mio pensiero, il mio volere veniva violato, soppresso da lui.
Perchè aveva avuto così poca considerazione di me?

Senza accorgermene, sommerso dai numerosi quesiti che mi ronzavano nella mente, mi addormentai stremato sul giaciglio delle mie stesse lacrime.
Per quasi ventiquattro ore non avevo avuto modo di riposare e in un momento per niente opportuno i miei occhi si rifiutarono di continuare a restare in quel mondo spregevole. Si assopirono e basta, portandomi con prepotenza nella tranquillità che agoniavo.
Quando mi svegliai le palpebre fecero fatica ad aprirsi, la base arida e screpolata rispetto a prima bruciava, e le ciglia, a causa della salinità delle lacrime stesse, erano rimaste attaccate troppo a lungo.
Un uccello cinguettava insistentemente sul bordo dell'unica finestra presente, spalancata appena, forse stava chiamando un suo compagno di avventura visto che il verso si intensificò fino a raddoppiare, ora erano due.
Il tramonto entrò con raggi taciti, ma dal colore intenso e deciso, nelle mie iridi ancora lucide e la prima cosa che intravidi furono petali e petali di ciliegio, alcuni che si ricorrevano sul pavimento in un vortice debole, mossi da quel rivolo di vento che entrava di soppiatto, altri invece, erano immobili.

Che ore sono? Sono così stanco...

Tastai le tasche dei miei pantaloni, compiendo movimenti lenti e dolorosi a causa della posizione in cui il sonno mi aveva colto, ma non trovai il cellulare per controllare l'orario.
Dovetti sforzarmi di girare la testa di lato e leggerlo da lontano, ci impiegai un po' di tempo per riuscire a mettere a fuoco adeguatamente la sveglia sulla mia scrivania.
Riportava le 17.40 del 5 marzo 2018, mancavano 20 minuti alle sei e nel mio stomaco scattò una contrazione indesiderata, che mi procurò quasi il vomito.
Come se il nastro della mia memoria fosse stato riavvolto veemente e mandato in ripetizione, mi costrinsi ad alzarmi.

Lo sto davvero lasciando andare senza averlo nemmeno salutato?
Gli sto davvero concedendo la partita a tavolino senza muovere neanche una pedina?
Voglio davvero lasciare le cose così, come sono adesso?

Per poco non staccai la maniglia per forza che impiegai nel volerla abbassare e uscire dal quel cubicolo che era diventato troppo stretto, ma solo dopo mi accorsi che era bloccata.
<<Ah, dannazione!>> esternai ad alta voce, maledicendomi per aver sprecato secondi preziosi.
Sfrecciai giù per le scale ma non mi aspettai di sentire delle voci appartenenti a persone che mi erano familiari, anche fin troppo...

Com'è possibile che siano qui quei due.. ?

<<Grazie per aver acconsentito a venire ed esserti precipitato qui, Tommy. Scusami, avresti voluto sicuramente rilassarti dopo il lungo tragitto ma non so davvero come fare... è da ore chiuso in camera sua.>> disse mia madre.
<<Non si preoccupi signora, ho telefonato sul cellulare di Saint perchè ero preoccupato, non rispondeva più a nessuno dei miei messaggi, sono grato che mi abbia comunicato la situazione.>>
<<Grazie a dio l'aveva lasciato nella giacca appesa all'ingresso e ho potuto risponderti... quel cellulare non fa altro che vibrare in continuazione...>>
<<Dovremmo andare a controllare se sta bene, Tom?>> chiese dubbiosa una seconda voce femminile intromettendosi nel discorso, era Orn.
<<Sì, saliamo.>>
<<Ringrazio anche te Orn, sono davvero contenta che mio figlio abbia degli amici come voi.>>
Sentii per ultimo l'intervento di Tommy che disse <<Ho pensato che una mano in più non avrebbe guastato.. >> rivolto a mia madre ma fu interrotto dal mio repentino arrivo.
<<Che ci fate tutti qui?!>> avanzai dei passi nella cucina dove erano riuniti e notai che il mio telefono era poggiato sul tavolo.
Sollevai e abbassai ripetutamente le spalle, infastidito da quel contesto anomalo, decidendo di afferrare l'oggetto.

Non voglio neanche conoscere i dettagli, mi basta solo uscire da qui.

<<Siamo solo in pensiero per te.>> disse in fretta Orn, notando sicuramente la grossa vena tumida che mi si era formata vicino alla tempia dal nervoso, ma non le prestai molta attenzione.
<<Mamma, accompagnami all'aeroporto adesso, dobbiamo andare.>> e con poche azioni mi ritrovai alla porta, mettendo il giubbino e le scarpe ma nessuno si sbrigò a muovere un passo da quella abitazione.
Mi osservarono tutti e tre con volti inquisitori fino a quando Tommy, il temerario di quell'inconsuto gruppo,  venne nella mia direzione.
Mise una mano sulla mia spalla ma questa volta non potei evitarlo e  intrappolò i suoi occhi nei miei, mostrando il suo sbigottimento alle mie parole.
<<Dopo tutto quello che ti ha fatto tu...>> e si passò la lingua bagnata sulle labbra secche per prendere tempo e formulare in maniera appropriata la conclusione della sua frase. <<...vuoi ancora andare da lui?>>
Il mio sguardo tagliente penetrò nelle sue pupille scattanti e mai come allora l'avrei addirittura picchiato pur di non essere fermato.
Copiai il suo gesto invadente, portando un'estremità sulla sua spalla per avvicinarlo al mio viso e fare in modo che recepisse bene il messaggio.
<<Se credi in qualcosa, per l'amor di quel dio...>> e strinsi più forte la presa, urlando <<...togliti dai coglioni.>> calò un silenzio animalesco prima che continuassi.
<<Se vuoi aiutarmi sul serio smettila con queste domande e trova un fottuto modo per portarmi all'aeroporto in meno di cinque minuti.>> tolsi di scatto la mano, spingendolo appena.
<<Mamma? Devo rimediare da solo?>> chiesi impaziente.
<<Va bene, va bene, andiamo insieme.>> rispose lei in riferimento ai miei amici che non dissero più una parola.
<<Sbrigatevi.>> aggiunsi, aprendo la porta all'ingresso, ma mi fermai quasi subito sul piccolo portico prima di avanzare ulteriormente.
<<Scusa Tom, ma devo dirglielo, questa è la mia ultima possibilità.>> e guardai indietro verso il mio amico riccio che serrò le labbra e abbassò la testa in segna di resa.
<<Mh, ma questa me la paghi.>> disse in un sussurro.

Almeno non è arrabbiato con me.

Mancavano circa dieci minuti alle 18, l'orologio sul cruscotto della vecchia macchina di mamma correva come un maratoneta, facendomi perdere un minuto di vita ogni volta che mandava avanti i numeri in ordine crescente.

17.50, 17.51, 17.52...

L'aeroporto era abbastanza distante anche se abitavamo nella zona più periferica della città e più che incentivare mia madre a premere il pedale dell'accelleratore non potevo fare.

Arriverò in tempo, devo, devo farlo.

Non controllai i messaggi ma avevo constatato dal blocco schermo la spunta rossa segnare un +30 su line, era sicuramente lui ma tanto non c'era bisogno di rispondere.

Aspetta, solo un altro po', per favore.

Agitai spasmodicamente la gamba destra, preso dall'ansia e dal distorto pensiero di non riuscire a raggiungerlo, guardando fuori dal finestrino tutti i cartelli stradali che superavamo in attesa che comparisse l'uscita per l'aeroporto.
Imboccata finalmente la strada che ci avrebbe portato al grande edificio in vetro, imbevuto dei colori sgargianti del sole calante, l'adrenalina iniziò a essere incontenibile.
<<Va' tu con lui, Orn. Io se vedo Zee lo faccio partire morto.>> riuscì a sentire da Tommy prima di far scattare la portiera e sparire dalla loro vista.
Mia madre non riuscì neanche ad accostare come si deve al marciapiede che io mi gettai fuori dalla vettura.
Corsi ad una velocità, che non credevo potessi mantenere, verso le porte automatiche frenato solo dalla loro lentezza nel lasciarmi passare.
La hall era immensa, orde di persone con valigie e zaini, vestiti in abiti eleganti e raffinati ma anche turisti in vacanza, ostruivano il passaggio, impedendomi di capire realmente in che direzione andare.
Dopo qualche passo incerto, cercando un modo per orientarmi, decisi di procedere nel lato opposta rispetto alla provenienza della massa.
Arrivai ansimante ai check in e lì erano presenti enormi cartelloni digitali su cui scorrevano tutte le partenze e gli arrivi.
Il panico iniziò a propagarsi in ogni parte del mio corpo quando non comparì la destinazione di Zee tra i voli programmati, avendo il terrore che fosse già decollato.
Aspettai per qualche istante, speranzoso nel voler vedere a tutti i costi il nome di quella città a me sconosciuta, e nel mentre, alle mie spalle, Orn mi raggiunse, chiamandomi a gran voce.
<<Saint! Aspettami.>>
E finalmente, dopo ben due pagine digitali le lettere luminose formarono la parola "in partenza" accanto alla voce New York, era l'ultima chiamata per quel volo.
3, 3 era il numero del gate ma non c'era alcuna indicazione su come raggiungerlo così mi precipitai a sinistra, casualmente, scrutando ogni persona, ogni bagaglio, chiunque potesse darmi l'impressione di assomigliare a lui.

Avanti Zee, sei sempre in ritardo, non puoi essere puntuale questa volta, anche questa volta sei arrivato in ritardo.
Hai aspettato, hai atteso che arrivassi, vero?

<<Saint! SAINT!>> provò ancora a dire Orn che non riusciva a tenere il passo con me.
Le mie scarpe consumate produssero un leggero rumore stridulo sul pavimento fin troppo liscio di quel luogo e più volte, svoltando o evitando le persone proveniente dalla direzione opposta alla mia, rischiai di scivolare.
Quando finalmente, dopo un girovagare che dava la sensazione di eternità, la zona del suo imbarco venne segnata da un cartello blu, tirai un sospiro di sollievo e corsi più veloce.
Il petto era in fiamme così come la testa, non avevo la certezza di sapere quale fosse la cosa giusta da dire e da dove avrei dovuto cominciare, ma non ebbi tempo per pensarci.
Superando una giovane ragazza con una bagaglio troppo grande finii per cadere bruscamente, sbattendo il mento contro la pietra dura di cui era fatta la pavimentazione.
<<Dannazione!>> dissi più a me stesso che a quella turista straniera, la quale tentò di aiutarmi.
Fu allora che Orn mi raggiunse, aiutandomi a rimettere in sesto l'equilibrio per ritornare a camminare e si occupò lei di farsi capire in inglese da quella persona.
<<Saint, fermati un attimo ti prego.>>
<<È oltre quelle scale mobili Orn, non mi posso fermare ora, lasciami.>> e provai a svincolarmi dalla presenza che aveva sul mio braccio ma lei esclamò <<Il cartellone dice che è in partenza Saint... vuol dire che lui è già in aereo.>> con voce tenera provò ad indorare la pillola.
<<No, No! E ancora qui intorno, lo so, non è ancora partito.>>
Alle mie ultime parole lei lasciò il mio braccio ma di posizionò dietro la mia schiena, cingendo la mia vita e affondando nelle spalle la sua stupida testa.
<<Non ce la faccio a vederti così Saint, io non voglio che tu soffra per una persona che non ti merita. Fermati qui, fermati prima di non riuscire più a tornare indietro.>>

Come se fosse possibile per me fare una retromarcia a più di 5 anni fa, e non incontrare Zee.

<<Orn!>> la intimai, ma inutilmente.
La posizione che aveva attuato mi impediva di fare qualsiasi movimento: se avessi mosso le braccia rischiavo di darle delle gomitate in viso, se avessi mosso gli arti inferiori lei avrebbe fatto resistenza cadendo sulle ginocchia e si sarebbe ferita in egualmente.
L'unico modo era spintonarla ma non volevo farle del male, come avrei potuto poi guardarla, parlarle o anche solo non avercela con me stesso per aver ferito una donna?
Rivolsi lo sguardo in alto, verso quelle scalinate che non ero riuscito a fare, intravedendo un borsone che forse...
Gli occhi mi spalancarono al solo pensiero che potesse essere davvero suo.
La mia gabbia toracica fece da amplificatore al rumore del cuore di Orn che batteva all'impazzata, il suo calore provava a porre rimedio, a intaccare la mia rigidità, arrivato quel punto arrendersi sarebbe stata la scelta più saggia ma non quella che avrei preso per me.
<<Zee!>> gridai a squarciagola, con tutto il fiato che avevo raccolto dopo quella pausa dalla corsa, urlai e ci provai, ci provai davvero a farmi sentire.
La voce uscì aggressivamente dal mio corpo tanto da sentire la necessità di piegarmi in avanti per lo sforzo, per far sì che non ne rimanesse neanche un minimo intrappolata dentro di me, come era successo invece per tutti quegli anni.
Le persone nelle mie vicinanze si voltarono sbigottite e impressionate negativamente per quello a cui stavano assistendo, ma non mi interessava, non mi riguardava cosa gli altri potessero pensare.
<<Non puoi andartene così.>> e mi interruppi solo perchè la stretta di Orn sul mio stomaco era così forte che mi impediva di fare quei grandi respiri necessari per il grido successivo.

Come può la nostra storia non avere neanche una fine degna?

<<Non l'avrai vinta, affrontami. Abbi il coraggio di sentirlo anche solo una volta.>>

Sei ancora in tempo per tornare indietro, perchè se tu tornassi adesso ti perdonerei tutto.

<<Rompimi, tortura il mio cuore, distruggilo anche miliardi di volte, in miriadi di frammenti se vuoi, ma fallo!...>>

Oh, non mi dire Zee Pruk Panich, sei timido? Fammi del male più forte, questo non è abbastanza per fermarmi.

<<...lo sai, lo hai scoperto molto tempo fa che è sempre e solo stato tuo, quindi prenditi le tue cazzo di responsabilità, non scappare.>>

L'ultima volta è sacra, eppure tu mi hai privato anche di quella.
Se l'avessi saputo avremmo affrontato il dolore insieme.
Se l'avessi saputo ti avrei detto tutto ancora prima e non mi sarei lasciato frenare da niente.
Ti avrei preso la mano e l'avrei stretta più forte, avrei fatto e sarei andato ovunque perché per te avrei sacrificato anche la vita.
Perché per te, avrei fatto tutto quello che non ho la possibilità di fare.
Quanto deve essere stato atroce sapere che era l'ultima volta che mi sfioravi, che era l'ultima volta che avresti dormito con me, o sentito il suono reale della mia voce?
Perchè hai preferito il silenzio a noi?

Fu totalmente inutile trattenere delle lacrime avvelenate che iniziarono a scendere in automatico e dovetti contrarre gli occhi più volte per scacciarle e continuare a guardare quella borsa, in alto, che rimaneva ferma.

Non andartene lontano, non osare farlo perché non ho niente se non te.
Se mi lasci ti porterai inconsapevolemente via anche la mia anima.

<<Codardo! Codardo, torna indietro, sono io che non ti permetto di andartene senza avermi ascoltato!>>

Tutti, tutti mi avevano avvertito che eri così, che fuggivi davanti alle prime difficoltà, che non avresti mai affrontato questo con me.
Park, Tommy... ma io non ci ho mai creduto.
Come puoi confermarlo ora?

Dal grande autoparlamente la voce meccanica chiamò l'ultima volta il volo in partenza per l'America.
D'un tratto quel bagaglio che mi sembrava cosi familiare iniziò a muoversi, scomparendo, non c'era più nessuno su quel piano ma mancava la parte più importante di tutto il mio discorso.
<<Ti amo. Ti amo Zee, mi hai sentito? Ti amo.>> esternai finalmente, con lo stomaco accartocciato.
Il cuore soffocava e le lacrime fluenti mi impedirono di respirare.

L'essere umano non ha bisogno di qualcuno, anzi, non ha bisogno proprio di nessuno per essere speciale, per fare grandi cose nella vita, basta per se stesso ma il problema sta nella volontà.
Noi tutti vogliamo solo quella persona, la nostra e io, io ti voglio, Zee.
Non ho bisogno della tua presenza, riesco a respirare, mangiare e pensare senza di te ma ti voglio, da morire, con tutto me stesso.
Potrei non amarti ma non desidero che questo.
Potrei andare avanti ma non riesco a muovermi.
Potrei evitare di soffrire eppure resto qui, accanto a te

Espulso quel fardello che mi ero sempre portato dietro, il mio corpo forse per la tensione, forse per la liberazione, prese a sussultare e le forze vennero meno.
Quasi mi lasciai andare ma l'idea di trascinare Orn dietro di me, a terra, mi disturbava, così resistetti quanto bastava.
<<Che c'è di sbagliato? Perchè scappi in questo modo?>> provai a dire ad alta voce ma senza risultato, rendendola invece una domanda unicamente rivolta a me stesso perchè il destinatario non mi avrebbe mai risposto.
Le mani di Orn intorno ai miei fianchi iniziarono ad essere meno ferree ma solo perchè i singhiozzi presero il sopravvento su di lei.
Sapevo di essere un bastardo ad approfittarne, dato che alla fine lei stava piangendo per me, ma appena percepii che mi avrebbe lasciato avanzare non esistai neanche un secondo.
Poggiai le mie dita sulle sue, minuscole rispetto alle mie, e dissi: <<Scusami, scusami tanto Orn.>>
Lei allentò ancora di più la presa, dandomi modo di spostarla via con abbastanza delicatezza. Salii i gradini spessi a due a due e arrivai in cima intravedendo qualcuno che aveva appena svoltato la curva di un corridoio delimitato all'inzio da due guardie in divisa.
Ero riuscito ad osservare il retro della testa di quella persona e non potevo dire con assoluta certezza se fosse davvero Zee ma provai ad andare verso quelle guardie e oltrepassare la protezione che avevano messo per impedire l'accesso.
<<Zee!!>> urlai ripetutamente ma i due uomini forzuti mi spinsero indietro e uno dei due esclamò <<Ma cosa credi di fare? L'aereo è in partenza!>>
<<C'era un ragazzo prima, qui, che si è imbarcato ora? Un ragazzo alto, con un borsone, dai capelli neri?>> provai a dire mentre allungavo il collo per guardare ancora nella zona davanti a me, ma nessuna traccia umana era più presente.
<<Ti calmi?>> mi gridò la seconda guardia, rispondendo poi alla mia domanda. <<Per ultimo si è imbarcato un uomo sulla quarantina con un borsone, non un ragazzo, e ora vedi di andare via se non vuoi che ti cacciamo.>> mi intimò.
Nonostante mi avesse dato una palese conferma che colui che avevo visto non fosse Zee io non riuscivo a crederci davvero.
Ci misi un po' per tornare indietro da Orn, che dalla sua posizione non si era mossa, ma almeno si riprese abbastanza da non essere più una cascata vivente.
Venne innediatamente nella mia direzione appena ebbe modo di vedermi. <<Come stai? Mh?>> mi chiese toccandomi il petto come se potessi in qualche modo avere una ferita fisica.
Voleva sicuramente sapere cosa fosse successo lì in cima, ma tanto la mia espressione facciale esponeva già tutto da sé.
Non aggiunsi niente, non mi andava di parlare o, ancora più precisamente, era meglio dire che provavo un dolore lancinante appena la saliva scendeva lungo la mia gola.
Il dolore corporeo fino a quel momento era passato in secondo piano rispetto alle mie pene psicologiche ma anche lui non tardò a manifestarsi.
Feci cenno ad Orn di andare verso le prime sedute libere adocchiate, ero stanco di dovermi anche sorreggere e poco dopo, ancora prima di avere l'occasione di chiedermi qualcosa, il suo telefono squillò.
<<...No rimanete lì, non saprei neanche spiegare dove siamo.>> la sentii dire.
Mamma e Tommy erano fuori ma non mi passò per la mente neanche una volta di prendere il cellulare e avvisarli o guardare se mi avessero chiamato.
<<...Ne parliamo dopo, ok?>> e tagliò corto la telefonata facendomi dedurre che fosse Tommy all'altro capo poiché parlava con un tono molto informale.
Mi appoggiai di peso contro lo schienale ferroso, liberando la testa all'indietro nel vuoto e chiudendo gli occhi.

Alla fine non ci siamo neanche salutati.

<<Cos'è successo? Adesso parli.>> affermò risoluta Orn che si rivolse con il busto verso di me.
<<Niente.>> risposi subito e ancora con gli occhi socchiusi, ma non mi accorsi che la voce era un sussurro poco udibile.
<<Saint, prima hai urlato davanti mezzo aeroporto, alza quel cazzo di volume.>> mi avvertì spazientita e allora capii che c'era un problema.
<<Ma come non mi hai sentito?>> provai a dire ma appena misi in fila più parole rispetto a prima una tosse fastidiosa prese il sopravvento.
<<Non mi dire che...>> aggiunse lei <<...ti è calata la voce!?>>
Se fosse stata un'altra situazione lei e la sua faccia mi avrebbero fatto ridere a crepapelle ma ora non riuscivo neanche lontanamente a pensare di sorridere.
<<Non è successo niente.>> gridai, ma uscì fuori un qualcosa molto lontano da un urlo anche se decisamente più forte di prima e Orn afferrò il messaggio.
<<Vabbe dai, se ti sforzi riesco a sentirti.>> e abbozzò un sorriso affettuoso, passando un paio di dita vicino la mia spalla per poi passare alla schiena.
<<Era la sua borsa... ho visto il borsone che aveva in gita.>>
<<Come fai ad esserne sicuro? Potrebbe essere uno simile.>>
<<Non te lo so spiegare Orn, ma per me è così.>>
Lei non provò a controbattere ancora e fui io a ricominciare la conversazione.
<<Va'via, andate tutti a casa.>>
<<Come?!>> esclamò e questa volta non perche non mi avesse sentito.
<<Tornerà, se mi ha sentito, se era lui tornerà.>> dissi completamente fuori di me, avendo ancora quella goccia di speranza malata, malsana, unita a quella falsificazione e distorsione della realtà.
Non ammettevo che fosse patito, non mi capacitavo che fosse fuori dalla mia vita.
Lei mi guardò quasi pregandomi di non dire quelle cose, di non delirare in quel modo ma era più forte di me, io non potevo aver davvero perso Zee.
Lei strinse la mia mano, posizionata sulla mia gamba, e rimase in quella posizione mentre stendeva la sua schiena contro il sostegno scomodo.
<<Aspettiamo.>> e ripetette le mie esatte parole.
<<Orn...>> volevo convincerla che avevo bisogno di stare da solo, che era meglio prendere l'ulteriore bastonata in solitudine ma lei mi interruppe.
<<Aspettermo tutto il tempo che vorrai.>> e una sola lacrima scese dai suoi occhi enormi ma la asciugò in un lampo, sorridendomi subito dopo e non smettendo neanche per un secondo di tenermi la mano.
Fu Orn stessa ad avvertire Tommy e mia madre quando chiamarono per sapere perché non uscivamo dall'aeroporto e nessuno disse niente, nessuno fece niente non sapevo se per paura di vedermi distrutto o per rispettare in qualche modo la mia volontà, a prescindere ne fui grato.
Passarono delle ore, forse tre, in cui non mi mossi neanche di un millimetro mentre la mia compagna, di sventure amorose ormai, sembrava voler crollare da un momento all'altro per il sonno.
La notte era scesa risucchiando il giorno e dando la possibilità al buio di insinuarsi in ogni angolo del cielo.
Solo quando mi girai appena, smettendo di guardare il gate 3 e prestando attenzione ad Orn che smisi di essere così tanto egoista.
La sua testa si muoveva prima verso destra, poi verso sinistra, il suo equilibrio era precario non avendo un sostegno stabile e tutte le volte che si assopiva, poichè per il peso pendeva in avanti, con uno scatto si svegliava d'improvviso.

Orn è stremata avendo corso con me per metà giornata, la mamma non avrà sicuramente toccato nè acqua né cibo, mentre Tommy... sarà sicuramente incazzato e al tempo stesso preoccupato a morte per me.

<<Orn...andiamo a casa.>> le dissi alzandomi e troncando il contatto fisico che avevamo avuto fino ad allora.
Lei si mosse in ritardo, non comprendendo adeguatamente il mio cambio di posizione improvviso.
<<Ma hai detto...>>
Iniziai a camminare lentamente, non voltandomi più indietro.
Avrei voluto dire che era a causa di Orn che stavo andando via, che volevo smettere di aspettare ma non era così.
L'avevo capito già che una volta partito non sarebbe più tornato ma semplicemente per me non era contemplato un mondo in cui il mio Phi mi aveva abbandonato senza dire una parola.
A pochi passi da me Orn chiamò Tommy affinchè si facessero trovare all'entrata dell'aeroporto e così avvenne.
La mamma aspettava nella vettura con il motore acceso mentre Tommy, appena mi vide, scese dalla macchina e si gettò tra le mie braccia.
Lui non sapeva niente, Orn non aveva detto più nessuna informazione superflua, lasciando a me la scelta di parlarne o meno, eppure sembrava che lui sapesse già tutto.
<<Hai fatto quello che dovevi.
Shhh, shh, stai tranquillo.>> le sue mani passarono dentro i miei capelli, scompigliandoli ancora di più e spingendo il mio capo contro la sua spalle.
La mia guancia vi aderì, sprofondandoci, e nonostante non avessi fiatato Tommy continuò a ripetere per un po' di non preoccuparmi, continuò a zittirmi perché sapeva che era dentro di me il problema, erano i miei pensieri a fare un rumore così assordante che lui stesso poteva percepirlo.
<<Puoi lasciare andare ora, non hai niente da recriminarti, mh?>> mi disse poi, prendendo con forza il mio volto tra le mani e costringendomi a guardarlo.
Mi sorrideva teneramente, aspettando che affermassi qualcosa, qualsiasi cosa, ma quello che dissi non fu di certo quello che si aspettava.
<<È vero che posso, il problema è che non voglio, non voglio rinunciarci Tom.>>
Spalancò gli occhi in maniera così netta che non poteva nascondere in nessun modo la sorpresa.
Probabilmente era per le mie stesse parole o per la constatazione che non avessi più voce, alla fine avevo urlato fino allo sfinimento cercando una pace che non poteva darmi nessuno.
Lui distolse lo sguardo per posarlo su Orn, dietro di me, ispezionando i suoi occhi chiedendo una spiegazione per il mio stato fisico ma non si protrasse a lungo poiché ritornò presto a prestarmi la sua totale attenzione.
Portò una mano dietro la mia nuca e spinse la mia fronte contro la sua, battendoci contro almeno un paio di volte.
<<Ti tiro fuori da questa merda, stanne certo.>> disse prima di lasciarmi andare.
Erano delle belle parole, entrambi, sia lui che Orn, mi erano stati accanto in un momento in cui molti sarebbero scappati ma capii ben presto che solo e soltanto io potevo veramente tirarmi fuori.
Unicamente io avevo potere sulla mia vita ma ora, niente era abbastanza, ora volevo solo annegarci in quella che Tommy chiamava merda ma che per me era Zee.
Desideravo soccombere a quella parte di me che sapevo essere stata macchiata così tanto da Zee e non uscirne più, perchè almeno lì eravamo ancora insieme.
Non pensai di aggiungere qualcosa e lui, portando uno dei suoi bracci intorno alle mie spalle, mi incoraggiò ad entrare in macchina dove mia madre, come lui, non fece domande.
Non accompagnammo Tommy e Orn alle rispettive abitazioni poiché loro si rifiutarono categoricamente di tornarci.
Più volte durante il viaggio di ritorno a casa mi appoggiai con la testa al finestrino, stringendo tra i palmi le mie tempie doloranti ma senza nessun risultato, il mio affanno non passava non solo perché avevo bisogno di mangiare e riposare come si deve ma perché non era altro che il riflesso della sofferenza che provavo dentro, avevo somatizzato a tal punto quella situazione che il mio corpo stava dando segni di cedimento costanti e non evitabili.
<<Ma volete andarvene voi due?>> dissi esasperato a quelli che ormai erano diventate non una ma ben due sanguisughe assetate.
<<Quando ti sarai calmato.>> rispose Tommy.
<<Perchè, ora non lo sono?>> e mi girai verso di lui una volta che fummo tutti dentro.
<<Ho paura che scoppierai da un momento all'altro.>> mi confessò lui, con così tanta preoccupazione in volto che sembrava addirittura più vecchio.
Fu inevitabile da parte mia scoppiare in una risata amara che però destò ancora pii ansia negli altri.

Scoppiare? Sarebbe il colmo, non ne ho neanche motivo, perché dovrei?
Mi ha lasciato, mi ha mentito, non mi ha fatto neanche parlare, ha rimandato la nostra fatidica discussione perché non voleva che gli dicessi cosa sentivo per lui.
Perchè dovrei disperarmi ancora e ancora? Non è bastato prima? Non è bastato mettermi a nudo così tanto?

<<Sto bene, smettetela, entrambi, di trattarmi così.>> e mi rivolsi anche ad Orn.
Decisi allora di prendere provvedimenti e di spingengerli, anche maleducatamente, tramite le braccia, fuori la porta.
<<Davvero, siete due preziosi diamanti....>> iniziai con una vena di ironia <<...ma adesso dovete seriamente lasciarmi solo.>>
<<Saint...>> provò a dire Orn.
<<Ti prego, ti prego Orn riposati, e anche tu Tommy. Non fatemi sentire più in colpa di quanto non lo sia già per avervi trascinato in questa stupida storia.>>
<<Ma per noi...>> non diedi il tempo a Tommy di aggiungere qualcosa che chiusi l'infisso.
In realtà non me ne importata niente di loro in quel preciso momento, usai solo una scusa per sbarazzarmi della loro presenza troppo ingombrante.
Sospirai pesante, poggiando la testa contro la superficie legnosa non aspettando che si aggiungesse anche mia madre e anticipandola.
<<Mamma, ti giuro che ti racconterò tutto, ma ora non ce la faccio.>> e piano, con una lentezza disarmante mi avviai in camera mia.
Che cosa feci quella notte fu solamente dormire, cadere in un sonno così profondo da non riuscire neanche a sognare qualcosa di bello, talmente tanto aggrappato al sonno a causa di una stanchezza emotiva che ero sicuro di averlo fatto per quasi tutta la giornata seguente.
La domenica arrivò nella mia vita senza che potessi rendermene conto, non conscio di quanto tempo effettivamente fosse passato da quando avevo avuto quella terribile notizia, perdendo il contatto con lo scorrere delle ore, con la vita stessa.
Mi svegliai che era di nuovo pomeriggio, spaesato, non certo di cosa fosse reale e cosa no, con la mente distorta e confusa.
<<Mamma...>> provai a chiamare, sperando mi sentisse ma un fastidio alla gola mi frenò dal dire altro.
Poggiai i piedi nudi sul pavimento tiepido per la calura primaverile e che piano stava soppiantando il freddo invernale, avanzando fino ad uscire dalla mia stanza.
Mi accorsi che la mia maglia era zuppa di sudore ma soprattutto che emanavo un odore davvero sgradevole.
<<Ma da quanto non faccio una doccia? Mio dio, se Zee mi vedesse in queste condizioni mi prenderebbe in giro dicendo che non so neanche com'è fatto il sapone...>> e sorrisi al mio stesso pensiero esposto ad alta voce.
Trovai mia madre in cucina, piegata su una tazza di the fumante, con un'espressione corrucciata e triste.

Solitamente fa così quando c'è qualche problema...

<<Hey, mamma...>>
Lei tremò appena quando sentii la mia voce, troppo rapita dai suoi pensieri.
<<Oh, tesoro, finalmente ti sei svegliato.>> e si precipitò verso di me, lasciando la sua tazza per abbracciarmi e accarezzare il mio capo con entrambe le mani.
<<No, no mamma lasciami, non senti che puzzo?>> le dissi ridendo, ma lei prese a singhiozzare forte.
<<Cos'hai? È successo qualcosa?>> mi affrettai a dire, slegandomi dalla sua stretta materna.
<<Non hai fatto altro che d-dormire, per ore ed ore... n-non sapevo se svegliarti ero preoccupata e i tuoi amici sono venuti più volte stamattina, ti cercavano...>>
<<Tommy ed Orn?>> chiesi stupito continuando <<Cosa volevano?>> e a quella mia domanda mia madre alzò il capo per guardarmi finalmente in volto.
<<Mamma ero solo stanco, per questo ho dormito tanto, la gita mi ha distrutto. Forse sono venuti perché non ho più risposto ai messaggi, tranquilla.>> le disse ma lei mi sembrava tutt'altro che rassicurata dalle mie affermazioni.
<<Penso...>> e si asciugò le lacrime in fretta, tastando il tavolo in cerca di qualcosa con mani tremanti. <<... che dovremmo chiamare la nonna...>>

Ma cosa c'entrava ora? Che voleva dire...

<<Va bene, salutala da parte mia e dille che presto andrò a trovarla, devo davvero fare un bagno per domani.>>
<<Domani?!>> mi chiese subito mentre correva come una pazza per prendere il cordless.
<<Mamma, domani ho scuola, è lunedì, non te lo ricordi?>>
<<Ma sei appena tornato dalla gita, non sei ancora stanco? Facciamo una cosa, io prendo il giorno di festa a lavoro e andiamo da nonna, si? Devo parlarle assolutamente...>> e disse l'ultima frase più rivolta a se stessa che a me, componendo di fretta il numero.
<<Avrò sicuramente un sacco di cose da fare con Orn come rappresentante di classe, non voglio che abbia tutto quel lavoro da svolgere da sola, e poi sarebbe un'assenza inutile!>> le risposi mentre ero già su per le scale ma lei non mi prestò più attenzione e iniziò invece la conversazione con la nonna.
<<Mamma, mamma mi devi aiutare....>>
Sentii solo poche parole mentre passavo dalla mia camera al bagno dopo aver preso dei vestiti di ricambio.
<<... Vanessa? Hai ancora il numero?>>
Ma non riuscii a cogliere altro, chiedendomi a chi si riferisse mia madre e perché avesse un'urgenza impellente della nonna per trovare questa persona.
Feci il mio bagno rilassante e immerso nell'acqua bollente, profumata di mandorla e argan, mi passò per la mente che non sapevo neanche dove fosse il mio cellulare per rimanere in contatto con quei due ficcanaso.

Ahhh, se non mi muovo a trovarlo si ripresenteranno a casa ancora ma soprattutto Zee, non ho avvertito neanche lui.

Quando tornai in camera cercai dappertutto ma non riuscii a trovarlo prima di cenare con la mamma.
<<Vai piano Saint, non esagerare in questo modo.>>
<<Ho davvero fame, come se non avessi mangiato per giorni!>> le dissi con la bocca piena e quasi soffocai.
<<Attento, bevi un po' d'acqua!>> mi soccorse subito versandomi un bicchiere fino all'orlo.
<<Ah, mamma hai visto il mio cellulare?>>
<<No tesoro, ma non ti affannare, forse è meglio così...>>
<<Ma come faccio senza... che dici...>> la apostrofai, guardandola di traverso da sopra il bicchiere che riportai alla bocca per bere ancora.
<<Voglio dire che adesso serve al diavolo, come si suol dire... comparirà a tempo debito.>> provò a dire annaspando tra le parole e cambiò argomento.
<<Allora domani...>>
<<Domani scuola!>> la fermai prima che potesse proporre qualcosa.

Ma dove si è visto mai che un figlio deve convincere la madre perché vuole studiare...

<<Allora ti accompagno.>>
<<Perchè mai?>> chiesi alzandomi per sparecchiare e sistemare il caos che avevo creato.
<<Devo fare una commissione in zona, non fare storie!>> e quasi mi sgridò.
<<Non ti si può dire di no!>> le diedi un bacio sulla guancia dopo la mia ultima affermazione e salii in camera per continuare la mia ricerca del cellulare, non volevo andare a dormire senza prima aver dato la buonanotte a Zee.
Sotto la scrivania, vicino la tenda, nei cassetti del comodino, nel sottile spazio dietro l'armadio, controllai ovunque ma dell'oggetto neanche l'ombra.
<<Com'è possibile...>> dissi, buttandomi sul letto ma facendo cadere un cuscino.
Nel raccoglierlo, sotto il letto, ecco che fortunatamente lo vidi, era ancora intatto.
<<Chissà come mi è caduto..>> lo afferrai di fretta, premendo più volte lo schermo per accenderlo ma non succedeva niente.

È scarico, non si è rotto...

Corsi verso la libreria cercando in ogni scaffale il caricatore per appurarmi che funzionasse ancora.
Lo schermo segnò la carica all'1% quando misi la presa nella corrette e tirai un sospiro di sollievo anche se non potevo usarlo.
Lasciai perdere l'idea di usufruine quella sera e mi distesi sul morbido materasso pensando all'indomani e alla sgridata più grande della mia vita che Zee mi avrebbe fatto per non averlo avvertito.
Nonostante avessi dormito molto non fatica a chiudere ancora gli occhi, sentivo che quella stanchezza non era solo fisica ma soprattutto, provavo un senso di protezione e sicurezza tra le braccia del sonno rispetto alla realtà che mi inquietava.
Non avevo le parole giuste per descrivere le sensazione di fastidio e angoscia che avevo provato in quel pomeriggio, come se qualcosa non fosse andato per il verso giusto, come se nel mio stomaco ci fosse un gancio stretto che mi causava uno strano bruciore, come se fossi stato colpito così duramente e ripetutamente al petto da sputare il cuore intero e sentire solo un vuoto ora.
Ma se avessi visto Zee sarebbe passato tutto, mi serviva solo stare tra le sue braccia, percepire il battito del suo di cuore, martellante, la sua pelle in collisione con la mia, vedere e saziarmi di quelle rughe d'espressione che marcavano in maniera perfetta e armoniosa il suo volto, mi serviva davvero solo questo per stare bene.
Con l'immagine della persona più importante della mia vita mi assopii aspettando la mattina, impaziente per poterla incontrare.
Mi alzai presto, preparai tutto quello che mi serviva e dopo aver fatto colazione uscii con la mamma per andare in istituto.
<<Ma perché hai parcheggiato dentro scuola?>>
<<Non volevo che facessi quella salita! Cosa c'è di male...per una volta.>> e mi guardò torvo, salutandomi.
Camminai a passo contenuto verso il cortile poiché, per quanto mi fossi svegliato alla buon'ora, la mamma mi fece ritardare.
Incrociai Tommy proprio sull'uscio della porta che dava sulla nostra classe ma non mi diede la possibilità di salutarlo.
<<Ma dove cazzo eri finito? Non sparire così, mi hai fatto prendere un colpo!>> disse, scrutandomi attentamente.
<<Come stai? Che è successo?>> continuò in apprensione << Il cellulare? Lo tieni per esposizione?>> E mi fece ricordare con la sua ultima domanda che l'avevo lasciato a casa.
<<Tom, sto bene, ma che ti prende? Ho solo dormito tutto il giorno ieri e poi il telefono mi è morto, era così scarico da non accendersi neanche sotto carica.>>
<<Hai dormito...?>> chiese ancora in maniera insistente.
<<Mh, da quando siamo tornati dalla gita, ero stanchissimo.>>
<<ORN!>> urlò d'improvviso, speventandomi per il tono di voce alto e aggressivo che aveva avuto.
La sua gola diventò rossa e una la base del collo si contrasse dandomi l'idea che si stesse trattenendo.
<<Che succede?! >> accorse lei ancora più sconvolta di me, guardando prima Tommy e poi rivolgendo i suoi grandi occhi nella mia direzione.
Tommy non le prestò apparentemente attenzione e continuò a pressare me con delle richieste senza alcun significato.
<<Hai dormito anche sabato pomeriggio?>> mi chiese con tono alterato e stringendo i pugni talmente tanto che le sue dita si colorano di bianco.
<<Tu sei fuori! Te l'ho già detto prima, sì, ho dormito tutto il tempo.>>
Orn fece qualche passo in avanti e per poco non inciampò dopo aver ascoltato le mie parole e poiché nessuno dei due affermava niente proseguii <<Voi... avete qualche problema serio, e poi non è tardi?>> dissi, in riferimento all'inizio delle lezioni ma il professore si presentò proprio alle nostre spalle.
<<Filate in classe.>> pronunciò calmo, poiché anche lui era arrivato dopo.
Gli fui grato per aver interrotto la nostra conversazione, non avevo idea di che cosa fosse accaduto a Tommy e non mi andava di indagare se quella era la sua reazione.
Mentre ci sedemmo nei nostri consueti posti colsi l'occasione per tentare di distendere gli animi parlando di altro, tanto in quell'ora il professore di letteratura avrebbe spiegato tutto il tempo argomenti stupidi.
<<A proposito cosa volevate ieri?>>
<<Niente di che.>> rispose secco.
<<Hai per caso visto Zee mentre venivi? >> continuai, ma lui, che aveva appena preso una penna per scarabocchiare, non rispose facendola invece cadere sul pavimento.
Si girò subito nella mia direzione e con il sudore che piano scendeva dalla sua fronte sussurrò <<Tua madre...tua madre stamattina ti ha lasciato venire così, senza fermarti??>>
Stanco di non capire che problemi avesse mi avvicinai al suo orecchio e affermai <<Posso sapere che diamine vuoi dire? Parla chiaro, perché non avrebbe dovuto mandarmi a scuola?>> ma lui si discostò per osservarmi meglio.
<<Niente, niente, ero solo curioso.>> e terminò con una scusa che faceva acqua da tutte le parti ma avevo perso la pazienza per proseguire quel dialogo così mi accasciai sul banco, estenuato sia da Tommy che dalla parlantina del professore.

Stamattina ha le pile cariche...

Chiusi gli occhi per qualche istante, cercando di collegare i pezzi dello strano discorso di Tommy, ma più ci pensavo più non lo comprendevo.
D'improvviso la porta dell'aula venne spalancata con forza e quel ragazzo in uniforme disordinata, dai folti capelli neri non pettinati e la sua solita aria da pallone gonfiato, entrò con disinvoltura.
Mi alzai subito, sostenendo il mio peso con le mani poggiate sul banco scheggiato e gli urlai <<Sei impazzito? Ti puniranno!>>
Lui si avvicinò a me, con quel solito ghigno incurante sul volto e mi porse il palmo della sua mano.
Il vento caldo e delicato scompigliava la sua frangia, socchiuse leggermente gli occhi a mandorla e passò da una smorfia ad un gran sorriso.
<<Andiamo?>> mi rivolse.
La sua carnagione era così chiara che potevo contare le vene violacee, quasi come se la pelle fosse solo una sottile pellicola che mi divideva dal toccarle e senza fare ulteriori quesiti la afferrai.
Mi fece girare intorno al banco per poi procedere con decisione verso l'uscita, incrociando le nostre dita le une alle altre.
Quando però, mi voltai verso Orn e Tommy mi accorsi che sembravano essere pietrificati, nessuno più emanava un fiato o faceva un movimento.
Come se il tempo si fosse fermato, come se quella fossero solo sagome di scena per un film, non si sentiva altro che il soffio del vento dalla finestra dov'ero seduto prima.

Cos'è? Cos'è tutto questo?

Mi fermai ma le nostre estremità non si slegarono facendo in modo che i nostri bracci rimanessero in tensione.
<<Io...>> incominciai, osservando prima intorno a me e poi concentrandomi sulla sua mano. << ... io ti sto toccando, tu sei qui.>> e mi fermai perché la gola si strinse così tanto da avere difficoltà a pronunciare altro. <<Non è vero? Sei qui, tu sei...>> le parole mi si strozzarono in gola e lui mi sorrise ulteriormente, quasi con compassione.
Accorciò la nostra distanza per accarezzare la parte del mio capo che ormai conosceva il suo tocco e aveva imparato a riconoscerlo tra tanti.
<<Sei troppo intelligente, tu non puoi assopirti in questo modo, mio dolce Nong.>> sussurrò piano, provando a sciogliere il nostro legame
<<No, NO!>> e lo tirai più vicino, prendendo con entrambe le mie estremità il suo polso ma lui scomparve, letteralmente si volatolizò davanti ai miei occhi, fondendosi con la luce che entrava da quella finestra socchiusa e lasciando solo polvere nel posto dov'era stato.
Afferrai e chiusi le dita intorno al nulla.
Mi sentii in bilico, terrorizzato del vuoto, su un pavimento piatto e  credendo che sarei precipitato da un momento all'altro nell'oscurità non mossi un muscolo.
I denti producevano un ticchettio continuo e forte, così tremanti, da non concedermi di pronunciare neanche il suo nome, ancora e ancora.

Non sta succedendo davvero, non è possibile.

Le pupille mi si erano dilatate così tanto che risultò difficile mettere a fuoco Tommy accanto a me, le mie labbra si mossero compulsivamente aggrappandosi all'aria che mi mancava e, alzando la testa dal quaderno, mi resi conto di essere zuppo di sudore.
Quello però non era l'unico liquido presente su miei capelli, le guance erano bagnate di lacrime calde e copiose rispetto al sudore stesso, freddo e gocciolante.
Mi ero addormentato, non per dieci minuti sul mio banco di scuola, ma per la durata di un'intera giornata.
Mi alzai all'istante, stringendo tra le mani le carte ormai inutili e zuppe, buttando via il mio quaderno.
Oltrepassai Tommy che si accorse tardi delle mie condizioni e mentre il professore inveiva contro di me, intimandomi con il gessetto di tornare al mio posto fu Orn a mettersi davanti alla porta della classe.
Mi compativa con gli occhi, lo percepivo, ma non avevo tempo per curarmene.
<<Dove vai?>>
<<Vuoi impedirmi di raggiungerlo? Spostati Orn, credi che potrò mai perdonarti se ti intrometti in questo modo?>>
Ferirla psicologicamente, premere il pulsante dei sensi di colpa, punzecchiare la sua mente fino a che non sarebbe crollata, questo volevo e infatti lei non ci provò nemmeno, a guardarmi.
Con la testa bassa annaspò cercando delle scuse che non sentii perché era così intenta a concentrarsi, a pensare e ripensare alle sillabe che avevo articolato, da perdere di vista la porta.
I miei passi furono rapidi ma non corsi per non destare troppi sospetti tra i bidelli e non dubitai un solo istante quando mi precipitai nella classe di Zee, convinto delle mie azioni.

Lo so, lo so che non è qui e allora perché continuo a cercarlo ovunque?

Il suo posto, infondo alla classe, era vuoto e fu allora che non ragionai, persi lucidità ancora di più rispetto ai giorni precedenti.
<<Hey, dove credi di andare tu? E poi chi sei? >> tentò di dire una professoressa con voce autoritaria.
Passai attraverso tutti i compagni di classe di Zee per raggiungere Bright, che era sempre stato seduto accanto a lui.
<<Dov'è?>> chiesi sbattendo i palmi delle mani sulla superficie consumata e vuota, perché lui, proprio come Zee, Bright non sapeva cosa volesse dire studiare.
Lui non mi degnò di tanta attenzione, con aria di supponenza e indifferenza spostò lo sguardo altrove.
Irritato e spazientito presi con entrambe le estremità il colletto della sua camicia, alzandolo di peso dalla seduta e costringendolo a guardarmi.
<<Dov'è? Perché non siete insieme?>> chiesi ancora.
<<Fate sempre i coglioni e saltate la scuola, se lui non è qui perchè, perchè tu sei in classe? Dovreste essere a cazzeggiare per la città come è vostro solito. Perché diamine sei qui?>> continuai.
Lui mi osservò bene prima di dire quello che sapevo già ma che non volevo sentire.
<<È partito, lo sai bene.>> e sul suo volto comparve un ghigno di scherno <<Perchè fai queste scene? Smettila, sei ridicolo.>>
E concluse la sua frase liberandosi con forza dalla mia presa.
<<No, non è partito, non dirlo.>>
<<Perchè? Credi che non esternato lo renda meno reale?>> e si sistemò la camicia mentre io mi passai la mano tra i capelli fradici.
<<Saint!>> mi chiamarono in coro Orn e Tommy accompagnati dal mio professore.
La voce di Tommy per una volta sembrava un punto di riferimento, un riparo dove potermi proteggere dalle menzogne di Bright.
<<Tom, Tom portami da Zee, Tom ti prego.>> e presi il suo viso tra le mani umide.
<<Tu lo sai dov'è, non è andato via, andiamo da lui, mh?>> ma lui cercando di riacquistare la libertà mosse il viso più volte.
<<Mi dispiace così tanto.>> fu l'unica cosa che disse prima che le mie mani si riempissero di ulteriore liquido caldo, questa volta proveniente da lui.
Non avevo mai visto Tommy piangere se non per Jimmy e quel gesto mi fece crollare ancora di più.
Le mie barriere mentali, le mie convinzioni caddero tutte mentre vedevo, sentivo, Tommy piangere davanti una classe intera, davanti a me.
<<Non può avermi abbandonato, lui non lo farebbe mai.>>
Il disgusto, verso me stesso, verso Zee e il contesto circostante iniziò a manifestarsi in me sotto forma di una rabbia incontrollata.
<<Mi dispiace... mi dispiace così tanto amico mio.>> disse ancora Tommy provando ad avvicinarsi per abbracciarmi.
Ma la mia risposta in automatico fu quella di allontanare la mano che pretendeva con uno schiaffo rumoroso e secco, urlando <<Menti! Anche tu mi stai mentendo, è impossibile.>>
In quel preciso momento, guardando il mio amico distrutto, che aveva provato in tanti modi a risollevarmi, Orn in un angolo, che assisteva a tutta la scena, mi resi conto che quello che avevo vissuto sabato all'aeroporto mi era sembrato solo un brutto sogno e convinsi me stesso al tal punto che lo fosse, che rifiutai la realtà che mi veniva buttata in gola sottoforma di pillole da tutte le persone che mi circondavano.
Arrivai a credere alla mia stessa bugia autoindotta, passando un intero giorno in isolamento, nel mondo utopistico e perfetto creato secondo la mia volontà, in cui io e Zee non c'eravamo mai detti addio in quel modo così rozzo e primitivo.
Il mio cervello non aveva fatto altro che tentare di proteggermi da una cosa che mi avrebbe distrutto, portandomi molto più vicino alla devastazione di quanto non avesse potuto fare l'accettazione della sua partenza sin dall'inzio.

Il problema di questo tipo di bugie è che, se ingigantite sempre di più, finiscono con il diventare una verità innegabile, certa, invalicabile anche per te stesso.
Anche tu finisci per crederci, per proteggerti da una vita disumana, e la tua bugia diviene un paracadute.

Tirai su con il naso ma non ebbi il tempo di fare altro che il preside accorse in quella classe accompagnato da mia madre.
Il resto fu solo confusione, una serie di azioni meccaniche che ero stato costretto a compiere per porre rimedio al mio comportamento.
Mi portarono nell'ufficio del direttore, quello che in passato aveva ospitato tutte le mie sedute psicologiche, mentre professori, Tommy, Orn e la mamma erano fuori a discutere sottovoce ma non abbastanza da impedire di sentire cosa avessero deciso sulla mia condotta.
<<Voi due tornate in classe e cercate di contenere le voci sul vostro compagno, l'ultima cosa di cui ha bisogno sono brutte dicerie sul suo conto.>> iniziò il preside.
<<Sarà meglio che lo porti a casa.>> provò a dire mia madre ma lui proseguì <<Sono grato che lei sia corsa subito da me notando la situazione di suo figlio ma è meglio che ora aspettiamo l'arrivo della dottoressa. Professori, cercate di contenere i ragazzi sull'accaduto.>>
<<Certo signor preside, comprendiamo.>> disse uno dei due, uscendo da quella conversazione.
<<Ritiene che sia doveroso ritirarlo da scuola?>> chiese mia madre angosciata e mi stupii molto del fatto che non fosse ancora scoppiata in lacrime.
<<Non si aggiunga altri pensieri, questo incidente non avrà influenza nella sua carriera scolastica. È sempre stato un alunno brillante, ha dovuto gestire molto, nel corso degli anni, ed è normale che quest'ultima sia stata un punto di rottura, è solo un ragazzo alla fine.>>
Ero seduto su una delle due sedie scricchiolanti di autentica pelle quando la donna, ancora vestita come se fosse un'adolescente nonostante la sua età e professione, varcò la soglia.

Come ho fatto a non capire che mamma si riferisse a lei al telefono con la nonna? Per questo è venuta a scuola con me... voleva farmi vedere da lei.

Io e Vanessa ci incontravamo da due anni, eppure lei era sempre la stessa, con il suo taccuino dalle pagine ocra e la calligrafia illegale per me.
Non la salutai, troppo intento ad osservare ogni suo movimento mentre già prendeva appunti, analizzandomi.
<<È da un po' che non ci vediamo, vero? >> provò ad incominciare ma da parte mia ci fu silenzio, come d'altronde la prima volta che entrai nello studio.
<<Vuoi dirmi tu cos'è successo oggi o devo farlo io?>>

A quanto pare sono stati molto bravi a riferire l'accaduto, allora perché lo domandi a me?

Appoggiai un braccio al sostegno duro e scomodo della seduta così da avere un appoggio abbastanza forte e sostenere le mia stessa testa con due sole dita della mano.
Il mio corpo si stava rilassando dopo la tensione e l'adrenalina di poco prima e non avevo voglia di impegnarmi in qualcosa che non mi avrebbe aiutato.
Lei non si voltò ma indicò con la sua bella ed elegante penna a sfera la finestra che dava sul giardino.
<<Questa volta non ci sarà nessuno a mandarti un messaggio per farti parlare.>> disse consapevole di ferirmi in qualche modo, e ci riuscì perché mancò poco per farmi alzare e darle le spalle.

Perchè continua a mettermi davanti l'evidenza delle cose? Fa male, fa troppo male per me adesso.

<<Non ho bisogno di te.>> risposi dopo un po' solo per paura che potesse attaccarmi ancora.
<<Due anni fa non mi sembravi contrario alla mia figura professionale, hai cambiato idea? Andare dallo psicologo è per pazzi? Questo pensi?>>
<<Non è cosi, penso solo di non aver necessità del tuo aiuto, ho capito cosa è successo, non si ripeterà più.>> e feci per alzarmi dalla sedia ma le sue parole arrivarono cocenti contro i miei pensieri, la mia mente.
<< No, non hai capito Saint. Il tuo corpo, la tua mente ha rigettato così tanto la realtà che hai creato un tuo mondo parallelo, cancellando quello che era accaduto. Hai subito un trauma emotivo da separazione, hai perso la persona che ti è stata accanto quando hai vissuto il momento più buio della tua vita, questa reazione non deve essere vista con disprezzo da te. È stato il tuo modo di affrontare il dolore, va bene, ma ne dobbiamo uscire.>>
<<Ho solo perso il contatto con la realtà per un po' di tempo, non la farei così tragica.>> le risposi, abbozzando un sorriso, provando a sdrammatizzare e stemperare il tifone che si era abbattuto su di me e che io stesso avevo contribuito a creare.
<<Penso che dovremmo incontrarci...>> e non la feci concludere che mi alzai definitivamente, spingendo la sedia lontano.
<<No, non dobbiamo, devo vedermela da solo, devo trovare il coraggio di affrontare questa cosa.>>
<<Ricevere aiuto non equivale a non saperle fronteggiare, dovresti saperlo.>>
<<Ed è così, ne sono a conoscenza, ma voglio provarci, ho davvero...toccato il fondo.>>
Lei lasciò andare la sua preziosa penna nella piegatura del taccuino, chiudendolo.
<<Se dicessi che hai bisogno delle sedute...>>
<<...Mi costringerebbero a farle.>> terminai per lei. <<Ma se avrò davvero bisogno di te, verrò io, te lo prometto.>>
Vanessa sospirò, e mi diede l'idea di essere indecisa sul darmi o meno la sua approvazione ma poi chiese ironica <<Da quando abbiamo questo grado di confidenza noi due?>>
<<Non avevi detto che eri come una sorella per me?>> ribattei avvicinandomi alla maniglia della porta, consapevole che aveva accettato il nostro patto.
<<Saint, mi raccomando...>> provò a dire.
<<Te l'ho promesso.>> ribadii lasciando la stanza, non ancora pronto per affrontare quella che da lì in poi sarebbe stata la mia vita e per fronteggiare, guardando nel piccolo, non solo me stesso ma anche le persone che amavo dopo tutto quel casino.

Zee's pov.
Da quella volta in poi, dopo il disastro sul pontile, non udii più la voce di Saint chiamarmi Phi, da quella volta in poi il nostro rapporto cambiò così tanto che non era più possibile riconoscere le tracce di un noi, di quello che eravamo stati.
Provai in tutti i modi ad avvicinarmi a lui la mattina seguente, a spiegare le mie intenzioni, anche se non avevo scusanti, e forse non ci provai neanche a farlo bene, forse mi arresi troppo presto.
Non volevo che soffrisse ulteriormente, non volevo che vedesse quanto l'amassi davvero o lasciarlo sarebbe stato più atroce, non volevo farmi scappare la verità che era sulle mie labbra tutte le volte che incrociavo i suoi occhi.
Sceso dall'autobus, ad aspettarmi c'era Lucy ma non rimasi sorpreso, mi aveva solo confermato che non avremmo neanche messo più piede alla villa e che saremmo andati direttamente all'aeroporto.
<<Ciao tesoro mio.>> mi disse quando mi avvicinai, passo dopo passo, a lei con il borsone in spalla.
<<Mamma...>> la chiamai, sorridendole appena.
I miei movimenti erano un po' scoordinati ma soprattutto lenti, questo perché mi concentravo sul non far trapelare le mie emozioni, non tenendo conto del resto.
Ero distratto e con la mente tra le nuvole mentre lei mi parlava e mi incitava a raccontare come fosse andata la gita, cercavo in tutti i modi di contenere i miei sentimenti e la mia voglia impellente di far trasparire il mio reale stato d'animo, di dirle quanto desiderassi non partire, quasi tentato di chiederle se potessi andare a vivere da lei, buttando alle spalle la mia condizione, il mio nome e quella che era considerata la mia famiglia.
La sua testa, già diventata grigia abbastanza a causa della sua età, toccò il mio petto e in quel momento ebbi la percezione che fosse ancora più piccola rispetto alle altre volte.
Passò le sue mani callose dietro le mai schiena, accarezzandomi dolcemente come faceva quando voleva consolarmi.
Senza dirle niente sembrava quasi che avesse capito quanto mi ero sentito aggredito, schiacciato psicologicamente da quei pochi giorni fuori città, giorni in cui avevo dovuto solo farmi coraggio e affrontare la realtà delle cose, senza più rimandare.
All'inzio non ricambiai l'abbraccio ma poi in automatico le mie braccia si aggrapparono forte intorno le sue spalle.
<<Mi sei mancata davvero tanto.>> le dissi, conscio che tre giorni erano solo una goccia rispetto al mare di tempo che sarebbe passato prima di rivederla di nuovo, se mai fossi tornato.
Lei non rispose alla mia affermazione ma potevo udire dei sospiri troppo profondi, e dei singhiozzi trattenuti, tutti chiari segnali che avesse già iniziato a versare lacrime.
<<Non piangere, per favore mamma, mh? Non piangere... non ce la faccio più a vedervi stare così per me.>> confessai alzando la testa verso il cielo tinto di arancione in lontananza, pronto a portare la fine di quella giornata e l'inizio di una nuova che non volevo arrivasse.
Prendemmo un taxi per dirigerci direttamente all'aeroporto e aspettammo lì le ore che mi separavano dalla partenza, parlando come se fossimo a casa, consumando un pasto insieme, come se quella non fosse l'ultimo, come se non fossero le 16 del pomeriggio.
Più volte controllai il cellulare, aspettando una risposta alla trentina di messaggi che avevo inviato a Saint, ma da parte sua non ci fu nessuna reazione.
Grazie alle risate di Lucy per un po' non pensai a quello che mi aspettava, non diressi la mente al mio dolore o a quello di Saint, alla nostra situazione, almeno fino a quando un uomo alto e muscoloso ci interruppe.
Il suo completo nero ed elegante passava in secondo piano rispetto agli occhiali da sole scuri indossati in un momento della giornata sbagliato visto che presto sarebbe diventata sera.
Si posizionò in piedi, accanto al nostro tavolo senza dire una parola osservandoci da dietro le lenti quadrate.
<<Scusami ma...>> iniziai a dire, infastidito dalla quella presenza indiscreta ma Lucy mi interruppe.
<<Zee...è qui per te.>> non ci girò intorno e mi rivelò subito la verità.
Guardai lui, che non si era mosso di un centimetro, per poi posare il mio sguardo su di lei davanti a me.
<<Non... non sarà una guardia?!?>> domandai, incredulo. <<Ma se avevano detto che non abbiamo soldi, sul serio?!>> e strinsi il recipiente di carta che avevo tra le mani, da cui prima stavo sorseggiando tranquillo.

Bastardi infami, credano che possa agire di impulso, metterli nei guai con qualche cazzata o che vada a nascondermi da qualche parte, sfuggendo al loro controllo.
Ma a che punto siamo arrivati?

Ero quasi convinto che mio padre avesse chiesto un aiuto finanziario a quella famosa zia da cui sarei dovuto andare, a prescindere, una volta compiuti i diciotto anni.
Nella loro concezione antiquata e retrograda avrei dovuto studiare all'estero per apprendere le migliori tecniche e mantenere quella sporca azienda di cui non me ne importava niente, sarebbe potuta anche bruciare all'inferno, ne sarei stato più felice.
<<Dai, è solo...>> e cercò una parola che non mi mettesse ancora più in crisi.
<<Da malati.>> intervenni, incrociando le braccia al petto.
Volsi lo sguardo a quell'uomo che non aveva aperto bocca e provai a punzecchiarlo per capire almeno come fosse caratterialmente.
<<Posso almeno sapere il tuo nome?>> e adottai sin da subito un tono informale pur constatando che fosse una persona più grande di me.
<<Non sono tenuto a rilasciare informazioni personali.>>
Risi portando la mano verso gli occhi e cercare di calmare quel mal di testa lancinante, scoppiato proprio con la sua presenza.
<<Perché? I piani alti ti hanno detto di non fraternizzare con me?>> e sul mio viso feci apparire un ghigno profondo.
<<Esattamente.>> affermò senza scomporsi e la sua rigidità mi toccò i nervi così tanto che per poco non buttai la sedia lontano per potermi alzare e affrontarlo direttamente.

Mi sento come un cane al guinzaglio e ora mi hanno appena assegnato il padrone mentre loro sono impegnati a "risollevare l'azienda."
Sono convinto che mi starà intorno tutto il tempo, sia qui che a New York, e ho davvero paura che quei due pazzi abbiano messo delle spie anche nel mio telefono per sapere se sono rimasto in contatto con Saint.

Ero pronto a dargli battaglia, almeno con le parole, ma Lucy interruppe i miei pensieri dicendo <<Sono le 17.30, dovremmo avvicinarci al gate.>>
Il tempo mi era appena scivolato dalle mani senza che me ne accorgessi e, non convinto che mancasse così poco, guardai l'orologio sul mio cellulare appurandomi anche che ci fosse neanche l'ombra di una risposta di Saint.
L'entrata dell'aeroporto non era molto distante dal piccolo bistrot doveve avevamo consumato un pasto veloce e risposi all'affermazione di Lucy.
<<No, non ancora.>>
<<Devo portarla via con la forza?>> rispose in mezzo l'uomo.
<<Ah, adesso ce l'hai la lingua.>> e borbottai <<...solo per dire cazzate.>> guardando insistentemente la porta automatica, ansioso di vederlo arrivare.
<<Zee, si farà tardi.>> mi disse invece Lucy, con voce triste.
<<Mamma, arriverà, lo so, non può non venire a salutarmi. Nonostante tutto verrà, deve.>> esposi speranzoso e convinto che avesse solo fatto tardi.

17.45, 17.46, 17.47.

<<Non possiamo attendere oltre.>> disse il guardiano.
<<Mamma, per favore, ancora un po', mh? >> le chiesi supplicante come se lei potesse dilatare il tempo e darmene di più.
<<Se dipendesse da me tesoro...>> e poi aggiunse <<...Dai almeno avviciniamoci.>>
Fui letteralmente spinto da lei una volta che ci alzammo e mi lasciai guidare sotto braccio mentre ogni istante mi giravo di spalle, non concependo minimamente che lui potesse non varcare quelle soglie.

17.50, 17.51, 17.52

L'altoparlante elettronico avvertì per l'ultima volta che il volo diretto a New York sarebbe partito a minuti e io ero ancora in attesa, in cima alle scale mobili, vicino al numero tre del mio gate.
Sulle punte delle scarpe cercavo di sporgermi per guardare in basso ma nessuno giungeva.
Il custode addestrato dai miei genitori provò ad afferrare il borsone che portavo sulla spalla per intimarmi ma non glielo lasciai prendere.
<<Che modi.>> lo apostrofai e lui subito rispose dicendo <<Sono autorizzato a farlo se si rifiuta di andare.>>
<<Aspetti, dobbiamo ancora salutarci..>> si intromise Lucy.>> e ci spostammo leggermente per avere un minimo di privacy.
<<Mamma...>> dissi, guardando più i suoi capelli che i suoi occhi, visto che aveva il capo abbassato.
<<Mi raccomando, sta attento, chiamami quando sei arrivato e non comportati male.>> solo dopo aver concluso si decise a guardarmi e mise una mano sul mio volto, passando delicatamente il pollice su tutta la superficie che riusciva a contenere in quell'esile estremità.
<<Non vado ancora via, aspetta Mae.>>
Gli occhi mi si riempirono di lacrime ma non sapevo con esattezza se la motivazione fosse la delusione provocatami da Saint o perché fino all'ultimo non mi ero reso conto che la mia partenza si stesse davvero avverando.
<<Che fai? Dopo avermi fatto promettere piangi tu?>> asciugò piano la zona bagnata prima che potessi avvicinarmi di più a lei e poggiare la mia guancia contro la sua, piegandomi per raggiungere la sua altezza.
Strofinai leggermente e accarezzai il retro della sua testa, anche se i suoi capelli erano legati, e le sussurrai.
<<Ti amo tanto mamma, grazie.>>

La mia mae, la mia adorata mamma ha veramente allungato il tempo per me, mi ha concesso più minuti di quanto mi spettavano.

Nel momento esatto in cui mi staccai da lei e la osservai per l'ultima volta una voce aggressiva e alta invase il mio canale uditivo.
<<Zee!>>

Non sto sognando, non sono allucinazioni, è la sua voce ne sono sicuro.

Per brevi secondi non mi mossi, rimasi semplicemente in adorazione e contemplazione di quel suono che volevo tanto sentire e che finalmente era arrivato.
Io e Lucy davamo le spalle alla scalinata mobile e per un solo momento sperai di trovarlo dietro di me.
Stavo per voltarmi quando incominciò ad urlare il suo discorso, parole che, piuttosto che consolarmi, non fecero altro che aggiungere odio e ancora odio nei confronti di me stesso.
Ascoltai, ascoltai ogni singola parola, ascoltai il suo dolore per essere stato messo da parte, la sua rabbia per non essere stato informato prima e il suo fastidio per non essere stato sentito a dovere da me, come meritava, ma mai mi sarei aspettato che ai suoi occhi potessi apparire come mi avevano definito tutti: un codardo.

Quanta speranza ho di essere una persona migliore se per te ora sono solo un vile?
Non capisci, non sai, perché ho continuato a sopravvivere ogni giorno anche se non ci dovrebbe essere più chance per me?
Non capisci che è solo grazie a te che ho le sembianze di una persona, che ho umanità?
Ho dato ogni cosa a te, ho vissuto solo per te Saint, non mi rimane più niente se anche tu, se anche per te, finisco con il non avere nessun valore.

Il pensante borsone rischiò di cadermi dalle spalle, la mia presa si allentò sempre di più man mano che lui procedeva con insistenza.
Non mi aspettavo che Saint sarebbe venuto con l'intento di cacciare tutto quello che aveva dentro, credevo solo che ci saremmo abbracciati e salutati, con la promessa di un futuro in cui ci saremmo incontrati di nuovo da vicino, per questo mi fu difficile scendere, andare da lui.
<<Allora...>> abbaiò il guardiano ma lo stoppai con le azioni, avanzando di qualche passo, nonostante la voce di Saint continuasse, imperterrita, a perforarmi il cuore.
Non sentii niente, credendo che avesse finito e che ne fossi uscito integro da quella bomba che mi era stata lanciata, ma invece quelle parole arrivarono, ancora più violente, ancora e molto più devastanti al mio muscolo cardiaco che cessò di battere.
Aveva appena gridato, con tutta la forza che potesse avere in corpo, quanto mi amasse.
Il borsone cadde pesantemente sul pavimento producendo un tonfo secco e io mi mossi di scatto andando verso le scale.
Corsi per quel piccolo tratto che mi divideva dallo scendere giù e confermargli che per me era lo stesso.

Credi che sia facile stare qui fermo quando ti confessi in questo modo, quando non ho fatto altro che desiderare questo momento nella mia triste e desolata esistenza, riempita solo dalla tua presenza?

Era vero che quell'uomo si era presentato grande e forzuto, intimandomi di seguire le direttive o era autorizzato a farmi del male ma non avrei mai pensato che lo avrebbe fatto.
Mi afferrò con irruenza il braccio, rischiando di spezzarlo per la pozione strana in cui era riuscito a girarlo.
<< Lasciami! Potevano ingaggiare solo un animale senza sentimenti quei due pezzi di merda, lasciami. O ti hanno anche ordinato di non farmi salutare nessuno, è a causa vostra che è arrivato tardi non è vero?!?>>
Ma lui al posto di rispondere esercitò una certa pressione sull'arto, tanto che mi sembrò di sentire le ossa scricchiolare e i muscoli quasi sfibrarsi.
<<Anche io! Anche io Saint, anche io.>> provai a gridare più e più volte ma il male fisico e la posizione incredibilmente dolorosa in cui mi teneva quell'essere mi impediva di incanalare abbastanza fiato per rendere la mia voce più alta.
<<Mi hanno pagato per farti salire su quell'aereo e ora ci andremo.>> mi disse poi lui, trascinandomi verso l'inizio di un corridoio che avrebbe portato all'aereo.
Prese lui il borsone, facendo vedere i due biglietti agli ultimi controlli e spingendomi con tenacia.
Non appena si fosse assicurato che non potessi scappare mi liberò ma nonostante questo mi spintonò ripetutamente per procedere.

Saint, Saint non mi ha sentito.
Saint non sa che ho accolto ogni sua singola parola dentro di me, ora è convinto di non essere riuscito a dirmi niente.

Con le lacrime salate che percorrevano il mio volto in fiamme, non provando neanche a fermarle, presi posto sull'aereo che sembrava aspettasse solo me per decollare.
Mi accasciai stremato sul sediolino di prima classe, non badando al braccio inerme che ancora doleva ma pensando e ripensando a quelle sillabe.
<<Ti amo, ti amo Zee..>>

Mi ami, tu, mi ami.
È la prima volta che lo dici ma perché, nonostante io ti abbia mostrato la parte più debole di me, il lato più distruttivo, nonostante ti abbia impedito di parlare e ti abbia allontanato con tutti i mezzi possibili, perchè, l'hai detto?
Non lo merito, so di non meritarmi neanche la metà della persona che sei ma desidero solo prendermi questo amore, e cibarmi di questa sensazione fino a quando non ti rivedrò ancora.

Rimasi avvolto nel mio silenzio, in balia del turbinio della mia tristezza, ingoiato dal rumore stridulo del mio cuore che faticava a battere.
Pezzi di me, dei miei ricordi, della mia anima venivano lentamente mangiucchiati e sgranocchiati dall'ansia e la mancanza.
Mi stavano divorando.

È così difficile proseguire la strada con questi demoni pesanti che ballano sulle mie spalle.

Non sono sicuro di quanto tempo passò in cui, silenziosamente, senza destare nessun sospetto, con la testa girata verso il minuscolo finestrino, piansi, stringendo tra i denti tutti gli orrori che la mia mente non riusciva a smettere di elaborare.
Il viaggio fu ancora più lungo di quanto dovesse essere in realtà e anche quando vidi per la prima volta i grattacieli sconfinati e il movimento di persone e macchine nonostante fosse prima mattina, New York mi apparve spenta e buia.

Cosa avrebbe detto lui? Gli sarebbe piaciuta? Probabilmente si sarebbe aggrappato al finestrino schiacciandoci il naso contro per poter osservare di più.

Mi trovavo 11 ore indietro rispetto alla Thailandia ora ma non prestai attenzione a niente quando arrivai, chiunque sarebbe stato affascinato dalla struttura architettonica dell'aeroporto, oppure dall'odore di frittelle appena sfornate, tentato di assaggiarle subito, ma non io, per me quello era solo l'inferno.
<<Continuerò a non sapere come devo chiamarti?>> dissi, procedendo spedito verso una direzione che non conoscevo, completamente a caso, guidato unicamente dalla voglia di fermarmi e morire di disperazione.
Era come se un oscurità schiacciante, soffocante mi volesse consumare, aveva ricoperto ogni parte di me.
<<Gerry.>>
Trattenni una risata ma fu davvero difficile e infatti mi arrivò una sua grossa mano dietro la schiena.
<<Hey! Smettila di toccarmi.>>
<<Era un un'incoraggiamento.>>
<<Come quello di partire, certo.>> risposi subito e la conversazione finì lì fino a quando non entrammo in una lunga macchina nera, lucida e pulita.

Sembra proprio quella dei funerali, mio dio.

<<Allora? Dov'è la mia abitazione adesso?>>
Ma Gerry cadde in un religioso silenzio che solitamente mi avrebbe fatto solo piacere ma volevo almeno delle informazioni basilari.
Il tragitto dall'aeroporto al centro della città fu davvero lungo soprattutto a causa del traffico ma io non diedi un'occhiata fuori dal finestrino alle luci scintillanti e i cartelloni luminosi, aspettando invece che fosse il mio schermo a darmi la scintilla giusta con un messaggio da parte sua.

Mi sgriderebbe, se fosse qui, mi urlerebbe contro arrabbiato, dicendo che non riesco a capire quanto sia fortunato, che dovrei godere di questi privilegi, ma io, ora, non ci riesco.

Provai ad alzare lo sguardo e la vitalità di quella città contrastò fortemente con il mio animo assopito e dilaniato.
Non ci vedevo niente di bello, niente di emozionante nell'essere kilometri e kilometri lontano da lui.
Arrivammo in quella che dai cartelli veniva denominata 441 Lexington Avenue, Midtown East.
Non sapevo in quella zona se ci fossero le attrazioni principali, né se la metro fosse distante, ero venuto in una città sconosciuta senza prendere nessuna informazione perché non ci volevo vivere, non rinunciando alla mia di esistenza.
Gerry fermò l'auto ma non la spense, si girò verso di me e scosse un mazzo di chiavi.
<<Nei prossimi giorni hai un incontro con tuo padre dove ti spiegherà un paio di cose, per il momento mi ha detto di farti godere la città.
L'appartamento è al quinto e ultimo piano di questa palazzina, il numero 15.>>
<<Ma non devi controllare pure quante volte respiro?>> chiesi ironico, afferrando il contenuto della sua mano e guardandolo avidamente.
Non avevo ancora realizzato che avrei vissuto da solo, senza nessuno che mi preparasse da mangiare o lavasse i vestiti.
<<Ci sono telecamere ovunque, all'ingresso e vicino le porte di ogni abitazione, se lei provasse a fare qualcosa...>>
<<Lo sapresti, va bene, va bene, è tutto chiaro.>> ribattei ma prima di uscire dall'auto lui mi fermò.
<<Signorino...>>
<<Mi stavi per picchiare e mi hai ancora del lei? Zee, mi chiamo Zee.>>
Lui mi sorprese togliendosi per la prima volta gli occhiali da sole, che sotto nascondevano degli occhi incredibilmente chiari, di colore verde, e mi osservò dallo specchietto retrovisore.
<<Sei così giovane, passerà e tutto questo non lo ricorderai più. Se posso darti un consiglio non rifiutare questo cambiamento, accoglilo e accettalo.
Così almeno avrai la sensazione di non essere privato della tua libertà.>>
<<Nessuno ti ha chiesto questo consiglio, ma alla fine ho scelta se non accettare e soccombere al volere di altri?>> sputai, innervosito da quella conversazione, spingendo aggressivamente la portiera per aprirla e di nuovo all'indietro per richiederla con un sonoro frastuono.
Non mi guardai indietro mentre varcavo la porta di un edificio di nuova costruzione, elegante e lussuoso.
All'interno sembrava un labirinto per quante abitazioni contenesse e più volte ebbi difficoltà a capire dove fosse la mia.

Almeno non avrò quei due coglioni intorno, ma cosa mi aspettavo? Che abitassimo tutti insieme in un appartamento normale perché non c'erano soldi?

Appena entrai nel piccolo soggiorno un odore di nuovo e pulito invase le mie narici, più volte tastai il muro per trovare un iterruttore che era invece più avanti rispetto alla mia posizione.
Era tutto più contenuto di quanto potessi immaginare e non mi dispiaceva, anche perché di certo non mi sarei messo a pulire.
Aprii direttamente l'unica porta che c'era e che molto probabilmente era la mia stanza, spostando l'ispezione dell'ambiente ad un altro giorno.
La cosa che mi colpì di più la grande finestra sul soffitto obliquo, da cui entravano prepotenti i raggi del sole.
Mi buttai stremato sul matrimoniale, ricoperto da un piumino leggero di colore blu notte e più volte mi girai e rigira non riuscendo a decidere quale pensiero avesse la priorità ma tutti riguardavano Saint.

Dovrei scrivergli che sono arrivato? Sarà incazzato con me.
Che ore sono in Thailandia, che sta facendo?
Ha mangiato?

Gli occhi iniziarono a dolermi, anche loro stanchi di dover continuare a lacrimare ininterrottamente da giorni.
Avevo riposto senza cura il borsone che portavo in spalla poco distante da me e mi allungai per aprirlo.
Al suo interno non c'erano cose di un'importante valore economico ma per me avevano un prezzo inestimabile.
Scavando la trovai lì, anche se non era momento né periodo dell'anno per indossarla, la portavo con me ovunque ed era l'unica cosa che mi rimaneva di lui.
Passai le mani tra il morbido tessuto grigio, lì dove le iniziali del mio nome erano state ricamate dalle sue mani, lì dove potevo ancora sentire il suo tocco, e la presi per guardarla meglio.
I miei pensieri erano così aggrovigliati e folti che non riuscii a dargli una consistenza reale con le parole, potevo farlo, potevo parlare, nessuno mi avrebbe sentito, nessuno mi avrebbe giudicato, ero solo con me stesso ma alla fine era proprio quello il problema.
Affrontarmi, scendere a patti con me e soltanto con me per la decisione che avevo preso, convivere con l'idea che anche per Saint era diventato un codardo ma raffozzarmi anche dalle sue ultime parole, dal suo ti amo.
Portai l'indumento contro la mia guancia, perdendomi in un odore familiare, nel mio odore di quando ero con lui, girandomi verso la grande finestra e ammirando le costruzioni in vario materiale che si ergevano maestose, su cui il sole si scagliava riflettendosi.

Ci vediamo lì, Saint.
Lì, dove finisce il cielo, fin dove arrivano e cessano di esistere le stelle, dove termina il mare perchè è lì che giunge il mio amore per te, oltre.
Possono togliermi tutto, ma i miei sentimenti per te sono invalicabili.
Ci vedremo lì, te lo giuro, oltre.




Potete pormi tutte le domande che volete, qui o sul mio cc di cui vi lascerò il link.
Spero vi piaccia dato che siamo arrivati ad un momento cruciale: la partenza di Zee.
Le emozioni di Saint sono state un'esplosione dopo l'altra e, proprio perché parliamo di emozioni, non hanno un andamento regolare ma spero che la narrazione e la descrizione lo siano.
C'è un momento in cui Saint viene fermato da Orn, ecco lì Saint sceglie di non fare niente ma non perché raggiungere Zee non è importante, non si tratta di decidere tra Orn e Zee, riguarda semplicemente se stesso e il pensiero, in base a quello che ha vissuto con la sua famiglia, di non far del male a nessuna donna.
Saint non riuscirebbe a guardarsi allo specchio se spingesse Orn, come qualsiasi altra donna, avendo lui in primis visto/subito cose del genere.
Ovviamente c'è anche un momento in cui il suo egoismo prevale e necessita di "farle del male" con le parole.
Ci saranno degli errori nonostante lo abbia corretto e riletto mille volte ma spero vi piaccia!

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