59. In my best dress, fearless
Il capitolo è 🔴
ma anche tanto 💕
e un po' ☠️
VI HO AVVISATE.
JAMES
Lascio scivolare la lingua sul suo labbro inferiore, ma invece che accogliere il mio bacio, June indietreggia.
«Mi stai baciando e non stai parlando, James.»
«Ti lamenti, cazzo?»
«Sì, perché hai appena detto che vorresti dirmi una cosa.»
Con il braccio le circondo i fianchi e me la porto contro il petto. Mi basta quel gesto intimo per per rubarle il fiato.
Premo le labbra contro le sue che, soffici, che si ammorbidiscono ancora di più nel percepire l'irruenza del mio bacio. Con la lingua ormai persa nella sua bocca e una mano seppellita tra i suoi capelli sciolti, mi ritrovo a pensare.
A cosa pensa quando la bacio in questo modo?
Mi chiedo se anche lei condivida i miei stessi pensieri, quelli più lascivi, o semplicemente se ne sta con il naso all'insù, a prendersi il mio bacio, ignara del fatto che mi abbia appena causato un'erezione.
Stringo la mano a pugno intorno alle ciocche di capelli e le tiro la nuca all'indietro quanto basta per staccarmi dalla sua bocca e guardarla negli occhi. Non posso fare a meno di pensare a tutto ciò che potrebbe accadere. A mia madre, a Will, a Jasper...
«Sei bella.»
«Davvero?» domanda lei.
A me e June...
«Ci pensi mai, Biancaneve?»
E se fosse l'ultima volta?
Lei a quel punto corruccia le sopracciglia folte, sembra confusa.
«A cosa...» sussurra tastandosi il labbro inferiore con il dorso della mano. Abbasso la testa e le lascio un flebile sussurro sulle labbra.
«Se questa fosse l'ultima?»
La vedo arricciare il naso, la sua espressione si fa ancora più confusa.
Non sta capendo.
«L'ultima volta che ti bacio...»
Con il pollice le carezzo il mento, sollevandole il viso nella mia direzione.
«Che ti vedo...»
«James?»
A quel punto, il tono di voce di June lascia trapelare una vena di sospetto, quindi scrollo il capo, scacciando via il tormento di quei pensieri.
«Scusa...»
«Forse incontrare tua mamma... Ti ha scosso più del dovuto?» ipotizza lei, assottigliando lo sguardo.
«Non mi va di parlarne.» la freddo increspando il labbro superiore.
«Puoi ammetterlo...» m'incalza con tono calmo e paziente.
Io però m'indispettisco.
«Può darsi, okay? E il fatto che ora sia a casa con Jas... Non lo so, non...»
A quel punto la tasca comincia a vibrare. Mi sta suonando il cellulare.
«Ma che cazzo... Will non stava dormendo?» sbuffo estraendo il telefono.
Mi paralizzo. Il nome che leggo sul display non è quello che mi aspettavo.
«Ethan?»
June si solleva in punta di piedi e tende il collo per curiosare.
«James, rispondi.»
«No. Dopo quello che ha fatto a Will, non voglio più rivolgergli la parola.» ringhio tastandomi l'altra tasca. Ho la pistola ancora con me.
«James, ti prego, rispondi. Potrebbe essere importante.»
Controvoglia, decido di darle retta.
«Cosa cazzo vuoi, Austin?»
«Hunter, dove sei?»
JASPER
«Fammi scendere!»
La portiera è bloccata. Lei si accanisce sulla maniglia, ma è del tutto inutile.
Io resto immobile, rannicchiato dietro al sedile. Non fiato.
«Greta, tranquilla. Ci andiamo insieme.»
Hood parla.
«Dove?»
Lei alza la voce. Sembra spaventata.
Io mi tappo le orecchie.
Non avrei dovuto fare come James
Non avrei dovuto fare come James
Non avrei dovuto fare come James
Perché non sono come James.
James non ha paura di niente.
Jasper sì.
«Dove mi stai portando?!» La mamma non sembra volersi tranquillizzare.
«Devi calmarti, non ho intenzione di farti del male.» ripete Hood.
Lei lo guarda. È confusa?
Sono accovacciato lì dietro e riesco a vedere solo le espressioni di mia madre. Ma non mi trasmettono niente. Non capisco.
Non sono come James.
«E cosa vuoi fare?» Lei continua a strattonare la maniglia senza risultati, la portiera è bloccata.
«Andiamo dal tuo ex marito. Insieme.»
«A fare cosa, scusa? Io non ho intenzione di vederlo. Nè di seguire te. Vacci da solo. Non voglio essere tua complice.» insiste lei.
«Io ti posso aiutare, lui ti ha tenuta lontana per tutti questi anni...»
«Che intenzioni hai? C'entrano sempre i soldi, vero?»
«I soldi dello stronzo sono tanti, possiamo ricominciare, Greta...»
«No.»
«La sua eredità. Perché non vuoi darmi retta? L'assicurazione sulla vita. Si parla di milioni...»
Non capisco.
«Pensi che io voglia darti una mano ad uccidere il mio ex marito per ereditare i suoi soldi?» sbraita lei a quel punto.
Ora sì che capisco.
«Non lo faresti?»
Lui si volta verso mia madre, solleva un sopracciglio.
Lei incrocia le braccia al petto poi lo guarda di sottecchi. «No.»
«No?» lui non sembra crederle. Accenna un sorrisetto maligno.
«Perché pensi di potermi mettere in mezzo...»
«Perché ci sei in mezzo. Vieni con me e parliamo tutti e tre insieme, dato che con me non ci vuole parlare.»
«Se pensi di fargli paura, sappi che così non è. La famiglia di Austin non ti teme.»
«Lo so, ma a lui è sempre importato di te.» Hood fa una pausa. «E anche a me.»
«Io e lui siamo stati sposati e abbiamo due figli. Con te non era niente.»
«Non dire cazzate. Era me che volevi.»
«Ah sì? È per questo che non ti ho più cercato, durante tutti questi anni?»
Il tono di voce di madre, così provocatorio, mi ricorda quello di James.
«Quindi è vero, ti stavi nascondendo da me?»
«James non voleva tu mi trovassi.» mormora lei, mentre l'uomo sta parcheggiando il furgone.
Tendo il collo e noto che lui scrolla il capo, sembra deluso.
«Tuo figlio. Sempre a mettermi i bastoni tra le ruote. Avrei dovuto farlo fuori quando ne avevo l'occasione.»
L'auto si ferma, finalmente lei può spalancare la portiera e scendere da lì.
«Lascia fuori James da tutto questo!»
«Ha provato uccidermi. Lo sapevi? E non parlo di quando mi ha spaccato la testa. Ha chiesto a Austin di farlo.»
Mi affaccio al finestrino e guardo fuori.
Mia madre tenta di allontanarsi ma ha poca energia.
Siamo in un parcheggio. È tutto buio. Non c'è nessuno. Solo una luce al neon sopra ad una porta.
Lui l'afferra dal braccio. Lei si ribella.
«Lo so quello che hai fatto a quella ragazza, hai provato a farlo anche a me.»
«Tu saresti una vittima, Greta? Ti ho risparmiato un'altra rottura. Questo per te erano i tuoi figli.»
«Mi hai minacciata. Se avessi tenuto il bambino, me l'avresti fatta pagare. Te lo sei dimenticato? Tua moglie non poteva scoprire di noi. A scuola cosa avrebbero detto? Io ho accettato. Ma se non l'avessi fatto, sarebbe finita come con lei?»
«Non sai...»
«Lo so invece... Sei un assassino.»
Non capisco. Non capisco. Non capisco.
Ad un tratto sento un tonfo.
Le vuole fare del male.
Devo uscire.
Ma non riesco.
Non riesco ad uscire da qui.
Tengo i palmi premuti sulle orecchie.
Ho troppa paura.
Mi paralizzo.
Non riesco a respirare.
Ho voce solo per urlare.
Quindi urlo.
Tutti se ne accorgono.
La portiera si apre.
«Jasper cosa ci fai qui?» esclama lei inorridita.
Tutto quel trambusto richiama l'attenzione di qualcuno. Ma io non vedo nulla, non finché non spalanco gli occhi.
«Cosa succede qui?»
Ethan.
«Jasper... Jasper deve tornare subito a casa» spiega mia madre, indicandomi con mano tremolante.
«Cazzo. Mamma, cosa ci fai con Hood?»
«Ethan per favore, portarlo a casa. Jasper deve tornare a casa.» insiste lei con le lacrime agli occhi.
Lui fissa dapprima la mamma, poi me, ancora rannicchiato dietro al sedile.
«Chiama James.» Sento ripetere. E solo a quel punto, finalmente, riesco ad alzarmi in piedi.
Ethan mi trascina via dall'auto, poi però si volta verso la mamma.
«Io non ti lascio sola con Hood.»
«Non siamo soli» esclama mia madre, indicando la porta del locale che si apre, lasciando uscire Austin, insieme ad altri uomini.
«Guarda cos'hai fatto... Stupido bambino.» ringhia Hood contro di me.
«Ci sono cose che dobbiamo risolvere, no? Eccoci qua.» annuncia Austin avvicinandosi.
La mamma tossisce.
«Ethan porta il ragazzino a casa.» ordina Austin rivolgendosi al figlio.
Quest'ultimo mi trascina lontano da lì.
Lancio un'ultima occhiata a mia madre.
«Jas...» Lei mi richiama quando siamo ormai distanti. «Jasper!»
Ma io non mi volto più.
JAMES
«Dove sei?» domanda Ethan.
«Non sono cazzi tuoi.» rispondo di getto, infastidito nel sentire la sua stupida voce.
Poi però mi ricordo che Ethan non mi chiama mai. E io come un coglione ho lasciato mio fratello a casa con quella donna.
«È successo qualcosa?»
«Hunter, sono con tuo fratello.»
Mi si ferma il cuore.
«Che cazzo...»
«Dimmi dove sei, te lo porto.»
«Sono allo skate park. Quello vicino alla spiaggia.» scandisco rapido, mentre il cervello mi si annebbia all'improvviso.
Ethan chiude la chiamata e io sono in stato confusionale. Non mi accorgo che June mi sta parlando.
«Che succede, James?»
«Ho un brutto presentimento. Vieni.»
Prendo per mano June e corriamo via da lì, in un attimo usciamo dallo skatepark. Dopo una decina di minuti vedo l'auto di Ethan frenare bruscamente davanti alla recinzione metallica.
Quest'ultimo esce dall'auto, ma Jasper rimane all'interno.
«Fallo scendere» sbraito indicando la testa di mio fratello che sbuca dal finestrino.
«Aspetta.»
Vedo Ethan prendere tempo e accendersi una sigaretta.
Mi sto spazientendo.
«Che cazzo sta succedendo? Perché Jasper è con te, l'avevo lasciato a casa con....» Basta un attimo per realizzare. «Ma certo....»
«Me l'ha chiesto lei di riportarti Jasper. Hood è venuto a casa tua.»
La parole di Ethan mi provocano un brivido. Una scarica gelida mi percorre la spina dorsale e la terra comincia a tremarmi sotto i piedi. Non starò mai tranquillo. Non finché lui sarà in vita. Dovevo ucciderlo quando ne ho avuto l'occasione. Quella volta, con la chiave inglese. Oppure quando ero piccolo. Una di quelle sere in cui veniva a trovarla, e io mi dovevo nascondermi dentro all'armadio per non sentire.
Evito la figura di Ethan che si staglia davanti all'auto e spalanco la portiera.
Jasper mi guarda con due occhi impauriti. Mi chino alla sua altezza.
«Stai bene? Dimmi solo che stai bene.»
Lui annuisce a testa bassa.
Questo è troppo.
Mi volto di scatto.
«Non voglio avere a che fare con voi. Mai più.»
«Però i soldi di papà ti fanno comodo.» mi rimbecca Ethan parandosi davanti a Jasper, impedendogli di uscire dalla macchina.
Con un gesto rapido afferro Ethan dal colletto della giacca e lo spingo contro la carrozzeria.
«Senti, qui non si tratta di soldi. Non siete la mia famiglia.»
«Pensi che me ne fotta qualcosa di te?» mi provoca lui dal basso.
Poi, l'occhiata interessata che lancia alle mie spalle mi fa rabbrividire.
«Non guardarla nemmeno. E lascia scendere Jasper.»
Mollo la presa e lui finalmente si sposta. Jasper esce dall'auto con un'aria spaesata. Gli accerchio le spalle con un braccio e mi accorgo che June si è appena avvicinata a noi e sta scrutando mio fratello con attenzione.
«Torniamo a casa...» Indico la mia auto parcheggiata.
Ethan però sembra avere altro da dire.
«Hood ha portato la mamma al club. È fuori di testa, vuole vendicarsi di papà.»
Mi volto con uno scatto repentino.
«Non me ne frega un cazzo. Voglio solo che stiate lontani da me. Da noi.»
«Non te ne frega un cazzo? Per questo l'hai quasi ucciso?»
Le parole di Ethan mi fanno perdere il lume della ragione e mi obbligano a compiere due passi nella sua direzione.
«James!» È June a richiamarmi.
Un ansito di frustrazione abbandona le mie labbra. Devo mettere June e Jasper al sicuro, prima.
«June, prendi la mia macchina.»
«James, ma...»
Le porgo le chiavi. «Fa' come ti ho detto.»
«Non ho ancora cominciato con le guide e...»
Non termina la frase, ma si gira verso Jasper. Sembra preoccupata.
«Casa mia è a due isolati da qui. Premi l'acceleratore, ma non troppo. Vai piano. L'abbiamo già fatto.»
Lei annuisce ma i suoi occhi si sono appena incupiti.
Le do le spalle, compio due passi verso Ethan, ma ad un tratto torno indietro.
«June, Mi fido di te.»
«James. Fa' attenzione.» Mi indica la tasca con un'occhiata fugace.
Vorrei baciarla ancora. E ancora. Ma ora non è il momento.
«Andate.» Le lascio un bacio fronte, poi aspetto che lei e mio fratello si allontanino, per parlare da solo con Ethan.
«Se vostro padre non si fida di voi, io non so cosa cazzo farci.»
«L'ho lasciata da sola per portarti Jasper...» insiste lui.
Mi trascino una una mano sul viso.
«Maledizione... Andiamo.»
Dopo un quarto d'ora giungiamo al Club, ma non prima di essermi assicurato che June e Jasper siano arrivati a casa sani e salvi. Leggo il messaggio di June, poi ripongo il cellulare in tasca ed esco dall'auto.
Pensavo di trovarli lì, Hood e Austin, l'uno con le mani al collo dell'altro, ma la realtà non è così.
Hood sta in piedi, vicino al suo furgone, insieme a mia madre. Sono di spalle e davanti a loro c'è Austin. Poco distante i suoi scagnozzi.
«Falli rientrare. Voglio parlare solo con te.» Hood pronuncia quelle parole indicando lo stuolo di uomini alle spalle di Austin.
Ethan mi fa cenno di restare in silenzio, non vedono vederci.
Ci muoviamo cauti tra le auto parcheggiate e quando siamo sufficientemente vicini, mi accorgo della distanza ravvicinata tra Hood e mia madre. La sta stringendo a sé. E lei tossisce in continuazione.
«Ero una brava persona prima di conoscerti.» annuncia Hood con il suo tono di voce subdolo, mentre Austin fa cenno ai suoi fedeli di tornare dentro al locale.
«Oh davvero?»
«Ora non ho più nulla da perdere: non ho più una famiglia, dei figli...»
Ad ogni colpo di tosse, il dorso della mano di mia madre si macchia di sangue.
Non so cosa mi prende, ma nel vedere quello spettacolo mi spavento. Compio due passi avventati e afferro Hood dalle spalle. Questo sembra non aspettarselo, ma quando si volta verso di me, sono io a restare inorridito. Sta trattenendo mia madre con un braccio intorno al suo collo.
«Cazzo.»
Mi butto addosso a lui senza pensarci.
Sento Ethan urlare qualcosa.
Forse un «No, James!» o forse un «Ha un coltello.»
Ma devo esser stato parecchio impulsivo, perché Hood non si ferma.
La lama affonda.
E prima che io possa strappargli il coltello dalle dita, vedo mia madre afflosciarsi tra le braccia dell'uomo.
E io ho già la mano in tasca.
Ethan si getta su di lei, che scivola a terra.
«Cosa cazzo pensi di fare? Di farmi paura? Pensi che non tirerò fuori una pistola? Pensi che non te la pianterò in quella fottuta testa? Che non premerò il grilletto?»
Spingo la pistola contro la sua tempia, mentre alle mie spalle qualcuno mi sta richiamando.
Io però non ascolto. Conficco la canna più in profondità, strappando all'uomo un gemito di dolore.
«James...» Sento mia madre soffiare un filo di voce.
«È quello che si merita, Jamie. Avanti» mi spalleggia Austin, incrociando le braccia al petto.
«Dobbiamo portarla all'ospedale. È ferita. Non lo vedete?» Ethan sembra essere l'unico preoccupato per lei.
«Non è niente.» mormora lei tossendo.
«James...» mi richiama Ethan dall'asfalto.
Non riesco ad ascoltare nessuno. Non riesco ad abbassare il braccio. Riesco solo a caricare l'arma.
E quando Hood capisce che faccio sul serio sgrana gli occhi.
«No, no, no...» comincia a piagnucolare.
«Va bene... va bene... Lo spettacolo è durato abbastanza.»
Austin a quel punto mi posa le mani sulle spalle, poi mi indica mia madre. Sta continuando a tossire sangue.
«Portate Greta all'ospedale.» Si rivolge a me e a Ethan.
«Ora.» ordina secco, provando ad indurmi ad abbassare la pistola.
Ma io non lo faccio.
«Dopo averlo ammazzato. Solo dopo averlo ammazzato.»
«Se aspettiamo che ammazzi qualcuno tu, divento vecchio. Non fare cazzate dammi quella pistola, James»
Austin mi mostra il palmo rivolto all'insù.
«Avanti, dammela.»
«Non hai visto cos'ha fatto?» Lo fisso con riluttanza.
«Certo che l'ho visto. Ma dammi la pistola.» insiste Austin.
«James... » Mia madre sembra aver fiato solo per richiamare me. «Non fare sciocchezze. Ti prego»
Mi volto per scorgere la sua espressione sofferente.
«Va portata in ospedale, ho bisogno che mi aiuti. Devi guidare, mentre con la mano le fermo l'emorragia.» mi supplica Ethan con voce rotta.
A quel punto chiudo gli occhi. Il rumore è così forte che mi perfora il cervello come una miriade di spilli.
Lascio l'arma ad Austin.
«Non voglio mica perdermi l'opportunità di fare fuori lo stronzo.» mormora quest'ultimo, impugnando la pistola con aria soddisfatta.
Io e Ethan ci buttiamo in macchina. Dopo qualche istante io sto guidando, mentre lui sta nel sedile posteriore insieme a lei.
«James chiama tuo padre.» La sento sussurrare senza fiato.
Non le rispondo ma prendo il telefono.
«Jordan dove sei? C'è qualcuno vuole vederti. Muovi il culo.»
«Datti una calmata. E Buon Natale, James»
«Buon natale il cazzo. Torna a Los Angeles.» sputo furibondo.
«Faccio il possibile ma...»
«Non penso ti sia rimasto molto tempo per fare il possibile, Jordan.»
Termino la chiamata proprio mentre io e Ethan usciamo dall'auto e entriamo in ospedale a passo svelto. Lui trasporta mia madre, mentre io mi accanisco accanisco contro la receptionist del pronto soccorso che continua a farmi domande, invece che occuparsi di mia madre.
Finalmente la portano via.
«Volevi farlo per davvero, Hunter?»
«Perché, tutte le volte che tu mi hai puntato una cazzo di pistola alla testa, non volevi farlo Ethan?»
Lui mi fissa sgomento e da lì decidiamo di restare in silenzio.
Dopo nemmeno mezz'ora, una dottoressa ci informa che mia madre necessita un'operazione. La ferita è profonda e le ha perforato la milza.
«Uno alla volta.»
«Fammi andare per primo.» annuncio quando il medico ci rivolge quelle parole.
Ethan acconsente, lo vedo impegnato a telefonare il padre. Sembra però che le sue chiamate non ricevano risposta.
Seguo quindi la donna fino alla porta di una stanza.
«Ecco tua madre. Sta abbastanza bene. Finiamo gli accertamenti e vi dico tutto quello che c'è da sapere.»
La dottoressa sparisce e io mi impegno a prendere un lungo respiro.
«Ti fa male?» domando rimanendo fermo sulla porta.
«No, mi hanno dato qualcosa per il dolore... » Mia madre indica la flebo che le pende vicino al lato sinistra del corpo.
Ogni volta che la guardo negli occhi mi faccio la stessa domanda. Lei ricorda ancora o fa solo finta di niente?
«Vieni più vicino.»
«No. Se vuoi parlare, parla.»
«James, con tuo padre...»
«Non mi interessa. Non me ne frega un cazzo. Pensi che il mio problema sia stata la vostra separazione? Dopo tutto quello che...»
Mi blocco. Lei ha gli occhi gonfi di pianto e June direbbe di fermarmi.
«Non sono mai stata innamorata di Jordan. Mi dispiaccio per questo.»
«E ci hai fatto due figli. Complimenti.»
Incrocio le braccia al petto, lei invece abbassa lo sguardo, volgendolo alle lenzuola.
«Dov'è la tua ragazza?»
«È insieme a Jasper. E poi, non le piacciono gli ospedali.»
«Cos'hai in mano?» Domanda quando vede che stringo il suo portafogli insieme ad una vecchia foto.
«Niente. Ho dovuto lasciare i tuoi documenti quando siamo arrivati. Nella tasca laterale c'era questa.»
Una vecchia foto. Sembra uno scatto fotografico professionale.
«Non ti ci vedo.» mormoro sottovoce, porgendogliela.
«Ero una modella molto prima che tu nascessi. Ma già dopo Ethan e Tom, la mia carriera era ormai finita.»
«Quindi hai pensato bene di farne altri» la rimprovero.
«Beh...»
«E te ne sei pentita.»
«No, no.»
No, certo.
«Jasper ti vuole bene e ha bisogno di te.»
Chiudo gli occhi, annuendo.
Sono già pronto ad andarmene. E da troppo tempo che stiamo nella stessa stanza. Sento caldo. Come faccio a dimenticarlo? Come si fa a perdonare qualcuno che nemmeno chiede perdono?
Le volto le spalle, ma lei mi trattiene con una confessione.
«Mi ha parlato.»
«Chi?»
«Jas.» replica lei sottovoce.
«Ha parlato con te?» Il mio tono è riluttante.
Com'è possibile?
«Certo.»
Mi giro di scatto. I nostri occhi si scontrano.
Come vorrei non somigliarle...
«Perché parla con te?» chiedo scosso da un fremito di rabbia. Forse è solo gelosia, per ciò che ha appena detto.
«Penso di ricordargli il periodo più spensierato della sua infanzia.»
«Beato lui.» commento infastidito.
«James, ho avuto alti e bassi nella mia vita...»
«Con me solo bassi.» I miei denti stridono nel pronunciare quella frase.
Mi dirigo verso la porta.
«Già e mi dispiace. Ma non posso tornare indietro.» aggiunge con tono tremolante.
«Meno male, direi. Vorresti farmi rivivere l'inferno?» Le rivolgo un'occhiata furente, ma lei sembra non conoscere risentimento in questo istante.
Nell'aria silenziosa cominciano a liberarsi dei piccoli singhiozzi.
Resto con la mano sulla maniglia, ma non riesco a uscire da lì. Lei sta piangendo.
«Ho saputo che te la cavi comunque, James»
«Chi te l'ha detto? La ragazzina impicciona?»
A quel punto getto a testa a lato e la guardo.
Sta sorridendo tra le lacrime.
«È tanto innamorata di te. Lo è da quando l'hai portata a casa mia, la prima volta.»
Un brivido mi percuote.
«Tu dici?»
«Sì. Sennò non ti avrebbe mai difeso in quel modo.»
La vedo restringere gli occhi chiari a due fessure, sta pensando.
«Hai sacco di persone che ti amano James.»
«Non è vero.»
«Non sei solo e sai perché?»
Compio un cenno di dissenso con il capo.
«Non sei come me, in fondo.»
No no no
Ce la stavo facendo.
Ci stavo riuscendo.
Non ora.
Non ora, stava andando tutto così...
Le mie ciglia hanno un battito di troppo e una lacrima prende a rigarmi il viso.
Restiamo in silenzio per qualche secondo, finché degli agenti non irrompono nella stanza.
«Devi uscire, ragazzo. Dobbiamo parlare con la signora.» annuncia uno di questi.
«Perché?»
«Siamo qui per farle alcune domande. La signora stata ferita con un'arma. È il protocollo.»
«Hai assistito? Eri con lei?» domanda l'uomo di fianco all'agente.
«No, lui non c'era.» s'intromette mia madre.
«Okay, datemi un attimo.»
Gli uomini escono in corridoio, così mi volto per cercare il suo sguardo. Lei mi fa cenno di non dire niente.
«Riesci ancora a difenderlo?» sputo sottovoce.
«James...»
«Non ci posso credere.»
E me ne vado da lì, con il cuore spezzato.
Ogni piccolo frammento che lo componeva è vetro che riflette il dolore che sento, in modi diversi, da prospettive diverse. Avverto gli aghi bucarmi il petto da parte a parte. Il dispiacere che provo per quella donna in fin di vita. Il rammarico del suo tempo perso con Jasper. La frustrazione per i suoi fallimenti. L'incapacità di amare me, il bambino dimenticato dalla sua stessa madre.
Avverto tutto quel dolore fondersi per poi martellarmi il petto con insistenza.
Rimango chiuso in bagno a fissare il lavandino per minuti interminabili, poi, finalmente, esco da lì.
«Hunter?»
Quando mi ritrovo al freddo del parcheggio dell'ospedale, Ethan è lì ad aspettarmi.
«Ti accompagno a casa» annuncia nel vedermi sconvolto.
«No.»
«Sì invece, non ti reggi in piedi.»
«Come ti pare.» sbuffo seguendolo verso l'auto parcheggiata.
June balza sul divano quando mi vede rientrare in casa mia.
«Dove è Jasper?» È la prima a domanda che le rivolgo nel non vederlo di fianco a lei.
«Sono riuscita a farlo addormentare, ma non è stato facile.» Bisbiglia sottovoce.
È spettinata, sembra sconvolta.
«Tuo padre dovrebbe tornare.» aggiunge poi con aria irrequieta.
«L'ho chiamato.»
A un tratto però, mi accorgo che June sta tremando.
«Che cos'è successo?»
«Credo che Jas abbia avuto una piccola crisi. Non sapevo come fare, James.» ammette con un po' di amarezza.
Mi guardo intorno spaesato. «Mi dispiace.»
Le sfioro lo zigomo, inducendola a chiudere gli occhi.
«Non è colpa tua James. Tua madre dov'è?» domanda facendomi strada fino alla camera di mio fratello.
Apro la porta e mi avvicino al letto di Jasper. Lui sembra dormire beatamente, ma per poco non sussulto quando lo sento allungare una mano nella mia direzione. Non apre gli occhi, schiude solo le labbra nella penombra.
«Sei qui.» sussurra.
«Sì, andrà tutto bene, Jas.» mento senza pudore.
Jasper si riaddormenta immediatamente, così io mi volto verso June.
«Dovresti tornare a casa.»
«Non ti preoccupare per me, James. Cos'è successo?»
E dopo quella domanda, sembro non avere più il controllo delle mie gambe, del mio equilibrio. Vorrei crollare tra le sue braccia, ma devo essere forte.
«È stata ferita.» replico con lo sguardo al suolo.
«Cosa?»
«Sì. Non è stata una ferita profonda, ma ha preso un organo. Dovrebbero operarla ma... viste le metastasi...»
Io e June usciamo in corridoio per parlare. Lei comincia ad agitarsi.
«Come, ma chi ha...» Ma quando si accorge che fatico persino a stare in piedi, mi indica il mio letto. «James è meglio se ti riposi un attimo»
«Grazie per esserti presa cura di Jasper.»
«Non devi nemmeno pensare a ringraziarmi, io...»
Delle voci dal piano inferiore rapiscono subito la nostra attenzione. Ethan sta parlando con qualcuno. Io e June percorriamo le scale in fretta.
«Chi è?» domando fissando Ethan con diffidenza.
«È mio padre» mormora lui mostrandomi il cellulare che tiene tra le mani.
«Metti il viva-voce. voglio sentire.»
Ethan sbuffa, sembra non aver voglia di discutere, quindi fa come gli ho suggerito.
«Siamo un po' impegnati al momento.» la voce del padre arriva lontana.
«È successo qualcosa?» m'intrometto io a quel punto.
Restiamo tutti e tre col fiato sospeso.
«Sì e successo qualcosa.»
«Parla.»
«Ho fatto quello che nessuno di voi aveva fatto finora.»
«Cazzo.» Ethan si porta una mano sul viso.
«Cosa? Cos'hai fatto?» domando con il cuore in gola.
«Pensate a vostra madre.» replica l'uomo in modo brusco, prima di chiudere.
«Mi sa che papà l'ha fatto fuori.» commenta Ethan facendo inorridire June che si nasconde dietro alla mia schiena.
Io e Ethan ci fissiamo negli occhi per un breve istante.
«Cosa voleva Hood?»
«Io e Tom siamo venuti da quello svitato di Cooper per dirtelo questa sera, ma tu non hai avuto ascoltarmi.»
«Cosa sai?» lo aggredisco strattonandolo dal braccio.
«Hood aveva un piano. Sapeva che io e Tom eravamo esclusi dal testamento di papà. Voleva metterci contro di lui e poi farlo fuori. Voleva anche che la mamma lo aiutasse, dato che sarebbe stata proprio lei a ereditato tutto.»
«Così si sarebbero divisi i soldi dell'eredità e dell'assicurazione sulla vita.» realizzo schifato.
«Sì. Lei mi aveva confidato che Hood l'aveva cercata più volte. L'aveva contattata mentre lei era in ospedale, proprio per esporle il piano.»
«Vorresti dirmi che... Lei avrebbe... rifiutato?» domando confuso.
«Sì.»
Il suono del campanello fa sobbalzare tutti e tre in sincrono.
«June, resta qui.»
E per poco non raggelo quando guardo dallo spioncino.
«Amelia e Brian.»
«Oh cazzo, cosa ci fanno qui?» Ethan spalanca gli occhi.
«Non dire una parola.» mi rivolgo a lui con tono risoluto, prima di aprire la porta.
«Vi sembra il modo? Sono le tre di notte.» Sputo freddo. Loro invece esibiscono due volti compassionevoli.
«Eravamo alla festa di Will e abbiamo saputo di tua madre. Vogliamo sapere come sta, ci hanno detto che è grave.»
Brian mi fissa poi però lo sguardo finisce su Ethan che sta alle mie spalle.
«Tu... Brutto...»
«Ehi calmiamoci.»
«Che cazzo fai con lui?» Brian sembra incredulo nel vedere Ethan lì con noi. Amelia trema.
Oh merda, l'incidente.
«Senti non era una cosa personale... Avevamo dei conti in sospeso con tuo padre e ... Cooper aveva appena spaccato la faccia a mio fratello.»
«Te la farò pagare.» sibila Brian.
Ethan però sogghigna minaccioso. «Fossi in te eviterei di sparlare così grosse, Hood...»
Infine esce di casa e, solo allora, June riesce ad emettere un sospiro di sollievo. La vedo sedersi sul divano.
«Puoi andartene?» dico rivolgendomi ad Amelia.
«Fai sul serio? Volevo solo...»
«Devo parlare con tuo fratello.» Spiego sbrigativo.
Lei sembra convincersi in fretta, perché sbuffa alzando gli occhi al cielo, ma poi raggiunge June.
«Tuo padre ha fatto una cazzata, Brian.» mormoro avvicinandomi a lui. Gli faccio cenno di uscire dalla porta d'ingresso. Non voglio che le ragazze sentano.
«Arriva al dunque.»
«Voleva far fuori Austin, scappare con mia madre. Era questo il piano sin dall'inizio. Ecco perché è tornato.»
Infilo una mano nella tasca, è un riflesso incondizionato. Ma non ho più la pistola.
«Non era qui per me o per Amelia...»
«No. E tu lo sai.»
Brian annuisce, poi però si ferma con lo sguardo a mezz'aria e mi scruta.
Sto ancora tremando.
«Ma che è successo, James?»
«Mia madre non ha accettato. Io...»
Le parole mi muoiono in gola.
«Io volevo...» Ricaccio dentro il pianto con un singhiozzo doloroso. «Lui l'ha ferita. Aveva un coltello.»
Brian scrolla il capo, poi si siede sui gradini del pianerottolo con la testa tra le mani.
«Tu non mi hai mai creduto.» ringhio a denti stretti, carico di risentimento.
«Non ha mai alzato un dito su mia madre. Era sempre fuori, assente sì, ma non violento...»
«Con tua madre non ci stava mai, forse per questo non rivelava la sua vera natura. Guarda cos'ha fatto quando lei ha scoperto di quella ragazza. Amelia è venuta a scuola con un occhio nero, il giorno dopo.»
«Non riesci a perdonarmelo, vero James?»
«Volevo solo aiutarvi e voi mi avete trattato come un nemico.»
«Amelia era arrabbiata con te.»
«Mmm... ma non mi dire.» mi siedo accanto a Brian e comincio a prepararmi una sigaretta.
«Per averti trovato a letto con Ari. E io... avevo le mie buone ragioni, ma...»
«Non penso che Austin ci sia andato leggero con tuo padre.» taglio corto.
Forse sono un po' brusco, ma voglio che lui capisca.
Brian non mostra mai emozioni. La sua espressione è sempre d'acciaio, ma in questo momento sembra sciogliersi.
«Mi sento come se mi avesse rovinato la vita.»
Lo vedo deglutire. Il flebile mormorio che abbandona le sue labbra strette mi fa sussultare.
«Vederlo in quel modo, con tua madre... Per Will era stato il sangue, ma per me... è stato il suo atteggiamento. Mi ha disgustato così tanto...»
«Non sei come lui.» sussurro prima di accendermi la sigaretta.
«Dov'è ora?»
«Era da Austin... Se l'è andata a cercare, Brian. Si era messo in testa che voleva ucciderlo. Non aveva scampo...»
Il moro curva il capo nella mia direzione. Inaspettatamente non mi prende a pugni, ma mi guarda.
«È vero che ha portato anche te, una sera?»
E io non mi aspettavo una domanda così diretta.
Annuisco.
«Perché avevo così tanta paura che tu lo uccidessi, mentre ora... Mi sento libero di un peso?»
«Perché abbiamo paura di diventare come loro, Brian.»
Ingoia un singulto, mentre un respiro sembra incastrarglisi nel petto.
«Come farò a dirlo ad Amelia?»
«Glielo dirai. E tornerà ad odiarmi...» biascico prima di compiere una piccola pausa.
«Tuo padre sarebbe passato sopra a tutto e tutti per ottenere ciò che desiderava.»
«Lo ha fatto.» sputa secco. «Tua madre uscirà dall'ospedale?»
Scrollo il capo.
Amelia a quel punto appare alle nostre spalle. È in piedi sulla soglia e ci induce ad alzarci in piedi.
«Andiamocene.»
Io e Brian ci scambiamo un'occhiata complice.
«Che cosa vi siete dette con June?»
«Niente. Ha provato a scusarsi, ma non c'è nulla di cui scusarsi.»
«Ora è meglio se andate.»
Ho voglia di stare da solo con June.
«Stai bene?» le chiedo rientrando in casa, dopo aver finito la sigaretta.
Mi basta accorciare le distanze per notare che due occhiaie profonde segnano il contorno dei suoi occhi limpidi.
Lei annuisce in silenzio.
«Amelia ti ha detto qualcosa?»
«No... ho provato a dirle che mi dispiace per non aver fatto nulla per capirla e...»
«June non puoi prenderti colpe che non hai.»
«Quello dovrei lasciarlo fare a te? Sei tu che devi sempre prenderti le colpe per tutto?»
Chino il capo, poi le tendo una mano e l'accompagno in camera mia.
«James...»
«Mhm?»
Fingo di non capire. Fingo di non vedere la sua espressione preoccupata quando apro il cassetto della mia scrivania per cercare qualcosa che possa darmi sollievo.
«Per favore non farlo.» insiste lei mantenendo le distanze di sicurezza.
«Perché non dovrei?» sibilo con un filo di voce.
«Pensa a tuo fratello. A me.»
Richiudo il cassetto e mi sfilo la maglia. Un'intensa vampata di calore m'incendia la pelle e mi toglie il fiato. Fa un caldo insostenibile. June però sembra non percepirla, solo io.
Sono io.
«Ho bisogno di una doccia. Fredda.»
Così le volto le spalle, mi calo i pantaloni della tuta e mi infilo nel box.
Ho ancora il respiro corto, ma l'acqua gelida sembra calmarmi.
Rimango sotto al getto freddo per minuti e minuti, finché non comincio a tremare. Apro gli occhi e mi accorgo che June mi ha seguito in bagno.
«È meglio se torni a casa.»
Non c'è vapore nella doccia eppure la mia vista è appannata.
Lei mi sta guardando.
«Cosa c'è, June?»
«Hai ancora i boxer addosso.»
Non me ne sono nemmeno reso conto.
Lei avvicina il viso al box doccia. Ho voglia di sfiorarle la guancia, così poso una mano sul vetro.
La stessa mano. È solo più grande.
È lo stesso gesto.
Ma questo non è il finestrino dell'auto.
Eppure, anche adesso mi sento morire.
June sembra leggermi dentro, perché fa scorrere l'anta del box si unisce a me.
«Ma che fai? È fredda, June...»
«Non importa.»
Mi abbraccia e quel contatto mi permette di affondare il naso nei suoi capelli.
«Ti stai inzuppando. Sei vestita.»
«Non importa. Sai qual è una delle cose più belle che tu mi abbia mai chiesto?» mormora contro il mio petto.
«Non saprei...»
«Mi hai chiesto di abbracciarti.» replica stringendosi a me. «Pensavo che anche adesso avessi bisogno di un abbraccio.»
«Pensavi bene, amore.»
Spalanco gli occhi.
O cazzo, mi è scappato.
Lei non sembra turbata, solleva il capo e mi lascia un bacio a fior di labbra.
Io intanto sto già regolando la temperatura dell'acqua, impostandola tiepida.
Solo per farla smettere di tremare.
«A parte, tua mamma... C'è qualcos'altro che ti preoccupa?» domanda lei a quel punto.
«Il fine giustifica i mezzi, lo dico sempre, ma un omicidio è un omicidio, cazzo.»
«James, se Austin l'ha tolto di mezzo... forse non c'era altra soluzione. Tua madre uscirà dall'ospedale. Domani arriva tuo padre e Jasper starà meglio.»
«Come facevi a saperlo?» le chiedo dolcemente, stringendola più forte a me.
«Cosa?»
«Che era proprio quello che volevo sentirmi dire?»
June sorride, poi però si lamenta perché provo a sfilarle la t-shirt.
«James!»
«È solo per abbracciati, non voglio scopare.»
Lei mi guarda dal basso, con due occhi enormi.
Mi ami come ti amo io?
Il fiato mi si rompe in gola. Non riesco a chiederglielo. Continuiamo a restare abbracciati, mentre le gocce d'acqua nascondono sapientemente ogni lacrima che abbandono tra i suoi capelli.
BLAZE
«Porca miseria, mi dispiace per la mamma di James.»
Sono al telefono con Amelia che mi racconta della serata di ieri. Nel frattempo sto seguendo mio padre controvoglia tra le stradine che circondano la scuola. E quando vedo che imbocca la via del campo da football, inizio ad annaspare.
«Senti, ci sentiamo dopo.» saluto Amelia e prendo un lungo respiro.
«Papà, mi hai chiesto di accompagnarti a scuola. Non avevi detto che stavamo andando... lì.»
Lui però cammina spedito e non mi da retta.
«Papà?»
«C'è stata un'irruzione a scuola. Ho chiamato la polizia. Telecamere distrutte, ufficio sottosopra...»
«E quindi perché stiamo andando...»
O no, no, no...
«Perché voglio che quei vandali capiscano che non sto scherzando, Blaze. Se non rigano dritto, li espellerò ad uno ad uno e li priverò dell'unica cosa che conta per loro. Stupido football.»
Il vociferare concitato che proviene dagli spogliatoi mi fa sussultare. Vorrei sparire.
I ragazzi stanno per cominciare l'allenamento.
E la voce del coach è quella predominante.
«Domani si terrà la partita più importante della vostra miserabile vita.»
«Davvero? Ecco perché mi è appena venuto duro.» sento commentare con tono sarcastico.
Sicuramente è James.
«Smettila tu. Vi voglio concentrati.»
Io e mio padre ci fermiamo sulla soglia, nessuno sembra far caso a noi. I giocatori sono seduti sulle panchine, mentre il coach punta James e Jackson.
«Soprattutto voi due.»
«Siamo sempre i suoi preferiti, coach? Non ha paura che gli altri ci rimangano male?»
James lo punta con le sopracciglia aggrottate. Oggi però, non esibisce il suo solito ghigno.
«Finiscila di prendere per il culo, Hunter. Hai altro per la testa e si vede.»
Mio padre tossisce e tutti si voltano verso di noi in quel preciso momento.
Sì, vorrei proprio sparire.
«Uh ecco, c'è il preside. Chiediamolo a lui.» salta su Marvin.
«Cosa?»
«Ma la festa?» domanda il ragazzo.
«Quale festa?» Mio padre si sta già spazientendo.
«La festa di fine anno.»
«Quante volte te le devono ripete le cose, prima che ti entrino in quella zucca vuota e rasata, eh?»
Mio padre si addentra nello spogliatoio, io invece resto fermo immobile sulla soglia dove gli occhi di Jackson mi macchiano di un'occhiata intensa. Le guance prendono a scottarmi, quindi abbasso lo sguardo.
«Se domani non ci fosse la partita, vi espellerei ad uno ad uno.»
James alza gli occhi al cielo nell'udire le parole di mio padre.
«Hunter sei il primo.»
«Che cazzo ho fatto ora?»
«La scuola era sotto sopra stamattina.»
«E sarei stato io?»
«E chi sennò?»
«E io cosa cazzo ne so... non...»
A quel punto James si blocca con le labbra semichiuse. Sembra realizzare qualcosa.
«Domani sera non ammetto trasgressioni. Che nessuno osi avvicinarsi alla scuola. Niente ballo. Niente festa.» prosegue mio padre con voce perentoria.
Poi si avvicina al gruppetto per assicurarsi che sia tutto chiaro.
«Hunter, metto due poliziotti all'ingresso e dico di sparare a vista se ti vedono.»
James a quel punto sogghigna. La sua guancia si buca di una fossetta profonda.
«Faccia pure. Se pensa che una pallottola possa frenarmi...» Scrolla le spalle.
«Hunter!» Il coach lo riprende.
«Io vi ho avvisati. Tutti quanti.»
Mio padre si guarda intorno, sembra cercare qualcuno.
«Dove diavolo è Cooper?»
«Infortunato.»
«Riferitelo anche a lui. Lascio le vostre foto segnaletiche.» commenta sprezzante. Poi però si sofferma a fissare Jackson.
«Andiamocene, Blaze.»
Nel silenzio generale usciamo da lì e torniamo in auto.
«Non è stato James...» balbetto sotto agli occhi sospettosi di mio padre.
«Perché dici così?»
«Perché sennò l'avrebbe ammesso, lo sai.»
Dopo aver fatto una doccia esco dal bagno con la testa piena di dubbi. Domani è l'ultimo dell'anno e probabilmente lo passerò con i miei genitori.
Possibile che io mi ritrovi sempre al punto di partenza?
Prendo un lungo respiro e un profumo intenso mi pervade le narici e mi distrae dai miei pensieri.
Quando mi volto verso la finestra, nel buio mi accorgo di una sagoma scura, è seduta proprio sul mio letto.
O mio Dio.
Ad un tratto il ragazzo si abbassa il cappuccio e lo riconosco immediatamente.
James.
«Tu tu vuoi farmi morire di spavento!» urlo accendendo la luce.
«Senti Blaze, ho da fare quindi non farmi perdere tempo» annuncia spavaldo, senza muoversi.
«Io ti farei perdere tempo? Che vuoi? Cosa fai come un ladro a casa mia?»
Poi però mi faccio piccolo quando lui si alza in piedi con uno scatto.
Ma invece che avventarsi su di me, si volta verso il terrario.
«Non ti agitare. Sono venuto a dare da mangiare alla tua tartaruga.»
Sogghigna brevemente, poi il suo volto diventa subito serio.
«Ah, e sono qui anche per le chiavi della scuola. Ne ho bisogno per domani.»
«Vuoi farti ammazzare? Hai sentito cos'ha detto mio padre? Guarda che non scherza. Ha contattato la security per domani sera. E saranno armati.»
«Quale parte del "non me ne frega un cazzo" a te e a tuo padre non è chiara? Mhm?»
Incrocio le braccia al petto.
«Dimmi perché.»
Lui non oppone resistenza come al solito, non fa giochetti e non mi prende in giro.
«Devo preparare una cosa per June.»
Scrollo il capo.
«Non puoi farla quando la scuola sarà di nuovo agibile, dopo le vacanze?»
«No. Certo che no. Ci devo andare domani, la sera di capodanno... Per June.»
Sbuffo. Lo stronzo sa come essere convincente e toccare i miei tasti deboli.
«Come va con Jackson?» domanda poi, girovagando per la stanza.
«Non va...»
«Immaginavo. Tu fai ancora lo stronzo?»
«Io?» Ribatto costernato.
James si scrolla di dosso quella domanda con un'alzata di spalle e si infila una sigaretta tra le labbra.
A me però la questione tocca e anche parecchio.
«È questo che ti ha detto Jax?»
«Non c'è stato bisogno di dirlo. Ha passato le vacanze a pensare a te...» mormora lui chinandosi verso il terrario per fissare attraverso il vetro la mia tartaruga.
Avrei voluto dirgli di andarsene, di lasciare camera mia, e invece ha appena stuzzicato la mia curiosità.
«Come fai a saperlo?»
«Perché un idiota attraente ci ha provato con lui e Jackson sembrava avere la testa da tutt'altra parte.»
Non ci credo.
Sento dei rumori provenire dal piano inferiore.
«James, è meglio se vai. Mio padre è di sotto. Ma...» Mi guardo intorno, ispezionando le uscite della mia camera. «Come sei entrato?»
James mi indica la finestra.
«Va bene, senti. Se ci tieni, se lo devi fare per June, te le posso dare la sera stessa, perché se te le lascio prima, mio padre se ne accorge.»
«Pomeriggio, Blaze.»
«Tardo pomeriggio.» Controbatto io.
«Pensi di poter contrattare con me? C'è quella cazzo di recita il pomeriggio. Tuo padre non sarà in casa.»
«June farà Giulietta?» domando curioso.
«Fatti i cazzi tuoi, parte... Non lo so, ho perso il conto.»
Sogghigno. «Sei geloso di lei...»
«Sei geloso di lei...» James mi canzona, imitando la mia voce. «E quindi? Dovrei gioire perché qualcun altro ficca la lingua in gola alla mia ragazza?»
«Ah adesso i tradimenti sono diventati una cosa seria per te?»
Mi fissa restringendo la mandibola ad una linea affilata.
«Ehm... Comunque Brian ha detto che non si baceranno.» provo a rimediare come posso.
«Già, perché lei ha chiesto al prof di eliminare quella scena... E perché se osa toccarla lo prendo a gomitate nelle palle.»
James mi si para davanti, obbligandomi a indietreggiare.
«Ora abbiamo finito di scambiarci i segreti? Mi lasci uscire?» Indica la finestra alle mie spalle con un cenno.
Mi sposto per lasciarlo passare, ma lui si volta nella mia direzione.
«Prova a far star male Jackson e te ne faccio pentire per il resto dei tuoi giorni.» ringhia serio, prima di esibire un sorrisetto finto.
«Buona notte, Blaze.»
Ci mancava questa.
Mi sdraio sul letto lasciandomi andare ad uno sbuffo annoiato. Ho passato le vacanze di Natale da solo. Mio padre mi ha proibito di andare in montagna con i ragazzi, e se penso che domani sera...
Sobbalzo perché un rumore sordo squarcia il silenzio notturno. Mi trascino giù dal letto, scosto la tenda per poi affacciarmi alla finestra.
È il pick-up rosso di Jackson. Ed è parcheggiato sotto casa mia.
Nemmeno il tempo di capire il da farsi che, con il cuore martellante nel petto, sento il campanello di casa suonare.
Mio padre apre il portone, quindi mi spiaccico contro il muro del corridoio per sentire udire i loro discorsi.
«Va via, Jackson. Lo dico per te.»
C'è solo la voce di mio padre.
«Non insistere, vai.» Si dicono qualcos'altro ma la tv del salotto confonde i suoni.
Poi il tonfo della porta che si chiude.
Corro in camera, mi chiudo dentro e mi affaccio alla finestra. Per poco non mi viene un infarto. Mi abbasso d'istinto perché un oggetto mi arriva addosso a tutta velocità. Una pietra si schianta sul vetro.
Aspetto accovacciato sotto al davanzale per un po' e quando capisco che è tutto tranquillo, mi risollevo.
Spalanco l'anta, sono ancora sconvolto.
«Ma sei impazzito? Ma che fai?» sbraito puntando lo sguardo al giardino avvolto dall'oscurità.
«Tu che fai?»
Mi porto una mano alla bocca.
«Vattene Jackson.» mormoro sottovoce, per paura che qualcuno ci senta.
«Non ho fatto niente, lo sai» si lamenta lui.
«Lo so. Appunto.» ribatto annuendo.
«Che a Natale saremmo stati separati, lo sapevi.» Lo vedo scacciare un sassolino con la punta delle scarpe, con lo sguardo chino al suolo.
Ogni volta che ci allontaniamo, ho bisogno di sicurezze in più che tu non mi dai.
«Senti, voi potete fare quello che vi pare: feste, vacanze, divertimenti e tutto il resto. Io posso a malapena uscire di casa una volta a settimana. Non ho tutta la tua libertà. Io non sono così.»
«Ma io sì. E allora?» Jackson si mordicchia il labbro inferiore, questa volta però solleva il capo nella mia direzione.
«Allora non siamo fatti per stare insieme.» Chiudo la finestra di scatto, ma arriva un altro colpo si schianta sul vetro.
«Jax, finiscila. Mi rompi il vetro così!»
«Ti rendi conto persino tuo padre l'ha capito?» urla lui provocandomi una smorfia preoccupata.
«Shhh! Abbassa la voce. Da cosa lo dici...?»
«Ha cancellato il ballo.»
«Cioè?»
«L'ha fatto per evitare che...»
I suoi occhi chiari hanno un luccichio nel buio.
«Cosa...»
«Sapeva te l'avrei chiesto, Blaze.»
Scollo il capo. Non è possibile. Non può essere.
«Non è vero.» insisto diffidente.
«Si invece. Che coglione sono stato»
A quel punto Jackson si volta per tornare al pick-up parcheggiato dall'altra parte della strada.
No, non andartene.
«Aspetta, Jax.»
«Scendi allora.»
«Non posso scendere da qui.»
«Hai paura?»
Lo fisso dall'alto.
«Che domande? Certo che ho paura.»
Lui però non mi prende in giro come credevo. Accenna una piccola corsa e si posiziona sotto la finestra, infine solleva le braccia verso l'alto.
«Se cadi, ti prendo io.»
«Non... Mi prendi per il culo? Vuoi farmi ammazzare?»
«Non ti fidi di me o pensi che non possa reggere i tuoi sessanta chili bagnati?»
«Vaffanculo.»
Mi fido di te, forse è questo il problema.
Poso un piede sul davanzale e con un balzo mi lancio di sotto.
Jackson mi afferra con una presa sicura e mi sorregge tra le sue braccia forti.
«Hai scheggiato il vetro, Jax. Mio padre se ne...»
Poi zittisce le mie parole con un bacio. La sua lingua esperta avviluppa la mia conducendola in una danza sfrenata. Non faccio in tempo ad abituarmi a quella dolce tortura, che Jackson reclina il collo all'indietro e si allontana da me.
Mi fissa dall'alto senza parlare.
«Perché sei qui, Jax?»
«Perché se non muovo un passo io, tu non fai un cazzo.» mi fulmina con quelle parole dirette.
Poi però, vedere la mia espressione dispiaciuta sembra addolcirgli l'animo.
«Ho come l'impressione che nascondiamo quello che sentiamo per orgoglio, Blaze.»
«E così.» confesso sottovoce. «E non parlo solo di sentimenti, ma di paure.»
«Di cosa hai paura?» domanda osservandomi serio.
«Quando siamo soli è tutto perfetto ma... Ogni volta che ti vedo insieme ai tuoi amici o ai tuoi compagni di football, mi sembra di tornare al passato. E ogni volta che ripenso al passato, ho paura tu torni a...»
«A fare lo stronzo?» mi imbocca lui.
Annuisco.
«Però non ti sei mai lamentato.»
«Lo so. Ma ora non mi basta più. Non posso forzarti a provare qualcosa per me se non lo provi, ma...»
Jackson interrompe le mie parole con un altro bacio.
E io ho il respiro corto e poca voglia di respingerlo.
«Lo vedi? È meglio finirla qui.»
«Stai scherzando?»
«Siamo troppo diversi.» mi lamento. «E tu sicuramente troverai di meglio.»
«Perché devi fare così?»
Prova a riavvicinarsi ma io chino il capo eludendo le sue labbra invitanti.
«Qualsiasi cosa faccio non è abbastanza vero?»
«Non è questo, Jackson.»
«Forse non mi hai mai perdonato»
«O forse non mi hai mai chiesto scusa per davvero? Ci hai mai pensato?» ribatto amareggiato.
«Non ci posso credere. Perché stai trovando tutte queste cazzo di scuse?»
«Sono stufo di essere il tuo segreto, lo capisci o no?» gli chiedo con il respiro corto. «Dici che non è così, ma poi ti comporti come se lo fossi.»
Mi allontano a passi spediti e mi avvicino alla porta di casa.
«Non finisce così, Blaze» strepita lui rientrando nel pick-up come una furia.
JUNE
James e Jasper trascorrono la giornata facendo avanti e indietro dall'ospedale, così ne approfitto per tornare a casa. Mia madre è più tranquilla del solito, le vacanze dai nonni hanno fatto bene anche a lei. E stranamente mi evita il terzo grado.
«Mammaaaaa» urlo quando metto piede in camera mia.
Lei accorre immediatamente ma non capisce la gravità della situazione.
«Cos'è successo?» sbraito indicando il nuovo aspetto della mia stanza.
«Ho lasciato la tua camera a May...»
«Che fa rituali satanici mentre non ci sono?»
Allargo gli occhi verso il comodino pieno di cianfrusaglie non mie.
«E poi dove diavolo sono finiti i miei libri?!»
«Si chiama manifestazione.»
E proprio May, come un'apparizione inattesa, si materializza alle mie spalle. Entra in camera e comincia a risistemare le pietre e i ciondoli sparsi sulla mia scrivania.
Mia madre ci lascia sole, quindi chiudo la porta.
«E così che pensi di conquistare William?»
«Se dovesse servire...»
Lo mormora di getto, poi però le sue guance si arrossano.
«Ti sei presa una cotta per lui?»
«No, June.»
«Sì, May.»
Mia cugina incrocia le braccia al petto e mi scruta dall'alto con sguardo deciso.
«Beh, te l'eri presa pure tu.» Mi sfida.
«Hai investigato bene.»
«Certo.»
La farsa delle facce arrabbiate dura poco, perché entrambe scoppiamo a ridere in sincrono.
«Resterò qui fino al primo gennaio, poi io e mamma torniamo a casa.»
Non posso fingere di non accorgermi del suo tono così mesto.
«Ti fa paura la distanza?» domando a quel punto,
«Abbiamo parlato una volta sola, June. Quale distanza... William nemmeno si ricorderà il mio nome.»
«Will è complicato, ma... se gli piaci per davvero, te ne accorgerai.»
Quando torno da James, lui e Jas stanno giocando alla play.
«Ho portato della pizza» annuncio sbattendo la porta d'ingresso.
Jasper lancia il joypad sul tavolino e si avventa sul cartone che ho tra le mani.
«Okay, qualcuno ha fame» commento lasciandogli il cibo.
James invece non distoglie lo sguardo dalla tv, sorride esibendo le sue fossette. Io mi protendo verso il divano e gli lascio un bacio sul collo. Il suo buon profumo mi induce a chiudere gli occhi.
«Anch'io ho fame...» mormora leccandosi il labbro inferiore.
«Non fai ridere.»
«Magari dicevo sul serio, White»
Sento le guance scaldarsi all'improvviso.
«Scusa, James, io non volevo...»
Lui però si alza in piedi e mi guarda dall'alto.
«Sempre che pensi male.»
«No, no è solo...»
Che figura.
«Hai davvero fame?» Mi si illuminano gli occhi.
«Mmm... fammici pensare...»
James curva il capo e la sua occhiata intensa scivola calda sul mio seno, poi lungo la mia pancia. Con le dita aggancia il bottone dei miei pantaloncini e con una presa decisa mi attira a sè.
«Fai il serio per favore. Tua madre come sta?»
James cambia faccia immediatamente. Ritrae la mano sbuffando.
«Sempre uguale.»
«Sei andato a trovarla oggi?»
Lo vedo arricciare le labbra piene per modellare un broncio che mi lascia intendere quanto lui desideri cambiare argomento.
«Andiamo a fare compagnia a Jas.» suggerisco mentre ci stiamo incamminando verso il corridoio.
Quando entriamo in cucina Jasper ci fissa.
Di solito mangerebbe la pizza ignorando tutto e tutti. Invece ci guarda.
E James se ne accorge, infatti afferra il cartone poggiato sul tavolo e me lo porge mentre mi siedo vicino a suo fratello.
«Che c'è?» domanda James scrutando Jasper con attenzione.
«Strani.»
Mi si blocca il respiro.
Jasper ha appena parlato.
Con la bocca spalancata guardo James, che però non fa una piega. Lo so che ci tiene a non far durare troppo a lungo quel momento di silenzio. Non vuole che suo fratello si senta a disagio, quindi fa la prima cosa che gli viene in mente.
«Oh e noi saremmo quelli strani, Jas?» commenta addentando la pizza.
Jasper annuisce convinto.
«Perché? Solo perché prima la bacio e poi...» James si allunga verso di me e mi tira una ciocca di capelli.
«Smettila! E poi non toccarmi con le mani unte di pizza!» urlo a quel punto.
«Sennò?» Mi provoca James con un sorrisetto sfacciato.
«Sennò tocco i tuoi preziosi capelli.»
Jasper ridacchia.
«Provaci White e ti ribalto.»
«Ma cosa vuoi ribaltare, James...»
«Te e il tuo bel culo.»
A quel punto mi alzo in piedi.
«Non parlarmi in questo modo!»
Mi avvento su di lui, ma James si sottrae prima che io possa anche solo sfiorare una ciocca dei suoi capelli. Provo a rincorrerlo intorno al tavolo, ma ovviamente il maledetto è troppo veloce.
Jasper ci guarda.
«Strani.» ripete poi.
Lancio pizza sul tavolo, James approfitta di quel momento per afferrarmi dai polsi e, dopo essersi rigettato sulla sedia, mi fa sedere su di lui.
«Non puoi toccarmi i capelli...» bisbiglia con voce soffusa, stringendomi i polsi dietro la schiena.
I nostri sguardi si fondono.
La mia fronte si abbandona sulla sua.
«Sai, Jas...» sento James mormorare con un filo di voce.
«Spera di sentirti strano anche tu, un giorno.»
Jasper mima una buffa espressione schifata e si alza in piedi per lasciare la cucina e tornare a giocare.
«Vuoi andare su?» chiede James mordendosi il labbro inferiore, rosso e invitante.
«No, voglio stare qui con tuo fratello.»
Lui mi fissa, sembra poco convinto.
«Tu invece dovresti mangiare qualcosa e poi andare a trovarla, James. Trascorrere la notte, da soli, in ospedale, non è il massimo.»
James abbassa il capo.
«Come fai a perdonare una persona che non vuole nemmeno essere perdonata?»
Le sue parole mi confondono.
«James...»
D'un tratto mi afferra dai fianchi e mi solleva. Lo vedo uscire dalla cucina per raggiungere suo fratello.
«Quindi? Con Violet?»
Jasper scrolla le spalle. Sembra che l'argomento non lo tocchi più di tanto, ma io lo conosco.
È diventato di ghiaccio.
James invece non ci gira intorno.
«Le chiederai di andare al ballo?» domanda stravaccandosi sul divano.
Jasper muove il capo meccanicamente.
«Hai paura ti dica di no?»
Vedo Jasper spalancare le palpebre in modo innaturale, poi arrossire davanti a quelle parole.
«James non così diretto...» suggerisco sedendomi di fianco a loro.
«Non puoi non fare niente! Jasper!»
Lancio gli occhi al soffitto.
«Lascialo in pace.»
Jasper sembra contento del fatto che io prenda le sue difese, infatti porge a me il joypad, invece che al fratello.
«Vado all'ospedale. Lo metti a letto tu?» mi chiede James prima di lasciarmi un bacio e alzarsi in piedi.
«Faccio io, James.»
«E per il casino in cucina...»
Lo vedo far scivolare una mano tra i capelli arruffati.
«Non devi preoccuparti di nulla.»
Il giorno seguente mi reco all'aula di teatro verso le undici del mattino. Insieme a me c'è anche May, ma nessuna delle due si aspettava ciò che si presenta dinnanzi ai nostri occhi. Proprio davanti all'ingresso di scuola, due guardie in divisa ci intimano di fermarci.
«Documenti.»
«È la mia scuola...» Mi inacidisco davanti alla maleducazione di quegli uomini.
«Abbiamo una lista delle persone autorizzate ad entrare. Documenti.»
«Sono June White. E sono qui per la recita.»
Sbuffo, poi allungo loro la mia carta d'identità.
«Ok. Tu puoi entrare.»
«E lei?» chiedo indicando May.
«Chi sei?» La interroga uno degli agenti.
May non fiata, li fissa in cagnesco.
«Lei è May, mia cugina.»
«Non c'è nessuna May qui nella lista. Ma poi... June e May, cos'è uno scherzo?»
«Vi farei conoscere mia madre e mia nonna.»
«Sono due ragazzine, lasciamole entrare.» sento borbottare uno.
«Chi ti dice non sia armata? Abbiamo una lista da rispettare.» replica l'altro.
«Armata?»
«Non lo vedi che sguardo?»
«Sentite non voglio far saltare in aria la scuola, sono qui per aiutare con la recita.» spiega May con tono distaccato.
«Va bene, potete entrare. Ma sappiate che vi tengo d'occhio.»
Finalmente, tra sbuffi e lamentele varie, io e May raggiungiamo la sala teatro.
«Ma che succede? Siamo in una dittatura?» domando a Tiff quando la sorprendo stravaccata in una delle prime file davanti al palco.
«Già. Che rottura.» commenta la mora con la bocca piena, davanti ad un box colmo di ciambelle.
«Fossimo in una dittatura quello stronzo di Hood sarebbe qui. E invece? Mancano cinque ore allo spettacolo!»
Taylor è in piedi sul palco, furiosa come non mai.
Mi volto verso Tiffany.
«Come stai Tiff?»
«Sempre più incinta. Ma se io ho la fame, a lei è spettata l'incazzatura.» ridacchia la mora.
Taylor sta andando avanti e indietro come una biglia, è impaziente.
«Dov'è?» continua a ripetere «Dove diavolo è?»
Ce l'ha ovviamente con Brian che non si è ancora presentato. Ormai lui è in ritardo di un'ora e trapela anche una certa disperazione nell'aria. Tiffany esclusa, visto che è già alla terza ciambella al cioccolato e non sembra conoscere agitazione.
«Tiff, finiscila! Mi stai mettendo fame.» Si lagna la bionda.
«E mangia» ribatte l'altra porgendole la scatola di cartone che ormai scarseggia di ciambelle.
«Adesso lo chiamo. Ci fa saltare tutto l'anno di prove, quello stronzo.»
«Calmati, lo chiamo io. Se sente quanto sei arrabbiata, di sicuro ci pensa due volte prima di presentarsi qui.» borbotto cercando il numero di Brian in rubrica.
Taylor però sembra tenerci particolarmente all'esito della recita, perché mi si accosta con le braccia conserte e l'espressione di sfida.
«Dai, White. Chiamalo.»
«Brian ma dove sei?» domando non appena lo sento rispondere con voce cupa.
«June, scusa... Non un bel periodo...» lo sento aggiungere.
Taylor mi strappa il cellulare dalle mani.
«Non lo è mai per te, Hood. Datti una mossa, non stiamo ai tuoi comodi. Qui è tutto pronto. Abbiamo le ultime prove.»
«Taylor...» provo a calmarla mentre lei va in camerino sbattendo la porta.
A quel punto mi rendo conto che non c'è alternativa, devo guardare in faccia la realtà.
«Dobbiamo trovare un sostituto. Brian non verrà.» annuncio al gruppetto di studenti che attende risposte.
«Nessuno sa a memoria le battute di Romeo e mancano cinque ore.» mi ricorda May.
Una quantità indefinita di occhi mi scrutano dal basso, in attesa di una soluzione.
«Mi dispiace, ragazzi... Forse dovremmo cancellare lo spettacolo.» ammetto sottovoce, ormai senza speranze.
«No, non possiamo permetterlo.» annuncia Taylor tornando sul palco.
Poi mi fissa con occhi sottili.
«Non c'eri alle prove di cheerleading stamattina, White. Di nuovo.»
«Lo so, mi sono svegliata tardi e...» Poi però m'insospettisco. «Come fai a saperlo, tu c'eri?»
«È l'ultima partita e chi pensi che si occupa della coreografia, se tu non ti presenti?»
Taylor ci tiene così tanto allo spettacolo, così come alle cheerleader.
Ad un tratto mi viene un'idea.
«Vuoi comandare questa scuola? Nessuno lo sa fare meglio di te, Taylor.»
«Che significa?»
«Le battute di Giulietta? Tu le sai tutte.»
May mi ruba le parole di bocca.
«Sei impazzita? E Romeo?» salta su la bionda.
May si volta verso la prima fila.
«Sta mangiando ciambelle.»
«Non possiamo stravolgere per davvero...»
«Preferisci mandare tutto all'aria?» Mi rivolgo alla mora «Tiff, che dici?»
«Okay» sbuffa quest'ultima.
«Avanti sul palco. Iniziamo.»
A Taylor sfugge un sorrisetto, appare contenta, eppure non riesce a godersi il momento. Sembra non riesca a fidarsi.
«Aspetta White. Rinunci al cheerleading e alla recita?»
Annuisco convinta. Lei a quel punto mi prende da parte e comincia a bisbigliare.
«Perchè? Dov'è l'inganno?» domanda con aria sospettosa.
«Ho provato a fingere di essere qualcuno che non sono. E non mi va più. Tu, invece, meriti quello che ti spetta. Quello per cui hai sempre lavorato duramente.»
Mi scruta incredula, poi però mi abbraccia.
«Grazie, June.»
JAMES
«Tutti in attacco. Non importa cosa accade.» esordisco infilandomi una sigaretta tra le labbra.
«Come non importa?» domanda Brian.
«Stiamo in attacco. Cosa cazzo non capisci?» lo aggredisco causando l'occhiataccia sottile che mi riversa addosso.
«Perchè?»
«Perché abbiamo un quarterback, voglio tutte le attenzioni su di lui.» insisto puntando l'indice sul foglio che raffigura il nostro schema di gioco.
Lo sto mostrando ai miei compagni di squadra, ma Brian è l'unico scettico. E Marvin rompe le palle come al suo solito.
«Non è così che ha detto che dobbiamo giocare. Il coach non ci fa mai giocare così.» si lamenta quest'ultimo.
«Vuoi tacere?» sbuffo il fumo sul suo viso.
«Ha ragione Marvin. Così stiamo troppo in avanti, con tutto il focus sull'attacco. Se rimaniamo scoperti in difesa...» Brian a quel punto si acciglia e mi fissa sospettoso. «Qual è il tuo obiettivo, James?»
Io non rispondo, così il moro invita tutti ad uscire dagli spogliatoi.
«Lasciatemi parlare un attimo con Hunter.»
«Perché non fai come ti dico per una cazzo di volta e basta?» lo rimprovero io.
«Vuoi fare giocare tutti in attacco così Jackson brilla per le sue capacità e se perdiamo chi se ne frega, vero?»
«Vedi, lo sai. A posto. Possiamo andare a vedere la recita.» Ripiego il foglio e faccio per uscire dallo spogliatoio, ma lui mi blocca trattenendomi dal braccio.
«No. Fermo. Non puoi fare questo alla squadra.» mi redarguisce Brian. «Non è così che si comporta un capitano.»
«Vorrei solo essere un buon amico.» mormoro con gli occhi bassi.
Ma quando sollevo lo sguardo e incontro i suoi smeraldi, vengo rapito da un dubbio.
«Che cazzo ci fai poi tu ancora qui? Non dovevi arrivare dopo? Non hai le prove della recita?»
«Non partecipo più.» spiega Brian.
«Oh, guarda caso... Visto che non ci sono sbaciucciamenti di mezzo, ti è passata la voglia...»
«No, Hunter. Non è per quello. Non ho tanta voglia di festeggiare. Sai com'è...» ringhia duro, ricordandomi di ciò che è accaduto a suo padre.
«Scusa.»
«Okay, facciamo sta cazzata a patto che... Mettiamo da parte l'ascia di guerra io e te.
E seppelliamo questa storia. Non ne farai parola con mia sorella, mai.»
Annuisco.
«Certo, ma... Perché?»
«Vorrei dirglielo io. Come tu vuoi comportarti da buon amico, io vorrei comportarmi da buon fratello.»
JUNE
«Cosa c'è? Taylor, mancano sette minuti. Ma che stai facendo?»
Mi allarmo nel vederla chiusa dentro al camerino da mezz'ora.
«Non penso di farcela.»
Spalanco gli occhi spaventata.
«Stai scherzando?»
«Perché davanti ai compagni, okay, lo posso fare. Ma quando saremo davanti a tutti i genitori... Con i vestiti di scena... Non lo so. E se Tiff dovesse sentirsi male?»
«Rilassati. Tiffany sta benissimo.»
«E se faccio una brutta figura?»
«Può capitare, Taylor. E non succede niente. Io ne faccio in continuazione di brutte figure.»
Lei si porta una mano alla bocca, non sembra farsi impressionare dai miei tentativi di minimizzare le sue ansie.
«Ma sei impazzita? A nessuno importa quando tu inciampi o dici una battuta fuori luogo, White. Sei June White e tutti ti vogliono bene per come sei.»
«E quindi? Cosa cambia da me a te?» Mi acciglio.
«Nel mio caso... Le persone non aspettano altro che vedermi fallire. L'empatia, la comprensione, tutte queste belle cose, la gente la riserva solo per chi ne ha bisogno. Per chi è sfortunato. Se sei bella, ricca e di successo, vogliono vederti cadere in basso. Ne gioiranno tutti.»
Taylor non può fare a meno di insultarmi in modo velato. Però capisco alla perfezione il suo discorso. Non posso darle torto.
«Lotto da una vita contro tutti.»
«Ma tu davvero rinunceresti a ciò che ti piace fare, solo per non sbagliare?» domando a quel punto.
«Rinunceresti a qualcosa che ti piace, per evitare di far rider quattro stronzi? Magari l'unica gioia che hanno è proprio quella ridere delle disgrazie altrui, chi sei tu per privargli questa misera gioia?» s'intromette Tiffany, sorprendendomi alle spalle.
«Tiff, dove vai?» chiedo nel vederla in mutande.
«Vado ad indossare il vestito di scena.»
«Ho la nausea.» sussurra sottovoce Taylor.
La fisso di sbieco.
«E no, io non sono incinta. Non guardarmi così.»
«No, è che... Non mi aspettavo tu potessi essere nervosa per qualcosa.»
«Non voglio che gli altri vedano la mia debolezza. Penseranno che...»
«Pensi troppo a cosa pensano gli altri, Taylor. Tieni tutto dentro e poi scoppi. Non sono tutti tuoi nemici.»
«Vallo a dire a mia madre.» replica lei.
Taylor sposta il tendone e me la mostra puntando l'indice verso il centro della prima fila.
«Eccola.» Le brillano gli occhi nell'indicarmela.
«Ora capisco da chi hai preso la tua bellezza.»
«Potrei dire lo stesso di tua madre. Ora capisco da chi hai preso il tuo gusto nel vestire.» commenta Taylor guardando mia madre in seconda fila.
«Non... Non spostare l'attenzione, per favore.» mormoro tornando sulla donna bellissima che mi indicava poco prima.
«Lei ha sempre vinto tutti i concorsi di bellezza a cui ha partecipato. Li vincevo anch'io quando ero piccola. Ma se scopre che aspetto un figlio... e non sono nemmeno incinta...»
In quel momento arriva Tiffany alle nostre spalle.
«Sono pronta.» Annuncia la mora inducendo entrambe a girarci.
«Oh...»
Tiffany indossa un vestito scuro lungo sulle ginocchia. È aderente quanto basta per segnarle leggermente la pancia.
Le gemme luminose di Taylor brillano nella penombra. Sembra emozionarsi. Con la punta delle dita le sfiora pancia.
«Pronta? Per davvero?»
«Sì.»
«E per il discorso di June?» mi chiede Tiff lasciandomi sgomenta.
Il sorriso che mi aveva appena incurvato le labbra muore in un secondo.
«Quale discorso?» E inevitabilmente casco dalle nuvole.
«Il discorso.»
Oh no. Il discorso che dovevo preparare per concludere lo spettacolo.
«Non ho preparato niente. In questi giorni sono successe così tante cose...»
Mi allarmo, ma Tiff mi rassicura posandomi una mano sulla spalla.
«Ho un'idea.»
«Ho paura delle tue idee, Tiff.»
«Dovrò dirlo ai miei prima o poi.» sussurra carezzandosi la pancia.
«Tiff...» la rimprovera Taylor con un po' di apprensione.
«E chiamatemi pazza, ma dirglielo in una stanza, da soli, a quattr'occhi... non riesco. Non ce la faccio. Mi sento più sicura a dirglielo così.»
«Perché in questo modo non ti possono prendere a sberle davanti a tutti?» esclama Taylor che si becca una mia occhiataccia.
«Che ho detto? Se sua madre lo scopre, sviene.»
«Prima o poi dovrò dirlo ai miei e... Mi sento più coraggiosa così.»
«Okay, allora mi occupo io dell'organizzazione e di tutto il resto. Siamo una squadra. Però voi dovete andare. Ora.»
E le spingo verso il sipario che si apre poco dopo.
Lo spettacolo lo seguo con il fiato sospeso, ma quando mi accorgo che Taylor e Tiff hanno tutto sotto controllo, comincio a rilassarmi.
Quando cala il sipario l'applauso esplode nella platea. Il preside fa una breve introduzione, poi annuncia il discorso.
«Tiff?» esclamo cercandola dietro le quinte.
«Tiff dove sei? Tocca a te.»
«Ho cambiato idea, June.»
«Come dici scusa?»
«Ho avuto uno sbalzo, prima. È la gravidanza.»
«Oddio... E come facciamo adesso?»
«Vai tu col discorso, June.»
«Il discorso? Quale discorso, non ho preparato nessun discorso.»
«Ah, non guardare me White.» Taylor alza entrambe le mani.
«O mio dio...»
Si riapre il sipario e io mi ritrovo immobile davanti a tutti.
Le luci sono puntate su di me, quindi non vedo la platea ma so che tutti stanno attendendo.
«Qual è il tema?» domanda May da dietro le quinte.
«L'adolescenza qualcosa...» sbuffa Tiff.
«Buonasera. Sono qui per...»
Vorrei che il palco aprisse una voragine e mi inghiottisse, ma questo non accade.
Però succede qualcos'altro.
Mi volto e May è accanto a me.
«Sono qui per presentarvi mia cugina May.» Le passo il microfono e scivolo alle sue spalle con il cuore in gola.
«Buonasera. Io non faccio parte di questo liceo, quindi chi meglio di me per un occhio obiettivo sui vostri figli?»
Indietreggio nascondendomi dietro al sipario e quando lo faccio, vado a sbattere contro qualcuno.
James mi agguanta dalle spalle.
«Sei qui?»
«Sì, June. E tu non sei sul palco. Stai bene?»
Annuisco e mi accorgo dei ragazzi nelle prime file.
«Cari genitori... Grazie per essere qui. Si dice così no?»
Il tono di May è provocatorio e io e James ci guardiamo preoccupati.
«La realtà è che dovreste essere voi a ringraziare i vostri figli. Ci sono voluti mesi per preparare lo spettacolo al quale avete appena assistito. A voi invece, è richiesta solo mezz'ora del vostro tempo per essere qui, seduti, a guardarli. Senza fare nient'altro.»
Un leggero brusio sale dalla platea. Qualcuno ride, forse pensano che May sia ironica... ma non la conoscono abbastanza.
«L'adolescenza è uno strano periodo della vita. Non importa che tu sia ricco, povero, che tu abbia una faccia d'angelo e vada in giro con un coltello in tasca...»
Qualcuno sorride. Noto Will imbarazzarsi tra le prime file.
«Non importa se ami la stessa ragazza da quando andavi alle elementari ma non hai il coraggio di dirglielo...»
Marvin è di fianco a Will e comincia a guardarsi in giro. Poppy si trova qualche fila dietro e si porta una mano davanti alla bocca.
«Non importa se hai il costante timore del giudizio altrui...»
Gli occhi di May finiscono su Jackson per poi proseguire su Brian. «Se sei arrabbiato con il mondo perché nessuno vuole ascoltarti per davvero.»
«Non importa se hai l'aria da criminale ma poi, sotto sotto, hai un cuore d'oro.»
«Sarei io questo?» sussurra James nel mio orecchio.
«E non importa quanta paura tu abbia di lasciare andare il passato...»
Chiudo gli occhi.
«...L'unica cosa che desideri, è solo essere accettato. Amato. Quindi, l'unica cosa che vi chiediamo, l'unica cosa che vi è richiesta, in quanto genitori, è questa. Quando a cena ci chiedete dei nostri voti, di com'è andata a scuola... Fate un piccolo sforzo e chiedeteci anche come stiamo. Cosa ci fa stare male, cosa ci fa arrabbiare...»
May fa una piccola pausa poi incastra il microfono nell'asta al centro del palco.
«Non ci serve altro. Solo amore.»
Un forte applauso divampa nella platea, mentre May abbandona il palco. Ma prima di nascondersi dietro al sipario, torna al microfono.
«Ah, e Tiffany è incinta. Buonanotte a tutti.»
A quel punto il sipario cala del tutto e May ci raggiunge dietro le quinte. La vedo proseguire verso il camerino dove c'è qualcuno ad aspettarla.
«Sei stata bravissima.» esclama una voce conosciuta.
«Che cos'è tutto questo?» domanda May.
Seguo May e quando arrivo nel camerino mi accoglie un intenso odore di fiori.
«Sono fiori...» spiega Will.
«Sono fiori? E un cazzo di tappeto di cento rose bianche» ridacchia James indicando il pavimento.
«Zitto James.» lo rimprovera May.
«Hai un cuore d'oro, James.» la canzona lui imitando la voce di mia cugina.
«Finiscila, cretino» lo porto via io sorridendo.
Vorrei lasciare Will e May da soli, James però non demorde e fa di nuovo capolino nel camerino.
«Will, tua madre non ti ha tagliato i viveri?»
«Mi ha lasciato carta di credito per le emergenze.» spiega lui poggiato alle stampelle.
«E tu le compri tutto il cimitero?»
Strattono James per portarmelo via, ma sono anch'io curiosa. Entrambi restiamo vicino alla porta per origliare.
«Grazie William.»
«So che preferisci il nero ma... Ti piacciono?»
C'è un attimo di silenzio.
«Le fanno schifo» commenta James.
«Shhh» ridacchio io.
«Mi piace... Ehm... il pensiero molto.»
«Il pensiero, certo. Si chiama William fottuto Cooper, non pensiero.»
«James!» Lo trascino via ridendo.
«Andiamo. Hai una partita o sbaglio?»
«Mancano due ore, White. Siamo in tempo a fare una cosa, vieni.»
«James. Ma proprio... ora?»
«Di nuovo che pensi male?»
A quel punto però, James mi mostra una storia Instagram da un profilo di un certo Colton.
«Chi è?» domando in preda alla confusione.
Nella storia ci sono due ragazzini che ballano.
«Violet è andata al ballo con Colton.»
«Chi diavolo è Colton?»
«E io che cazzo ne so! L'unica cosa che so è che non è Jasper Jeremiah Hunter.»
Inarco un sopracciglio.
«E poi Edward e Jeremiah hanno il coraggio di prendere in giro me?»
«Andiamo prima che il coach mi ammazzi.»
«Non fate parte di questa scuola.» Ci redarguisce un uomo che ha tutta l'aria di essere un professore.
Sta davanti l'ingresso della palestra di Jasper. Dal corridoio riusciamo a udire la musica proveniente da oltre la porta.
«E non siete nemmeno genitori.»
«Da cosa l'avrebbe capito?» ridacchia James.
«Andatevene.»
«C'è mio fratello dentro, voglio parlargli.»
Le parole di James sembrano non sortire effetto nell'uomo.
«È un'emergenza. C'è questa ragazza che è andata al ballo con il ragazzo sbagliato. Perché quello giusto non le ha chiesto di andarci.» spiego io.
«Non mi interessa.» Il prof sembra irremovibile.
«Se Colton di merda bacerà Violet, io tornerò qui fuori a spaccarle la...»
«James!» Lo rimprovero. «Per favore, ci bastano due minuti.» supplico l'uomo che finisce per sbuffare.
«Due minuti. Poi chiamo i vostri genitori.»
Il tizio ci minaccia, prima di spalancare la porta che ci permette di accedere alla palestra in cui si tiene il ballo.
In un angolo, da solo, spicca la sagoma ricurva di Jasper.
Gli occhi James si scuriscono, rimane immobile a fissare il fratello da lontano.
«James, abbiamo poco tempo. Andiamo.»
Ci avviciniamo a Jasper che sembra illuminarsi quando ci vede.
«Ma...»
«Che c'è, non te l'aspettavi? White ha rotto le scatole. Dovevi sentirla. "Andiamo da Jas, andiamo da Jas." Che palla al piede.»
Sferro una gomitata a James che ridacchia.
Jasper ci osserva attentamente, poi indica la maglia della divisa da football che indossa James.
«Sì, tuo fratello ha una partita ma... Volevamo assicurarci che stessi bene.»
«Ehi, ma sei un giocatore famoso?»
Mi volto e mi accorgo che un ragazzino che capeggia un gruppetto si sta rivolgendo a James. E ha l'aria di essere Colton.
«Mi sembra proprio di no.» sghignazza uno di questi.
«Allora se ne deve andare. Questa è la nostra scuola.»
James innalza un sopracciglio mentre un sorrisetto gli curva le labbra, è divertito.
«Oh davvero?»
«James, è un bambino. Lascia stare.»
Quando però mi rendo conto che la sagoma di Violet si è appena avvicinata a Jasper, capisco le intenzioni di James.
«Ciao Jas...» dice la ragazza riposizionandosi gli occhiali sul nasino.
Lui non parla. Non la guarda, ma sfrega mani tra loro e le tiene incastrate tra le ginocchia.
Decido di farlo. Jas mi odierà a vita, ma non posso lasciarmi sfuggire l'occasione di farli avvicinare.
«Violet, giusto?»
«Sì.»
«Senti... Jasper mi ha chiesto di ballare, ma io sono una frana, perché non provi tu a...»
La ragazzina sorride, ma al contempo scrolla il capo.
«Mi piacerebbe, non credo che lui voglia però.»
Guardo Jasper.
Fa' qualcosa, fa' qualcosa.
«Puoi autografarmi il culo!»
Colton si rivolge a James in quel modo, riacciuffando le mie attenzioni.
«James.» lo rimprovero prontamente.
«Non ho aperto bocca!»
Torno a voltarmi e noto che ora Jasper è in piedi.
«Quando ti ho chiesto di venire al ballo con me, non hai risposto.» sento Violet mormorare sottovoce. I suoi occhi verdi restano bassi, impigliati nelle mani di Jasper
Lui non risponde, ma le si avvicina, forse un po' troppo.
E non appena mi accorgo che Violet gli ha appena sfiorato una mano, non riesco più a contenermi.
«Uh, bellissima questa canzone. A Jas piace un sacco.»
Dico la prima cosa che mi viene in mente.
«Balliamo?» propone Violet.
Io annuisco, ma è Jas che deve dire qualcosa.
«Sì.»
«Ehi per parlare con questo coglione mi sono lasciato scappare la ragazza.» si lamenta Colton.
«Beh la prossima volta impara a tenertela la ragazza. Chi è il coglione?»
Il ragazzo però non sta più calcolando James, tutte le sue attenzioni sono puntate sulla pista, dove Jas e Violet stanno ballando un lento.
«Cosa ci fa quel mollusco di Hunter con Violet?»
E a quel punto mi devo intromettere, perché so già che potrebbe scoppiare la guerra.
«James.»
A fatica, lo trattengo dal braccio, poi mi rivolgo a Colton.
«Senti tesoro, provo a dirtelo con le buone perché... lo vedi il mio ragazzo? Ecco, dapprima farebbe accostamenti poco carini tra la parola mollusco e i tuoi gioielli di famiglia. Poi, ti prenderebbe a sberle. Lo evitiamo? Che dici?»
Il ragazzino maleducato mi guarda con un sorrisetto sfrontato.
«E tu che vuoi, belle tette?»
«Lascia stare Jasper. Violet voleva venire al ballo con lui, ma siccome lui non ha risposto...»
Ci provo con le buone, ma le mie intenzioni non sembrano sortire effetto.
«Se balli con me, li lascio in pace.» Mi sfida il ragazzo.
James alle mie spalle fa cenno di no.
«Davvero lascerai in pace, Hunter? » ridacchia uno dei suoi amici.
«Che vuoi dire?» mi insospettisco.
«Che non riesco a immaginarmi Colton che smette di fare lo stronzo.»
«Che cazzo vuoi dire.»
James a quel punto afferra uno dei ragazzini dal colletto della camicia.
«Ma niente, cazzate. Gli piace lanciare le matite a terra di proposito per far innervosire Jasper.»
Gli occhi di James si iniettano di sangue.
«È divertente, balza come una rana.»
Un sorrisetto sadico lacera il viso di Colton.
«Come odia quando gli corro intorno.»
Ride sguaiato causando uno sguardo carico di ora negli zaffiri di James.
«Ora lo ammazzo.»
«James, no. Lascialo. Non è colpa sua.» lo fermo io.
«Non è colpa sua, June?»
Il petto di James si muove rapido sotto la maglietta e sono costretta ad indicargli, Jasper e Violet che stanno ballano.
«Non interrompiamo questo momento. E poi, sì... Non è colpa di Colton, nè di questi ragazzi. Bisogna spiegar loro come si sente Jasper, forse non lo hanno capito. Probabilmente la scuola dovrebbe fare qualcosa e... Ho un'idea.»
«June... che intenzioni hai?»
«Lo vedrai James. Ci lavoreremo nei prossimi giorni.» asserisco convinta, prima di voltarmi verso il bulletto.
«Senti, Cotton.»
«Mi chiamo Colton.»
«Facciamo un patto, Cotton. Scommetti che smetterai di fare dispetti a Jasper di tua spontanea volontà?»
«Ah sì? Dopo che mi ha fregato la ragazza non la passerà liscia.» sputa lui con occhi sottili verso la coppia.
«Facciamo così, ci vediamo il primo giorno di scuola. È una sfida.»
«E se non mi convinci?» Colton mi scruta di sottecchi.
«Ti devo un ballo.»
«Uh... Avete sentito? Posso ballare con belle tette.»
Devo di nuovo trattenere James a fatica.
«Ma fino al allora non potrai parlare con Jasper e lo lascerai in pace.» annuncio con tono deciso.
«Affare fatto.» ridacchia il ragazzino.
Trascino via James, ma questo mi sfugge dalle mani e torna indietro.
«Se vuoi convincerti del fatto che non ti ammazzerò di botte solo perché sei un marmocchio del cazzo, fa pure. Ma sappi che se tocchi mio fratello, sei già morto.»
«James, la violenza non è la soluzione, sono convinta che...»
«Cosa ci fate qui?»
Quando ruotiamo su noi stessi, Jordan ci si para davanti.
«Che cazzo ci fai tu qui?» controbatte James.
«Modera i termini. Ero in ospedale da tua madre e ho pensato di passare a vedere come stava Jasper.»
«Ho una partita adesso. Tienilo d'occhio.» sputa James provando ad allontanarsi, ma suo padre ci ferma.
«Volevo venire anch'io a vedere la tua partita, ma...»
«Non m'interessa.»
«Dico sul serio, James. Perché non può venire anche Jasper?»
«Perché è con Violet.» spiego io indicando i due che stanno ancora ballando.
«Può venire insieme a noi. Ah sì, la conosco la mamma di Violet. Ci parlo io.»
C'è un gruppo di genitori in un angolo della palestra e vedo una donna sorridere e ricambiargli il saluto da lontano.
«E figuriamoci se non la conoscevi. Vi aspettiamo li.» taglia corto James prima di lanciare un'occhiataccia furibonda a Colton.
«Dove andiamo, James?» chiedo quando mi accorgo che non ci stiamo dirigendo verso il campo da football.
«Andiamo negli spogliatoi.»
«Gli altri ragazzi sono lì?»
Stiamo proseguendo verso il casottino poco distante dal campo.
«Spero proprio di no.» sussurra James mentre varchiamo la soglia.
«Uh, guardate... Jamie non è solo.» ridacchia Connell, insieme ai suoi amici.
«Ma porca...» Sento James imprecare perché negli spogliatoi ci sono anche gli altri ragazzi e si stanno cambiando per la partita.
«È meglio se vado, il coach non penso sia contento di vedere una ragazza qui.»
«Si fotta il coach, dammi un bacio prima.»
Il broncio di James sparisce quando mi attira a sé e mi bacia, fregandosene di tutti gli altri. Un gemito rifugge alle mie labbra quando mi accorgo che la sua mano scende ad applicare una presa decisa sul mio sedere.
Sento tutti gli occhi su di noi e anche qualche risatina beffarda.
«Ci vediamo dopo James.» biascico sulle sue labbra.
Mi stacco da lui e in un attimo gli animi si incendiamo. James si volta per aggredire un ragazzo dietro di me.
«Guardale ancora il culo. Avanti. Provaci»
«James...»
Lo vedo avventarsi sull'amico di Connell senza paura.
Il coach irrompe nello spogliatoio proprio nel momento in cui la mano di James è avvolta intorno al viso del malcapitato.
«Tieni questa rabbia per la partita Hunter. Avanti, in campo. Tutti quanti.»
James molla la presa sul ragazzo e lo spogliatoio si svuota improvvisamente. L'unico a metterci un po' a finire di vestirsi è Jackson.
«Dove sei stato?» domanda quest'ultimo.
«Da Jas.» mormora James posando le mani sui fianchi.
Jackson raccoglie il suo elmo, poi si alza in piedi.
«Sta bene?»
«Sta bene. Tu sei in forma, sì?»
«Più o meno...»
James scrolla il capo. Non sembra apprezzare la risposta dell'amico.
«Ho discusso con Blaze ieri.»
«Jax, ci pensi dopo a tutto il resto.» gli suggerisce avvicinandosi.
«Forse vorrebbe solo delle mie scuse.»
James a quel punto è costretto a posare entrambe le mani sulle spalle dell'altro per dargli uno scossone.
«Concentrati. Questa sera è importante per te.»
«È solo uno stupido sport.» borbotta il biondo.
«No, è il tuo stupido futuro.» lo corregge James.«La borsa studio sarà tua, Jackson.»
«E tu come fai a saperlo, James?»
«Farei qualsiasi cosa per te. Te l'ho già detto.»
«Avete finito?» domando nel vederli vicini.
«Gelosi da far schifo voi due, eh.» Commenta il biondo prima di uscire e lasciarci soli.
Marvin fa capolino dalla porta.
«James, ha detto il coach...»
«Arrivo. Voi andate. » lo redarguisce James. Poi però viene assalito da un dubbio. «Dov'è Will?»
«Boh, sarà con May» Marvin si stringe nelle spalle e sparisce dalla nostra vista.
James si sfila la maglia, poi estrae la divisa dal suo borsone.
«Vedo che la cosa non ti sfiora, Jamie.»
«Che vorrebbe dire?»
Si appoggia con le spalle alla parete e mi fissa sbriciolando del tabacco dentro a una cartina.
«Beh, che di May non dici nulla... ma quando ero io a stare con lui, facevi di tutto per metterci i bastoni tra le ruote.»
Il suo petto nudo si muove lento. Con la testa china, James solleva solo gli occhi e mi inchioda con uno sguardo intenso.
«May abita lontano. Non è una fottuta ragazzina che mi sta sempre tra le palle.»
«Oh davvero?»
Lo vedo giocherellare con la lingua nell'interno guancia.
«Cos'è, dovevo dire che ti volevo tutta per me?»
«Be', l'hai detto tu. Io non l'ho nemmeno pensato.» lo prendo in giro con un ghigno.
A quel punto James scolla le spalle dalla parete e mi viene ad un soffio dal viso.
«Che intenzioni hai?»
Lui sorride in modo malizioso. Curva il capo e lascia una mano ciondolare vicino alla mia coscia. La mia pelle rovente si riempie di brividi.
«James, il coach non vuole che facciate nulla nel pre-gara...»
Provo a farlo ragionare, mentre le sue labbra stanno già solleticando la mia gola scoperta.
«Infatti chi parla di me... » mormora lui agguantandomi il braccio.
In poco tempo ci ritroviamo nelle docce.
«Ce l'hai per vizio quello di portarmi nelle docce, a scuola, vero?»
«Nessuna delle due volte ho fatto ciò che desideravo fare per davvero.»
E mentre mi lascio distrarre dalla forma magnetica delle sue labbra, lui mi afferra i polsi e li solleva sopra la mia testa, immobilizzandomi contro il muro.
I suoi occhi scendono languidi sul mio seno racchiuso nella t-shirt.
«Mi piace che indossi i miei vestiti.»
«Quale sotto testo maschilista nasconde la tua affermazione?»
«Be'... Penso che sia mio l'abito, come ciò che ci sta sotto.»
«O davvero?»
«Davvero, June. È una bella sensazione.»
Mi ritrovo a sorridere. James libera i miei polsi e affonda una mano tra i miei capelli, obbligandomi a flettere il collo con quel gesto deciso.
«Perché tanto è così. Sei mia.»
Il cuore prende a ticchettare rapido nel mio petto. James abbassa il viso e con le palpebre socchiuse punta alle mie labbra, che accolgono il suo bacio senza fretta. Con il pollice ben ancorato alla mia guancia, disegna dei circoli sulla mia pelle accaldata, mentre l'altra mano scivola lenta sotto la maglietta.
Il bacio passionale che ci scambiano mi ruba il fiato e quando James mi raccoglie il seno in una presa avida, vengo percorsa da un fremito. Gli anelli freddi rendono la mia pelle sensibile al suo tocco esperto.
James però ad un tratto si ferma. Le nostre labbra si separano, causandomi un piccolo gemito di disappunto.
«Che fai?»
«Ti guardo, cazzo.» Vedo i suoi occhi scivolare sulle mie dita aggrappate al suo petto nudo.
«E mi fa piacere che hai ancora l'anello»
«Certo, perché non dovrei?»
«Magari perché non ha significato.»
La sua provocazione non mi spiazza. Lo conosco.
«Tu non mi hai fatto promesse...» lo stuzzico trattenendo un sorrisetto.
«Cosa dovevo dire? Prometto di baciarti e scoparti tutti giorni?»
Lo spintono via. «Sei proprio uno stronzo.»
«Sincero però.»
«Allora se sei così sincero perché non me lo dici?»
«Cosa?»
«Cosa provi.»
James abbassa lo sguardo lentamente, facendolo scivolare sui suoi pantaloni.
«Ho faccia di uno che che sta per dirti una cosa romantica?»
E con un gesto rapido mi manovra dai fianchi e mi fa ruotare. Quando sento tutta la lunghezza spessa spingere tra le mie curve morbide, resto quasi senza fiato.
«Ti odio.»
«Tu mi ami, cazzo.» soffia lui facendomi sciogliere.
Il respiro caldo nel mio orecchio m'induce a chiudere gli occhi e abbandonarmi alle sue mani, ma qualcosa ci interrompe.
In quell'istante sentiamo dei passi, poi delle voci.
«Arriva qualcuno.» sussurro senza fiato.
«Shhh» James mi porta l'indice davanti alle labbra. Mentre con l'altra mano mi abbassa la t-shirt sollevatasi sui fianchi.
Il suo respiro caldo sulla spalla mi fa sussultare.
«Lo so cosa dicono di me. Quei ragazzi mi odiano. Ho pure il sospetto che Hunter mi abbia rapito il cane.»
La voce dell'allenatore la riconosco.
«James, dov'è Benjamin?» sussurro.
«Sta insieme a Carmen e i suoi figli. Siamo andati via per quasi una settimana nessuno si sarebbe occupato di lui.» James risponde a voce bassa, facendomi cenno di stare zitta.
«Ti ha rapito il cane? Sarebbe proprio una cosa da James...»
Quella voce non la riconosco. James sembra paralizzarsi nell'udirla.
«Ma sarebbe anche una cosa gravissima, sei andato a riprendertelo?»
«Sì, ma poi ripensandoci, l'avrei portato in canile a breve. È vecchio e malato.»
«Okay, parliamo di cose serie. La commissione è seriamente interessata a Jackson.»
«Perché?» Il coach sembra spazientirsi.
«Ma come perché? Che coglione.» sbotta James sottovoce.
«Sanno che il migliore.»
«Non mi importa. Hood è stato espulso l'anno scorso e se non ottiene la borsa di studio, niente università. Mentre quell'altro non prende lo sport seriamente, si presenta agli allenamenti con lo smalto e la matita agli occhi. Non voglio che la mia squadra sia rappresentata da uno... così.»
«Tratta i tuoi studenti con rispetto. La borsa di studio andrà al merito. Mi dispiace, ma Brian non è stato minimamente menzionato.»
James ha uno sguardo sofferente, quindi mi viene naturale porgergli quella domanda.
«Ma chi è che parla?» chiedo beccandomi un'occhiataccia.
«Hood ci tiene che il figlio vada all'università. Glielo avevi garantito.» ribadisce il coach.
«L'ho fatto perché non avevo scelta. Mi ha ricattato. Ma ora... non ho più paura di lui.»
«Perché?»
Il silenzio.
«Sa che è morto.» Leggo il labiale di James.
«Posso intercedere con la commissione e indicare il nome di Hood ma... i talent scout non li puoi manovrare.»
È il vicesindaco a parlare. L'ho capito solo ora.
«Ah, dimenticavo. Ho ricevuto l'ennesima soffiata. Tratta meglio quei ragazzi o ti faccio trasferire. Magari in una scuola pubblica. Dove lo smalto sarà l'ultimo dei tuoi problemi.»
I due se ne vanno, ma James non fiata.
Mi prendo del tempo per carezzargli lo zigomo.
«Stai bene?»
Annuisce.
«Sei stato perfetto con Jasper questa sera.»
«Anche tu, June.»
Controllo l'ora sul cellulare.
«Ma ora hai una partita da affrontare.»
Ci scambiamo un ultimo bacio e poi usciamo da lì.
Individuare Jordan e Jasper tra gli spalti non è affatto facile, ma dopo un po' riesco ad trovarli e mi vado a sedere accanto a loro.
Dall'alto scorgo Ari, Poppy e Amelia con le loro divise da cheerleader, sono già sul campo e stanno provando insieme alle altre ragazze.
Amelia sembra cercarmi, ma smette di farlo quando vede arrivare Taylor con la fascia da capitano al braccio.
Dopo qualche convenevole, l'arbitro fischia l'inizio della partita e solo allora mi accorgo che Jasper è agitato.
«Che succede?» domanda Jordan confuso.
Rovisto nella mia borsa in cerca delle cuffie. Le avevo prese nell'eventualità che Jasper ne avesse bisogno al ballo, ma alla fine si rivelano comunque utili.
«Ho portato queste, so quanto detesti le urla.»
Jasper se le infila con un gesto rapido. Sembrava non aspettasse altro.
«Grazie.» esclama senza riuscire a modulare la voce.
E una calda sensazione di sollievo mi pervade quando mi accorgo che Violet non sembra stranirsi per il comportamento di Jasper, anzi, sorride.
La partita finisce con la vittoria dei ragazzi e mi devo contenere dall'urlare, perché Jasper mi sembra già sufficientemente stressato.
Vedo la sagoma di James correre verso le cheerleader, appare confuso quando non mi trova.
«Porto i ragazzi a prendere un hamburger d'asporto, June. Dì a James che lo aspettiamo a casa.»
«Va bene.» Saluto Jordan, Jasper e Violet, poi scendo in campo.
«Ma non hai la divisa...» si lamenta James quando accenna una corsetta nella mia direzione.
Mi stringo con le spalle agli spalti.
«Te l'ho detto non è il mio posto quello.»
James si avvicina e mi lascia un bacio in fronte.
«E dov'è il tuo posto?»
Poi uno sulle labbra.
«A parte...»
«James!»
«Hunter che diavolo fai? C'è la premiazione!» Lo rimprovera il coach, richiamandolo sul campo.
«Che palle. Arrivo subito» mi sussurra lui. «Non andare da nessuna parte. Devo portarti in un posto, dopo.»
Annuisco mentre il mio sguardo vaga fino al piccolo palco posto a centro campo, forse per la premiazione. A Jackson viene consegnata la borsa di studio, ma è al momento del discorso che si trova in difficoltà.
Il preside gli sta accanto come un gufo e gli regge il microfono con aria seriosa.
«Grazie. Ehm... Che altro devo dire? »
Con le guance arrossate si guarda intorno.
«C'è una cosa che devi, fare » gli suggerisce James dal basso.
«Ah, sì. Dovrei chiedere scusa a un amico.»
Il preside annuisce, ignaro.
«Vai, parla.»
«Un ragazzo.»
Jackson compie una pausa per respirare.
«Un ragazzo che... Che ho ferito. E che amo.»
Vedo il preside levargli il microfono da sotto il naso.
«Ma sei impazzito?»
«Dove inquadro?» domanda il cameraman, intento a prendere la miglior inquadratura da mostrare sul maxischermo.
E quella che vedo sullo schermo è proprio la faccia imbronciata di James.
«Ehi, non sono io, stronzi.» si lamenta indicando dall'altra parte degli spalti.
«Si trova nella seconda fila, là dove stava seduto il preside» sussurra Marvin all'uomo con la telecamera.
Blaze appare rosso in volto.
E il preside sembra più imbarazzato del figlio.
Lo perdoni sì o no?
Esce una scritta sul tabellone, mentre Blaze si posa una mano sul viso per stemperare la vergogna.
«Blaze, vedi di andare campo muoviti.» gli urla James col suo modo brusco.
Blaze lancia un'occhiata apprensiva verso suo padre, che ormai, di fianco a Jackson, non sa come reagire.
«È un presa in giro o è la verità?» Il preside si rivolge a Jackson.
«È la verità. Lo amo.»
A quel punto l'uomo sospira. «Va bene. Mettete il sì sullo schermo e finiamo sta pagliacciata.»
«No, a me interessa la risposta di Blaze» si impone Jackson.
«La risposta è sì ma sappi che non ci salgo lì sopra.» mormora Blaze impacciato.
Jackson a quel punto compie un balzo, e atterra sul campo. Si curva verso il basso per giungere all'altezza di Blaze e lasciargli un bacio.
Il preside ignora gli applausi e gli schiamazzi e si mette davanti ai due ragazzi. Gesticola e prova a coprirli con la sua figura.
«Okay, lo spettacolo è finito. Tutti a casa.» esclama quando si accorge che i due non smettono di baciarsi.
Il campo inizia a svuotarsi e i giocatori vanno negli spogliatoi.
«Non è alcol quello, vero?» domanda il preside passandomi di fianco. Sta indicando un tavolo imbandito, capeggiato da Marvin e Will.
«L'alcol no, la festa no, i fuochi d'artificio no, le canne no...» Will fa una conta con le dita, mentre è Marvin a parlare.
«Hai detto... fuochi d'artificio?» domanda il preside sbarrando le palpebre.
«Marvin scherza. Ma quali fuochi d'artificio...» sghignazza Will.
«Quelli che hai in macchina per l'anno nuovo.» bisbiglia l'altro.
Il preside si ferma davanti a loro con le mani sui fianchi.
«L'espulsione? Quella vi piace?»
«No, ehm, stavamo solo... ehm...»
Il preside se ne va scrollando il capo, quindi mi avvicino a William.
«E analcolico, vero Will?»
«Certo.» sorride con aria sorniona.
«Certo come no.»
James torna dagli spogliatoi e un in attimo ruba il bicchiere dalle mani di Will per darlo ad un altro ragazzo. Si è cambiato ed è avvolto da una scia di buon profumo. Il mio cervello si svuota all'improvviso.
«Mi rubi il bicchiere e nemmeno lo bevi tu?»
«Non posso bere...» James rifiuta il bicchiere che Marvin prova a porgergli.
«Cominci di nuovo la conta dei giorni di astinenza, James?» Lo prendo in giro.
«Fa poco lo spiritosa.» Sorride voltandosi verso di me. «No, la verità è che voglio essere lucido.»
«Non vuoi festeggiare con i tuoi compagni?»
«No, voglio parlare con te.»
L'osservo confusa.
«Vieni.»
James mi raccoglie la mano e la infila nelle maniche della sua felpa. Così, cominciamo a camminare verso la scuola.
«Dove mi porti?»
«Zitta e ascoltami.»
«Ti ascolto, ma non so se riuscirò a stare zitt...»
«Non ti ho mai mentito, June.»
Il modo serio in cui esordisce mi fa preoccupare.
«Di che parli? Devo preoccuparmi, James?»
Stiamo ancora percorrendo i viali scarsamente illuminati che circondando l'edificio scolastico, ma non posso fare a meno di lasciarmi andare ad un'espressione pensierosa.
«Le cazzate che ho detto da ubriaco. Il post-it che ti ho lasciato dopo che l'abbiamo fatto la prima volta... È difficile dirti come mi sento a parole. Quando sono completamente lucido.»
Ci provo a mordicchiarmi la guancia per reprimere un sorriso, ma non ci riesco.
«Ma non mi sono mai sentito così, come mi sento con te. E la cosa mi fa una paura fottuta, June, perché... non ho mai pensato al futuro. Eppure, ho cominciato a fare questa cosa...»
«Cosa, James?»
Sento la presa intorno alla mia mano farsi più calda.
«A pensare al futuro. Non l'avevo mai fatto prima. Forse perché non vedevo futuro per me. E ora lo vedo. Con te.»
Quelle parole mi colpiscono dritta nel petto. Uno strano senso di vertigini mi carezza lo stomaco e la testa comincia a farsi leggera.
«Perché prima non sapevo nemmeno se ci arrivavo, al giorno dopo. E l'alcol, le droghe, tutti i farmaci... Non erano il mio vero problema. Il problema era il vuoto che sentivo dentro. Il non sentirmi completo. Mai»
Non riesco più a muovere un passo. Mi blocco nel bel mezzo del cortile di scuola.
Il viso di James è rischiarato dalla luna e quando si avvicina per far allineare i nostri profili, vengo abbagliata dalla lucentezza dei suoi occhi.
«Hai capito cosa ti sto dicendo?» domanda sottovoce.
Abbasso il mento e premo la fronte contro il suo petto.
«Sì.» Sfrego il naso contro la sua felpa che emana un profumo rassicurante, mentre lui mi lascia un bacio tra i capelli.
«Non mi aspettavo... Che avessi questi pensieri. Non me ne parli mai.»
«Cosa dovrei dirti? Ehi, June, lo sai che me la sto facendo sotto, perché ho paura di perderti?»
Sollevo il mento e lo guardo negli occhi.
«Anch'io, James. E non vorrei dirlo a voce alta. Perché quello che provo per te è così forte che, se lo ammettessi, poi dovrei smetterla di fare affidamento solo su me stessa.»
«Infatti non devi, non più.» sussurra mentre le nostre labbra si sigillano lentamente.
«Sono successe così tante cose da quando ci siamo baciati la prima volta. Io e te ci siamo sempre trovati in questa corsa sfrenata. Vorrei solo fermarmi, ogni tanto, e restare con te. A fare cose semplici. Andare al cinema con tuo fratello. Mano nella mano a scuola, baciarti in cortile... scambiarci sguardi in classe. Vivere la tranquillità...»
«Scopare nel ripostiglio» ridacchia lui.
Sollevo il braccio per dargli un buffetto sul braccio, ma James mi blocca il polso prima che possa farlo.
«Hai capito cosa voglio dire, June?»
«Ho capito. Ma una cosa non l'ho ancora capita. Dove mi stai portando?»
«Sei capace di eludere la polizia, detective Madeline?»
WILLIAM
«Cosa ci hai messo dentro?» domando a Marvin quando mi obbliga ad abbandonare una stampella contro il tavolo per reggere un bicchiere di succo di frutta.
«Perché ti interessa? Tanto non dovresti bere tu.»
«Marvin è la sera di capodanno. Almeno stasera vorrei...»
«Farti la cugina di June?»
«Sta zitto.»
«Lo dico perché è lì. Sta venendo qui.»
«Cosa? Oddio.» Mi allarmo, poi giro la testa di scatto.
«Ciao.»
E i suoi occhi neri come la pece sono già su di me.
«Sei riuscita a portare a casa le rose?»
«Sì, mi ha aiutato mia zia. Grazie. Ovviamente non le abbiamo prese tutte. Erano così tante.»
«Vuoi che... ti aiuti a recuperare le altre?»
Non volevo usare un tono malizioso, ma ormai è uscito.
«Le ho lasciate nell'aula di teatro...» mormora lei mentre il suo sguardo casca sulle mie labbra per una frazione di secondo.
E un guizzo mi attraversa la mente.
«Possiamo andare a riprenderle, se vuoi.»
«Ma ci sono gli agenti, William. Non possiamo entrare.»
Appunto.
«Andiamo, vieni.» le dico riacciuffando la stampella.
«William non so se...» May si volta verso il preside. «Tecnicamente non possiamo...»
«Tecnicamente...» ripeto io proseguendo con la mia andatura malferma.
«Okay.» esclama lei. Il suo tono di voce è leggermente tremolante e potrebbe sembrare elettrizzata, ma di sicuro non lo da a vedere.
«Tornerai a camminare bene?»
«A quanto pare con la destra zoppicherò a vita.»
Mi aspettavo che lei mi rifilasse un "mi dispiace", oppure qualche altra frase di circostanza, ma non è così.
«Viste le premesse, dovresti ritenerti fortunato William Cooper»
«Be'... James direbbe che "fortunato" e "William Cooper" difficilmente si potrebbero accostare nella stessa frase...»
May volta a guardarmi mentre ci avviciniamo all'ingresso dell'istituto.
«Anche se questa sera... devo ammettere che un po' mi ci sento, fortunato.»
E invece che rispondere, lei sgrana gli occhi, smette di parlare tutt'ad un tratto.
E io mi maledico per la figuraccia appena commessa.
Noto che gli agenti di polizia sono già davanti all'entrata principale della scuola, quindi con un cenno del capo indico a May la strada che circonda l'edificio e, senza farci vedere, facciamo il giro per giungere all'aula di teatro.
«Ci sono sistemi d'allarme?» chiede May quando mi vede estrarre il coltellino per forzare la portafinestra.
«Lo scopriamo subito.» replico mentre con una stampella do una spinta alla porta che si apre davanti ai nostri occhi.
«Niente allarme.» esclamo vittorioso.
Ancora un piccolo sforzo e dopo qualche passo, entriamo nell'aula di teatro. Qui poso le stampelle e mi appoggio con le spalle al muro. Ho il fiato corto.
«Come stai, Will?» chiede lei nel vedermi affaticato.
«Bene.» L'aula è avvolta dalla penombra e un po' me ne dispiaccio perché vorrei ammirare i suoi occhi.
«Non possiamo accendere le luci, o ci scoprono.»
Lei annuisce, intanto raccoglie degli indumenti abbandonati negli scatoloni. Si tratta degli abiti di scena.
«James ha lasciato il ruolo. Dovevo farlo io Romeo, poi hanno scelto Brian.»
May indossa una parrucca rossa e si volta verso di me.
«Ti piace recitare, William?»
«Sì... ma non riesco mai a memorizzare tutti i dialoghi e...»
La vedo afferrare un foglio con le battute, di quelli abbandonati sulla cattedra.
«Non parlavo di teatro.» aggiunge porgendomelo.
Le nostre dita si carezzano quando prendo il foglio. Sollevo gli occhi nel momento in cui lo fai lei e mi tuffo in quel nero profondo.
«Non mi piace recitare, eppure lo faccio, da una vita.» confesso abbassando il capo.
May a quel punto sembra ritrovarsi alla mia stessa altezza, sulla mia stessa frequenza d'onda, perché si sporge verso di me e mi lascia un bacio sulle labbra.
È solo un bacio a stampo, ma chiudo gli occhi. E il foglio mi scappa dalle mani e scivola sul pavimento.
«Ti ho offeso con il discorso a fine recita?»
Riapro gli occhi.
«Eh? No. Anzi. Vorrei sapermi esprimere così, come te.»
«Provaci.» m'invita lei.
«Che vuoi dire?»
«Immagina di dover dire qualcosa che non hai mai detto a voce alta»
«Ehm...» comincio a strofinarmi una mano tra i capelli.
May ripone il foglio con le battute e questa volta mi tende il microfono.
«È spento. Così non ci scoprono» Le sue labbra si curvano in un sorriso irresistibile.
Io però rimango riluttante a fissarlo, fermo contro il muro.
«Avanti. Hai fatto cose ben più coraggiose, William.»
«Come regalare cento rose bianche a una sconosciuta?»
Lei annuisce, io barcollo verso la cattedra e poso il microfono. Poi mi lascio andare ad un sospiro profondo.
«Vorrei dimostrarmi un buon amico. Ma non sempre ci riesco. Ci provo ad essere come gli altri, ma non è facile.»
«Nessuno ti chiede di esserlo, Will.»
«Vorrei che James lo capisse, che ci provo, anche se non lo do sempre a vedere.»
«James ti vuole bene. Che tu faccia sbagli oppure no.»
Questa volta mi è difficile controllarmi, lei mi viene troppo vicina e io voglio baciarla. Per davvero.
Mi protendo verso il suo viso e con una mano a conca premuta sulla guancia, questa volta sono io a darle un bacio. Le nostre labbra si schiudono all'unisono, con dolcezza.
Il suo sapore mi esplode in bocca. Vorrei baciarla all'infinito.
So che non devo fare questi pensieri perché l'ho appena conosciuta, ma non posso farci nulla. Sono sbagliato. E sono fatto così.
«Grazie.» sussurro ricacciandomi indietro il ciuffo di capelli.
«Non sembri il tipo che ringrazia per un bacio.» mormora lei assaporandosi il labbro inferiore.
«No, non per quello. Dico per... Il modo in cui mi parli.»
Con la mano sfioro inavvertitamente la coscia lasciata scoperta dalla gonna. Pensavo fosse fredda, come il suo carattere, invece la sua pelle è dannatamente calda.
«E poi sei molto bella.»
È tutto ciò che riesco a dire.
«Grazie, William. Anche tu lo sei.»
Avverto un altro tuffo al cuore quando i suoi occhi neri mi scrutano attenti.
Il suo sguardo, però, presto ricade sulle sue stesse gambe. Segue le mie nocche leggere, che, dal ginocchio, corrono lungo la sua pelle nuda.
Non so mai che fare. È sempre troppo, oppure troppo poco.
Farò l'ennesima figuraccia.
«Ti piace?»
Con i polpastrelli raggiungo le sue mutande e ho a malapena carezzato il cotone stretto tra le sue cosce, che lei risponde senza esitazioni. «Sì.»
Corrugo la fronte, è inevitabile. «Davvero?»
«Sì, William.»
A quel punto il nostro bacio diventa incontrollabile e mentre affogo con la lingua tra le sue guance, spingo il bacino contro il suo inguine, perché la gonna le si è sollevata appena.
Non ho mezze misure. Se poco fa faticavo a sfiorarla nel modo corretto, ora vorrei solo...
«Will, non qui.» Mi ferma lei, dolcemente.
«Non... Non qui?» domando confuso.
«Non è speciale.»
«Tanto con me non lo sarebbe comunque.» erompo senza riflettere.
«Io qui dentro non me la sento. Vorrei aspettare.»
«Hai perfettamente ragione, ma non aspettare me perché ti deluderò.»
Chino il capo, ma May raccoglie la ciocca che mi casca in fronte con un gesto delicato.
«E invece aspetterò proprio te.» sospira facendomi tremare le gambe.
Schiudo le labbra ma non esce un suono.
«Non voglio che la mia prima volta sia qui, nel camerino della sala di recitazione della scuola. Scuola che non è nemmeno la mia.»
«Scusa, hai ragione. Nemmeno io.» bofonchio impacciato.
«E poi...» Il suo sguardo viene attraversato da una scintilla inaspettata. «Non penso che June tornerà a casa stanotte.»
Inarco un sopracciglio.
«È un invito?»
«Tu che dici, William?»
Le gambe per poco non mi cedono e la pressione cala all'improvviso.
Deglutisco a fatica. Lei si riaggiusta la gonna sulle gambe sotto al mio sguardo imbambolato.
«Devo aiutare prima James a fare una cosa.» annuncio con decisione.
«Te l'ha chiesto lui?»
«No. Voglio farlo io.»
JACKSON
Posso provare a negarlo, ma se quando sto con te mi sento in questo modo, voglio restarci per tutta la vita.
Esco dagli spogliatoi già cambiato e Blaze è lì fuori ad aspettarmi.
Inclino il capo e cerco le sue labbra per un bacio, ma lui si ritrae.
«Ma che fai?» domando infastidito. E solo dopo mi accorgo che il problema non sono Connell e gli altri ragazzi, poco distanti.
Quello che non avevamo previsto, è l'arrivo del coach insieme ai miei nonni.
«Eccolo, vostro nipote. Tutto vostro.» commenta l'allenatore prima di voltarci le spalle.
«Ci abbiamo messo un po' a scendere dagli spalti.» si lamenta mia nonna. «Siamo vecchi per queste cose,Jax.»
Blaze è ancora accanto a me e inizia ad agitarsi.
«Calmati.» gli sussurro con il labiale.
Sento il suo fiato frammentarsi, ad un tratto si gira ed estrae l'inalatore.
«Tuo nonno voleva farti i complimenti.» annuncia lei, indicando mio nonno, che resta fisso a guardarmi con i suoi occhi serrati.
«Davvero?»
Nonna mi abbraccia, stritolandomi con la sua stazza minuta.
«Siamo così fieri di te, Jax. Andrai all'università.» prosegue poi.
A quel punto però, sto solo aspettando una reazione da parte di mio nonno.
Non sembra battere ciglio, ma ad un tratto apre bocca.
«Non me l'aspettavo.»
«Mi dispiace, nonno. Io avrei dovuto...»
«Intendo... il tuo coraggio.»
Mi paralizzo.
«Certo, potessi scegliere, ti farei nascere diverso. Ma ormai che sei così, almeno hai il coraggio di farti avanti.»
«Non sei arrabbiato?»
«Vieni qui.» Vengo sommerso dai loro abbracci.
«L'arrabbiatura gli passa, Jax. Il bene che ti vogliamo, quello no.» spiega mia nonna con le lacrime agli occhi.
Poi mio nonno squadra Blaze dall'alto al basso.
«Almeno non è quello scalmanato di Hunter. Già è qualcosa»
«Robert! Non parlare così di Jamie. È un bravo ragazzo.»
«Bravo ragazzo? Quello?»
I miei nonni mi salutano e se ne vanno tra un battibecco e l'altro.
«Non pensavo...» mi ritrovo a dire a voce alta.
«Nemmeno io.»
Blaze ripone l'inalatore in tasca e guarda il cellulare.
«Chi è?» domando curioso.
«James.»
«E che vuole?»
Leggo il messaggio.
Vai sul tetto.
«Come diavolo ci andiamo?»
«Conosco un modo per salire sul tetto della scuola e non farci vedere.» asserisco mentre Blaze sembra titubante.
«Ma la chiave? Oggi le ho date a lui e...»
Lo vedo controllare nelle tasche dei pantaloni, così faccio lo stesso anch'io.
«C'è una chiave nella tasca del mio giubbotto.» mormoro confuso, prima di aprire il palmo e mostrarla a Blaze.
«Deve averla messa prima, quando eravamo negli spogliatoi insieme.»
Io e Blaze ci defiliamo senza farci vedere. In lontananza sento gli schiamazzi degli altri giocatori, ma in questo momento non c'è altro posto in cui vorrei stare.
Percorrere le scale anti incendio fino al tetto per me è una passeggiata, ma non per Blaze, che giunge in cima senza fiato.
«Cos'è?» Indico la coperta stesa a terra che troviamo sul tetto della scuola.
«Non ne ho idea, Jax. Non l'ho messo io.»
Anche Blaze sembra confuso. Si china sul plaid e afferra quella che sembra essere una bottiglia di spumante.
«Una bottiglia e...» Fisso il foglietto giallo appiccicato sul retro. «...Un post-it con la calligrafia di James?»
«Grazie per avermi aiutato con June. Questa te la offro io. E quello che c'è sotto anche.» legge Blaze, sotto al mio sguardo attento.
«Sotto dove?»
Quando sollevo la bottiglia, ci accorgiamo che celava una bustina quadrata.
«Che idiota.» commenta Blaze ridendo. «L'hai visto con June? Sembra davvero innamorato.»
Il modo in cui quei due si guardano negli occhi, non ho mai visto niente di simile.
«Lo è.»
A quel punto mi siedo sul terreno coperto dal plaid. Io sono ancora assorto per la serata appena vissuta. Ancora non riesco a credere che per una volta sia filato tutto liscio.
«Tuo padre non si arrabbierà?»
«Tu ti aspettavi che il mondo smettesse di girare, vero?»
Blaze sembra avere poco fiato nel rivolgermi quel piccolo rimprovero. Si siede al mio fianco poi abbandona la tempia sulla mia spalla.
«A nessuno importa quello che provi, Jax. Solo a me.»
Sorrido mentre le mie labbra vengono attratte magneticamente dal suo collo affusolato, che bacio con lentezza.
«E tu? Cosa provi?»
«Io ho smesso di combattere questo sentimento tanto tempo fa. È così ovvio che sono innamorato di te, Jackson. Ho addirittura pensato mi fossero tornati gli attacchi di panico. Quando mi stai vicino, il mio cuore sembra impazzito.»
Sorrido per la sua uscita così genuina e lui rabbrividisce quando sussurro contro la sua pelle.
«Da quando lo sai, Blaze?»
«Il primo bacio...»
A quel punto mi rimetto a sedere con la schiena dritta e lo fisso negli occhi.
«Beh non mi conoscevi nemmeno.»
«Ma ti osservavo già, da lontano. Solo che tu non mi vedevi.»
«E quindi ti innamori di qualcuno osservandolo? » lo provoco causandogli un lieve rossore sulle guance.
«Non è solo fisico ciò che provo, se è questo che stai pensando.» si stizzisce con fare permaloso.
«Ne sei sicuro?»
Continuo a istigarlo e non perché non gli creda.
Desidero che Blaze si apra un po' di più con me, perché mi dà la forza di fare lo stesso. Lo vorrei tanto.
Lo vedo mordicchiare l'interno della guancia, quindi abbandono la mano sul suo ginocchio, lo faccio distrattamente, in cerca della sua.
«La tua voce è sempre sicura e profonda. Ma a volte, quando parli con me, solo con me, questa trema un po'. E capita quando dici qualcosa di più intimo e nemmeno te ne accorgi. Invece abbassi gli occhi per un breve istante, quando qualcosa ti ferisce.»
«Mi osservi davvero?» lo prendo in giro dandogli una spallata.
Poi però mi faccio subito serio.
«Non avrei dovuto trattarti in quel modo Blaze. Soprattutto perché... Tu già mi piacevi, ma...»
«Mi hai chiesto scusa, Jackson. Questa è la cosa più importante.»
E quando chiudo gli occhi i nostri respiri si fondono in un lungo bacio.
«Blaze...»
Mi lascio andare a un mugolio appagato, perché la sua mano abbandona la mia e va a carezzarmi il petto che si muove ritmicamente sotto alla t-shirt. Scende sempre più in basso, togliendomi il fiato. Il calore del suo tocco e la delicatezza delle sue labbra mi fanno perdere la testa. Con tutto il palmo avvolgo la sua gola tremolante e lo tengo fermo mentre gli riempio la bocca di baci indecenti.
«Aspetta.» mormoro staccandomi per prima.
«Cosa?» Blaze sbatte le ciglia con aria confusa. Non è da me tirarmi indietro e lui lo sa.
«Non c'è più fretta adesso» sussurro sdraiandomi sul plaid a fissare il cielo tempestato di stelle.
«Che vuoi dire?» chiede lui poggiando la guancia sul mio petto.
«Abbiamo tutta la vita per farlo. Ora voglio solo restare con te e basta.»
JUNE
«June, torni a casa?»
La telefonata di May? Non l'avevo prevista.
«No, puoi dormire nella mia stanza. Basta che non fai sedute spiritiche in mia assenza.»
«Non è mia intenzione.» La sento ridere
May non ride mai, quindi il mio tono si fa sospettoso.
«E quali sarebbero le tue intenzioni, May?»
Ma lei ha già messo giù.
«Che ha detto?» domanda James.
«Boh era strana. Non so cos'abbia in mente...»
«Ah, lo so io.» James mi indica le due sagome che sostano davanti al portone della scuola.
Will e May.
«Ma poi cosa cazzo ci fa William qui?»
James s'infila una sigaretta in bocca, poi mi prende per mano e m'invita ad aumentare il passo.
Quando arriviamo davanti all'ingresso, noto che non sono soli, ci sono anche due tizi armati.
«Will!»
«Vorrei entrare ma non mi lasciano» si lagna William indicandoci le guardie.
Esibisce un cespuglio di ricci spettinati e la cosa mi insospettisce.
Fisso May negli occhi, ma lei distoglie lo sguardo.
Questi due non me la raccontano giusta.
«Will, ti avevo detto che stasera...»
James mi indica con un cenno del capo, ma l'amico non sembra dargli retta.
Lui e May sono troppo impegnati a sfidare l'autorità.
«James, credo che stiano provando a distrarre i due agenti...» sussurro sottovoce nel notare quanto zelo ci stia mettendo May per contraddire uno dei due uomini.
Will ci fa segno di allontanarci, mentre James gli risponde con il labiale.
«Grazie.»
Io e James facciamo un giro intorno all'edificio e ci fermiamo solo quando arriviamo sotto le finestre delle aule al piano terra.
James senza pensarci afferra una pietra e la scaglia contro una finestra. Il vetro si frantuma in mille pezzi.
«James!» urlo a perdifiato.
Mi accorgo però che l'allarme non è partito.
«Perché stiamo vandalizzando la scuola, ora?»
Mi agito. E mi sto guardo guardando intorno. Nella notte non c'è nessuno.
«Voglio solo vedere se sono riuscito a disattivare l'allarme oggi pomeriggio.»
«Cosa?»
«E come vedi, ci sono riuscito.» spiega lui con un sorriso, facendomi cenno di scavalcare.
«Quindi la finestra spaccata serve anche per entrare a scuola di nascosto?»
«White, che n'è stato del tuo intuito da detective? Pensavo fosse ovvio. Muoviti. Attenta ai vetri.»
La scuola è avvolta nel buio più totale, io e James percorriamo il corridoio ma lui ad un tratto lascia la mia mano senza preavviso.
«Inizia ad andare in classe, June.»
«Tu dove vai...»
«A recuperare una cosa nell'armadietto.»
«Okay...»
Con un po' di timore, proseguo verso la nostra aula. Con la sfortuna che ho, c'è anche il rischio che quelli della security sentano i miei passi e mi arrivi una pallottola dritta in faccia.
Ad un tratto dei rumori richiamano la mia attenzione. Provengono dall'aula d'inglese.
Spalanco la porta lentamente.
Con la mano sto già cercando l'interruttore sulla parete, ma mi accorgo che non è completamente buio all'interno della classe.
Riconosco i dialoghi, le musiche. Il proiettore sta dando Titanic sulla lavagna.
Ma quando mi avvicino per poco non perdo il respiro.
«O mio dio...»
Nella penombra, appiccicati sulla lavagna, scorgo dei post-it leggermente sgualciti.
«Sono...» Mi avvicino per mettere a fuoco.
«Tutti quelli che ti ho scritto.» dice la voce alle mie spalle.
«Come hai fatto, James?»
«Quella stramba di tua cugina si è rivelata utile. C'era un post-it nascosto che ci abbiamo messo un po' a trovare. L'avevi tolto dal libro del pipistrello parlante.»
Scoppio a ridere.
«Rhys non è un... ah, lascia stare. Perché tutto questo, James?»
«Perché è la nostra storia, June.»
E il respiro viene meno quando mi accorgo della bottiglia di tequila poggiata sul mio banco.
«Perché c'è...» sollevo la bottiglia. Non è la stessa... O forse sì? «Oh»
«Pensi mi sia dimenticato di quella sera?» Il suo tono di sfida mi provoca uno strano tuffo nei ricordi.
Quindi non ero l'unica pazza...
«James, eri ubriaco e mi avevi solo presa in giro...»
«Sì ma...» Lui a quel punto si avvicina così tanto che quando sollevo il capo, riesco a percepire il suo respiro di menta mescolato al gusto del fumo. «Non me la sono levata tanto facilmente dalla testa...»
Con le labbra traccia i confini della mia mandibola.
«Quella sera...»
Chiudo gli occhi.
«Quella foto...»
Mi mordo il labbro con un gesto involontario.
«Il primo bacio...»
Infine, un sorriso mi divampa sul viso.
«Manca il coltello del pane.» ironizzo con il cuore pieno di felicità.
Ruoto su me stessa e mi accorgo che sul mio banco c'è ancora qualcosa.
Resto a bocca aperta perché con le dita sfioro il sassolino poggiato sulla superficie.
«Premessa. Sono un coglione a volte. E se non ti piace, te ne puoi andare. Ma se ti piace, resta.»
«James, non so cosa dire e...»
«Tutto quello che abbiamo fatto è qui.» asserisce lui con voce suadente.
Mi muovo nell'aula. C'è solo l'illuminazione del proiettore e a fatica scorgo ciò che mi circonda. Sulla cattedra scorgo un libro.
L'Alchimista?
«È mio.»
«Se Jasper non si fosse messo a leggere quel libro, probabilmente tu non ti saresti distratta, io non avrei mai guardato verso il bagno e... Le cose sarebbero andate diversamente.»
«Tu dici?»
«Nah... Avrei trovato il modo per starti intorno.»
Scoppio a ridere, mentre James scivola alle mie spalle per darmi un abbraccio.
«Perché proprio qui, James?»
«È dove ti ho parlato per la prima volta.»
«Cosa hai intenzione di fare nel luogo in cui mi hai parlato per la prima volta?»
«Di sicuro non parlare...» mormora lui, nel mio orecchio facendomi rabbrividire con il suo tono di voce graffiato.
James compie un giro intorno alla mia figura e mi si para davanti. China il capo per far allineare le nostre bocche.
«Voglio...»
La sue labbra si posano sulle mie.
«Baciare...»
Il suo respiro caldo sulla mandibola è così piacevole che mi fa sussultare.
«Ogni...»
Poi una scivolata di lingua sul mio collo.
«Singolo...»
James mi carezza la schiena e la sua mano languida finisce sotto la t-shirt che indosso.
«Centimetro...»
Con una facilità disarmante sgancia il reggiseno a fascia che casca per terra.
«Del...»
Poi mi sfiora il braccio mentre le labbra piene si posano sulla mia clavicola sensibile.
«Tuo ...»
Lo vedo abbassarsi all'altezza della mia pancia, io trattengo il respiro quando mi solleva la maglia.
«Bellissimo...»
La lingua vortica intorno ai miei seni, facendomi tremare la pancia. Serro le gambe.
«Corpo.»
Lui però me le divarica, affondando gli anelli nella mia pelle.
Poi s'inginocchia e con uno strattone mi abbassa gli shorts.
«Te l'ho detto, June.»
James indugia con le labbra turgide sulle mie cicatrici. Il respiro caldo che mi solletica la pelle è il dolce presagio prima del bacio. Da entrambi i lati. Prima a sinistra, poi a destra.
«Cosa, James?»
«Sono così... orgoglioso di te.»
Le sue parole mi mandano in confusione, così come i suoi baci, soffici, poi sempre più passionali.
«James...»
Quando lui seppellisce la testa tra le mie gambe, io stringo le dita intorno al bordo del banco alle mie spalle.
Riverso la testa all'indietro, infine chiudo gli occhi.
JAMES
I miei polpastrelli affondano nella sua pelle calda. Sollevo lo sguardo e resto immobile.
Le gambe aperte e il suo petto che si muove rapido sotto la mia maglietta. Premuti contro i miei palmi, i suoi fianchi morbidi e le cosce strette intorno alle mie guance.
«Dai, June» Il mio sussurro accennato è accompagnato da un sospiro caldo. Il cotone delle sue mutande vibra a contatto con le mie labbra, quindi arcuo indice e medio e gliele sposto a lato.
Lei mi fissa dall'alto senza sapere cosa fare.
«Cosa?»
«Hai capito.»
Muove i fianchi timidamente e la sua intimità bagnata e calda slitta sulla mia faccia, poi sulla mia bocca.
«James e dai...» Il suo gemito ricorda un piccolo rimprovero.
«Non sto facendo niente...» la stuzzico.
So che i suoi capezzoli sono turgidi sotto la maglietta, vorrei toccarli e succhiarglieli.
Ora però mi devo concentrare sui miei gesti.
La sento mugolare di piacere ogni volta che la mia lingua tesa e dura fa attrito sul clitoride, mandandola paradiso.
Lo succhio, lo picchietto con ripetuti colpi di lingua e nella stanza si liberano dei gemiti sensuali.
Il piacere prende a colarle lungo cosce, lo lecco con dovizia. So che la fa impazzire.
Lei immerge una mano tra i miei capelli scompigliati. Mi afferra con forza e mi spinge di nuovo lì in mezzo, ad assaporare la sua dolcezza.
Vortici di lingua sempre più rapidi l'accarezzano finché non le rubo un orgasmo che travolge completamente ogni parte del suo corpo.
«Ancora.» la sento ansimare con fiato corto.
Sogghigno.
Con piacere, amore mio
June sembra provare a sorreggersi. Sembra cercare un appiglio, ma le sue gambe non smettono di tremare intorno alle mie guance. E dentro i miei boxer c'è una rivolta. Ho bisogno di scoparla, di fotterla, fino a sentire quell'unione indissolubile che ci lega.
Aspetto paziente, finché, dopo tanti baci e altrettanta lingua, il suo piacere erompe di nuovo nella mia bocca.
Con la le labbra lucide e le palpebre ristrette, sollevo di poco la testa e le lancio un'occhiata intensa.
I capelli biondi e scompigliati contornano il suo viso arrossato, i suoi seni sodi si muovono veloci sotto la maglia.
Inizio a leccare, ad assaporare impaziente la sua pancia e non aspetto nemmeno di levarle la t-shirt, che inizio a baciarla sfacciatamente. Quando gliela sollevo, finalmente posso ammirare il suo seno scoperto e gonfio di baci.
Le sue labbra si schiudono e la sua immagine eccitante fa fremere ogni parte di me. Soprattutto il cazzo.
Mi alzo in piedi e gonfio le guance per soffiare via la mia fatica.
La rotondità delle sue curve sotto le mani mi fa impazzire.
June deve avermi letto nel pensiero perché lei si imbarazza e abbassa immediatamente la t-shirt sulle cosce.
«Hai ancora la mia maglia addosso.» mormoro piantando i palmi sul banco contro cui è appoggiata.
Lei si guarda intorno spaesata.
«Ridammela.»
«No.» scherza prima d'immergermi una mano tra i capelli. Ma invece che lasciarla fare, mi ribello.
Sono stato a sufficienza con la testa le tue cosce, voglio solo spingertelo dentro senza pietà.
«Sai June...» La stringo dai fianchi e la metto a sedere sul banco.
I suoi occhi socchiusi cascano dritti tra le mie gambe avvolte dai pantaloni della tuta, che ormai a stento nascondono i miei desideri. E quando faccio scivolare quei pantaloni fino alle caviglie, sono obbligato a sistemare l'erezione che spinge per fuoriuscire dall'intimo.
«Lo vuoi guardare ancora per tanto?» la stuzzico.
Lei scrolla il capo con aria divertita.
«Sai quello che devi fare...» mugugno abbassandomi i boxer.
Poi lo guardo. È perfetto. Mi chiedo se lo pensi anche lei.
June però non perde tempo, incava guance e vi sputa sopra.
La saliva calda mi fa rabbrividire di piacere. Sento una contrazione poco più in basso.
Chiudo gli occhi, ma il momento dura un soffio, perché lei mi afferra dai fianchi e con le unghie ben conficcate nella mia pelle mi tiene stretto.
Le nostre lingue si uniscono impazzite quando torniamo a baciarci, mentre le nostre intimità si cercano e con un affondo deciso scivolo dentro dentro di lei. Così calda da soffocarmi. Ma è piacevole. Non è il caldo che odio. Ma quello che amo.
Poi però mi ritraggo. La mia eccitazione lucida e bagnata di lei mi impedisce di pensare correttamente al momento. Fortuna che ci pensa lei.
June si riabbassa la t-shirt sulle cosce, scende dal banco, poi afferra i miei pantaloni. E dopo aver infilato una mano nella tasca, mi porge il preservativo.
Ho fatto bene a fare una tappa all'armadietto.
Infilo la protezione mentre lei si volta a guardare Titanic. La vedo afferrare il telecomando per fermare la riproduzione di quei momenti drammatici.
A me invece, al momento non mi fermerebbe nemmeno una guerra nucleare.
L'abbraccio di nuovo. Le circondo la vita con una stretta possessiva.
«Posso?»
«Cosa?» Sorride lei.
Affondo il naso nella nuca che profuma di pesca e respiro l'odore estivo dei suoi capelli.
«Restare abbracciato a te.»
Ma il suo culo nudo e morbido preme contro la mia erezione pulsante e i pensieri romantici hanno vita breve.
Una mano sulla sua schiena e la piego sul banco, poi con una spinta bagnata scivolo di nuovo in lei.
«Male?»
«No.»
E dopo essermi assicurato che le piaccia, comincio a spingere dentro di lei.
«Shh...»
«James...»
«Piegati di più.»
Sentirla trattenere i gemiti è una sensazione impagabile. Ci prova ma non ci riesce, e mi fa sentire divinamente. La tengo ferma dai fianchi e mentre il mio sguardo affoga tra le sue curve floride, continuo a afferrarle il mento, perché voglio guardarla in viso. È scontato, ma non posso farne a meno.
«June, voglio guardarti negli occhi.»
Così mi servo della presa che stringo intorno ai suoi fianchi per farla voltare e appoggiarla dolcemente sul banco. Le afferro una caviglia per posizionarmela sulla spalla.
Ha ancora le mutande spostate di lato, quindi lascio strisciare la mia punta sensibile sul suo clitoride gonfio, prima di premere dentro di lei, di nuovo, affondando ancora tra le sue pieghe morbide. E devo usare tutta la concentrazione di cui sono in possesso per non venirle dentro.
Il rumore indecente dei nostri corpi mi eccita a dismisura. Ma è il suo sguardo a farmi sentire lo stronzo più fortunato del mondo.
JUNE
La mia schiena batte contro la parete alle mie spalle, ad ogni affondo.
James è accaldato, una ciocca mossa gli casca davanti agli occhi. Non sembra però voler interrompere il contatto di sguardi.
«James stai...» Abbraccio la sua schiena calda mentre lui abbandona la fronte sulla mia.
Non sembra stare bene.
E io comincio a preoccuparmi.
«Stai bene?»
Lui annuisce con la mascella contratta.
«Tremi, come la prima volta» mormoro sottovoce.
«È perché ti amo, June. Proprio come la prima volta.»
Un getto bollente mi riempie il petto, le guance e la pancia.
Non riesco a rimanere in silenzio, afferro il suo viso con entrambi i palmi e lo bacio.
«Ti prego, James. Dillo ancora.»
James non si ferma, sembra intensificare le spinte facendomi accelerare il cuore.
«Ti amo.»
Chiudo gli occhi e assaporo quella calda melodia.
«Ti amo.»
Con il labiale gli comunico un "ancora".
«Ti amo.»
James smette di ripeterlo solo quando torna a baciarmi. Schiude le labbra e la sua lingua scivola nella mia bocca, dolcemente.
«Vieni qui, sopra di me.»
I nostri corpi intrecciati restano tali anche quando James mi circonda con il braccio e inverte le posizioni, sedendosi sotto al mio corpo.
«Dio, se ci vede qualcuno... » mi copro con il braccio quando lui mi sfila la maglia, lasciandomi completamente svestita.
«Non ti può vedere nessuno. Solo l'unico che può farlo, June.»
Lo vedo reclinare il collo all'indietro quando la sua lunghezza mi riempie nuovamente.
Le vene affiorano prepotenti sotto la pelle fina della sua gola, mentre chiude gli occhi abbandonandosi a quel momento di estremo piacere.
Non so che mi prende, all'improvviso vengo scossa da una gelosia bruciante.
«Sei mio, sei solo mio e di nessun altro»
Glielo sussurro nell'orecchio, strappandogli un sorriso. James distende la bocca rivelando i denti bianchi. Le sue labbra sembrano fragole mature, e i suoi occhi blu due bagliori nella penombra.
«June....»
Baci e piccoli morsi si confondono ormai. James ha lo sguardo sofferente.
«Nessuno mi fa impazzire in questo modo. Non c'è niente che mi faccia sentire così...»
Gli carezzo il viso, invitandolo a continuare.
«Amato.» aggiunge sottovoce.
Non riesco più a reggere. Il corpo, la mente, tutta me stessa si arrende e mi sgretolo sopra di lui.
James solleva il bacino per assestarmi due affondi secchi, così intensi da essere in grado di placare la mia smania.
Lo vedo inarcare la schiena mentre i suoi addominali si contraggono.
Spinge in profondità, poi si ferma. Il suo calore mi scivola nella pancia e si irradia lungo le mie gambe, lasciandomi senza respiro.
La testa si svuota e quando riapro gli occhi, torno improvvisamente alla realtà.
«Scusa ti ho fatto male con le unghie?» domando stordita per via di tutte quelle sensazioni piacevoli.
«No.»
Con il fiato corto, restiamo a fissarci per qualche istante.
«Ti comporterai da vero fidanzato a scuola?»
La mia domanda gli causa un ghigno accompagnato da due fossette ai lati della bocca.
«Eh?»
«James...»
«Quale fidanzato? Sarò più un cecchino, ucciderò con lo sguardo ogni singolo stronzo che ti guarderà.»
«Se dovessi farlo io, farei una strage a scuola.» commento rivestendomi.
Non riusciamo a smettere di ridacchiare, ma in quel momento il suono del cellulare di James ha una cadenza tetra.
Jordan.
«Jordan che succede?»
James incastra il cellulare sotto la guancia e si infila i boxer.
«James, è meglio se vieni in ospedale.»
«Perché?»
«Tua mamma è peggiorata.»
La sento. È una strana paura. Nello stomaco, nel cervello. Ero preparata, ma a quanto pare non abbastanza.
James indossa la felpa in tutta fretta, poi si trascina una mano tra i capelli stropicciati.
«Vuoi che venga in ospedale con te?» gli chiedo a quel punto.
«Ne hai visti abbastanza di ospedali, June. So quanto odi quel posto, non ti faccio passare la notte di capodanno in un fottuto ospedale.»
In quel momento sentiamo dei botti e ci giriamo all'unisono verso la finestra.
«O cazzo...»
Ci affacciamo giusto in tempo per ammirare i fuochi d'artificio che esplodono nel cielo.
«A mezzanotte tutti si augurano un buon anno nuovo...»
James mi aiuta a sfilare i capelli in incastrati nel colletto della maglia, poi mi lascia un bacio a fior di labbra e tutto il mio corpo viene invaso da una scossa piacevole, forse residuo di qualche attimo fa. Nella testa però, ho una gran confusione.
«Io credo tu debba andare a casa.»
«No James.»
«April penserà che ti ho rapita...» mormora risistemandosi una sigaretta tra le labbra.
«Mia madre ha capito che questo è un momento delicato per te e vuole che io ti stia accanto, come lo voglio anch'io, James.»
Lui annuisce, poi legge un messaggio.
«Jordan ha appena accompagnato Jas a casa.»
«Mi occupo io di Jasper. Tu vai in ospedale come ti ha detto tuo padre.»
James mi prende per mano, ma prima che varchiamo la soglia, si ferma per guardarmi.
«Ma perché fai tutto questo per me, June?»
«Perché ti amo, James» sussurro sottovoce.
Durante il tragitto James non apre bocca. È preoccupato e io con lui. Quando ferma la macchina e mi lascia davanti a casa sua, quello che ci scambiamo è un bacio frettoloso.
«Mi chiami?»
Lui annuisce svogliato, quindi esco dall'auto.
Non appena metto piede in casa, sorprendo la sagoma di Jasper. Sta seduto al tavolo della cucina.
«Tutto bene?»
Inaspettatamente, un piccolo sorriso gli modella le labbra.
«Tuo padre?»
Scrolla le spalle e io per poco non trasalisco.
Porca miseria, Jordan non gli ha detto nulla.
«Hai trascorso una bella serata con Violet?»
Jasper però fa qualcosa di insolito. Si alza in piedi e tende due braccia nella mia direzione. Inizialmente non intuisco, fisso i suoi avambracci con aria confusa. Poi però capisco le sue intenzioni: mi vuole abbracciare.
«È il tuo modo per...»
«Grazie.» lo sento mormorare con voce incerta.
Vorrei sorridere, sarei felice di quell'abbraccio in un'altra circostanza, ma ora...
«Jas... Che ne dici di metterci il pigiama e andiamo a dormire?»
Lui sbadiglia, poi prosegue verso il piano superiore.
Il mio cellulare vibra.
«Papà?»
«June, volevo farti gli auguri.»
«Ah già, mi chiami una volta l'anno per questo.» sottolineo dura.
«Ehm... Senti... Tua madre mi ha detto non stai passando un bel periodo.»
«Ti ho mandato una cosa.» lo interrompo in modo brusco.
«Oh, ti sei convinta a farlo?»
Spalanco gli occhi. Possibile che se lo ricordi?
«Mi ha convinta James.»
Dopo una lunga doccia, scendo in salotto.
Su quel divano però, ci resto davvero poco. Jasper sta dormendo e io fremo per avere notizie di James, quindi ad un certo punto lo chiamo.
«James, tutto bene?»
«No.»
Sono agitata. Sto andando avanti e indietro per la stanza come un'anima in pena, ma nonostante ciò, non mi aspettavo una risposta così secca.
«Che cosa significa?»
«Quello che pensi, June.»
«Cosa?»
Lo sento sospirare, poi la sua voce tremolante mi arriva come una pugnalata nel petto.
«Non c'era molto da fare.»
«Quando?»
«Un'ora fa.»
Sono obbligata a risedermi sul divano.
«Mi dispiace, James. Mi dispiace così tanto. Vuoi che venga lì?»
«No. Rimani con mio fratello. Torniamo a casa tra poco. Devo dirglielo io.»
Il nodo che mi serra la gola è soffocante, mi impedisce di parlare, così annuisco mentre James interrompe la chiamata.
E uno stupido «Mi dispiace.» è l'unica cosa che riesco a dire quando James rientra.
«Jordan è rimasto per sbrigare alcune pratiche.» spiega con gli occhi lucidi e la fronte imperlata.
«Siediti un attimo»
Gli indico il posto accanto al mio sul divano, poi prendo la sua mano mentre James fissa il vuoto.
«Cazzo. Vederli insieme, nella stessa stanza. Non mi sembrava vero.»
«Te la senti di dirmi cos'è successo...»
La mano di James trema nella mia.
«La ferita non era profonda, ma le aveva preso la milza. E viste le metastasi...»
Un rumore interrompe il discorso. È cascato qualcosa. Io e James ci voltiamo.
È il cellulare di Jasper che si schianta al suolo. E lui sta dietro l'angolo ad ascoltare.
«Jas...»
Poi però scappa via.
«Jasper.»
James prova a rincorrerlo, ma non fa in tempo a raggiungerlo. Suo fratello si è già chiuso in camera.
«Jasper, apri!»
Li seguo al piano superiore e lì vedo James accanirsi contro la porta.
«Jasper per favore, ascolta...»
James ha il respiro corto.
«Vattene, tanto te ne vai sempre!» sentiamo urlare ad un tratto.
Io resto a bocca spalancata, ma James sembra non temere nulla.
«Jas...»
«È quello che ti ha insegnato lei.» prosegue Jasper con voce spezzata.
«Si è proprio quello che mi ha insegnato.»
James poggia la fronte contro la porta.
«Ma stavolta non vado da nessuna parte.»
Il silenzio.
«Jasper apri questa fottuta porta.» Una lacrima riga il viso sofferente di James. «Per favore.»
Sto tremando. Mi trascino le dita sulla guancia. E senza nemmeno rendermene conto, delle lacrime silenziose mi bagnano i polpastrelli gelidi.
A quel punto la porta si spalanca lentamente. Jasper è immobile, freddo. I pugni tesi lungo i fianchi.
James invece è un cumulo di tremolii e singhiozzi.
«Dicono tutti che tu avrai bisogno di me, Jas. Ma se fossi io ad avere bisogno di te?»
James si china all'altezza del fratello e lo abbraccia. La sua stretta non è ricambiata da Jasper, ma dopo poco mi accorgo che anche lui sta piangendo.
Entrano in camera da letto mentre io raggomitolo le braccia contro la pancia e resto in corridoio. Le spalle al muro e una morsa al petto.
La morte di una persona cara ha il potere di stravolgerti la vita. Cambia le persone. E James è irriconoscibile in questo preciso istante.
«Non devi farlo tu, devo farlo io. Devo essere forte...» lo sento mormorare, mentre Jasper si addormenta, singhiozzando tra le sue braccia.
Mi sento sprofondare. È la prima volta che, nella mia vita, qualcuno se ne va, dopo August.
E sebbene non fosse stata presente, sebbene la conoscessi a stento, questo evento è bastato per creare un uragano nelle vite delle persone che amo.
Riapro gli occhi e decido di reagire. Mi scollo da quel corridoio e mi dirigo in camera di Jasper.
Qui rimbocco le coperte a Jasper e James che stanno dormendo, poi trascorro la serata in salotto.
Non so cosa fare.
La vecchia June saprebbe cosa fare.
Ma io non voglio.
«Papà?»
«June? Sono le... Sono le tre di notte.»
La sua voce mi arriva assonnata.
«La mamma ti ha davvero detto...»
«Che stai affrontando dei giorni particolari. Sì, te l'ho detto. Che c'è?»
Non rispondo, quindi lui prosegue.
«Vuoi parlarne?»
«No.»
«Lo scriverai?»
«Sì.»
«Me lo invierai?»
«Perché ti interessa?»
«Perché così possiamo parlarne insieme, June.»
«Quando?»
Che non mi chiami mai.
«Una volta a settimana, ti va?»
«Mi chiameresti una volta a settimana?»
Il mio tono lascia trapelare tutta l'ora mia incredulità.
«Se vuoi.»
«Beh non fare promesse se non puoi mantenerle. Ciao» scandisco con tono infantile.
Lo sento sorridere.
«June, non ho fatto prom...»
«Sì le hai fatte. Ciao.»
Con un sorriso spento chiudo la chiamata, poi mi rannicchio sul divano e mi addormento dopo poco.
Il mattino seguente mi sveglio sconvolta. Il sonno è stato agitato. Non ricordo nemmeno più che giorno è. Non appena apro gli occhi, il mio pensiero va a James. Corro in camera sua ma il letto è vuoto.
Non c'è nessuno. E io mi agito immediatamente.
Quando però entro nella stanza di Jasper, lo vedo lì, a dormire nel letto insieme al fratello.
Un enorme respiro di sollievo mi abbandona il petto. Decido di lasciarli dormire e di approfittare per tornare a casa a recuperare dei vestiti puliti.
«Mamma...»
«Ciao June. Tuo padre ti ha chiamata per farti gli auguri?»
«Sì. Ti sei impicciata come al solito?»
Lei non risponde alla provocazione.
«Ho saputo della mamma di James. Mi ha detto Jordan che ci sarà la veglia a casa loro, oggi.»
Io le lascio un bacio sulla guancia, annuisco, poi punto le scale che conducono a camera mia.
Salgo al piano superiore ma quando spalanco la porta per poco non lancio un urlo.
«Oddio, oddio!» grido spaventata.
Il mio letto è occupato da due figure dormienti.
«Oh cazzo!»
Un ragazzo casca giù dal letto.
E quel ragazzo è William Cooper.
«Will, rivestiti!» strepito a gran voce, mentre lui prova a coprirsi con il lenzuolo.
«Scusa, non... okay!»
Will scappa in bagno, mentre i miei occhi infuocati si posano su May.
«Nel mio letto?»
«Di là dormivo con mia madre. E poi te l'ho chiesto!»
«Nel mio letto!?-
«Shhh! June, non urlare ti prego.»
«May... non... è... o mio Dio...»
«Senti, June. Non ti arrabbiare. Non ci posso fare nulla. Will mi piace più del previsto, okay?»
Scruto con dovizia la sua espressione per nulla dispiaciuta o pentita.
«Ti piace.» realizzo a braccia conserte.
«Will è molto...»
«Lo so. Non voglio sapere nient'altro. Ora lo considero come un fratello, non voglio i dettagli.» taglio corto con una faccia schifata.
May si libera delle coperte e noto che indossa una t-shirt di Will.
«Stai bene?» domanda nel vedere la mia faccia sconvolta.
«No. Oggi c'è la veglia funebre per la mamma di James.»
«Mi dispiace.»
A quel punto si avvicina e mi abbraccia.
«Quando ci rivedremo...?»
«Per le vacanze di pasqua?»
Le indico il bagno con un cenno del capo.
«Ora hai un motivo in più per venire a trovarmi, no?»
Durante la veglia funebre, James e Jasper non si fanno vedere.
Io tento di stare il più lontana possibile dal salotto. Un po' perché penso sia giusto siano i suoi cari a salutarla, un po' perché avere una bara aperta davanti allo stesso divano in cui io e James siamo stati insieme tante volte, mi fa attorcigliare lo stomaco.
La morte è una cosa così strana. È seria, per definizione ineluttabile, tetra e irrimediabile. Eppure mi fa fare pensieri sciocchi. L'hanno truccata per metterla lì dentro? Perché quando sei in vita a nessuno importa di te, ma quando muori improvvisante diventi la brava persona sui cui versare lacrime e spendere buone parole?
Quando però, oltre a Ethan e Tom, vedo entrare Austin dalla porta principale, i miei pensieri vengono spazzati via e la curiosità ha la meglio.
Jordan si accorge del suo arrivo: dapprima si agita, poi si volta dall'altra parte e finge di non vederlo.
Quello che però non avevo previsto è vedere Austin richiamare Brian.
Non posso farne a meno. Li vedo parlottare tra loro, quindi mi avvicino.
«L'unica donna che io abbia mai amato.»
Brian non fiata.
«E tuo padre ha provato a farle del male troppe volte.»
Mi ghiaccio dinnanzi a quelle parole, ma Brian sembrava aspettarsele. Forse James gliene ha già parlato.
«Non ho avuto scelta.»
Ad un tratto nel salotto si sentono dei colpi ripetuti. Sembrano provenire dal piano superiore.
Gli invitati si guardando intorno spaesati e Jordan sembra incapace di fare una mossa.
«Vado io...» mormoro rivolgendomi a quest'ultimo.
Entro in camera di James a passi cauti.
«James...»
Incontro i suoi occhi lucidi, le nocche macchiate di sangue per via dei colpi violenti sferrati sul sacco.
«Se vuoi stare da solo, lo capisco»
«Non lo so cosa voglio, June»
Mi avvicino lentamente.
«Vorrei solo smettesse...»
«James...»
L'abbraccio, ma lui sta con lo sguardo fisso alla porta del bagno.
«Perché sono sparite tutte le mie pillole?»
«Non ti servono.»
«Sei... Stata tu?»
«Sì. Non puoi andare di là ubriaco o strafatto, non puoi sopprimere così i tuoi sentimenti. Non più.»
«Non me ne frega un cazzo se mi vedono così, vorrei solo smetterla di soffrire.»
Le sue parole mi si scagliano addosso con tanta foga che indietreggio.
«Hai fatto una promessa a Jas. Hai detto che non l'avresti abbandonato.»
Stringo i denti, e a fatica contengo il pianto.
James sembra accorgersi solo in quel momento di aver esagerato.
«Scusami.»
«Ce la puoi fare, James.»
«Non voglio andare di là. Domani c'è il funerale e io non so se...»
«Non sei obbligato ad andare di là. Magari... datti una ripulita. Andiamo a vedere come sta Jasper.»
Aspetto che James si faccia una doccia, poi vado a recuperare dei biscotti e mi avvicino alla stanza del fratello.
È stato chiuso li dentro senza uscire dal giorno prima. È destabilizzante non sapere come reagirà ad ogni nostra parola, ogni nostro tentativo per aiutarlo. Ma non per questo possiamo tirarci indietro.
«Ti ho portato dei biscotti. Non so, magari hai fame.»
Jasper è steso a letto a fissare il soffitto e fa cenno di no con la testa.
«Lasciali lì» ordina James brusco prima di stendersi di fianco al fratello.
Poso il piatto sul comodino e mi avvicino alla porta.
«June.»
«Sì?»
«Resta qui.»
A risvegliarmi è il suono della pioggia che batte contro la finestra. Quella melodia dovrebbe cullarmi, invece spalanco gli occhi spaventata, sono reduce di un sonno tormentato. È arrivato il giorno del funerale e quando lancio un'occhiata oltre al vetro, mi accorgo che sta diluviando. La giornata è così cupa che non sembra nemmeno mattina.
Nel letto poco distante da me c'è Jasper. Sta rannicchiato in un angolo, ma mi spavento nel notare la mancanza di James. Mi alzo senza far rumore e a piccoli passi mi dirigo in corridoio.
«Jordan devo sapere una cosa»
Sento la voce di James.
«Cosa?»
Mi fermo.
«Starai qui?» È James a porre quella domanda.
«Sì.» Risponde suo padre.
«Fino a quando a starai qui?»
«James...»
«Rispondi, devo saperlo. Jasper ha bisogno di un padre. Ciò che dici devi mantenerlo perché io devo prendere una decisione. Sì o no?»
«Ehm... sì. Ci sono io.»
«Va bene.»
Sembra che la discussione sia volta al termine perché i passi di James si allontanano. Suo padre però lo richiama.
«James, hai chiuso i conti in sospeso?»
«Sì.»
«Tutti?»
«Quasi.»
La cerimonia funebre si tiene all'aperto ed è più dolorosa del previsto. Gli ombrelli neri nascondono le facce scure e quando il cielo ormai si rischiara, è già l'ora del tramonto. Con le scarpe nuove immerse nell'erba bagnata, James e Jasper indossano gli stessi abiti e la stessa espressione apatica.
Quando il rito volge al termine e arriva il momento di chiudere la bara, James sembra essere arrivato al limite. Vuole andarsene. Fa un cenno a Jasper, che però non si smuove dalla sua posizione.
«Se vuoi restare, resta. Io... Non ce la faccio.» sussurra a suo fratello, prima di abbandonare il cimitero.
«Vuoi stare solo?» domanda Jackson, seguendo l'amico.
«No.»
«Sicuro?»
«Ho bisogno dei miei amici.»
A quel punto richiamo Will e Marvin, che stanno qualche fila più indietro. «Venite.»
James prosegue verso un punto indefinito. Lo stuolo di lapidi si dirada finché non giungiamo su una collinetta verdeggiante.
Ci inerpichiamo lassù, l'erba è bagnata ma a nessuno sembra importare.
«Mettine meno che mi fa venire fame» si lamenta Marvin.
Will guarda male l'amico.
«Ti sto facendo una canna e tu ti lagni?» lo rimprovera quest'ultimo.
«Che c'è, sono quasi le sei e non ho fatto merenda.»
«E stai seriamente parlando cibo dopo un funerale Marv?» Lo sgrida Will.
«E tu parli di droga, e quindi?» sussurra Marvin coprendosi la bocca con la mano, come se qualcuno non li udisse.
«Finitela voi due.» S'intromette Jackson con tono duro.
«No, va bene. È tutto okay» dice James «Anzi, mi fa piacere. Almeno mi distraggo.»
Ma la realtà è che da lassù abbiamo la completa visuale del cimitero e nessuno stacca gli occhi da lì.
Io tendo il collo e vedo che Jasper sta seguendo Jordan e mia madre nel parcheggio.
James invece assottiglia lo sguardo verso la strada che costeggia la collina.
«Devo fare una cosa. Arrivo.»
JAMES
Scendo dalla collina e fermo Austin prima che possa andarsene.
«Ti devo chiedere un ultimo favore.»
«Quale?» domanda lui prima di voltarsi verso i due uomini alle sue spalle. Fa cenno loro di allontanarsi e questi eseguono.
«Tra Amelia e il professore è finita. Fai sparire quelle foto.»
Lui assottiglia lo sguardo, ma nel frattempo scrolla le spalle.
«Che ti frega di lei?»
«Un cazzo. Ma so quanto ci tiene Brian. Gliene hai fatte abbastanza.»
«Mhm, e poi? Sembra che hai altro da chiedere. Approfitta, Jamie. Non mi troverai così disponibile in un'altra occasione.»
«Non ci sarà un'altra occasione.»
La mia risposta gli causa un sopracciglio inarcato.
«E vedi di risolvere la questione di Brian. Corrompi Harvard, fai quel cazzo che vuoi... Ma non voglio che per causa mia non vada all'università.»
«Se è solo questo...» Sbuffa lui voltandomi le spalle.
«Aspetta, non ho finito di parlarti.»
«Non è il momento però James... Abbiamo appena sotterrato tua madre.»
«Il testamento. Dovrai rifarlo, lo sai?»
Lui mi fissa. Forse non si capacita della mia tenacia.
«I tuoi figli sono stronzi e senza morale. Ma mi hanno riportato Jasper sano e salvo. E volevano bene alla mamma.»
Quelle parole sembrano catturare tutta la sua attenzione, perché l'uomo mi si para davanti.
«E so che gliene volevi anche tu, ma... Hai ucciso un uomo.»
«James...»
«Non importa chi fosse.»
A quel punto comincia a strofinarsi la fronte con fare nervoso.
«Fai sul serio?»
«Sì. Ho chiuso gli occhi per paura. Forse perché c'ero dentro anch'io. Perche voi stessi mi avete usato.» biascico a fatica, mentre un senso di nausea mi serra lo stomaco.
«James, non mi piace il tono che usi. Che hai combinato?»
«Ti do un preavviso. Ma sappi che la polizia e già lì.»
In quell'istante lo vedo congelarsi. Il suo viso si paralizza. Sembra sospeso in un momento d'incertezza: potrebbe scoppiarmi a ridere in faccia oppure incazzarsi sul serio. Potrebbe non credere che io sia in grado di fare una cosa del genere. Oppure realizzare cos'ho fatto e uccidermi con le sue stesse mani.
«James... Mi hai tradito?»
Ma non fa nessuna delle due cose.
«Ho lasciato fuori i tuoi figli. Ti ho fatto questo favore. Ma tu devi pagare, Austin.»
«Ma porca...»
La paura sembra inchiodarlo.
«Le ragazze le avevi assunte per ballare. Io ero venuto a quella festa per incontrare un amico. Ma come loro non hanno ballato, io non ho visto un amico.»
Lo sorprendo a chinare il capo.
«Io non sapevo i dettagli. Hood... Non sapevo che aveva architettato tutto per far fuori la ragazza»
«Ma sapevi di usare l'ossessione che il vicesindaco aveva per me per incastrarlo.»
Quelle parole mi si sgretolano in bocca. Sento gli occhi diventare appannati.
«Mi dispiace, James.»
E nemmeno le scuse riescono a cancellare il modo in cui mi avete fatto sentire.
«Una pedina.»
«Mi dispiace ti ho detto.»
Indietreggio per non dargli modo di vedere la mia disperazione.
«Non avrei dovuto approfittarne.»
«Qual era il mio prezzo?»
«L'avresti fatto comunque, James.»
A quel punto mi volto perché il pianto ha già cominciato a scorrere indisturbato sulle mie guance.
Austin chiama i suoi scagnozzi e si allontana, mentre June mi appare alle spalle e mi circonda con un abbraccio.
«James, hai fatto la cosa giusta.»
Stringo le palpebre. Gli occhi mi bruciano. Così come il petto e lo stomaco.
«Perche fa così male allora?»
Tenere tutto dentro significa mantenere una certa compostezza, ma io sembro avere la dote opposta. Sono ormai esperto nel rompermi in un milione di pezzi. E dovermi ricomporre diventa sempre più difficile.
Sono annebbiato confuso. Mi ritrovo in camera mia. E non ricordo nemmeno il percorso. Nè di esserci arrivato. Sono a petto nudo. June sta riponendo nel armadio la camicia che avevo al funerale.
«Metti questa.»
Mi porge una maglia pulita. Io la guardo negli occhi. Sembra così scossa che ha perso la sua solita parlantina.
Mi siedo sul letto e comincio a tormentare la t-shirt tra le mani nervose.
June mi prende il viso tra i palmi e mi induce a sollevare il mento.
«Se vuoi stare da solo, puoi dirmelo.»
«No, June ci sarebbero solo un mare di cazzate che farei se te ne andassi.»
E se lasci me, lasci anche lui.
A quel punto di blocco. Non posso essere così egoista.
«Ma June, se vuoi andare a casa...»
«Non voglio. E poi mia madre è qui. Non hai visto l'auto prima?»
«Jasper?» Domando a quel punto.
«È sempre chiuso in camera sua.»
Mi porto una mano sullo stomaco. Non mangio da più di un giorno.
«Ho fame.» mormoro con un soffio di voce.
La confessione risulta più sincera del previsto e June non se lo fa ripetere due volte.
«Andiamo, ti preparo qualcosa.»
Lei sorride e mi aiuta a infilare la t-shirt.
In corridoio, udiamo le voci di April e Jordan che si mescolano.
Sentire Jordan chiacchierare così amabilmente mi dà sui nervi.
«Fammi un favore Jordan. Evita i tuoi soliti viaggi di lavoro in questo periodo» lo aggredisco senza motivo, entrando in cucina.
«Fammelo anche tu un favore: inizia a chiamarmi papà.» Ribatte lui.
Guardo April.
Non posso fare una scenata davanti a lei.
«Lasagne per tutti?» domanda June per stemperare la tensione.
«Io vado a vedere come sta Jasper» sputo bruscamente.
E quando spalanco la porta di camera sua, non mi sorprendo nel trovarlo sdraiato sul letto.
Resto sulla soglia ma non entro.
Ha su le cuffie e gli occhi chiusi. Rispetto la sua volontà e me ne torno nella mia stanza.
Ma avrei dovuto chiudere la porta perché sulla porta appare April.
«James, senti... Sei hai bisogno di parlare con qualcuno...»
«Ti ha mandato lui?» la freddo con un'occhiataccia.
«Qual è la risposta esatta?» domanda lei aggrottando la fronte.
«La verità.»
«No. Non mi ha chiesto Jordan di parlare con te.»
Senza dire una parola mi siedo sul letto, raccogliendo mi il viso tra i palmi.
«Mi sento in colpa.» confesso.
April mi scruta a braccia conserte ma non parla.
«Mi sentirò in colpa a vita»
Ma nemmeno dirlo a voce alta mi aiuta a liberarmi di quel peso.
«Per cosa, James?»
«Per non averla chiamata prima, per Jasper»
«James, non era qualcosa sotto il tuo controllo. Lei aveva una sua volontà. Sai che se avesse voluto, l'avrebbe fatto... Non attribuirti colpe che non hai.»
«Penso che Jas c'è l'abbia con me ora.» sbuffo.
«Lascialo attraversare questo periodo. Lasciagli la libertà di soffrire, ma sta attento.»
«Tu come hai fatto con June?» Domando causandole uno sguardo cupo.
«L'ho lasciata metabolizzare il dolore. Pensavo l'avesse superato. Finché non mi sono accorta che usava scorciatoie per evitare la realtà.»
Lei abbassa lo sguardo al pavimento, poi prosegue.
«Stagli vicino più che puoi, non fare il mio errore.»
«Perché fai questo per me?»
«Ti considero parte della mia famiglia, James.»
April accenna un sorriso spento, poi si avvicina e indica le mie mani con un cenno del capo.
«E poi... è un sei quello che hai sul dito?»
«Sì»
«È l'anello che ha mia figlia?»
«Vi hanno fatte uguali, eh. Non vi sfugge niente.»
«Quindi?»
«È solo un anello...» sorrido scrollando il capo.
«Sei un tipo strano.»
«Ma ti piaccio.»
«Non l'avrei mai detto ma sì.» ammette senza vergogna, mentre io mi alzo in piedi.
Il nostro impatto è naturale.
April mi abbraccia, prima di indicarmi la porta.
«Andiamo a vedere cosa combina mia figlia. I dolci le vengono bene, ma il resto...»
La vedo mimare una smorfia schifata che mi induce a sorridere.
Quando arriviamo in cucina June sta lottando con il timer del forno.
«Non sapevo sapessi fare le lasagne.»
Il mio tono di voce provocatorio la obbliga a voltarsi di scatto.
Mi lancia un'occhiata attenta, di quelle che sembrano dire "Sei tornato in te?".
«Il sugo era pronto. Quindi se fanno schifo, non è colpa mia» replica con voce altezzosa.
Le mie attenzioni però, vengono rapite dalle chiacchiere di Jordan e April.
Li sento parlottare in salotto.
«April, grazie per essere passata» dice mio padre.
«Restiamo in rapporti civili per il bene dei nostri figli» suggerisce lei.
«Mi dispiace. Per come mi sono comportato con te.»
«Non fa nulla.»
«Avrei dovuto essere più chiaro»
«Fossi stato chiaro sin dall'inizio, tra noi non ci sarebbe stato mai niente»
«Non volevo prenderti in giro»
Lancio gli occhi al soffitto, mentre June si avvicina a me per ascoltare.
«Lascia perdere.»
«Mi viene difficile impostare una relazione seria.»
«Non preoccuparti, ti posso capire.»
«Greta è l'unica persona che io abbia amato. È stato un colpo di fulmine, ma è andata così.»
C'è un momento di pausa.
«Dimmi la verità, è stata una disgrazia conoscermi?»
June sgrana gli occhi a causa della domanda assurda di mio padre.
«No, mi sentivo molto più sola prima. Il padre di June non mi parlava più dalla morte di mio figlio e June... È molto meno chiusa ora. Penso merito di James»
«Vorrei poter dire lo stesso di mio figlio... Non mi perdonerà mai per averlo abbandonato.»
«Ha perdonato lei. E potrà farlo anche con te, Jordan.»
June mi guarda.
«Lo puoi fare? Per Jasper.» Mi sussurra nell'orecchio facendomi sorridere.
Non so quale sia il suo potere magico, ma June finalmente riesce a trascinare Jasper in cucina.
Ci sediamo a tavola, April e June battibeccano sulla preparazione delle lasagne, mentre Jasper segue attentamente i loro discorsi.
«Ma cosa ne sai tu, mamma? Decide Jasper se sono buone o meno. Le ho fatte per lui»
La cena trascorre tranquilla, io non fiato per tutta la sera e solo quando mi alzo in piedi per andare a fumare, mi accorgo che Jasper sta stringendo la mano a June.
Ce l'ha ancora con me, lo so, ma almeno ho la certezza che ora non si senta poi così solo come prima.
Sono ancora in giardino a fumare quando sento la voce di April provenire dalla porta d'ingresso.
«June, appena ricomincia la scuola torni a casa a dormire.»
Le lancia un rimprovero e poi se ne va a casa.
Dopo aver aiutato mio padre a sparecchiare, June si occupa di tranquillizzare Jasper e lo mette a dormire.
«James, dio mio ogni volta che non ti vedo in camera mi prende un infarto.» esclama lei spalancando la finestra di camera mia.
«Sono qui sotto. Vieni.» la richiamo dal giardino.
Ci sediamo sui gradini del porticato, mentre lei si infila una delle mie felpe.
«Stavo per svenire l'ultima volta che mi hai fatto fumare qui.»
«Che cretina...»
Il sorriso di June però è breve, sembra scossa da tutto quello che è successo.
La guardo dritta negli occhi.
«Perché non mi parli mai di lui?»
La sua espressione distesa si contrae.
«Io... Non lo so.»
«Lo so io. Non è provando a dimenticare, che il dolore sparisce.»
«James...»
«E l'ho capito grazie a te. Stare tre giorni senza farmi o senza prendere le pillole è stato... Terrificante.»
Lei sta trattenendo il respiro, quindi proseguo.
«Ma... Non mi sto trascinando quel dolore dentro. Lo sto vivendo e ho come l'impressione che a breve andrà meglio.»
June annuisce, sembra sollevata nell'udire la mia confessione.
«Sai qual era la domanda che mi facevo in continuazione?»
Vorrei cancellare quella smorfia di dolore dal suo viso, ma non è il momento per fare battute.
«Quale, June?»
«Era "perché?"»
«Perché?» ripeto confuso.
«Tra tutti... Perché proprio lui? Perché così giovane? Perché io dovevo soffrire così tanto? Anche dopo la malattia. Pensavo fosse tutto finito invece...»
«Poi l'hai capito?»
«Cosa?»
«Che non c'era un perché, che è semplicemente il caso?»
«Tu dici, James?»
«La morte non ha un disegno divino. È qualcosa di naturale, qualcosa che noi non siamo in grado di controllare. Non vogliamo accettarla solo perché vogliamo bene alle persone che ci porta via.»
«E tu le volevi bene.»
Annuire non è mai stato così difficile.
«Ho sempre desiderato non volergliene però.» confesso sottovoce.
Picchietto la cenere sul pavimento e solo a quel punto, mi accorgo dei singhiozzi che si liberano nell'aria.
«Come faccio a consolarti James se sono la prima che ha fallito?»
June scoppia a piangere, spogliandomi di ogni barriera.
«Non dire così.»
«Non sono stata capace di superarla. Come faccio a superarla? Penso sempre di avercela fatta e invece...ritorna.»
«June io penso che tu debba solo accettarlo. Hai detto che io dovrei affrontare il dolore senza farmaci e sotterfugi. Lo stesso vale per te.»
Lei poggia la testa sulla mia spalla.
«Ci sarà sempre quella parte dolorosa nella tua vita, ma ce ne sarà anche una bella.» bisbiglio con il cuore pesante.
«Tipo?»
«Jasper ha ricominciato a parlare. Per me è una cosa che non ha prezzo.»
June annuisce. Tira su con naso poi si asciuga una lacrima.
«Come per me, quando mamma ha detto di essere felice che io sia qui. Che non voleva che fossi al posto di August.»
«Oppure quando...» Le lascio un bacio sulla fronte, lei sembra scossa da un brivido. «Mi hai sussurrato ti amo.»
«Lo penso. Anche se fatico a dirtelo, James»
Sorrido. «È la cosa più bella che potessi dirmi, June.»
JUNE
Il pomeriggio seguente accompagno May e mia zia all'aeroporto insieme alla mamma. E dopo averle promesso per l'ennesima volta che tornerò a casa non appena comincerà la scuola, lei mi lascia da James. Quando rientro però, assisto a una scena che non mi sarei mai aspettata di vedere: James e Jasper fanno i compiti insieme, seduti al tavolo da pranzo.
Il cuore mi si restringe, ma decido di non disturbarli, finché James non mi becca sulla porta.
«White ti aggiri per casa come una ladra?
La provocazione di James mi lascia intendere che stia tornando tutto alla normalità e a giudicare da come si sta impegnando con Jasper, forse anche meglio di prima.
James si alza in piedi e si avvicina a me.
«Sono orgogliosa di te, James. Quello che stai facendo per tuo fratello...» Il mio sussurro però, viene interrotto dalla sua occhiata divertita.
«Cosa ci fai ancora conciata così?»
Chino il mento e osservo la felpa sopra agli shorts.
«Che vuoi dire, James?»
«Abbiamo una festa questa sera. Te lo sei dimenticata?»
«Ma quale...»
Io e James ci ammutoliamo all'improvviso. Ci voltiamo a fissare il televisore dove stanno trasmettendo un servizio che riguarda una notizia locale. Parlano della chiusura di un locale famoso e dell'arresto di un boss altrettanto importante.
È Austin.
«O cazzo.» James spegne immediatamente la tv.
«Hai fatto la cosa giusta con Austin.»
«Avrei dovuto consegnare anche Ethan...» sibila lui.
«Dici?»
«Brian ha capito, ma Amelia... potrebbe fare casini in futuro. È imprevedibile quella. E non so quanto Brian riuscirà a tenerglielo segreto. Cambiamo argomento.»
«Di che festa parlavi?»
«Visto che abbiamo vinto la partita e ci siamo "comportati bene"» James imita le virgolette arricciando le dita. «Il preside ci ha permesso di organizzare un ballo.»
«Davvero?»
«Ma nessuno ha intenzione di dargli retta. Marvin e Will... Ah, ma che cazzo.» si lamenta quando vede il nome dell'amico sullo schermo del display dell'iPhone.
«Will senti ti ho detto che devi aspettare me.» si agita James allontanandosi.
Jasper è fermo con i gomiti sul tavolo. James sta facendo del suo meglio con Jasper, ma a volte le circostanze gli impediscono di dedicargli il tempo che vorrebbe.
«Jas mi aiuti con una cosa?»
Lui mi scruta, è confuso.
«Vorrei preparare una cosa insieme a te e vorrei la presentassimo alla tua classe.»
«Che hai in mente White?» James torna trascinandosi una mano tra i capelli con fare nervoso.
Io però non gli do retta.
«Ho promesso a un tuo compagno che l'avrei fatto ricredere su di te, Jas. Quindi è così che faremo. E tu mi darai una mano.»
«Cotton è un coglione.»
«James!»
«Che c'è? E la verità.»
A quel punto suggerisco a Jasper di andare un attimo in camera sua.
«Jas vai a prendere la tua scatola con gli attrezzi. Quella dei cosi... dei robot.»
James sghignazza, ma io lo prendo da parte non appena il fratello esce dalla cucina.
«Finiscila, fai il serio. Colton non conosce Jasper. Le persone che lo vedono da fuori non lo conoscono. Tutti hanno paura del diverso. E sì, forse quel Colton non merita la nostra pazienza, ma ci dobbiamo provare. Vorrei che i suoi compagni lo conoscessero prima di giudicarlo. E non voglio impormi, voglio sia lui, con i suoi mezzi, a convincerli. Io voglio solo aiutarlo a...»
James interrompe quel tergiversare con un lungo bacio.
«Strani.» sentiamo dire alle nostre spalle.
E basta quella parola per intuire che Jasper ha fatto il suo ritorno in cucina.
«Che intenzioni hai?» si acciglia James, massaggiandosi il mento.
«Jasper è bravo con la programmazione dei robot, giusto?»
«Sì è quindi?» Vedo James incrociare le braccia al petto.
I bicipiti abbronzati si gonfiano di vene e io mi volto verso Jasper per non distrarmi.
«Proveremo a spiegare le tue emozioni in modo che i tuoi compagni possano sapere ciò che ti rende triste, felice, arrabbiato, ferito... Quali sono le tue reazioni e cosa le scaturisce. Capiranno il perché dei tuoi atteggiamenti. Faremo in modo che il robot compia gesti e riproduca le tue sensazioni.»
James mi sta osservando con entrambi i sopraccigli abbassati.
«Tipo... guarda James, ora. Che faccia ha?»
«La faccia del: "Ma che cazzo dici White, i robot non hanno emozioni."» mi rimprovera lui con un ghigno.
«Apparentemente.» lo correggo. «È questa la tesi che stiamo provando a portare, Hunter. Non ti immischiare nelle nostre cose. Diglielo, Jas.»
Jasper sorride.
«Mhm... Vi tengo d'occhio.»
«Possiamo fare illuminare la faccia del robot di un determinato colore? Si può fare?»
«La faccia? Jas ma la senti? Biancaneve non ha capito un cazzo.»
«Sì, si può.» spiega Jasper aprendo la sua scatola ed estraendo un prototipo di robot già assemblato
«Possiamo associare un colore a un emozione in particolare?» domando ignorando le occhiatacce di James.
«Ci vorrà un po'» risponde Jasper.
«Quanto?»
«Un po'.» ripete lui con tono calmo.
Jasper sembra contento e io non penso di averlo sentito parlare così tanto. L'unico guasta feste è James
«James che diavolo ti prende?» bisbiglio spintonandolo verso il salotto per non farci udire da suo fratello.
«Senti, li ho capiti quei ragazzini. Non voglio che Jas ci soffra. Lascia perdere.»
«Stai scherzando?»
«June, vuoi fargli vivere un'umiliazione davanti a tutta la classe?»
«Capisco che tu sia preoccupato per lui, ma così non lo aiuti.»
«Non voglio più vederlo stare male.»
«Te lo prometto, James. Non accadrà.»
Poi torno da Jasper con un sorriso.
«Io non vedo l'ora di cominciare.» annuncio giocherellando con i circuiti che compongono il robot.
«Tutti i giorni?» Mi domanda Jasper.
Persino James si volta stupito.
Jasper ha appena fatto una domanda?
«Sì. Certo. Tutti i giorni.» rispondo decisa.
«White è una scusa per stabilirti in pianta stabile a casa mia?»
James inizia a tormentare i capelli che mi ricadono sulle spalle.
«Ma finiscila...»
«Perché se così fosse sappi che sta funzionando. » Sussurra nell'orecchio, dandomi un bacio sul collo. «Ma ricordati che mi hai fatto una promessa.»
«Ora ritirate tutto.» ci ordina James con fare sbrigativo.
«No.» M'impongo continuando a perlustrare i vari componenti del robot.
«Stasera c'è la festa, voglio che vieni con me.»
«Vacci tu.»
James indietreggia ergendosi in piedi.
«Stai scherzando.»
«No. Sono stati giorni pesanti per me. Voglio stare tranquilla.»
«Beh, allora sto anch'io qui e...»
«No, tu hai bisogno di svagarti. Avete vinto la partita James, è giusto che...»
«Stai tramando qualcosa Mad?»
«Ma finiscila» ridacchio.
«Voi due non me la raccontate giusta.»
«Ehi Jordan.» esclama James quando il padre entra in cucina. «Tienili d'occhio quei due.»
JAMES
«Hai visto lo scandalo di Austin? Se penso che quel mafioso è pure venuto a casa mia...»
Ari sta provando ad attirare tutte le attenzioni su di sè. Un gruppetto di ragazzi l'accerchia per ascoltare l'accaduto. La musica non è ancora tanto alta, quindi riesco ad udire cosa dicono.
«Mio padre sguazzava in quello schifo. Sono contenta non si sia più fatto vivo, per me è morto.» sputa Amelia a gran voce.
«Davvero?» M'intrometto io.
Lei innalza il mento con aria di sfida, ma i suoi occhi dicono tutt'altro.
«Sì»
Mi volto verso Brian. «E per te?»
«Anche per me. Per te, James...?» controbatte lui con sguardo diffidente.
Me ne sto nel mio angolo della palestra, in silenzio, finché Amelia non si allontana per andare a ballare con le sue amiche.
«Per me lo è da tempo.»
Io e Brian ci scambiamo un'occhiata furtiva.
«Mi dispiace per tua madre» mormora lui.
«A me per tuo padre.»
Brian si guarda intorno poi si avvicina a me.
«L'unica cosa che ho sempre voluto è stato proteggere Amelia. Che gli affari di mio padre si ritorcessero contro di noi... non l'avevo previsto.»
«Lo so, ma ora puoi stare tranquillo.»
E la tranquillità viene meno quando in palestra entrano anche Will e Marvin.
«Grazie per l'altra sera.»
William mi abbraccia, prima di rivolgermi un sorriso.
«Te lo dovevo, James.»
«E perché?»
«Lo so che ti fai sempre in quattro per me.»
«Tu vedi di non ammazzarti prima dei novant'anni. Questo è l'unico favore che ti chiedo, William.»
«Uh, guarda chi c'è.»
Lo sguardo di Will incontra quelli di Amelia e Ari.
«Come va ragazze?»
«Come va? Come ti sembra che vada?» sbotta Amelia fissandolo di sottecchi.
Poi però si fa preoccupata.
«Scusa... tu stai bene, sì?»
Will annuisce. «Tuo padre?»
Tendo il collo.
«Se n'è andato di nuovo, mia mamma sta facendo il possibile per capire dove si sia cacciato, ma non sappiamo dove si trovi ora.»
«Mi dispiace.»
«Meglio così.» ribadisce Amelia, orgogliosa.
«Si vede che ci stai male però.»
«Perché? Perché sei sempre gentile con me dopo quello che ti ho detto?»
«Sono sempre gentile con tutti. Quale altro William avete conosciuto?»
Le ragazze scoppiano a ridere.
«Ari ti vuole chiedere scusa» annuncia Amelia a quel punto.
«Amelia ti vuole chiedere scusa» ribatte l'altra.
«Va bene così.»
«Allora, se non ce l'hai più con noi, dicci di May, dai.» esclamano loro, tutte elettrizzate.
Eccole, e figuriamoci.
Will però, invece che perdere tempo a sparlottare, trascina le stampelle sul pavimento e si dirige sul palco.
«Questa sera non ci sarà nessun ballo perché non facciamo come dice lui.»
«Cooper è nella sua Greta Thunberg era?» commenta Taylor.
Non mi ero accorto che fosse al mio fianco.
«Il preside non può dirci sempre come e quando fare le cose.» prosegue Will ottenendo cori di consensi dalla folla.
«E quindi genio, cosa vuoi fare?» urla Taylor.
«Festa e basta no?»
Il sorrisetto sadico di Will non lascia presagire nulla di buono.
Ci risiamo.
«No canzoni sdolcinate o balli a lume di candela» annuncia poi.
«Va beh un ballo lento però lo possiamo fare.» Ci prova Marvin.
«No, la playlist la decido io.»
«Uno solo, Will. Ho aspettato tredici anni per ballare con Poppy, puoi farmi sto favore?»
I ragazzi battibeccano, ma i miei occhi cascano sulla bionda al mio fianco.
«Capito Hunter? Niente balli romantici questa sera» mi punzecchia Taylor.
«Ma se non ha nemmeno una ragazza...» commenta un'amica di Stacy, passandoci di fianco.
«Bonnie ha detto che stai con June. Ancora?»
Stacy mi scruta dal basso, io la fisso senza fiatare.
«Jamie, passi da noi dopo?»
«No.»
«O mio Dio ma è vero allora...» Stacy strabuzza gli occhi. «Va bè, intanto hai qualcosa da vendere?»
«No.»
Le ragazze devono rimanerci proprio male perché, senza nemmeno salutare, levano il disturbo.
«Passerai la serata così, in un un angolo?»
Taylor ama darmi il tormento.
«E sentiamo... Come dovrei fare?»
Lei mi indica i pantaloni.
«Taglio netto, sempre la soluzione migliore nei casi come il tuo.»
«Stronza.»
Scoppiamo a ridere.
«E la tua ragazza?» le chiedo tendendo il collo verso la porta d'uscita della palestra.
«Tiff non è la mia ragazza»
«Ah, no?»
«Lo sai. Tiff è importante per me ma... Non lo so.»
«Perché devi sempre controllare tutto? Lascia che le cose accadano. È un momento speciale» le suggerisco.
«Sei geloso perché noi avremo un bambino e tu no?»
«Un po'».
La bionda sogghigna.
«È vero quindi... Tu sei nella "versione migliore di te" era. A differenza di Cooper»
Ma non appena Brian mi si avvicina, Taylor solleva lo sguardo al soffitto e fugge via.
«E June? Sei davvero qui senza di lei?» domanda Brian porgendomi una birra.
«Sono solo passato ad assicurarmi che Will non facesse casini. Tra poco torno a casa, tu?»
«Per me è un nuovo inizio.»
«Ne sei sicuro?» domando nel vederlo alternare occhiate interessate ad Ari che chiacchiera con un altro ragazzo, ma continua a voltarsi verso di noi.
«Non riesco a perdonarla. Eppure la amo.»
«Ti sentirai meglio dopo averla perdonata. Non ci devi tornare insieme.»
«James, siamo appena tornati amici e già cominci a dare ordini? Non mi chiamo Jackson, Will o Marvin.» mi rimbecca lui.
In un'altra occasione la sua battuta mi farebbe anche ridere, ma ora non riesco a pensare ad altro.
«Non avrei dovuto farmi Ari, ma... lo sai che sono stronzo.»
Il nostro scambio di battute cade nel vuoto nel momento in cui pianto gli occhi sull'ingresso.
Vedo June entrare dalla porta e per poco non mi si mozza il fiato.
«Uno stronzo fortunato però.» esclamo compiaciuto.
Indossa un abito bianco e un broncio annoiato.
A passi lenti mi avvicino alla sua figura, mentre lei muove il capo alla ricerca di qualcuno.
«Mi sei mancata.»
«Sto a casa tua da giorni...»
«Hai capito. Da dove esce questo vestito?»
«Fatti gli affari tuoi.»
«Sei bellissima.»
I suoi occhi vispi si posano sul mio torace, modellano il contorno della mia figura avvolta dalla camicia bianca per poi tornare sul mio viso.
«Anche tu.»
Le sue labbra però restano serrate.
«Cosa c'è?» domando a quel punto.
«Niente, niente»
Abbozzo un movimento del braccio per circondarle il fianco, ma lei schiva il mio tocco.
La conosco troppo bene.
«"Niente-niente" oppure "niente-ti ho visto parlare con una ragazza?"»
«La seconda.» pronuncia lei con una smorfia di superiorità.
«Era solo l'ennesima della serata che mi ha chiesto della roba. Non sapevano che non vendo più...»
Sollevo le spalle con disinteresse, ma June ovviamente non me la fa passare liscia.
«Ah, quindi era l'ennesima della serata?»
«Mi stai per fare una scenata di gelosia, White?» le domando divertito.
«No, faccio questo, Hunter.»
A quel punto affonda una mano tra i miei capelli, si erge in punta di piedi e raggiunge le mie labbra, che già l'aspettavano con impazienza. Mi stringe le ciocche con forza, rendendo quel bacio, dato davanti a tutti, ancora più intenso.
«Così capiscono che sono tutto tuo?»
«Vedo che anche tu li hai fatti i compiti, Jamie» mi prende in giro ricalcando le mie parole.
«Un consiglio, Biancaneve. Questo baciarmi davanti a tutti... Dovresti farlo anche a scuola, perché secondo me anche lì ci sono dei dubbi a riguardo.»
Lei abbassa lo sguardo mentre le sue labbra si curvano in un sorriso.
«Stai meglio?» le domando provando a farmi serio.
«Sì.»
«L'altra sera hai pianto.»
«Lo so. Non facciamone un caso di stato» replica stizzita.
«Non è questo il punto, June. La mia vita è così incasinata che ti riempio dei miei problemi e i tuoi finiscono sempre in secondo piano.»
«Non è vero James.»
«Sì invece.»
«I tuoi problemi sono i miei e li risolviamo insieme.» Spiega lei, strappandomi le parole di bocca.
«Ti amo, cazzo»
E prima che lei possa rispondere o fare scena muta, le chiedo «C'è troppo casino. Vuoi stare qui?»
«Hai un'alternativa?»
«Sempre.» Sputo infilandomi una sigaretta in bocca, prima di immergere il naso tra i suoi capelli sciolti. «Tranne che a te. Quella devono ancora inventarla.»
«Questa era terribile, lo sai Hunter?»
Poi però mi prende per mano.
«Ma c'è l'ho anch'io un'alternativa questa volta»
«Lo sapevo, lo sapevo» esclamo eccitato «Hai preparato qualcosa per me.»
«Ti piacciono le sorprese?» si acciglia fissandomi attentamente.
«Secondo te, Biancaneve?»
Quando arriviamo al campo da football mi accorgo che le luci sono tutte spente, c'è solo un piccolo angolo illuminato.
«Levami una curiosità, White...»
Cosa ci fa un orsacchiotto in mezzo al campo?
JUNE
«Siccome sei sempre tu a preparare le cose per me... Ho pensato a un piccolo picnic sull'erba, niente di che.» mormoro, prima di lanciargli un'occhiata.
Con uno sguardo furtivo rubo la perfezione del suo aspetto impeccabile. Camicia bianca, pantaloni scuri e capelli pettinati all'indietro.
«C'è da bere?» James allunga il collo con aria curiosa.
«Soprattutto da mangiare»
«Oh..»
«E puoi mangiare cosa vuoi, James.» lo rassicuro.
Lui si ferma davanti alla mia figura e abbassa il capo per far collimare le nostre fronti.
«Non so come ci sei riuscita.»
«A fare?»
«Lo sai. Con Jasper, mio padre. E tutto il resto.»
«E con te?»
«Anche con me. Mi fai accettare di essere me stesso, anche se a volte mi fai sentire...»
«Vulnerabile?»
«Sì. Ma nello stesso tempo mi sento forte. Non ho paura di essere me stesso, con te.»
James si ferma, ma io vorrei sentirlo parlare all'infinito. Come una di quelle storie che vorresti non finissero mai.
«Ti prego continua.» Gli strattono braccio mentre ci sediamo a gambe incrociate sull'erba.
«Non ti sporchi il vestito?»
«Pensi che mi importi?»
Lui si sporge e mi bacia.
«So quanto detesti metterti questa roba.»
«James, fosse stato per me, sarei venuta con i tuoi vestiti.»
«Io ti avrei preferita con il pigiama che uso per dormire...»
Lo guardo mordersi il labbro inferiore, mentre la mia fronte si stropiccia. Mi acciglio.
«Ma tu non usi nulla per dormire...»
«Appunto.» sorride lui con due fossette, poi si china sull'erba e raccoglie l'orsacchiotto.
«Un coltello e un peluche. Che metafora macabra. È perché me l'ha regalato Taylor? Guarda che ti avevo detto che è tuo.»
«Ma no, il coltello serviva nel caso non riuscissi ad aprirlo.»
James guarda dapprima il peluche poi me con aria confusa.
«Ci ho messo un bottone, vedi? Non sono brava a cucire.» spiego imbarazzata.
Lui sgancia il bottone e infila la mano dentro alla schiena dell'orsacchiotto.
«Ho messo tutto al suo interno. E quando ne avremo bisogno, sappiamo dove trovarlo. Tipo in questi giorni, sei stato tu ad avere bisogno di me. Poi l'altra sera sono stata io.»
«Non capisco.» Mormora fissandomi.
«Quando ne avremo bisogno, avremo il nostro mondo lì dentro.»
James estrae dall' orsacchiotto dapprima il sassolino, poi i post-it, ma quando tra le mani si ritrova dei fogli, si ferma.
«Fogli? Con la tua scrittura?»
«Con tutti gli spostamenti che ho fatto in questi anni, con la morte di mio fratello... ho come l'impressione che sia andata via anche la mia identità. Con te sento di essere qualcosa. Non è l'unica cosa che sono e che voglio essere, ma è un punto di partenza.»
Inizio a strappare ciuffi d'erba per stemperare l'agitazione.
«Posso leggere?» domanda lui con gli occhi già incollati sulla mia grafia.
Annuisco.
«Sei la persona che più mi scava dentro. Lo fai sbattendomi in faccia la verità, sempre.
Lo fai anche solo guardandomi. Nessuno mi guarda come fai tu, James nessuno.
Non ho mai sentito qualcuno desiderarmi così tanto e, allo stesso tempo, che io desiderassi così tanto. C'è qualcosa di fisico che mi attira a te e che si mescola alla tua anima, perché guardarti negli occhi è come guardarmi nell'anima. Mi fai sentire piccola e grande e allo stesso tempo. Non metti nessuno in cattiva luce per risultare migliore. L'hai fatto solo con te stesso, mettendoti in secondo piano. E non devi più farlo perché vali troppo»
James compie una pausa per darmi un bacio a stampo poi continua.
«A volte ho questo stupido pensiero. Che tu sia il sole e gli altri ti girino intorno. Ci ho pensato tanto. Forse siamo tutti piccole stelle, piccoli rimasugli di te. Ti metti da parte per lasciare che siano gli altri a brillare. Perché il modo in cui dici sempre che io ti faccio sentire... non è nulla in confronto a come tu fai sentire me. Speciale. In ogni gesto.»
«Faccio schifo, sono pensieri sconnessi..»mi lagno con un filo di voce.
«Zitta e lasciami leggere.»
James mi sposta una ciocca dietro l'orecchio obbligandomi a curvare il collo.
«Mi fai sentire speciale anche quando non ho voglia di vestirmi o preparami. Quando sono senza trucco o in pigiama. Perchè tu sei il ragazzo che è in grado di far sentire bella una ragazza anche in pigiama. Ed è speciale anche il modo in cui ti preoccupi per tuo fratello e persino per le persone che dici di odiare. A parole dici cose, ma poi con i fatti, fai tutt'altro.»
James a quel punto si ferma e sorride con due fossette profonde a scavargli le guance.
«Mi stai dicendo che sono incoerente?»
«Un po'.» ridacchio. «Okay ora i difetti. Sei troppo competitivo»
«Non posso essere perfetto.»
«Non mi lasci mai vincere ai videogiochi!» mi lamento.
Scoppiamo a ridere.
«E lo stesso vale per tuo fratello. Will e Jas li tratti alla pari. Anche a costo di essere crudo. Mi hai insegnato a combattere. E non solo con le lezioni di autodifesa.»
«Che dobbiamo riprendere.» incalza lui, prima di tornare a leggere.
«Mi hai insegnato che vale la pena combattere per gli altri. Che va bene mettere da parte l'orgoglio per chiedere qualcosa. Dopo la morte di August io ero una solitaria.
Diffidavo di tutti. Poi però ho cominciato a fidarmi di te. Tu mi hai insegnato che c'è del buono negli altri e che insieme possiamo farcela. Tu vedi il buono degli altri anche se gli altri ti fanno del male.»
«Questa è stupidità, sono un coglione» commenta indicando la frase.
«Non è stupidità. Questo è altruismo, perché consideri le difficoltà degli altri più importanti delle tue.» commento provando a strappargli il foglio dalle mani.
Lui però riesce a terminare la lettura.
«Mi hai insegnato a piangere. Perché avevo disimparato anche una cosa così semplice. Non hai paura di piangere e nemmeno di amare. E questo è stato il tuo insegnamento più grande.»
«L'ho fatto scucire e ci ho messo tutto dentro. I post-it, il sassolino. Voglio custodirli qui.»
Spiego sollevando il mento per prendermi il suo bacio e distogliere le attenzioni dalle parole appena lette.
«Tienilo tu, June. Tanto il mio cuore è tutto tuo e sempre lo sarà.» sussurra con voce raschiata.
«Che c'è ora? Perché ho paura?»
James sgrana gli occhi davanti alla mia aria compiaciuta.
«Ora mangiamo.» annuncio sorridendo prima di aprire le confezioni ermetiche che ho posizionato sull'erba.
«Ma...»
James sussulta quando scopre che ho portato della frutta.
«Cosa? Pensavi ci fossero torta e patatine fritte?»
«Beh tu mangi quella roba.»
Gli do una spallata che però non sortisce effetto.
James sembra assorto nei suoi pensieri, finché non li comunica ad alta voce
«Mi piace quando fai questa cosa.»
«Cosa?»
«Quella di preparami il cibo e ricordarti ogni minimo dettaglio.»
«Cioè?»
«Che sia mio fratello o il mio migliore amico. Sei una spalla per me, non sei solo la mia ragazza.
Mi rendi fiero ogni volta che mi proteggi e ti arrabbi per difendere me o i tuoi ideali.
Non ti pieghi davanti a niente ma... sei competitiva anche tu.»
«Beh se facessimo una gara vincerei io.» ribatto orgogliosa.
«Anche gara di baci?» mi provoca lui con un sorrisetto.
«Dai scommettiamo...che cosa però?»
«Che non riuscirai a resistermi, Biancaneve»
«Tu non riuscirai a resistermi, Hunter.»
«Non possiamo baciarci?»
«A partire da ora.» annuncio pentendomene subito.
Le sue labbra piene si avvicinano pericolosamente.
«Però sai cosa...»
«Mmm?»
«Magari giusto l'ultimo bacetto» sussurra premendo la bocca soffice sulla mia.
«L'ultimo sì.»
«Facciamo che è questo l'ultimo.»
In un attimo mi ritrovo sopra di lui e se le nostre lunghe vorticano impazzite, non riusciamo a staccarci le mani di dosso.
«James...»
«Hai il vestito lungo non ci vede nessuno...»
James si sbottona i pantaloni, poi prende la mia mano e la spinge sotto al vestito.
Si passa la lingua sul labbro e sotto al pollice avverto la sua vena gonfiarsi.
«Stai bene?» chiedo nel vederlo poggiare la fronte sulla mia.
«Cazzo sì, tu mi fai bene»
Prendiamo a baciarci e le mie mani viaggiano rapide sulla sua camicia, finché lui mi ferma prima che possa sbottonargliela.
«Ho capito che vuoi succhiarmelo e non ti biasimo, ma ora vieni con me.»
«Ma come fai a dire...» Non posso continuare che lui mi zittisce con un bacio. «Cose così carine e volgari nello stesso tempo?»
James si alza in piedi e mi porge la mano.
«Vieni, voglio ballare qui. Nel bel mezzo del campo.»
«Non c'è musica....»
«Io e te abbiamo bisogno di musica, Biancaneve?»
Poi però si fa serio, la mia mano è ancora stretta nella sua.
«Sai perché ho scelto l'anulare sinistro?»
«Dillo tu. Mi piace sentirti dire cose romantiche.»
«Secondo gli antichi da questo dito passerebbe una vena che conduce dritta al cuore»
James si porta la mia mano sul petto.
«Esattamente dove stai tu.»
«Immagino che porti anche un po' piu basso»
«Vedo che li fai sempre i compiti.»
Scoppiamo a ridere e prima di lasciargli un altro bacio, mi ricordo di una cosa.
«A tal proposito... Lunedì non vengo a scuola, andrò da Jasper per la presentazione del robot.»
«Hai organizzato tutto tu?»
«Ho convinto Jordan a parlare con le maestre e loro hanno accettato.»
«Lo farai davvero?»
James mi guarda dall'alto, sembra aspettare solo una mia reazione.
«Perché non dovrei? Te l'ho detto che l'avrei fatto.»
«Non lo so...»
«Anche mio padre diceva sempre che sarebbe venuto, che avrebbe chiamato, e non l'ha mai fatto. Non voglio che Jas si senta così» spiego sottovoce.
«Nemmeno io. L'ho lasciato solo troppe volte.»
Mi stringo a lui e nel cielo scoppia una rivolta di fuochi d'artificio.
«William, ma che cazzo... ci farà espellere tutti.»
Lunedì arriva prima del previsto e mi dirigo a scuola di Jasper con un po' di agitazione nel petto.
Mi schiarisco la voce, perché dover parlare davanti a una classe di ragazzini scalmanati, so già che non sarà facile.
«Potete fare... potete per favore...»
La maestra ha meno polso di me con i suoi alunni.
Colton si alza in piedi e mi indica.
«Guardate chi c'è!»
«Hai visto? Ho mantenuto la mia promessa, Cotton.»
Lui incrocia le braccia e si rimette a sedere con aria intimidatoria.
«Voglio proprio vedere.»
Jasper si alza in piedi e si posiziona di fianco a me, siamo entrambi davanti alla lavagna.
Posa il robot sulla cattedra, poi fissa un punto avanti a sè.
Okay, ricevuto, tocca a me parlare.
«Jasper ha preparato il robot per il compito di fisica, ma....»
Prendo un lungo respiro. Ce la puoi fare, June.
«Questo robot sa anche leggere le emozioni.»
Un parlottio diffuso si sparge a macchia d'olio nella classe.
«Jasper imposta la sua emozione, così voi capite di cosa si tratta. Vi faccio vedere una cosa.»
«Già. Faccela vedere» ridacchia Colton i suoi amici maleducati.
Jasper manovra un tasto e gli occhi del robot si illuminano di rosso.
«Jasper è arrabbiato quando il robot diventa di questo colore.»
Lui annuisce e subito dopo gli occhi lampeggiano di un verde acceso.
«Quando invece diventa di questo colore, significa che è contento.»
«Okay abbiamo capito.» mormora Colton annoiato.
Jasper si infila le cuffie, poi manovra un telecomando e collega il robot ad una cassa audio Bluetooth.
«Il robot può anche riprodurre i rumori nel modo in cui li sente Jasper.»
«Scusa» mormoro prima di compiere il mio gesto.
Prendo la matita e la getto a terra.
Un boato si sprigiona dalla cassa.
I ragazzini si spaventano e saltano sulla sedia, nessuno se lo aspettava.
«Questa è la riproduzione di ciò che sente quando gli fai cadere la matita.»
«È solo una matita» minimizza Colton, stavolta però non è spalleggiato dai suoi amici che sembrano più impauriti di lui.
Annuisco, quindi Jasper clicca il tasto, di nuovo.
E di nuovo quel fragore.
«Okay ho capito. Non lo sapevo...»
Colton comincia a battere la punta delle dita sul banco.
E Jasper pigia un altro tasto. Il rumore fastidioso simile ad uno stridere di unghie si espande nell'aula.
«Vieni qui Colton.»
Il ragazzo si guarda in giro spaesato.
«Vieni, non ti faccio niente.» proseguo io.
A quel punto il ragazzo si presenta davanti alla lavagna.
«Mi hanno detto che ti lamenti perché per via di Jasper dovete tenere le persiane abbassate quando c'è troppo sole. Mettiti con il viso vicino al robot. Ti mostrerò cosa significa.»
Colton si curva sulla superficie della cattedra.
Il robot comincia a sparare luci a intermittenza, quindi il ragazzo si copre il viso con la mano.
«Cazzo.»
Jasper è in soggezione a stare al centro della attenzione, perchè in breve tempo tutti i suoi compagni si avvicinano, interessati a voler provare il suo robot.
Vedo Jordan fare capolino sulla porta. Jasper però gli lancia un'occhiata distratta.
Non posso dirlo con certezza, ma sembra triste, non era suo padre che si aspettava di vedere.
So che James aveva il terrore che suo fratello ci rimanesse male per qualcosa, ma non il non presentarsi mi sembra un po' eccessivo.
«Posso sedermi nel banco vicino al tuo?» Jasper arrossisce nell'udire la voce femminile.
Pigio un tasto e gli occhi del robot diventano rosa.
«Cos'è quello?» chiede Violet indicando il robot.
«Questo è quando Jas si sente strano.»
«June» mi sgrida Jasper, ma Violet si ruba tutte le sue attenzioni.
«Intendo per tutto l'anno scolastico, non solo oggi»
Lui annuisce, poi si volta verso di me.
«Grazie.»
E in quel momento James appare sulla soglia.
«Jas c'è tuo fratello.»
E finalmente i due si abbracciano.
Io sorrido finché i miei occhi non cascano su mia madre.
«Mamma cosa ci fai qui anche tu?»
«L'ho portata io.» spiega James.
Lei mi abbraccia e non dice nulla, ma io capisco che forse un po' di orgoglio lo sta provando anche lei.
«Jasper vorrebbe dei popcorn. Andiamo a casa?»
propone James nel notare che la campanella è suonata.
«Andiamo a casa mia? Da voi non c'è il gelato al limone.» suggerisco io.
James mi guarda male.
«Sì ma oltre al gelato, c'è pure tua madre...»
«Guarda che ti sento.» lo zittisce lei, facendo ridere Jasper.
Alla fine è quest'ultimo a decidere e ci ritroviamo a trascorrere il pomeriggio in camera mia.
«Vi ho preparato i popcorn e voi state ancora mangiando il gelato?»
Mia madre entra nella stanza e sorprende me e Jasper guardare a la tv condividendoci una vaschetta gelato, mentre James sta facendo i compiti seduto alla scrivania.
«Io non li disdegno quelli.» faccio cenno di portarmeli.
«James stai facendo i compiti? Incredibile» esclama mia madre.
«April ti stai facendo i fatti altrui? incredibile.» ribatte lui, permaloso.
«James non dice le parolacce? Incredibile.»
Scandisce Jasper con la sua parlata lenta.
Scoppiamo tutti a ridere. Mia madre sembra essere l'unica a guardarci con uno sguardo vagamente assorto.
«Mamma»
«Mhm?»
«Vieni, c'è spazio anche per te.» le dico indicando il letto.
«Io amo Harry Potter. Il mio preferito è il professor Piton»
«Avrei detto avessi una crush per Hagrid, visti i tuoi gusti raffinati» la prende in giro James.
«Cos'hai contro Hagrid?» mi indispettisco io, lanciandogli un cuscino in testa.
Jasper sorride.
«Ti sei divertito oggi a scuola, alla presentazione?» gli domando tra una manciata di popcorn e l'altra.
«Si»
Non ho mai visto Jasper così felice.
E quando sposto gli occhi dal televisore a James, lo vedo sussurrare qualcosa con il labiale.
«Ti amo..»
«Ora zitti» s'intromette mia madre.
«Non dirlo a me, dillo a tua figlia che non sta mai zitta durante i film»
«James!»
«Che ho detto...»
«Che vuol dire?» Mia madre s'insospettisce.
«Niente lascialo perdere.»
Con la bocca distesa in un ampio sorriso, mi sposto vicino a Jasper e lascio un piccolo spazio vuoto al mio fianco. Ma forse vuoto non è.
Ci sarà sempre quello spazio al mio fianco.
JAMES
«Potrei inginocchiarmi qui con un altro anello.»
June ha appena fatto la doccia e io la sorprendo in bagno dandole un bacio che le leva il respiro.
«James, no...»
La sua bocca sa ancora di gelato al limone.
«Ma la realtà è che c'è una cosa che voglio, June.»
«Ti ricordi il desiderio? Quello che hai espresso il giorno del tuo compleanno?»
Annuisce, ma è corrucciata.
«Hai fatto bene a dirlo a voce alta.»
«Perché?»
«L'unica cosa che voglio fare d'ora in poi, è impegnarmi ogni giorno affinché si realizzi.»
«E questo perché, come dice Jas, mi sento così strano...»
«Anch'io sono strana adesso.» sorride lei, mentre io provo a tutti i costi a farle scivolare via l'asciugamano che le avvolge il corpo umido.
«Non è poi così male essere strani...»
«Avete finito voi due?» Ci rimprovera April bussando alla porta. «Ci sono quei delinquenti dei tuoi amici sotto. Ho una cena da preparare. Ce n'è uno alto due metri che mi fa paura e ho come l'impressione si mangi pure il tavolo. Venite a darmi una mano.»
«Mi faccio una doccia e arrivo.»
Mi volto verso il box e sul vetro appannato trovo una scritta fatta con il dito.
Ti amo, cretino.
«White» La blocco prima che raggiunga la porta e vada da sua madre.
«Eh?»
«Vieni qui.»
«No, no. Dai, no mi sono appena lavata i capelli, James no!»
«C'è qualcosa che devi dirmi?» le chiedo spingendola verso la doccia.
«Ti amo anch'io, James.»
Eccomi 🤍
Spero il capitolo vi sia piaciuto... io ho fatto del mio meglio e se così è stato, lasciatemi una stellina così mi fate tanto felice 🫶🏻
Ovviamente l'avventura non è finita qui...
State molto attente e seguitemi su Instagram
(@ stefaniasbooks) che potrei avere qualcosa da dirvi nei prossimi giorni....
Voglio inoltre fare gli auguri ad Alma per il suo compleanno (di qualche giorno fa) da parte mia di sua cugina Becki 🤍
Grazie di tutto e a presto (prestissimo)✨
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