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58. Brother, we go deeper than the ink


𝘔𝘪 𝘷𝘪𝘦𝘯𝘦 𝘥𝘢 𝘱𝘪𝘢𝘯𝘨𝘦𝘳𝘦 𝘢 𝘱𝘦𝘯𝘴𝘢𝘳𝘦 𝘤𝘩𝘦 𝘴𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘲𝘶𝘢𝘴𝘪 𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘧𝘪𝘯𝘦... 𝙗𝙪𝙤𝙣𝙖 𝙡𝙚𝙩𝙩𝙪𝙧𝙖 🫶🏻





JUNE

James ha detto parole intense a casa dei miei nonni. Io ho dato colpa all'alcol, ma il modo in cui mi guardava mentre eravamo insieme, nel letto, sembrava così... reale.

Avrei voluto me ne parlasse, ma lui ha fatto finta di niente, esattamente come dopo il post-it. E io non posso biasimarlo, ha saputo delle condizioni di sua madre solo ieri. E poi...

Will.

Con quella telefonata... Agghiacciante.

James sta tremando. Vedo la sua schiena mossa da scossoni violenti mentre si rialza in piedi, barcollando con una mano pressata allo stomaco. Nell'altra regge ancora il mio telefono.

Poi un rumore strozzato proveniente dal bagno.
Mi affretto ad aiutarlo, ma nel frattempo il suo interlocutore riprende a parlare.

«Guarda che io a Cooper non ho fatto un cazzo. Si è offerto lui di giocare.»

Raccolgo il cellulare che James ha appena poggiato sul lavandino e, dopo averlo aiutato a sollevarsi in piedi, glielo porgo.

«Will non sta più giocando, è in pericolo di vita. Lo vuoi capire?»

James pronuncia quelle parole a fatica, con un soffio di voce, come se non avesse più linfa vitale.

«Uh, vedo qualcuno. È Tom. E ha vinto.» Sentiamo Austin esultare dall'altra parte della linea.

«Ethan...» La voce di James è supplicante, quasi disperata. «Dove siete?»

«Non lo so, in mezzo al nulla.»

Quella risposta ha un non so che di terribile. Lunghi brividi mi attraversano la schiena, inducendomi a sussultare per la paura.

«Che cazzo di risposta è?» James sembra trovare un piccolo lasso di lucidità misto a coraggio.

«Che vuoi Hunter? Se ci tieni tanto, chiamo l'ambulanza... Ma più di questo che devo fare? Ha fatto tutto da solo, lo sai che è pazzo il tuo amico.»

«Sì ma devi farlo subito. Devi dare loro l'indirizzo corretto, noi conosciamo solo le coordinate dello chalet.» James si affanna nel pronunciare quella frase, poi chiude la telefonata.

Le sue mani stanno tremando. Sappiamo entrambi che sulle nostre teste incombe una clessidra che scandisce il crudele scorrere del tempo. Un tempo che sta andando troppo veloce.

«June, non possiamo fidarci di Ethan.»

E senza indugiare oltre, lo vedo scorrere tra le ultime chiamate in uscita.

«Marvin dove sei? Quando hai visto Will l'ultima volta? Will dov'è?»

James aggredisce l'amico con tutte quelle domande, tant'è che il poverino sembra confuso.

«Con calma. Allora... Ehm...L'ho visto in salotto con Brian qualche ora fa. Io e Poppy abbiamo fatto compagnia a Jasper. Siamo stati in camera sua a guardare un film e quando si è addormentato, siamo stati... Beh, sono affari nostri.»

«Quindi Will era con Brian?»

«Prima sì, ora non lo so.»

In quell'istante io e James ci guardiamo, ed entrambi pensiamo alla stessa cosa.

«Non so se ti sono stato d'aiuto, James.»

Non aspetto che James metta giù e chiamo Brian, immediatamente.

«Lo sei stato Marvin, grazie.»

Balziamo quindi da una telefonata all'altra, in preda all'angoscia. I minuti sono contati e avverto il peso di ogni secondo che fluisce, sfuggendoci dalle mani.

«Brian, Will è in pericolo.»

«Ma se fino a poco fa eravamo...»

Brian a quel punto si blocca, gli basta un attimo per realizzare.

«O no... Fatemi uscire, cazzo!»

Lo udiamo dapprima sbraitare, poi ci sembra di sentire il tonfo di una portiera.

«Brian, dove ti trovi?» domando io, a quel punto.

«Will si è lasciato trascinare in questa cosa. Una cazzata fatta per noia. Eravamo con gli Austin e altri due tizi... Questi hanno proposto un gioco e lui ha accettato di parteciparvi.»

«Lo sapevo, cazzo. Lo sapevo» mugola James, sofferente.

«Tom è appena arrivato.» Brian compie un'altra pausa, questa volta per parlare con qualcuno che è lì con lui.

«Tom, dov'è Will?» lo udiamo domandare.

«Non lo so, era molto più indietro di me. Faceva freddo, io ho cominciato a correre...»

«Brian.» Il tono di James si fa duro. «Apri le orecchie.»

James esala un respiro pesante, le parole però, sembrano bloccarglisi nella gola. Schiude le labbra ma queste non lasciano trapelare un suono.

«Sei l'unica occasione che abbiamo per salvarlo.» intervengo decisa.

«Di che parlate esattamente?» chiede Brian.

«Will ci ha chiamati. Ha avuto un incidente, penso sia caduto.» spiega James.

«Cazzo, spero non nel ghiaccio. Aveva le mani legate quando l'abbiamo lasciato nel bosco.»

Nel sentire l'uscita di Brian, io e James ci giriamo all'unisono. I nostri sguardi collidono, intuiamo entrambi che il conto alla rovescia stia volgendo al termine.

«Brian, ti supplico. Ti scongiuro, devi andare. Abbiamo chiamato i soccorsi e stanno arrivando, ma non sappiamo quanto ci metteranno. Non hanno le coordinate precise.» insisto io.

«Io posso provare a...» Brian esita, quindi James prende la parola.

«Tu non provi, Brian. Tu lo fai.»

Le palpebre di James vengono mosse da un tremolio. Ha paura di serrarle, come se il pianto potesse ritornare da un momento all'altro.

«Sei l'unico che può salvare Will.» lo sento sussurrare con voce tremolante.

«Va bene.»

Il respiro di Brian prende a farsi più affannoso, sembra stia correndo.

«Provo a ripercorrere le orme di Tom. Le impronte sono ancora fresche. Vi richiamo tra poco.»

James a quel punto mette giù, poi, sotto al mio sguardo esterrefatto, esce dalla camera.

«James!»

Lo rincorro, ma il mio richiamo sembra scivolargli addosso.

«Dove stai andando?»

Da sotto arriva il vociferare della mia famiglia, probabilmente sono ancora tutti a tavola.

James entra nella camera degli ospiti che condivide con Jackson, e qui troviamo proprio il biondo, che si sta cambiando.

«Che succede?» salta su Jackson nel notare le nostre facce preoccupate.

James però afferra una felpa e dopo averla indossata, sfreccia fuori dalla porta.

«James dove vai?» urlo questa volta.

«Will è in pericolo, non hai sentito?» mi rimprovera lui.

«Cosa?»

Jackson ci raggiunge in corridoio tutto trafelato, quindi sono costretta a spiegargli brevemente la situazione. James intanto ne approfitta per scendere al piano di sotto.

«Ma dove stai andando?» Anche Jackson prova a farlo ragionare, ma James sembra ostinato ad uscire di casa.

Filiamo rapidi per il salotto, dove mia madre è a tavola insieme alla mia famiglia. Ci fissa con un cipiglio. Io dal canto mio le rivolgo un cenno con la mano, per suggerire un "ti spiego dopo".

«James, ascoltami.»

Siamo già alla porta d'ingresso quando, esausta, lo richiamo per l'ennesima volta.

«Dove state andando voi tre? C'è una tempesta di neve là fuori.» Ci ricorda mio nonno.

«Infatti vado io. Voi due restate qui.» James si rivolge a me e al biondo.

«James, non dire cazzate. Non possiamo stare separati, abbiamo tutti bisogno l'uno dell'altro. Soprattutto in momenti delicati come questi.» afferma Jackson.

James però non ci sta a sentire, si sta già infilando le scarpe.

«Non ha senso fare tutte quelle ore di viaggio ora, con una bufera imminente.» proseguo io, senza smuoverlo minimamente.

Lui seguita a voltarci le spalle e, senza dire una parola, afferra la maniglia della porta d'uscita.

«James! Non mi stai ascoltando!» esclamo a quel punto, sempre più inviperita.

«Non me ne frega un cazzo.» erompe lui voltandosi di scatto.

La mia faccia si deforma in un'espressione sbigottita e quando incontro le sue iridi lucide, sussulto.

«Scusa.» aggiunge subito dopo.

«L'amore è una tenera cosa? "È troppo rude, troppo brutale, troppo aspro e punge come una spina."»

La nostra discussione deve essere giunta fino al salotto, perché qualcosa induce May a citare Shakespeare.

«Lo so che la situazione sembra grave, ma sbaglio, o quei due hanno addosso dei pigiami con i pinguini natalizi?» sogghigna Bradford.

James spalanca la porta e la folata gelida che mi trapassa è così intensa, che per poco non casco a terra.

«James, non farlo. Metti a rischio la tua vita.» Non demordo e lo seguo fuori, dove la notte è una scatola nera e ghiacciata.

Una fitta lancinante mi trafigge lo stomaco quando le mie ciabatte sprofondano nella neve fresca che mi solletica le caviglie.

«Non posso lasciarti andare. Non in macchina e non con questo tempo.»

James prosegue dritto, giunge all'auto parcheggiata sotto al manto di neve. A quel punto guardo Jackson per cercare la sua complicità, ma lui china il capo, afflitto.

«Non puoi James.» sento il biondo mormorare sottovoce.

«Perché?» chiede James senza voltarsi.

«Perché ho già visto i miei genitori morire in questo modo.»

La voce di Jackson fende l'aria fredda e mentre i nostri sguardi di piombo cascano al suolo, arriva la chiamata di Brian. James estrae il cellulare.

«Parla.»

Io e Jackson ci raccogliamo intorno a James e attendiamo con il fiato sospeso.

«L'ho trovato.» annuncia il moro.

Ci scambiamo delle occhiate felici, ma al contempo terrorizzate.

«È vivo? Dicci solo questo.» esclamo concitata.

«Ha perso i sensi.»

Ci cristallizziamo all'unisono. Nessuno muove un muscolo, intanto Brian prosegue.

«Non risponde, ma c'è battito. È ancora vivo.»

La mia pancia si svuota. James chiude gli occhi, mentre Jackson si porta entrambe le mani sul viso.

Da lì in poi, le frasi di Brian giungono confuse, si accavallano tra loro.

«L'ho trovato svenuto su una lastra di ghiaccio, con il cellulare poco distante. Ho il sospetto gli sia scivolato» Brian compie una piccola pausa. «Lo stronzo è più pesante del previsto.»

«Lo stai trasportando?»

«Sì. Ho sentito il suono dell'ambulanza, i soccorsi sono vicini. Sto andando incontro a loro.»

Nonostante il lungo sospiro di sollievo, James vuole assicurarsi che Will sia effettivamente vivo e vegeto.

«Come l'hai trovato? Dov'era? Mi aveva detto di essere caduto in acqua.» domanda con apprensione.

«Credo sia scivolato. L'impatto avrà creato una crepa nel ghiaccio o forse non si è accorto che camminava su una lastra troppo sottile. L'ho trovato con metà corpo in acqua. Fortuna che non è scivolato del tutto.» boccheggia Brian, che sembra tremare.

«Perché cazzo aveva le mani legate?» si innervosisce James.

«Era uno stupido gioco. L'avevamo lasciato con i polsi legati, ma ora l'ho trovato con le braccia libere. La corda si sarà allentata in acqua, non so. Avrà usato tutte le energie per liberarsene e poi è svenuto.»

«Cazzo..» impreca James  «E tu... Ti sei buttato in acqua?»

«Sì.» replica Brian con l'affanno di chi sta trasportando un peso.

Io rimango con una mano premuta sulla bocca, Jackson mi abbraccia.

«Hai fatto la cosa giusta» afferma James, annuendo.

«Sono arrivati i soccorsi.» ci informa Brian, ormai senza respiro.

«Cosa dicono?»

Restiamo in silenzio, i minuti che ci separano dalla risposta sembrano infiniti. Ha ricominciato a nevicare e io ho solo l pigiama addosso, ma non sento nemmeno più il freddo.

«Lo coprono e lo portano immediatamente via.»

«Che dicono? C'è un medico?» incalza James.

Brian a quel punto sembra espirare a lungo.

«Non lo so, ma... Non ho una bella sensazione.»









Io, James e Jackson rientriamo in casa con lo stomaco in subbuglio. Siamo sollevati, perché Will è vivo, sì, eppure non riusciamo ad esultare. Non riusciamo ad essere del tutto felici, forse perché non sappiamo cosa sia successo, né come Will stia realmente. Brian però ha promesso che ci richiamerà di nuovo, dobbiamo solo dar loro tempo di giungere all'ospedale.

«È successo qualcosa?» mi interroga mia madre quando mi vede passare dal salotto, tutta tremolante.

«Perché James voleva andarsene?» domanda mia zia.

«Non cenate?» Ci si mette anche mia nonna.

«Ma non abbiamo mangiato fino a due ore fa?»

I miei occhi inseguono James che sale al piano di sopra.

«Scusate, devo andare.»





JACKSON

La famiglia di June è impicciona, a volte caotica, ma sempre simpatica. Come lei insomma.

Sto ancora provando a riprendermi da ciò che è accaduto a Will e nel frattempo continuo a sbloccare il cellulare.

Non so cosa io mi aspetti di trovare, ma attendere le notizie da parte di Brian è una cosa estenuante, quindi non posso fare a meno di sfogare così il mio nervoso.

Ci sei ora?

Blaze.

La sera del ventiquattro non l'ho richiamato, ma ero stanco dopo aver guidato tutte quelle ore.
Lui mi ha detto di non preoccuparmi, ma l'ha comunicato con il classico tono di chi è stufo di essere messo in secondo piano.

Ti posso chiamare più tardi? gli scrivo.

Non risponde.

Uno, due, dieci minuti.

Forse è meglio se lo chiamo.

Così clicco sul suo nome, lui però non risponde.

«No Scarabeo è noioso. Giochiamo a Monopoli» s'impone la nonna di June, tentando di sovrastare la volontà del povero nonno.

«Scarabeo è un gioco di abilità. Monopoli di fortuna, March.»

«Bene. Allora spera di essere fortunato nel gioco quanto in amore.» lo canzona lei.

«Jackson, fai coppia con me?» 

Bradford mi stuzzica con quella domanda quando mi vede arrivare con tanto di espressione mesta e il cellulare tra le mani.

«Chi era? La ragazza?»

«No.»

«Il ragazzo?»

Abbasso il capo.

"Non sono cazzi tuoi" vorrei rispondergli, ma la nonna di June tende il collo nella nostra direzione.

Incredibile, sono proprio uguali.

«Oh, il tè è pronto. Voi preparate il Monopoli. Visto che siamo troppi, giochiamo a coppie.»

Gonfio le guance prima di lasciarmi andare ad un grosso sbuffo.
Bradford manovra i capelli mossi e mi fissa con i suoi occhi scuri.

«Puoi approfittarne per sfogarti, hai tipo dieci minuti prima che ritorni l'impicciona.»

Mi siedo accanto a Bradford, nel posto che May ha lasciato libero per andare ad aiutare sua madre in cucina, insieme al papà di June.

«Non lo so, non c'è molto da dire. C'è questo ragazzo...»

«L'avevo capito.» m'interrompe lui, beccandosi una mia occhiataccia.

«Inizialmente non l'ho trattato bene, però le cose tra noi funzionavano. Poi non so, è cambiato...»

«Le persone cambiano.» commenta lui.

«Sì ma vorrei capirne il motivo. Finché io ero inarrivabile, sembrava che lui mi desiderasse e anche tanto, ma ora...»

«Gli altri lo sanno?»

«Non suo padre, non i miei nonni.» bofonchio guardandomi in giro con aria circospetta.

«Inizialmente voleva ne parlassi con gli amici.»

«E tu l'hai fatto?» domanda Bradford.

«No. Ma è come se lo avessi fatto.»

«Forse il tuo ragazzo vuole di più.»

«A volte è come se a lui interessasse solo il sesso e nient'altro. Lo so che non è così, ma perché non vuole dimostrarmi il contrario?»

«Magari non riesce a dimenticare tutto quello che gli hai fatto passare prima. Non ci hai mai pensato?»







JAMES


«James...»

Prima che June possa entrare in camera da letto, frappongo il braccio tra il suo corpo e la porta, per impedirle di passare.

«Ho bisogno di stare da solo. Dammi un attimo.»

Mi arresto sulla soglia e la fisso dall'alto. Lei mi osserva con attenzione.

«Va bene, ma se hai bisogno...»

«Due minuti, chiamo Jasper e torno giù.» provo a rassicurarla con il magone nel petto.

June mi volta le spalle e quando la vedo percorrere i primi due scalini, mi lascio andare ad un respiro ansante.

«June, prima non volevo risponderti in quel modo...»

«Non preoccuparti.»

Mi avvicino a lei e dopo essermi liberato della mia felpa, la invito ad indossarla.

«Stai tremando.»

Lei se la infila, poi curva di poco il capo per rivolgermi un sorriso triste, infine scende le scale lasciandomi da solo.

Decido di chiamare Jasper.

Due tentativi, ma lui non risponde, forse sta dormendo.

Mi libero anche della t-shirt e mi accorgo che, sebbene fuori la temperatura sia sotto lo zero, io non riesco a fare a meno di provare un caldo insopportabile.
Esco quindi in balcone per fumare una sigaretta e quando chino il capo, realizzo di avere ancora addosso quegli stupidi pantaloni con i pinguini travestiti da Babbo Natale.

E poi non ho voglia di tornare giù, tutti mi hanno visto fare quella scenata.

Non riesco più ad aspettare, supero l'orgoglio e chiamo Brian.

«Dove siete?» gli chiedo senza nemmeno salutarlo.

«Siamo all'ospedale. Ci sono anche Marvin, Tiff e Taylor. I medici non sanno ancora dire nulla. L'unica cosa che ripetono è che sia fuori pericolo.»

«Vuol dire che sta bene, può tornare a casa?» azzardo a quel punto.

«No, James. No.» Lo sento compiere una pausa sofferta. «Will respira senza macchine e ha ripreso coscienza. Appena ci dicono di più, ti avviso.»

C'è un attimo di sospensione, momento in cui tra noi s'insinua un "grazie" silenzioso.

«Sua madre?»

«È stata avvisata. Sta cercando un volo per venire qui, ma visto il periodo natalizio, è davvero difficile...»

«Brian...» lo interrompo.

Grazie.

«Ci sentiamo domani mattina.»

Sono ancora immerso nei miei pensieri, quando chiudo la chiamata e d'un tratto alla porta bussa qualcuno.

«June, dammi ancora...»

Mi sporgo verso la camera, ma invece che June, intravedo la sagoma di sua madre.

«Non scendi, James?»

«Ti ha mandato tua figlia?»

«No.»

«Non mi va di scendere.» sbuffo tornando in balcone.

«Perché?»

Mi appoggio con la spalla al muro esterno della casa, mentre lei esce con uno scialle avvolto intorno alle spalle tremolanti.

«Vuoi fumare?» le chiedo indicandole la sigaretta accesa.

«No. Ma non hai mai freddo?» Lei si acciglia nel vedermi a petto nudo.

Ma per me il dolore e il caldo hanno lo stesso sapore.

«Ho bisogno del tuo aiuto.»

April curva la testa a lato e mi studia attentamente.

«Per cosa, James?» domanda diffidente.

«Non ho fatto alcun regalo a June, per Natale. Vorrei portarla a trovare suo fratello.»

Sollevo lo sguardo dalla sigaretta che stringo tra indice e medio, e noto subito il suo sopracciglio inarcato.

«Non...Suo...»

April sembra destabilizzata.

«Vuoi dirmi che non è il caso?» la interrogo, confuso dalla sua reazione.

«June non ci è mai andata. Forse perché non sa dire addio.»

«Posso portarcela domani, prima che torniamo dagli altri?»

«Ne sarà contenta.»

«So di aver fatto quella scenata, prima...»sussurro con un pizzico di vergogna.

«Va bene così, James. June mi ha spiegato la situazione.»

«Non avrei dovuto alzare la voce.»

I miei occhi sono lievemente offuscati, ma riesco a scorgere il suo sguardo fisso su di me.

«Cosa c'è? Perché mi guardi?» mi agito.

«Sei diverso. Non sembri lo stesso ragazzo violento e arrabbiato che ho conosciuto mesi fa.»

«In realtà io sono sempre lo stesso.»

Ma tu non sei come lei.

«Ne sei sicuro, James?»

Annuisco.

«Sì, sei tu ad essere diversa





La mattina seguente mi sveglio nel letto a castello che divido con Jackson. Mi ritrovo una coperta addosso e, al fondo del letto, vi sono i vestiti che ho lasciato in camera di June.

Dev'essere passata nella notte.

Quando mi alzo sono le sei e mezzo. Nonostante l'orario però, decido di chiamare Marvin che, come da previsione, non risponde alla mia telefonata.
Mentre mi lavo i denti fisso la mia immagine riflessa nello specchio. Sono sudato, gli occhi gonfi e arrossati. È stata una nottata del cazzo, piena di incubi tant'è che non vedevo l'ora di alzarmi. Mi ritrovo stanco e sudato, quindi m'infilo sotto la doccia, poi, mentre attendo che Brian mi richiami, scendo per bere un caffè.
La camera delle ragazze ha la porta chiusa, segno che probabilmente stiano ancora dormendo.
Stravolto, entro in cucina, dove mi accoglie un dolce profumino.

La nonna di June sta ripulendo la cucina.

«Oh Jamie. Che bella sorpresa.»

«Buongiorno March.»

Lei si protende verso di me, quindi mi abbasso e le lascio un bacio sulla guancia.

La cucina sembra un campo di battaglia, ma la tavolata è traboccante di dolci.

«Mi sveglio alle quattro, si vede?» si pavoneggia lei, con tanto di sorrisetto sornione.

«L'avevo intuito.»

«Mangia quello che vuoi.» suggerisce poi, allungandomi un vassoio di ciambelle glassate.

«No, grazie.»

L'occhiatina che mi scocca dal basso è funesta.

«Senti un po', giovanotto... Ti ho visto ieri.»

Il suo tono serioso mi fa sorridere.

«Cosa avresti visto?»

«Ti ho visto pensare. Minuti e minuti. Cosa ci sarà mai da pensare davanti ad una fetta di crostata con la panna?»

«Beh... Tipo che non è un alimento sano? Che tutte quelle calorie hanno senso solo quando ci si allena?»

Pensavo di mandarla in confusione con quella motivazione, ma la nonna non sembra affatto turbata, anzi, è piuttosto lucida quando si avvicina per rispondermi.

«Ti dico una cosa, caro Jamie. Il cibo non è una ricompensa.»

In quel momento udiamo dei passi provenire dalle scale, quindi la nonna torna ai fornelli, mentre io mi accomodo al tavolo con la mia tazza di caffè. Sollevo lo sguardo e riconosco subito la sagoma che mi si presenta davanti. I capelli biondi le cascano scompigliati sulle spalle mentre i suoi occhi bellissimi assonnati trovano subito i miei. Sento il cuore fare un balzo.

«Che è successo ieri, Biancaneve?»

«Che vuoi dire?» domanda sedendosi di fronte a me.

«Ti ho aspettato su quel cazzo di letto a castello.»

Lo sussurro con un filo di voce, pur di non farmi udire da April, che giunge subito dopo.

«Sono venuta da te dopo la partita di Monopoli, ma dormivi già. Non potevo permettere a quei due di vincere, io e May abbiamo lottato fino alla fine.»

«Hanno vinto loro...» Sbuffa May, arrivando alle spalle di April.

La cucina si popola velocemente.

«Bradford è un genio, potete dirlo. Nessuno vi contraddirà.»

Ridacchia il ragazzo, lanciando un'intensa occhiata lungo il mio corpo. Occhiata che sembra far ingelosire June.

Quest'ultima, compie il giro del tavolo per poi accomodarsi di fianco a me.
Evito di farle battutine su quanto sia possessiva, anche perché la cosa non mi disturba affatto, anzi.

Senza pensarci due volte le discorso i capelli dal viso e le lascio un bacio sul collo.
Io e June siamo labbra contro labbra quando arriva anche il nonno.

«Che mi dici delle condizioni meteo di oggi?» gli domando staccandomi dalla nipote.

«Miglioreranno.»

«Quindi possiamo viaggiare?»

«Beh, le strade saranno già pulite a quest'ora. Dipende se intendi l'autostrada o...»

«Potrebbe essere un'emergenza, papà» taglia corto April prima che suo padre si perda in infinite spiegazioni.

«Allora vi do la mia benedizione.»

«Che benedizione?»

Il padre di June irrompe in cucina freddando gli animi.
June si alza immediatamente, sembra non riuscire a stare allo stesso tavolo insieme a lui.

L'uomo quindi, si siede di fronte a me. Io seguito a sorseggiare la mia tazza fumante, i nonni intanto battibeccano tra loro, mentre April e June si occupano dei caffè. Ad un tratto delle urla ci colgono di sorpresa. I figli del padre di June vengono a reclamare cibo come dei selvaggi affamati.

«Ti piacciono i bambini?» Mi chiede lui, indicando i marmocchi scorrazzanti.

«Più che altro, mi piace provare a farli.»

Poi mi alzo in piedi e mi dirigo al piano di sopra per preparare le mie cose in vista del viaggio.





«Hai fatto le valigie?» chiedo a June, mentre lei sta già curiosando nella mia stanza.

«Vuoi partire ora, James?» Lei si fa sospettosa.

«Sì, perché?»

«Dove state andando? Perché avete così tanta fretta di andare?» chiede May, irrompendo in stanza con un tono vagamente inquisitore.

«Ehm...»

«È successo qualcosa a William ieri, vero?»

Io e June ci scambiamo uno sguardo fugace.

«Sì, ma nulla di cui preoccuparsi.»

Con le parole sembra voler rassicurare sua cugina, ma i suoi occhi azzurri si incupiscono.
May pare un po' confusa dalla reazione di June, ma capisce di doversi levare dalle scatole quando accerchio la guancia della mia ragazza con il palmo della mano, prima di lasciarle un bacio a fior di labbra.

«Voglio portarti in un posto.» le sussurro dolcemente.

«Basta voi due. Mi state urlando in tutte le lingue che sono da solo.»

Solamente a quel punto mi accorgo della presenza di Jackson, che si lamenta nel vederci vicini.

«Se vuoi ti faccio cambiare idea e ti dimostro non sei solo. Sempre usando la lingua.»

Bradford sogghigna, sdraiandosi in uno dei due lettini a castello.

«Vado a dire a mia madre che partiamo tra poco.»

June esce dalla stanza per andare a parlare con sua mamma, io intanto leggo il messaggio di Brian.

sentiamoci verso le due.

Mi fredda lui.

noi saremo in viaggio

lo so, ma ora non sono
ammesse visite e non
sanno ancora dirci nulla

lui sta bene?
potete parlargli?

ora dorme

Rimango a fissare l'ultimo messaggio di Brian e vengo assalito da una brutta sensazione.

c'è altro?

no, ti chiamo io.

A seguito di mezz'ora di preparativi, Jackson aiuta June con la valigia e, dopo aver caricato l'auto, arriva il momento dei saluti.

«Mi raccomando, James.» April mi rivolge un'occhiataccia severa, mentre March mi stritola in un lungo abbraccio.

«Jamie voglio vederti a Pasqua.»

Poi è il turno di salutare il nonno, infine il papà di June. Gli rivolgo un cenno, lui si volta verso sua figlia.

«Mi manderai quelle cose che mi hai scritto?»

Lei scrolla il capo.

«Non per ora.»

E mentre June saluta il restante della famiglia, io mi avvicino a lui per parlargli sottovoce.

«Per il suo prossimo compleanno vedi di fare uno sforzo.»






«May voleva venire a tutti i costi con noi. Di solito non le importa mai di nulla, non l'ho mai vista così interessata a qualcosa. O a qualcuno.»

Sono alla guida e sorprendo June pronunciare quelle parole, con il naso spiaccicato al finestrino del sedile posteriore.

Quando ad un tratto fermo la macchina, lei trasalisce. Non se lo aspettava.

«Abbiamo un sacco di ore di guida davanti a noi, James. Perché ti fermi ora?»

«Jax, aspettaci in macchina.»

Io e June scendiamo dall'auto e prima che lei possa capire dove ci troviamo, le faccio una premessa. «Ci tengo a precisare una cosa.»

«Mmm... sentiamo.»

«Il luogo dove ti porterò non è proprio un posto classico per le sorprese...» annuncio proseguendo verso un cancello metallico.

«Sei carino.» sussurra lei con un sorriso rivolto all'asfalto.

«Aspetta, non sai ancora...»

«Sei molto carino, James» ripete questa volta.

Io inarco un sopracciglio.

«Come lo sai?» Le chiedo mentre lei mi sta indicando un prato ricoperto da un manto di neve fresca. Visto così sembra un luogo incantato, forse un po' meno triste di come me l'ero prefigurato.

«Ormai ti conosco.» Le sue labbra si curvano in un altro sorriso, ma poi restiamo in silenzio. Passeggiamo mano nella mano, fino a quando lei tutto d'un tratto si ferma.

«Mi piace che sorridi. Avevo il terrore che la cosa ti rendesse triste.» confesso con un pizzico di titubanza.

La vedo curvare il capo per ispezionare quella lapide che porta il nome di suo fratello e poco sopra, due date troppo ravvicinate tra loro.

«No, perché dovrebbe rendermi triste? Sono qui con te, non l'avrei mai immaginato mesi fa.» la sento sussultare con un filo di voce, mentre la sua mano stringe più forte la mia.

Nemmeno io.

Restiamo in silenzio per attimi infiniti, le lascio il tempo per mettere in ordine i suoi pensieri, o forse, molto più semplicemente, per rielaborare il suo dolore.

Con la coda dell'occhio la vedo schiudere le labbra più volte, come se desiderasse dire qualcosa, ma le mancasse il respiro, il coraggio. Decido quindi di rompere quel ghiaccio.

«Secondo te gli sarei piaciuto?»

June si gira nella mia direzione e senza nemmeno rifletterci, risolve ogni mio dubbio.

«Gli saresti piaciuto.»

«E a me sarebbe piaciuto lui.» affermo prima di avvicinarmi alla lapide.

Mi sfilo la catenina che porto al collo e la appendo sul lato della lastra di marmo.

Infine ritorno vicino a June e le cingo le spalle con il braccio, prima di baciarle la fronte.

«M'immaginavo di ritrovarmi in un vortice di disperazione, invece...»

«Cosa provi?» le chiedo a quel punto.

«Un senso di vuoto, ma anche di... sollievo.»

Non fiato, lascio che sia lei a spezzare quel silenzio assordante che ci circonda.

«Non l'avrei mai detto, ma...Riesco a pensarci. Ad essere qui, insieme a lui.»

«Credo sia tutto merito del tempo, ora sei pronta a dirgli addio.»

A quel punto le sue mani si aggrappano alla mia felpa e io la stringo più forte a me, quando sprofonda con la guancia nel mio petto.

«Potrei dirglielo sì, ma non voglio. Non voglio che questo sia un addio.»











JASPER


Apro gli occhi.
Il mio sonno non è mai continuo.
Ho dei piccoli risvegli durante la notte.
Li ho sempre avuti.
Mi alzo. Ho sete.
La camera in cui dormo è ordinata.
James ha stranamente messo in fila le sue scarpe. I vestiti sono rimasti all'interno della valigia.
Sa che detesto il disordine.

Dopo essermi lavato il viso e i denti, vado in cucina per fare colazione.

No

C'è un gran disastro in cucina. James è disordinato, eppure sa che detesto il disordine.

Non c'è James

Ma Ari e Poppy.
Stanno preparando la colazione. Vorrei fosse tutto in ordine, ma non è facile convincerle a mettere in ordine. Qualsiasi cosa io dicessi, loro mi guarderebbero confuse. Nella mia testa ho la soluzione, l'ordine. Chiudo gli occhi. Lo vedo. Riesco a vedere questa cucina perfettamente in ordine. Non so dirlo a parole, ma se chiudo gli occhi lo vedo. È tutto in ordine.

Quando riapro le palpebre le ragazze mi si avvicinano.

«Jasper, è tutto okay?» domanda Poppy, intenta a sciacquare la frutta sotto il getto corrente.

Ari la guarda di traverso.

Sono in piedi, immobile. Non so per quanto tempo ho tenuto gli occhi chiusi.

Dove sono tutti gli altri?
Poppy stranamente non parla.
Ari invece, parla sempre come se io non fossi presente.

«James ha detto che la colazione per Jasper deve essere fatta in un certo modo. Lo yogurt va bene, ma dobbiamo separare i mirtilli dalle fragole.»

Poi si volta verso di me.

«Siediti Jas, è quasi pronto.»

Ho fame. Fisso l'acqua ogni volta che Poppy fa scorrere il getto dal rubinetto del lavello.

«Quindi ti piacciono i robot?» azzarda Ari sedendosi davanti a me.

«Ari» la redarguisce Poppy.

"Jasper non parla".

Questo vorrebbe dire. Qualcuno se lo dimentica. Forse perché parlavo prima di cominciare la scuola.

Ho sentito dire che la colpa è di mia madre.
Ho sentito dire che la colpa è del mio ambiente familiare.
Ho sentito dire che sono i miei compagni la causa.

Alle elementari nessuno sembrava fare caso a me, ma iniziate le medie, le prese in giro per il mio modo di parlare e di muovermi, sono divenute feroci. Meno parlavo e meno venivo ferito.
L'unico con cui parlavo era rimasto James.
Poi ho smesso.

Nessuno può farmi del male

È un rapporto di causa-effetto. Un po' come i miei robot. Io scelgo i circuiti da attivare, e in base a quelli, il mio robot si comporta di conseguenza. Io non ho reazioni eccessive e nessuno mi guarda con pena.

Vorrei poter farlo di proposito, ma ormai per me è naturale fissare tutto e tutti a bocca chiusa.

Ari sta ancora parlando, io non sollevo gli occhi dal mio yogurt. Penso ad una cosa.
Vorrei vedere June.

June è viva. Ha tante emozioni sul viso. A volte è una gran fatica individuarle.

Ricordo ancora il libro delle emozioni che mi hanno comprato alle elementari. Le facce là sopra erano diverse, ma io allo specchio ne avevo sempre e solo una.

Non sapevo imitare gli altri e mi hanno preso in giro per questo. "I bambini delle elementari sanno essere crudeli." Dicevano tutti.
Quando James l'ha scoperto invece, mi ha detto un'altra cosa.
"Non importa che faccia farai, Jasper. La tua sarà sempre meglio di quella che faranno gli altri."

Io e le ragazze continuiamo a mangiare e a quel punto nessuno sta più fiatando.
Fisso Poppy. Lei non parla.
Giurerei sia successo qualcosa di brutto.
Quando ho terminato il mio yogurt, lavo il piatto e le mie posate.

Le ragazze lasciano tutto nel lavandino e vanno a prepararsi. Dovrei farlo anch'io, ma delle voci che provengono dal piano di sopra mi distraggono.

«Pensi che l'ho dimenticato? Tu hai provato a rovinare mio padre.»

Sento quelle parole confuse, ma riconosco a chi appartengono. È Ethan.

«Ma quando?» Tom.

«Sei coglione? Hood aveva un esplosivo addosso e voleva farci saltare il locale!»

Parlano in modo losco.

«Hood senti, se gli altri sentono che parlo con te, sono finito.»

Tremo nell'udire quel nome.

«Voglio sentire anch'io, metti il vivavoce»

Grazie Tom.

«Jamie non ve l'ha detto?»

Ethan e Tom sono nella camera della mamma e stanno parlando al telefono con il signor Hood. Lei però non c'è. Non l'ho mai vista da quando siamo venuti qui.

«Siete stati esclusi dal testamento di vostro padre.» Hood.

«Papà non ha mai detto nulla del testamento.» Ethan.

«Non si fida di voi due. James fa tanto il paladino della giustizia e poi non vi dice una cosa così importante? Che razza di famiglia siete?»

«Magari James non lo sa.» Tom.

«Lo sa eccome... L'altro ieri ho trovato un buco in giardino.»

«Eh?» Tom fa quel verso.

«A chi avrebbe intestato tutto?» domanda Ethan.

«A vostra madre.»

«Lei è malata, stronzo. Lasciala fuori.»

Malata?

«Lo so, Ethan. So che è in fin di vita.»

Cosa significa?

«Grazie per averci avvisato, ma forse dimentichi che noi siamo figli suoi e che l'eredità ci spetta comunque.» prosegue Tom. « Quindi che cambia?»

«Non capisci Tom, il punto non è questo. Vi ha esclusi.» insiste Hood.

«Io ho capito il punto.» ribatte Ethan. «Papà non si fida di noi. Dopo tutti questi anni passati a stargli dietro... vuole che sia James a ereditare tutto. Non è nemmeno suo figlio. Che schifo.» sputa riluttante.

James non fa schifo.

Dei passi stanno venendo verso di me, verso la nostra camera. Io indietreggio. Mi ritrovo con le spalle contro l'armadio a muro, quindi decido di nascondermi lì dentro. Chiudo le ante e loro si scambiano altre parole. Stavolta non sento tutto.

«Sono in camera di Jamie. Cosa devo cercare?»

Dallo spiraglio vedo Tom aprire la valigia di James e rovistare nelle tasche dei suoi pantaloni.

«Ecco.»

«C'è documento, vero?»

«È reale questa cosa? Perché dovresti avvisarci di ciò?»

«Voglio solo aiutarvi.»

I due fratelli si guardano.

«Perché odi papà così tanto?» domanda Ethan tornando al telefono.

«Mi ha quasi ucciso, torturato per farmi confessare.» sento Hood parlare.

«Perché papà l'avrebbe fatto?» Tom è confuso.

«Non ve l'ha mai detto?»

«No. Quella sera voleva ne stessimo fuori. Papà ha chiamato William Cooper per fare il lavoro sporco con te. Non te lo ricordi?» Tom.

«C'entrava la mamma, sennò non ci avrebbe mai esclusi e James... non l'avrebbe fatto. Non ti avrebbe mai aggredito.» ipotizza Ethan.

«Sentite, io amavo vostra madre e non le avrei mai fatto nulla di male.»

Bugiardo. Bugiardo. Bugiardo.

«Arriva al dunque. Cosa vuoi da noi? Non dovremmo darti retta, perché papà ti vuole morto. Ti odia.» Tom s'impunta.

«E papà odia noi, dato che ci ha escluso dal testamento.» rimarca Ethan con astio nei confronti del padre.

«Ho una cosa da proporvi.»

Bugiardo.

«Sentiamo.»

Bugiardo.





JUNE



È ormai sera inoltrata quando, finalmente, dopo ore interminabili di viaggio, giungiamo allo chalet. La neve si è già in parte sciolta sui tetti, ma ai bordi delle strade, il ghiaccio è ovunque. Quella vista mi paralizza. Il mio pensiero va a Will. Spero solo stia bene.

Prima di scendere dall'auto James apre il cruscotto e quando l'anta rimbalza verso il basso, rivela un'arma al suo interno.

Sgrano gli occhi.

«Perché hai quella?»

«Quella cosa?»

«Una pistola?»

«Eh?»

«James...»

«Mi serve.»

«Che diavolo è successo mentre io non c'ero?» Mi allarmo, alzando la voce.

«Niente. Mi assicuro solo di farmi trovare pronto, se lo stronzo dovesse mai sbucare fuori.»

«È insieme ad Amelia, secondo te?»

«Non lo so. Ma di sicuro lei non è in pericolo.» replica James, convinto.

Si sono parlati?

«Come fai a saperlo?» domanda Jackson, uscendo dalla macchina insieme a me e a James.

«Brian avrebbe messo sottosopra Los Angeles. Lui lo sa che lei è al sicuro. O perlomeno lo sospetta»

«Brian Hood ha fatto un gesto importante, James.»

Lo realizzo mentre i miei occhi cadono sul torace nudo che James mette in mostra, quando solleva la felpa per infilare la pistola nel bordo dei pantaloni.

«Lo so e gliene sono grato, ma suo padre potrebbe affossare me e Austin in colpo solo. Mia madre è in ospedale. Ora è un bersaglio facile.»

Camminiamo nel buio, avvicinandoci alla porta dello chalet.

«È stata di Austin la decisione che lei andasse a vivere in un altro stato. La voleva lontano da tutto e tutti. Non dico volesse proteggerla, ma... Finora Hood non ha mai saputo dove lei si trovasse.» spiega James, prima di chinare il capo. Sembra sopraffatto nel rivelare quei dettagli.

«Ora occupiamoci di William. Una cosa alla volta.» suggerisce Jackson nel notare come l'amico stia tremando.

Non appena mettiamo piede in casa, Marvin, Poppy e Ari ci accolgono in soggiorno con delle facce tristi.

«Non siamo riusciti a dormire.»

«E Brian dov'è?»

«È in ospedale insieme a Tiff e Taylor. Eravamo lì fino a poco fa, ma non ci andava di lasciare Jasper qui, da solo, di notte, quindi noi tre siamo tornati.» spiega Marvin.

Io e James a quel punto ci precipitiamo in camera di Jasper, che fortunatamente sta dormendo.

«James, hai guidato tutto il giorno.»

Provo a dissuaderlo dall'idea di andare da Will a notte fonda, ma ovviamente è del tutto inutile. Lui sta fremendo.

«Andiamo.»








La sagoma scura di Brian viene rischiarata dalle luci bianche che tempestano il soffitto e che fanno sembrare la sala d'attesa una stanza in cui è pieno giorno. Il moro si sorregge la fronte con la mano. Sembra esausto.

«Sei ancora qui?» erompe Jackson alle nostre spalle.

Brian solleva il capo, ha il viso pallido e due occhiaie profonde.

«Stiamo aspettando il responso del dottore, è tutto il giorno che ci tengono sulle spine.»annuncia una voce conosciuta.

Quando mi volto, noto che insieme a Brian, vi sono anche Taylor e Tiffany, sedute sulle seggiole della sala d'aspetto.

«Abbiamo due notizie. Una buona e una cattiva.»

Il medico sopraggiunge in quel momento, lasciandoci senza respiro.
Jackson a quel punto si siede vicino alle ragazze, mentre io e James restiamo in piedi.

«Parta dalla buona.» lo incalza James.

L'uomo si concentra sulla cartellina che tiene in mano.

«I tessuti di entrambe le gambe presentano delle lesioni. Stessa cosa vale per le estremità.»

«Ho detto di darmi quella buona.» s'indispettisce James serrando i denti.

«Questa era la notizia buona. Stiamo cercando di capire se il congelamento abbia provocato danni profondi, a livello muscolare o neurale.»

Quelle parole mi colpiscono in faccia come uno schiaffo. Taylor, Tiffany e Brian non aprono bocca, sembrano anche loro avere il fiato sospeso.

«Può camminare o no?» sbotta James a corto di pazienza.

«Non per ora.»

«Possiamo almeno vederlo?»

«Domattina. C'è sua madre con lui.»

James sbuffa, ma il dottore prosegue imperterrito.

«Dobbiamo terminare gli accertamenti e assicurarci che l'infiammazione sia solo superficiale, non profonda.»

E senza aggiungere altro, se ne va lasciandoci nella confusione più totale.
James prende a camminare su e giù per il corridoio, io decido di lasciarlo sbollire e intanto mi avvicino a Taylor e Tiffany. La mora ha il viso particolarmente smunto, sembra non dormire da giorni.

«Come state?»

E quando Taylor evita il mio sguardo, inizio ad allarmarmi. Non è il suo modo di fare. Sembra ci sia tanto altro che le preoccupa.

«Tay...»

«Siamo preoccupate per Will.» spiega Tiff.

«Sapete qualcosa di più?»

«Abbiamo visto la signora Cooper uscire in lacrime dalla stanza del figlio. Mentre il dottore mi è sembrato un po' trattenuto. A quest'ora avrebbe dovuto darci notizie più rassicuranti.» spiega Tiff.

«Che intendi dire?»

«Che per un po' non lo vedremo correre o saltare.»

La voce di Brian ci fa sobbalzare. Ci voltiamo all'unisono.

«Io l'ho visto con i miei occhi. Le gambe sono rimaste in acqua per troppo tempo.»

«Andiamo fuori, devo fumare una sigaretta.»

James si rivolge a Brian con tono risoluto.

«June, resta qui. Arrivo.» sussurra poi, prima di darmi un dolce bacio sulle labbra.





JAMES

«Mi hanno detto che c'è tua madre al piano di sopra.»

Accendo una sigaretta mentre lascio cadere quell'insinuazione nel buio.

«Dov'è tua sorella?

«Gli Austin hanno provato a farmi credere che fosse con mio padre. Secondo me nemmeno loro hanno idea di dove sia.»

Ci abbandoniamo con le spalle contro parete esterna dell'ospedale mentre io seguito a fumare nervosamente.

«È successo qualcosa tra voi?» gli domando seguitando a fissare il buio del parcheggio che costeggia l'edificio.

«Il giorno del compleanno di June, quello in cui Amelia è sparita, mio padre è passato da casa e abbiamo avuto un forte litigio. Lei sembrava scossa e... Non lo so, mi sono solo illuso.»

«Di cosa?»

«Che almeno mia sorella fosse dalla mia parte.»

A quel punto mi giro di scatto.

«Io ero dalla tua parte Brian, ma tu hai preferito nascondere la testa sotto la sabbia e fingere che tuo padre non fosse un assassino.»

«Ero arrabbiato quanto te, c'ero anch'io la sera in cui volevi farlo fuori, James. Non dimenticarlo.»

«Già, ma non volevi andare fino in fondo.»

«Ah, perché tu sì?» esclama lui, in un impeto di rabbia.

«No. Ma volevo andare alla polizia e se non l'ho fatto, è stato solo perché tu e tua sorella non eravate d'accordo.»

«È mio padre. E Amelia sarebbe stata troppo male.»

Brian sventola una mano davanti al viso, per cacciare via la nuvola di fumo che fuoriesce dalla mia sigaretta.

«Sei tu che non sei stato dalla mia parte. L'hai visto con i tuoi occhi che ha provato a fare del male a mia madre.» sputo risentito.

E così confesso ad alta voce l'unico vero motivo che mi ha portato a riservargli astio per tutti questi anni. Mi sono sentito tradito, abbandonato. Quel giorno, in piscina, pensavo che Brian mi parasse le spalle, come io lo avrei fatto con lui. Per lui.

«James, non è stato facile per me. Non siamo tutti come te. Non a tutti piace prendere colpi in faccia, c'è chi preferisce proteggersi.»

Brian si accovaccia contro il muro e io faccio lo stesso.

«Se tu avessi evitato di aggredire mio padre in quel modo così brutale, se tu mi avessi fatto la gentilezza di non mandarmi all'ospedale con due costole rotte, allora, forse... Sarei stato dalla tua parte, James.»

Abbiamo sbagliato entrambi, su questo non vi sono dubbi.

«Perché hai rischiato la vita per Will?» La mia domanda fuoriesce senza nemmeno doverci riflettere.

Con la coda dell'occhio lo vedo scrollare le spalle.

«Hai davvero smesso di odiarmi?» chiedo a quel punto.

Brian volta il capo nella mia direzione e sì, vorrei poter dire di odiarlo, ma non è così. I suoi occhi sottili mi risucchiano quando la mia fronte poggia sulla sua.

«Grazie.» riesco a mormorare chiudendo gli occhi.

Non conosco molti linguaggi, anzi, forse quello fisico è l'unico che conosco.

«Ma prova ancora a baciare June e io ti taglio le palle.»

«E tu prova ancora a baciare me e vediamo chi si ritrova senza palle, Hunter.»

Scoppiamo a ridere all'unisono.

In quel momento le porte scorrevoli all'ingresso dell'ospedale si aprono per l'ennesima volta, ma invece che vedere uscire una faccia sconosciuta, ad arrivare è la signora Hood.

«Mamma.»

Brian balza in piedi.

«Cosa ci fai qui, pensavo fossi a Washington.»

La donna abbraccia il figlio prima di rivolgermi un sorriso veloce.

«Mi ha chiamato la signora Cooper.»

«Sei venuta apposta per Will?»

«No. Sono qui da ieri. Ero venuta per trovare la mamma di James...»

Ma la signora Hood non è da sola. Alle sue spalle c'è una sagoma.

Amelia

Brian e sua sorella si fissano con occhi di ghiaccio.

«Ragazzi rientrate dentro, fa freddissimo.»

«Va' pure mamma. Finiamo di parlare ed entriamo» taglia corto Brian mentre la donna fa il suo ingresso in ospedale.

«Eri con la mamma? Perché non me l'hai detto?»

Lo sguardo sofferente del moro la dice lunga.

«Pensavi fossi con lui?»

Brian annuisce dinnanzi alla richiesta della sorella.

«Dopo che ho visto come ti ha trattato papà... Ho deciso di raggiungere la mamma.»

«Non potevi dirmelo?»

«Le ho dato tutti i documenti che papà stava cercando.» sibila Amelia fissandomi.

Inarco un sopracciglio.

«Davvero?» confuso, le pongo quella domanda.

Lei china il capo, le ciocche corvine le offuscano le palpebre.

«Sì. Io pensavo fosse tornato per stare con me. Ne ero convinta. È terribile da dire ma... Gli avrei perdonato tutto se avesse fatto pace con la mamma e fossimo tornati uniti.»

Un peso angosciante mi paralizza le labbra e m'impedisce di fiatare.

Brian si porta una mano alla bocca. Sta tremando.

«Ma quando ho capito che a papà interessava solo la vendetta, che mi voleva usare per i suoi scopi e poi scappare senza dire nulla...» Amelia non riesce a terminare il racconto, il pianto le serra la gola.

«La mamma ha chiamato la polizia?» domanda Brian.

«Ancora no. Vorrebbe parlare con papà prima.»

«Non c'è nulla di cui parlare. Ci sono prove sufficienti per dimostrare che ha ucciso una ragazza incinta.» m'impunto io. «L'hai più visto?»

«No.» Risponde Amelia, prima di voltarsi verso il fratello. «E mi dispiace per avertelo tenuto nascosto, Brian. Era sparito per un anno e io non potevo che essere felice quando mi ha contattata per rivederci. Non potevo dirtelo, ti saresti arrabbiato.»

Brian curva il capo e allungando un braccio verso la sorella, la porta a sé per abbracciarla.

«Tuo fratello è un eroe. Ha salvato Will.»

Poi però decido di lasciarli soli e rientrare in ospedale.

Prima di raggiungere la sala d'attesa, attraverso il corridoio e qui vedo la signora Hood, è al telefono.
Non appena si accorge della mia presenza interrompe la chiamata.

«James.»

«Grazie per essere qui.» rigetto d'istinto.

«Quel povero ragazzo se l'è vista brutta. Se i medici daranno l'okay, lo trasferiscono a Los Angeles.»

Annuisco. Non so cosa dire, finché non vedrò Will con i miei occhi, finché non ci parlerò, non riuscirò a tranquillizzarmi.

«Sei andato a trovarla?» domanda lei ad un certo punto.

Resto impassibile. Parla di mia madre

«No.»

«James.»

«E tu? Perché vai a trovare l'amante di tuo marito?»

«Perché eravamo amiche, lo sai. Gli errori non hanno più alcun valore, non di fronte alla morte.»

Tento di ignorare lo scossone che mi porta a tremare.

«Andrai fino in fondo?» domando cogliendola di sorpresa.

La donna abbassa lo sguardo.

«Sarà un disastro.» Sembra alludere alla sua famiglia. Forse la sua reputazione.

«Sarà uno scandalo ma tu non c'entri niente. Tua figlia ha fatto la scelta giusta. Ora tocca a te.» scandisco prima di superarla per raggiungere June.

«Ah, dimenticavo. Nel caso non l'avessi capito, tuo figlio è un eroe.»

«James, va a trovare tua madre, per favore. O Te ne pentirai quando sarà troppo tardi.» la sento esclamare da lontano.









Il giorno seguente decido di svegliarmi all'alba per andare a trovare Will.
June è accanto a me, sta dormendo beatamente.
Mi alzo facendo attenzione a non fare rumore per non svegliare lei, né Jasper, che dorme nel letto poco distante dal nostro.

«Il paziente sta ancora riposando.»

Sbuffo quando il medico mi rimbalza per l'ennesima volta.

«Non posso vederlo?»

«No, abbiamo altri esami questa mattina. Puoi vederlo verso le undici.»

«Può dirmi solo... È davvero fuori pericolo?»

«Sì. Ma è stata una questione di minuti. Se l'amico non fosse arrivato in tempo, a quest'ora i legamenti sarebbero compromessi in modo permanente. Di sicuro avremmo dovuto intervenire su entrambi gli arti inferiori.»

Mi affosso in una di quelle seggiole e aspetto.
Mi chiedo cos'avrei fatto qualche mese fa. Probabilmente mi sarei intrufolato in camera di Will senza permesso. Potrei farlo anche ora.
È proprio mentre sto decidendo sul da farsi, vedo Brian e Amelia attraversare la porta della sala d'attesa.

«Che ci fate qui?»

«Vogliamo assicurarci che stai bene. Volete caffè?» domanda Brian dirigendosi alle macchinette.

«Sì.»

Amelia resta lì con me e io non posso fare a meno di chiederglielo.

«Ti stavi nascondendo, vero?»

La vedo annuire con un pizzico di vergogna.

«Da chi?»

«Papà ha scoperto della mia relazione con il prof.»

Austin, maledizione.

«E ha fatto una cosa brutta, credo l'abbia minacciato.»

«Tuo padre ha minacciato Beckett?»

«Sì. Ma io e lui avevamo già chiuso.»

«Cazzo.»

«Tanto lui non può essere qui. No?»

Lei sussulta, guardandosi intorno.

«E chi ce lo assicura? Mia mamma è ricoverata qui, in questo ospedale. Tutto può essere.»

«Per questo vai in giro con una pistola?»

Con un cenno del capo Amelia mi indica la tasca della giacca.

«Sì e lo faccio perché qui ci sono le persone che amo. E parlo di Will.»

Lei china il capo.

«Non c'è bisogno che tiri frecciatine. Ho capito.» sbuffa irritata.

«E comunque io ero solo invaghita del migliore amico di mio fratello. Del ragazzo che tutti potevano avere, tranne me. Non accettavo di essere l'unica che tu non volessi. Non ero davvero innamorata di te.» puntualizza, innalzando il mento con orgoglio.

«Oh davvero?»

«Sì. E poi l'amore è difficile da individuare. Come si fa a distinguere l'infatuazione dal vero amore? Prendi te, per esempio. Tu, James, hai sempre scambiato le attenzioni che ti davano per amore.»

La guardo di sottecchi prima che aggiunga un «Senza offesa».

«No, hai ragione. E se me ne rendo conto ora, è solo grazie a June.»

Amelia dà un colpetto di spalle, come se la cosa non la riguardasse.

In quel momento smetto di calcolarla perché la mamma di Will è appena uscita dalla stanza e mentre ci scambiamo un saluto veloce, il medico finalmente ci dà il via libera.

«Potete entrare.»

Amelia è accanto a me e si alza in piedi, ma io la redarguisco subito.

«Voglio entrare da solo.»





La stanza è immacolata. È tutto così bianco intorno a me, che sembra di entrare in paradiso. Forse il merito è della luce che penetra dalle grosse finestre o forse la causa sono quelle coperte bianche che seppelliscono il corpo del mio migliore amico.
La sua sagoma è completamente avvolta da strati pesanti.

E vedere Will sul letto di ospedale... mi uccide. Ogni volta.

«Will...»

Vengo pervaso da un forte senso di vertigini. Le gambe per poco non cedono. Mi curvo verso il letto e con la mano trovo appiglio sul bordo del materasso.

Mi rannicchio vicino a lui. Lo stomaco mi si contrae dolorosamente e le labbra bruciano. Will però, appare stranamente contento.

«Mi stanno riempendo di farmaci, sono strafatto.» spiega con la bocca impastata e la voce quasi divertita.

«Ma che cazzo...»

«Le hai sapute le notizie?» domanda poi.

«Che notizie?»

«Sto meglio e domani mi fa trasferiscono in California.»

Un lungo respiro di sollievo abbandona la mia pancia.

«Qual è l'altra notizia?»

«Le mie gambe.»

«Camminerai. Ne sono sicuro.»

«Ne sei sicuro? Perché per ora non posso muoverle.»

«L'ha detto il dottore. Me l'ha giurato.»
mento digrignando la mascella. «E poi...Mi sono informato. Sono un esperto di congelamento ormai. Tu camminerai, non ne frega un cazzo del resto, Will.»

«Lo spero. Anche perché sai quanto costa quella roba robotica che ti mettono al posto delle gambe?»

«Will non devi preoccuparti di queste cazzate. Ora pensa solo a guarire. Se c'è qualche altro problema, ci penso io.» mormoro inghiottendo il pianto, prima che possa uscire.

«Non lo so... Una volta venduto il jet privato, ai miei non resta più nulla. Mia madre ha pianto ieri. Sai che l'ultima volta che l'ho vista piangere, è stato qualche settimana fa, quando ha scoperto che l'azienda di mio padre è in bancarotta?»

«E tu sai che ho scoperto che a breve diventerò milionario?»

Will trattiene una risata. Il suo viso non sembra abbia avuto un incidente. Mi chiedo come sia messo lì sotto, dato che è impossibile predirlo, visti tutti quegli strati di coperte.

«Ma che dici?» seguita a ridere.

Io però lo fisso serio.

«Non sarà necessario, ma se così fosse, userò tutto quello che ho, fino all'ultimo centesimo pur di vederti al mio fianco, Will.»

Mi protendo verso di lui e non potendo abbracciarlo, gli prendo il viso e lo bacio sulla fronte.

Will sta guardando qualcuno alle mie spalle e quando mi volto, mi accorgo della presenza Brian.

«Stai meglio?» domanda il moro.

«Sì. Senza voi due non sarei qui.» Sento Will sussurrare mentre io fatico a staccarmi da lui.

«Grazie e... Basta baciarmi, James ma che cazzo!» si lamenta poi.

Brian scoppia a ridere.
È la seconda volta che lo vedo ridere nell'arco di due giorni. Potrei giurare di non averlo mai visto esprimere così tante emozioni positive tutte insieme.

«Sei andato a trovare tua madre?»

Brian sta puntando me questa volta.

«No.»

«Verrà dimessa a breve.» m'informa seguitando a fissarmi.

«Beh allora non era così grave.»

Vorrei fumare.

«James... non è proprio così e lo sai. È una malattia terminale.»

Gli occhi di Will sfrecciano tra me e Brian, sta seguendo il discorso con attenzione.
In quel momento sento delle voci familiari provenire dal corridoio, sono Jackson e Marvin.

«Ci lasci Will o lo vuoi tutto per te?»

«Va bene. Vado allo chalet.» sbuffo controvoglia rialzandomi in piedi.

«James, sta' tranquillo. Ci vediamo quando torno. Mi trasferiscono vicino a casa, anche perché...Ho una partita l'ultimo dell'anno, no?»

La battuta di Will è tanto amara da far morire qualsiasi sorriso che si era dipinto sulle nostre facce.

Non piangere. Non piangere.

Esco da lì con gli occhi lucidi, ma prima che possa lasciare il corridoio, Jackson mi ferma.

«Come stai?»

«Chiedimelo tra una settimana, Jax.»

«Jasper è qui con June.»

Inarco un sopracciglio.

«Cosa?»

«Volevano salutare Will.»

«E come mai non li vedo?» sbotto conoscendo già la risposta.

«Beh...»

«Maledizione! Perché quella ragazzina deve sempre fare di testa sua...»





JASPER

Io e June siamo all'ospedale.
Le facce. Sono quelle che guardo. Provo a studiarle, ma in realtà le guardo solo.
Sembrano tristi. Ma Will è vivo, sta bene.
"Questo è l'importante" lo dicono tutti.

Le infermiere ci informano che nella stanza di William ci sono troppe persone, dobbiamo aspettare il nostro turno.

«Vieni Jas, andiamo da tua mamma. Vuoi?» domanda June.

James si arrabbierà

Annuisco.

È da più di un anno che non la vedo.

Ma anche quando giungiamo al piano superiore, io e June restiamo nella saletta.
C'è da aspettare anche qui.
Mi metto al telefono.

«Chi è?»

June è curiosa. Io non amo i curiosi,  ma lei...
Lei mi piace.

«Oh che carina.» mormora allungando i suoi occhi cerulei verso lo schermo.

Faccio cenno di no.

«Come si chiama?»

Violet.

Fisso il vuoto davanti a me, mentre le mostro l'account della mia compagna di classe. Lei legge, studia, guarda, memorizza tutto.

«È un nome bellissimo. E dimmi, come hai disegnato il cuoricino per Will e June, lo hai fatto anche per Violet e Jasper?»

Non l'ho fatto. Forse sta scherzando?

June sorride.

Era una battuta?

A quel punto sento dei passi rapidi, li riconosco. È James.

«Che ci fate qui? Will è di sotto. Vi siete sbagliati.»

Non voglio litighino per causa mia.

June però scatta in piedi e prende subito James per il braccio, trascinandolo vicino ad un distributore automatico poco distante.

Stanno litigando? Discutendo?

Non sembrano arrabbiati.

«Perché non mi parli mai prima di prendere queste decisioni?»

«James, gliel'ho chiesto e Jas ha acconsentito.»

«Perché l'hai portato qui, June?»

«Ha diritto di vederla... E ha diritto di sapere. Dimmi che posso accennargli qualcosa, non puoi fare finta di nulla, James. Non con Jasper.»

Resto immobile. I due si sussurrano qualcos'altro, infine tornano a sedersi di fianco a me.

«James tuo fratello ha questa festa...»

Quando hanno cambiato discorso?
Parlavano di mamma prima.
Non riesco stare al passo, June parla parla.
James è di poche parole.

«E quindi?»

«C'è questa ragazza molto carina che gli ha scritto su Instagram.»

«Chi cazzo ti sembro? Cupido?»

«No, mi sembri un fratello premuroso» dice June sferrandogli una ginocchiata sullo stinco.

A volte non li capisco. Litigano, poi si baciano. Lui si lecca le labbra, dopo poco si sporge per baciarla, ma lei si sottrae.

Sono strani.

«Lo fai o no?»

«Tu approfitti di me, White.»

«Chi è? Ah, la ragazza con gli occhiali.» esclama James.

Di cosa parlano?

«Ti piace?»

Ah, Violet

Faccio cenno di no.

«Quando è la festa della scuola?»

«L'ultimo dell'anno.» risponde June al posto mio.

Annuisco.

«Chiedile di andarci insieme, le farà piacere.» Suggerisce James indicando la chat di Instagram.

No.

«Glielo chiedo io per te se vuoi.» aggiunge poi.

Chino il capo.

Sono infastidito. Forse imbarazzato.
Strappo loro il cellulare dalle mani e metto fine a quel chiacchiericcio.

«Lascialo stare.»

June interviene salvandomi all'ultimo.

«Sicuro di voler stare qui?» chiede James a quel punto.

Annuisco.

Fammi un'altra domanda la cui risposta non sia solo sì o no.

«Va beh... Vado a parlare con la signora Cooper.»

Mio fratello si alza in piedi.

Non ti rispondo... ma tu falla.

«Torno presto, okay?»

E se ne va. Sempre.



JUNE

L'infermiera del reparto oncologico dapprima lancia un'occhiataccia a James e alla sigaretta spenta che stringe tra le labbra, poi viene da me e Jasper per informarci che possiamo entrare.

Jasper è ignaro di tutto. James non gli ha detto nulla, ma qualcuno prima o poi dovrà parlargliene.

«Jas, tua mamma è qui.»

Lui mi fissa.

«Non sta molto bene. Ma uscirà presto. Te la senti?» chiedo indicando la porta.

Jasper si alza in piedi e mi precede, quindi intendo che lui voglia vedere sua mamma.
Quando metto piede nella stanza una folta chioma rossiccia cattura la mia attenzione.
La cosa mi coglie un po' di sorpresa, mi aspettavo di trovarmi dinnanzi ad una donna completamente diversa, sfigurata dalle cure invasive, ma così non è.
Lei si erge a sedere non appena ci vede arrivare.

«Jasper»

La voce le muore in gola.
Il figlio le si appresta, ma si blocca prima di avvicinarsi troppo.
Poi gli occhi blu della donna ricadono su di me.

«Tu. Ti ho già vista.»

«Sono June. Sono venuta a casa sua insieme a James.»

«Ah, sì...»

Lo sguardo della donna però luccica in direzione del figlio. Io resto in disparte, nei pressi della porta.

«Puoi sederti qui?»

La donna indica lo sgabello a rotelle che Jasper acciuffa per poi sedercisi sopra.

«Come stai Jasper?»

Il ragazzino curva il collo a lato mentre scruta la sagoma della donna stesa sul letto. Non parla però.

«Lei come sta?» provo a smorzare il silenzio «Jasper vorrebbe saperlo.»

«Ho qualche piccolo problema respiratorio. Purtroppo non è operabile e mi dimetteranno domani. Comunque dammi del tu, June.»

Poi allunga il braccio verso il figlio. Jasper è stranito, ma acconsente ad abbandonare la sua mano in quella della madre. Infine si guardano.

«Tornerai a casa?» domando io.

«Sì. Non che io muoia dalla voglia di tornarci. Qui ho qualcuno che si occupa di me. Ho qualcuno con cui parlare. Nonostante le infermiere siano un po' scorbutiche.»

Jasper a quel punto si alza in piedi. Forse è già saturo e ha bisogno di una pausa dallo scambio sociale appena avuto.

«Jas vuoi che andiamo a prendere una merendina?» propongo nel vederlo avvicinarsi alla porta.

La madre lo saluta con un filo di voce.

«Grazie per essere passato. Tu non sei come tuo fratello.»

M'irrigidisco.

«Jasper, ti raggiungo. Per me un Twix, grazie.»

Aspetto che il ragazzino esca dalla camera, poi mi volto verso sua madre.

«C'è qualcosa che vuoi dirmi, June?»

«Mi dispiace tanto per la tua condizione, ma non posso fare a meno di domandarmi una cosa.»

«Se la cosa riguarda James, evita. Se fosse per lui, a quest'ora sarei morta sotto un ponte.»

Quella sua espressione così fredda mi smuove dentro un forte senso di protezione.
Come può parlare in questo modo?

«Tu come hai fatto a crescere un ragazzo come James? Ma forse la risposta è che non l'hai cresciuto tu. James non è perfetto, ma è la miglior persona che io conosca. Ci tengo al fatto che tu lo sappia.»

La donna non mi contraddice, ma sorride con sufficienza, sminuendo le mie parole.

«Sei solo una ragazzina innamorata.»

«Come puoi dire una cosa del genere?» prorompo a gran voce.

«Lo dico perché anch'io sono stata accecata dall'amore. Quello sbagliato.» spiega convinta.

«Stai parlando di tuo figlio. Di un figlio che nemmeno conosci. Non sai nulla di lui.»

«Mi sa che James non te l'ha detto, ma io ci ho provato a riallacciare i legami e...»

«No. Tu l'hai solo riempito d'insicurezze.» la interrompo in modo categorico. «Non sai cosa sogna o di cos'ha paura. Perché ne ha di paura, tanta.»

Forse agisco un po' troppo bruscamente, il viso della donna inizia a rigarsi di lacrime all'improvviso.

«June...»

«Tutte le lacrime che tu verserai non saranno mai sufficienti a restituire quello che gli hai tolto in pochi minuti. La fiducia negli altri. Il diritto di sentirsi amato. Non voglio fartene una colpa, ma è giusto che tu lo sappia: l'hai distrutto ma lui ce l'ha fatta lo stesso.»

A quel punto mi ritrovo a compiere una breve pausa per prendere un lungo respiro ristoratore.

«Perciò sì, forse lui non è come Jasper... La verità è che nessuno è come James.»

Avverto tutta la mia vulnerabilità, proprio lì, davanti ad una sconosciuta, quindi decido di muovermi d'istinto. Esco da quella stanza di corsa.

Forse sono stata un po' dura, ma non sono riuscita a frenarmi davanti a quelle insinuazioni sul conto di James. Percorro il corridoio con gli occhi lucidi rivolti al suolo e, senza accorgermene, vado a sbattere contro qualcuno.

Riconosco subito il suo profumo.

«James, sei ancora qui?»

Lui mi guarda dall'alto, con un'aria strana. Schiude le labbra, sembra disorientato, come se stesse cercando le parole da dire.

«Non dirmi che... hai sentito tutto?» chiedo impaurita, mentre mi tiene stretta tra le sue braccia rassicuranti.

«Tu sei l'unica che è sempre stata dalla mia parte...» Realizza in quel momento.

«Lo sarò sempre, James.»

Le nostre labbra si sfiorano, quel piccolo gesto è sufficiente a causarmi delle scintille nella pancia. Non riesco però a dimenticarmi della discussione che mi ha travolta poco fa.

«Ho esagerato, vero?»

«Non preoccuparti.» mi tranquillizza lui.

In quel momento il mio pensiero va a Jasper.

«James, dovremmo superare l'egoismo e pensare sia a Jas che a lei.» indico la stanza di sua madre.

«Il medico mi ha detto che si è rifiutata di fare la chemio, perché pensa che le cure le allungherebbero la vita di pochi mesi, ma in compenso le causerebbero le pene dell'inferno. Le resta davvero poco.»

«Mi dispiace. Ricordati però che Jasper potrebbe volerla vicina.»

Lui aggrotta le sopracciglia, poi controvoglia domanda «Cosa proponi?»

«Beh...»

«La dimetteranno perché non c'è più niente da fare, June. Cosa devo fare?»

«Puoi chiederle se può venire a stare da te per gli ultimi tempi...»

«Sei impazzita?»

«È da sola, James. Aiutarla farebbe stare bene sia te che lei. E soprattutto Jas.»

«Le hai appena rinfacciato di avermi ignorato per una vita.»

«Lo so, ma qui si parla di te e lei. È tua madre. Come lo è di Jasper. Che tu lo voglia o no, siete una famiglia. Non puoi voltarle le spalle ora.»

«Lei lo farebbe. Mi volterebbe le spalle.»mugugna James con voce sofferta.

«Ma tu non sei lei. Ricordatelo sempre.»

Lo vedo sollevare il capo lentamente. I suoi occhi color indaco mi bucano il petto.

«E forse, solo se le tenderai una mano, riuscirai a capire la netta differenza tra voi due.»

James non sa ribattere, appoggia la fronte sulla mia spalla e io affondo una mano tra i suoi capelli scarmigliati.

«Andiamo, abbiamo un viaggio da affrontare. E voglio salutare Will. Come sta?» provo ad alleggerire il discorso.

«Sua madre lo fa trasferire in una clinica a Los Angeles, ormai è fuori pericolo.»

James sospira e, finalmente, decide di acconsentire alla mia proposta.

«Va bene, può venire a stare a casa con noi.»





«June, torno domani.»

«Oh no, resta pure lì mamma, non ti preoccupare per me.»

«Oh no, non resto affatto qui se me lo dici così. Poi mi organizzi festini in casa.» la sento esclamare dall'altra parte del telefono.

«Ma non dire assurdità mamma!»

«Preferisco tornare. May e la zia staranno da noi finché tua cugina non ricomincia la scuola. Sei passata da casa? È ancora intera?»

«Sì sono passata per prendere dei vestiti puliti. La casa è intera, ma alcuni quadri erano mancanti.»

«Vedi di fare poco la spiritosa. Dove sei?»

«Sto da James. Jordan non c'è e la mamma è venuta con noi. Vorrei stare vicino a Jasper. James è occupato in questi giorni, ha sempre gli allenamenti e ...»

«June.»

«Sì?»

«Mi fido, sta' tranquilla.»

«Grazie mamma.»




JAMES

Due giorni prima di capodanno il preside ci convoca a scuola per un'assemblea straordinaria.

«Convocati a scuola durante le vacanze di natale? È uno scherzo?» domanda Marvin, mentre la palestra si riempie di studenti.

«Cos'abbiamo fatto adesso?» È il turno delle lagne di Connell.

«Mi duole informarvi che un professore di questa scuola ha ricevuto delle minaccia di morte.» spiega il preside al centro del campo, con tanto di microfono.

«E quindi?»

Mi accendo una sigaretta, causando uno sbuffo da parte dell'uomo.

«Ho cancellato il ballo di fine anno.»

Un deluso coro di dissensi s'innalza dal gruppo di studenti.

«È da un anno che preparo il mio outfit. Dove sono le telecamere? Dev'essere per forza uno scherzo.» sputa Taylor incredula.

«Quindi saremmo in pericolo?» Jackson prova a portare un po' di buon senso nella discussione.

«Nah. Se la minaccia è rivolta a un preciso professore, è per un preciso motivo.» replico io, indicando il professor Beckett che, accanto al preside, non parla.

«Va beh... Possiamo sempre fare festa qui, dopo la partita, no?» propone Taylor, incurante della faccia da funerale del prof.

«No. Non avete capito la gravità della situazione.» s'impone il preside.

«E lei? L'ha capita la gravità della situazione?»

«Cosa vorresti insinuare Hunter?»

«È chiaro, ormai è evidente a tutti che il qui presente prof Beckett ha dei segreti. Ci mostri queste minacce di morte. Voglio vedere.»

«Non siamo tenuti a farlo!» erompe il preside con tono duro.

«La denuncia c'è stata?» insisto io.

«La cosa non riguarda voi studenti.»

«O forse la denuncia non c'è perché queste minacce sono state mosse dal padre di una studentessa molto... vicina al prof Beckett?»

Il preside corruga la fronte, Beckett avvampa.

«Di cosa parli Hunter?»

«Il prof sa di che parlo. Mi basta questo.»

«Di queste cose se ne occupa la polizia. A me quello che preme è che i miei studenti non siano in pericolo. Niente ballo di fine anno. Questo è il protocollo.» ordina il preside, irremovibile.

La maggior parte degli studenti si lascia andare a versi di disapprovazione, Connell invece è ridacchia.

«La festa la faremo comunque.»

«Non nella mia scuola.»

«Al campo di football sì però.» aggiunge un altro ragazzo.

«Non mi interessa cosa fate fuori di qui. Se assistete a movimenti strani o avete qualcosa da segnalare, avete il numero della segreteria della scuola. Sarà attivo per tutte le vacanze.» seguita il preside, ignorando le lamentele di sottofondo.

«Quindi lei cancella il ballo, ma una festa al campo sportivo si può fare?» chiede Brian, appena arrivato in palestra.

«Certo. Non è suo territorio, lui se ne lava le mani.» spiego io.

«Le minacce non sono nuove in questa scuola. Devo ricordatelo, Hunter?» mi redarguisce il preside puntandomi dritto negli occhi.

Resto a guardare l'uomo che, con un cenno del capo, indica agli studenti l'uscita.

«Uscite tutti. Voi tre fermi.»

Il prof richiama me, Jackson e Marvin.

«Non siamo stati noi.» Esplicita Jackson.

Questa volta

«Il coach non mi permette di cancellare la partita di fine anno, la ritiene un avvenimento troppo importante, quindi il comitato sportivo ci garantirà una maggior sicurezza per quella sera. Io però non posso sorvolare su minacce di morte rivolte ad un professore della mia scuola. Potrebbero esserci ripercussioni su tutti gli studenti, meglio evitare inutili affollamenti. Niente ballo. Intesi?»

«Solo per questo cancella il ballo? Non ci sono altre motivazioni? Tipo che non può impedire a suo figlio di parteciparvi, quindi cancellarlo le risolve un po' di problemi...?» ipotizzo causando l'espressione colpevole sul suo viso adirato.

«Stai dicendo che cancella il ballo così evita di vedere suo figlio insieme ad un altro ragazzo?» mi domanda Marvin.

Sogghigno.

«Potrei raccontarle delle cose che non la farebbero dormire la notte...»

«Finitela voi tre. Io non vi voglio vicino a Blaze.»

A quel punto si volta verso Jackson che negli ultimi minuti non ha fiatato.

«Mio figlio ha passato una settimana a...»

«A...?» Lo incalzo io.

Non riesce quasi a dirlo, è riluttante. «Piangere.»

Gli occhi scuri del preside stanno fissi su Jackson.

«Per causa tua. Devi lasciarlo in pace.»

«Causa mia? Non abbiamo nemmeno litigato... Com'è possibile?»

Jackson appare stranamente confuso.

«Il problema non è che a frequentare mio figlio sia un ragazzo o ragazza. Il problema sei tu, Jackson. Stagli lontano.» sputa il preside prima di andarsene.

Il biondo affloscia le spalle, Marvin invece curva le labbra.

«Lo sa vero, che faremo casino comunque?»








Dopo il lungo volo di ieri io e June siamo crollati dalla stanchezza.
Mi manca stare con lei. Da solo. Senza drammi.

Quando torno a casa dopo l'allenamento però, June e Jasper sono fuori.
C'è solo lei. E da quando siamo tornati dalla montagna, questa è la prima occasione in cui ci troviamo da soli, io e lei.

«Dove sono andati?» sbuffo senza troppi preamboli.

«Tuo fratello ha la seduta di terapia, June l'accompagnato.»

O cazzo, me ne sono dimenticato.

faccio schifo, ho di nuovo
dimenticato di portare jasper

james non fai schifo.
avevo delle ore libere,
l'ho accompagnato volentieri.
Siamo una squadra,
l'hai dimenticato?

mi manca stare con te.

ma se ci vediamo tutti i giorni

Sempre la solita romanticona, mi ritrovo a pensare con un sorriso assorto.

Sollevo gli occhi dal cellulare e mi accorgo che in cucina è tutto preparato per la cena.

«Mi fa piacere che sei qui.» mormora lei.

«Vorrei poter dire lo stesso. Cos'è sta roba?» la interrogo.

«Ho preparato delle lasagne e...»

Lei si blocca per tossire.

«Hai apparecchiato tu?» mi stupisco di non trovarla gettata sul divano.

«Sì. Possiamo cenare tutti insieme» sorride.

«Qual è il mio?»

Mi indica un punto della tavola. Io afferro il mio piatto colmo di cibo e lo butto nel lavello. Infine, incurante del rumore sordo e dei pianti di quella donna, me ne vado.








JUNE

Questi giorni sono stati intensi. Dovrei fare una lista delle mie priorità. Prima di tutto ci sono James e Jasper. Poi Will, che è appena tornato a casa. Infine ci sono io, con la terapista domani mattina e il cheerleading nel pomeriggio tardo. Ah già, e la recita.

«Guarda, l'avresti mai detto? Non c'è un goccio di alcol.» si lamenta Marvin aprendo la dispensa della cucina di Will.

Ora la mia priorità è star attenta. Che nessuno sfasci nulla. L'ho promesso alla Signora Cooper, dato che ci ha permesso di riunirci a casa di Will per accoglierlo con una piccola festa di benvenuto.

«Non c'è alcol perché Will non può bere. Finiscila di rovistare.» rimprovero Marvin che si strofina la nuca imbarazzato.

Poi fa un cenno complice a Will, alle mie spalle.

«Mi ha beccato» sussurra con il labiale Marvin.

«Che state architettando?»

Mi rivolgo a Will che allarga le braccia, seduto sul divano. Prova ad appiopparmi una smorfia innocente, ma io non me la bevo.

«Anzi, sai che c'è? Non voglio saperlo!»

«June.»

A richiamarmi è Tiffany.

Finalmente lei e Taylor arrivano alla festa per darmi una mano.

«Come stai?» domando alla mora, mentre Taylor allunga il collo per individuare qualcuno tra la folla.

«Da quando mi hanno prescritto le pastiglie per la nausea, va molto meglio. Volevo parlarti però.»

Quelle parole hanno sempre un non so che di funesto, nonostante sia Tiff a dirle, con tanto di sorriso.

Nel retro della mia mente fanno capolino le frasi di James, quando mi ha chiamato ubriaco, alla vigilia.

"Immagina se avessi messo incinta Tiffany..."

Un brivido mi percuote, tant'è che Tiff si preoccupa.

«Sì, sì. Dimmi tutto.» taglio corto pur di arrivare al dunque.

Lei mi fa cenno di avvicinarmi al corridoio e quando siamo lontane dagli sguardi indiscreti, finalmente mi rivela la sua verità.

«Sono incinta.»

Tiff smette di tormentarsi il collo con le dita solo quando mi getto su di lei per abbracciarla.

«Lo sapevo. Sotto sotto me lo sentivo» esclamo contenta.

Solo che le parole di James tornano nuovamente, questa volta come lame affilate conficcate nella mia schiena.

Il mio viso si deforma in una smorfia di terrore.

«James...» è l'unica cosa che riesco a dire.

«James non c'entra» si affretta a spiegare lei.

Mi ritrovo a chiudere gli occhi per soffiare via un lungo respiro.

«Non so quale sia la storia, ma... il fatto che tu stia bene, mi rende felice. Quando ne hai avuto la conferma?»

«Eravamo allo chalet, siamo andati a pattinare e sono caduta. Ho avuto una piccola perdita, in ospedale mi hanno fatto delle analisi e da lì è emerso.»

«Oh.»

«La notizia mi ha sconvolta. Soprattutto perché... Non sono mai andata fino in fondo con tanti ragazzi. Solo con James e Connell.»

Mi ghiaccio. Di nuovo.
Come fa ad averne la certezza?

Con la mano tasto il muro alle mie spalle, ho bisogno di un appiglio.

«E l'ho pensato, sì, che fosse di James. Ma quando mi hanno fatto l'ecografia, abbiamo scoperto che sono incinta da poco più di un mese. Io e James non abbiamo rapporti da quest'estate.»

La testa mi gira. Lei è quella incinta ma io ho bisogno di sedermi un attimo.

Sto sudando freddo.

«Hai creduto davvero...»

«Sì. Ne ho parlato con James. E lui era pronto a prendersi le sue responsabilità ma...»

Ecco perché ha farfugliato quelle cose confuse durante quella telefonata, la sera della vigilia

«Io non ne sapevo nulla. James non me ne ha parlato. Non...seriamente.» balbetto senza respiro.

È forte quella sensazione di voler dissipare questo momento. Indietreggio, ma Tiff mi blocca dal braccio con dolcezza.

«Dove vai? Guarda che James non te l'ha confidato perché glielo chiesto io. Volevo essere io a dirtelo, June.»

La fisso negli occhi, ma per un attimo le sue parole sembrano non assumere alcun significato.

«June, parlami. Non scappare.»

Prendo un lungo respiro, come a voler svuotare il petto troppo stretto.

A quel punto decido di non fare di testa mia, ma di fidarmi della ragazza che ho davanti.

«Scusami Tiff, ma per un attimo... Ho avuto paura.»

«Anch'io June. É stato terribile il pensiero che per causa mia si potesse compromettere la vostra relazione. Non voglio rovinare la nostra amicizia.»

Questa volta è lei a gettarmi le braccia al collo per sigillare le nostre parole con un lungo abbraccio.

«Okay, avete finito voi due?» Taylor ci interrompe con il suo solito tono altezzoso.

«Sì, vado a dare una mano a ....»

«Ferma. È con te che voglio parlare.» Mi rimbecca la bionda.

Sollevo il mento per incontrare le sue iridi di ghiaccio.

«Ho ricevuto alcune lamentele da parte delle ragazze di Cheerleading.»

O no

«Non ti presenti agli allenamenti, non hai ancora preparato la composizione da presentare per la partita di fine anno...»

Già, durante l'allenamento sono sempre distratta. O intenta a coprirmi le gambe.

«Forse dovresti chiedere aiuto se non ce la fai, June.» suggerisce Tiff.

«Potresti darmi una mano tu, Taylor? So che manca poco alla partita...»

Vedo la bionda innalzare entrambi i sopraccigli.

«Mi rivuoi dentro?»

«Sì. Non ho mai comunicato alla scuola la tua uscita dal gruppo, i tuoi crediti non sono stati intaccati.»

«Perché l'avresti fatto?»

«Non lo so, non sempre c'è una spiegazione no?»

Taylor sorride a seguito delle mie parole.

«Allora mi sa che ti aiuto Biancaneve.»

«Davvero? C'è qualcosa sotto?» M'insospettisco.

»Non c'è sempre una spiegazione, no?» Mi fa il verso lei.

Tiff a quel punto raggiunge Poppy che è appena arrivata insieme ad Ari.

«Che ne pensi?» domando indicando la mora con un cenno del capo..

«Vorrei lo tenesse.» sospira lei causandomi un'espressione sorpresa.

«È un bel pensiero da parte tua ma ... Lo sai che la decisione spetta a Tiff.»

«Lo so. Lei ha fatto una lista di pro e contro.» Taylor a quel punto abbassa lo sguardo che s'incupisce in fretta.

«I suoi si arrabbieranno tantissimo. Con l'università sarà un casino. Per non parlare di Connell che è un coglione, ma... Non mi piace l'idea di... Non lo so, mi sembra di dover dire addio a un qualcosa che diventerà come lei. Parte di lei.»

Taylor deglutisce rumorosamente, poi riprende a parlare.

«Comunque lo so perfettamente che è un pensiero stupido, il corpo è suo e decide lei.»

«Non è un pensiero stupido il tuo. Ma capisco anche le paure di Tiff. Magari la spaventa il fatto che il padre sia Connell e che non sarà in grado di starle accanto.»

«Quello stronzo. La parte peggiore sarà dirglielo.»

«Spero non le faccia storie.» commento io a quel punto.

«Qual è il problema? Se le farà storie, se la vedrà con me.» ribatte decisa.

D'un tratto Taylor mi squadra attentamente.

«Come sta la mamma di James?»

«Non bene. Non so come dirlo a Jasper.» mi lamento io.

«Non sa ancora nulla?»

«Sa che sua mamma sta male, ma sa non quanto male. Ci sono passata e vorrei prepararlo al meglio per l'evenienza, per evitargli brutte sorprese. D'altro canto però, è giusto che sia James a dirglielo.»

Taylor annuisce.

I nostri dialoghi sono pesanti come macigni, ma intorno a noi c'è aria di spensieratezza.

Will è ancora sul divano, quando Brian gli passa davanti e gli sfila la birra dalle mani.

«Non puoi bere.»

«Marvin!» esclama Will a quel punto.

«Che ho fatto ora?» salta su l'altro.

«Tu sei il mio braccio destro, te l'ho detto! Quando ti do il via, tu scateni la mia ira.» Will gli indica Brian con aria fintamente indignata. «Mi ha rubato la bottiglia, ma non hai visto?»

Marvin è troppo distratto da Poppy, non c'è un attimo in cui stanno separati.

Il mio pensiero va subito a James e tutti i miei desideri sembrano materializzarsi davanti alla porta d'ingresso. Ben presto infatti, vengo distratta dalla sua sagoma imponente che varca la soglia.

Un brivido piacevole mi percorre la spina dorsale quando i nostri occhi si scontrano, dando vita ad un'inevitabile connessione di sguardi.

Ruoto il collo seguendo il suo corpo che attraversa il salotto e si avvicina lento.

«Sei qui.» mormoro guardandomi intorno. Taylor si è ormai unita alle ragazze.

«Sono tornato tardi dagli allenamenti, poi mi sono fermato a parlare con Jasper.»

James si sfiora i capelli ancora umidi con la punta delle dita, mentre io tento di non farmi distrarre dal suo buon profumo di bagnoschiuma vanigliato.

«Glielo hai detto?»

Lui annuisce, prima di chinare il capo.

«Hai fatto la cosa giusta, James»

«Non sopporto avercela in casa» Il suo tono rauco è più affranto del solito.

«Che ne dici se andiamo a parlare da qualche parte?» propongo nel vedere il suo capo chino.

«Vieni. Conosco un posto.»

James mi prende la mano e nemmeno il tempo di voltarci, che veniamo braccati da due sagome.

O no.

Tom e Ethan.

«Andatevene.» Ordina James senza dar loro nemmeno il tempo di palesare le intenzioni.

«Hunter, ti devo parlare.»

Ethan ci si para davanti, impedendoci il passaggio.

«Non c'è niente da dire.»

«E invece sì. Devo dirti una cosa. E poi ricordati che siamo tutti e quattro figli suoi.»

«Ah sì? Davvero?» lo sbeffeggia James.

«Davvero. Ci ha chiesto di non litigare con te.»

«Quindi siccome ce l'ha chiesto mammina, io mi dimentico di come avete provato ad aggredire la mia ragazza in più di in occasione, vero?»

«Jamie ha ragione.» Tom sghignazza, poi il suo sguardo viscido mi trafigge da capo a piedi. «Ma non era ancora la tua...»

«Lo era eccome. Siete due stronzi. Andatevene.» conclude bruscamente.

«Digli di Hood» insiste Tom quando io e James sorpassiamo le loro figure.

James si volta di scatto.

«Cosa c'entra Hood?»

«Ha provato a manipolarci con le sue stronzate. Ha provato a metterci contro papà perché ha scoperto che lui ha aumentato la sicurezza al locale e ha assunto altre guardie del corpo. Non sa come arrivare a lui, quindi è venuto da noi.»

Un barlume di esitazione offusca lo sguardo di James.

«Ve l'ha detto, vero?»

«Sì, ci ha raccontato la storia dell'eredità, ma al momento è l'ultimo dei nostri problemi.
Mamma sta per morire e questa è l'unica cosa che conta.»

L'uscita di Ethan mi lascia sbigottita, ma decido di compiere un passo indietro per lasciare che parlino tra loro.

«Non so che piano avesse...»

«Avete rifiutato di collaborare con lui?» Nonostante tutto, James è ancora diffidente.

«Sì.»

«Bene, allora da domani lei viene a stare da voi, dato che ci tenete tanto. Io non la voglio più da me.»

La frase di James arriva come un fulmine a ciel sereno. E altrettanto inaspettata è la reazione degli altri due.

«Se pensi di farci un torto... sappi che ti sbagli, Hunter.»

Ethan e Tom decidono poi di uscire da casa di Will, senza fare troppe storie.

«Non volevi sentire cos'avevano da dirti su Hood?» domando riavvicinandomi a James, che però ignora la mia richiesta.

«Diamo una mano a Will?» propone lui, indicando Will che, ancora seduto, sta piantando i palmi sul cuscino del divano per sollevarsi. Sembra far molta fatica.

«Aspetta.»

Io, James e Jackson aiutiamo Will a salire le scale.

«Le hai prese le medicine, Will?» chiede poi il biondo, quando lasciano il corpo dell'amico sul suo letto.

«Sì papà, le ho già prese. Non ho bevuto e non mi sono mosso dal divano.» lo prende in giro Will.

«Vado a prenderti altre coperte.» annuncio io, ricordando le parole del medico.

Jackson scende al piano inferiore, noi invece ci mettiamo a coprire Will con varie coperte e lenzuoli, con il solo obbiettivo di tenere al caldo le sue gambe.

«Ti ricordi quando abbiamo dormito qui?» domanda James indicando il divano letto a fondo della stanza.

«Mi odiavi proprio tanto...» sorrido mentre seguito a rabboccare i lembi delle coperte.

«Oh sì...» James a quel punto mi si avvicina e schiudendo le labbra morbide, mi carezza la bocca con un bacio a stampo.

«Andate ad odiarvi fuori da camera mia!» strepita Will coprendosi fino al naso.

James ridacchia e a quel punto mi spintona fuori dalla stanza.

«Will se hai bisogno siamo qui fuori...» sussurro io, tornando a far capolino dalla porta.

«Ma se non hai bisogno di noi per venti minuti, anche meglio.» biascica James con le labbra premute sulle mie.

Quando ci ritroviamo nel corridoio buio però, il nostro bacio si fa più profondo.
Il gemito roco ed eccitato che risale dalla gola di James mi causa un leggero sfarfallio alla pancia, mentre la dolcezza della sua lingua che strofina sul mio labbro inferiore, mi ricorda quanto sia bravo a baciare.

La mia lingua si avviluppa alla sua e il bacio e il prosegue finché non giungiamo in camera degli ospiti.

«Mi sei mancata, cazzo.»

James chiude la porta a chiave, poi si libera della t-shirt con un gesto rapido. Non posso far a meno di lambire il suo torace nudo e scolpito, la visione mi inebria e la testa comincia a girare pericolosamente. Quando le sue mani s'infilano sotto la mia felpa, vengo attraversata da uno stralcio di brividi pungenti. James mi aiuta a sfilare la felpa, poi gli shorts.

«Anche tu mi sei mancato» boccheggio a fatica.

Avverto le sue dita serpeggiare lungo tutto il mio corpo per tracciare con fare sicuro la mia schiena, poi il mio sedere. Il freddo metallo dei suoi anelli resta impresso nella mia pelle, ormai rovente sotto le sue mani.

James ha ancora i boxer addosso quando si siede al bordo del letto matrimoniale. In un attimo scendo dalle nuvole e mi accorgo di essere in intimo, vulnerabile davanti a lui. Mi mordo il labbro quando James curva il capo verso il mio basso ventre. Con fare seducente, la sua bocca pulsante sfrega sul mio interno coscia. Il calore del suo respiro mi fa rabbrividire e per un attimo mi ritrovo ad ansimare lascivamente.

«Ma... Che fai?» mormoro sottovoce, ricomponendomi.

«Niente.»

Il suo sguardo è attento.

«Mi controlli, James?»

«No, June.» mi canzona lui, prima di sollevare lo sguardo e rivelarmi il suo sorriso compiaciuto. Forse causato dalla conferma che io non abbia nuovi segni sulle gambe.

Quel piccolo istante mi scalda il petto, ma per allentare l'imbarazzo di trovarmi mezza svestita davanti a lui, gli sferro uno spintone sull'addome per obbligarlo a sdraiarsi sul letto.

James però, è troppo svelto e mi acciuffa dal polso per trascinarmi sopra di lui.

Seguitiamo a baciarci mentre il forte sapore della gomma alla menta mi solletica le papille gustative.

«Finiscila...» lo rimprovero quando le sue mani si prodigano a tenermi dai fianchi, guidando il movimento voluttuoso sopra al suo bacino.

«Ti sto solo mettendo in posizione. Vedi? Ora non ti tocco più» ridacchia James, prima di sollevare le braccia, mimando un'aria da finto innocente.

Lo vedo allacciare entrambe le mani alla testata del letto, mentre i miei occhi cascano sul suo addome compatto.

«Che fai?» domanda poi, quando mi vede slegare i capelli.

«Niente.»

Curvo le labbra in un ghigno, poi afferro i suoi polsi e li imprigiono nel mio elastico.

«June...» Lui sgrana gli occhi quando aggancio l'elastico alla testiera del letto.

«Tieni le mani ferme.» impartisco esibendo una convinzione che in questo contesto non mi appartiene.

«Non lo so se mi piace questa cosa...» James mi rivolge un sorrisetto accattivante.

«Secondo me sì» ribatto quando il mio sguardo sfugge verso il basso, a notare lo spessore che spinge nei boxer.

«Ho un preservativo nelle tasche.» lo sento mugolare.

Mi alzo in piedi e raggiungo i suoi pantaloni sparsi sul pavimento. Perdo un po' di tempo e James comincia a lamentarsi.

«Ma quanto ci metti?»

«Cos'è, hai fretta James?»

«Vieni qui, fatti leccare tra le cosce.»

Spalanco la bocca e gli lancio un'occhiataccia mentre lui allarga le gambe per lasciare intravedere l'eccitazione che modella i suoi boxer scuri.

A quel punto afferro la bustina dalle tasche e torno sopra James, ma quando mi rendo conto che sono io a doverglielo mettere, mi blocco. Sollevo lo sguardo e l'incontro con quegli occhi assottigliati, mi fa arrossire.

«Prenditi il tuo tempo. Mi hai legato al letto, io non scappo.» ironizza con tono insolente, inumidendosi le labbra.

Distolgo l'attenzione da quelle iridi troppo profonde e, dopo avergli abbassato i boxer, gli infilo il preservativo.

«Anche se...»

Mi protendo in avanti per giungere alla sua bocca e affondarci la mia lingua dentro.
James mugola un verso sofferente quando interrompo il bacio per invitarlo a parlare.

«Anche se...?»

I suoi occhi bramosi si bloccano sulle mie cosce nude, allacciate intorno ai suoi fianchi. Poi solleva il bacino per spingere la sua eccitazione massiccia contro le mie mutande.

«Anche se credo di potermi liberare, se solo lo volessi...»

Risucchio il suo respiro tra i denti, mentre approfondisco quel bacio mozzafiato. Mi porto una mano tra le cosce e sposto a lato le mutande. La lingua di James, calda e vellutata, diventa morbida come il burro quando incontra la mia e tutto il mio ventre si scioglie intorno alla sua lunghezza.

«Ma tu non vuoi, James...»

Il mio corpo accoglie a fatica il suo e la mia bocca ruba i gemiti eccitati che gli sfuggono ad ogni movimento che compio sopra di lui.

«Levati il reggiseno.»

James reclina la testa e prima di farlo, mi rivolge un altro ghigno soddisfatto.

«No.»

«Dio, che gran...»

Senza nemmeno pensarci, gli sferro uno schiaffo sulla guancia.

«Dicevi?» lo punto con un'occhiata ferrea.

Uno spasmo cattura la mia intimità perché il corpo di James diventa così duro e incandescente, da lasciarmi senza fiato. Resto ammaliata dalla visione delle sue braccia tese sopra la testa e dall'imponenza dei suoi bicipiti sfilacciati di vere turgide.

«Fallo ancora.» ordina con voce bassa e roca.

Mi chino sul suo viso e prima di lasciare che la sua lingua scivoli nella mia bocca, gli mordicchio il labbro inferiore.

«Con piacere.»

Con le mani traccio le sue spalle tese, poi il suo torace ampio. La pelle di James sembra bruciare sotto ai miei polpastrelli, così come ardente pare essere il suo sguardo, che oscilla dall'altro verso il basso, più volte, colpendo dapprima i miei occhi, poi il reggiseno, dal quale i miei seni traboccano, ad ogni affondo.

«Cazzo, quanto sei bella»

Un desiderio irrefrenabile sembra divampare nel suo corpo, che contagia il mio, trascinandolo in una danza febbricitante.
Riprendiamo a baciarci con lussuria, sono così assorbita da quel bacio che non mi accorgo che James ha sciolto il nodo intorno ai polsi.

Il freddo degli anelli vibra sopra ad ogni centimetro della mia pelle, facendomi rabbrividire. Con un gesto delicato ma deciso, James mi afferra dai capelli inducendomi ad inarcare il collo per esporlo ai suoi morsi.

Il suo respiro si fa sempre più affannoso, io sono ormai boccheggiante.

«June, io...»

James marchia la mia gola con un'avida slittata di lingua, prima di raggiungere il mio lobo.

Sembra volermi dire qualcosa, proprio nel momento in cui tra le mie cosce sta per esplodere l'orgasmo. Chiudo gli occhi mentre lui comincia a sussurrarmi parole suadenti all'orecchio. Io però non riesco a sentire nulla, dentro di me accresce una tensione che si fa sempre più dilagante, perché il mio centro sensibile, ormai gonfio e bagnato, seguita a strofinare sul suo ventre solido. I nostri occhi s'incontrano per un breve attimo, James mi scocca un'occhiata supplicante dal basso, prima mordersi il labbro e abbandonarsi ad un gemito sensuale.

Mi sento contrarre intorno a lui e mentre affondo le mani tra i suoi capelli scompigliati per afferrare le sue ciocche con foga, mi sciolgo in un lungo ansito di piacere, sublimato dal calore dei fiotti bollenti che riempiono il preservativo.

In un attimo casco sopra a James, che mi accoglie stringendomi al suo petto, ancora palpitante.

«Che cos'hai detto?» sussurro con la guancia spiattellata sul suo torace.

«Niente. Cose oscene sicuramente.»

Un altro mugolio sfugge alle sue labbra rigonfie.

«Sicuro?»

Sollevo il capo e James annuisce con le guance scarlatte e i capelli arruffati. Rotolo sul fianco per permettergli di sfilarsi il preservativo, poi restiamo entrambi con gli occhi al soffitto.

«Secondo te cosa dovrei fare?»

«Che vuoi dire, June?»

Mi riparo con il lenzuolo e mi metto a sedere, prima di rispondere.

«Con le cheerleader.»

«Ti piace frequentare gli allenamenti?»

«Agli allenamenti ci vado solo per migliorare. Non è che sono proprio divertenti.»

Abbasso la testa e un rivolo di capelli mi finisce sugli occhi.

«Se non ti piace il viaggio, come puoi apprezzare la meta?»

«E tutta questa saggezza?»

James sorride con due piccole fossette, poi mi porta entrambe le mani sulle guance, prima di riavviarmi le ciocche dal viso e portarle all'indietro. Infine si sfila l'elastico dal polso per legarmi i capelli.

«Fai la seria, ti senti a tuo agio quando ti trovi lì?»

«Non lo so... Sono stufa di sforzarmi ad essere ciò che non sono.»

«Allora ti sei risposta da sola.»

«Dici sul serio? Dovrei lasciare il cheerleading?»

Lo vedo dare un colpetto con le spalle, come se la soluzione fosse ovvia ai suoi occhi.

«Sì June, non devi dimostrare nulla a nessuno»

Ci scambiamo un lungo bacio, ma invece che restare lì a farci le coccole, James inaspettatamente si alza in piedi.

«Vestiti che andiamo»

«Dove?» domando stralunata.

«Voglio portarti in un posto.»






WILL


Me lo dico ogni volta.

Ora l'ho imparata la lezione.

Stavolta ho deciso, è l'ultima volta.

No basta, questa volta per davvero.

Ma alla fine mi ritrovo sempre a fare gli stessi errori. Dicono che non sia colpa mia, eppure ogni volta faccio stare male qualcuno che amo.

E sebbene io abbia fatto preoccupare tutti quanti, questa è la prima volta che sono solo io a pagarne tutte le conseguenze. Le mie gambe hanno perso sensibilità e quando provo a muoverle avverto un dolore quasi lancinante. Il medico ha detto che è solo una condizione passeggera, ma è stato terribile aspettare il responso definitivo.
Ho pregato. Non l'avevo mai fatto prima.

Sono sotto le coperte quando avverto un ticchettio contro la porta socchiusa.
Qualcuno sta bussando.

«James ho sonno, ti ho detto che...»

Il fiato mi si spezza quando muovo il capo verso l'ingresso e intravedo due occhi profondi.
Una ragazza mora mi sorprende nella penombra.

«Non volevo disturbare.»

Sgrana le palpebre quando i nostri sguardi s'incontrano. Ha tutta l'aria di una che scapperebbe in questo momento, quindi prima che possa voltarmi le spalle e fuggire per davvero, la fermo.

«Aspetta. Tu sei May, giusto?»

Lei annuisce senza parlare.

«Non ti ho... Ma eri alla mia festa?»

«Sono arrivata poco fa, ti ho visto mentre ti accompagnavano su per le scale. Sembravi dolorante.»

«Oh.» Con un colpo di reni mi tiro su a sedere e accendo la luce dell'abat-jour. «Beh... sto comunque meglio rispetto ai primissimi giorni.»

«È grazie a quelle?» domanda lei indicando i miei farmaci sparpagliati sul comodino.

«Quelli non sono per le gambe.» ribatto scontroso.

«Ti auguro una buona notte. Ciao.»

«No aspetta. Non... Non volevo essere maleducato.»

Poi afferro una confezione di pastiglie e gliela lancio. May la prende al volo.

«Sembrano pillole. In realtà sono piccoli pesi da posizionare sui due lati della bilancia per compensare le oscillazioni della mia vita e assicurarmi un equilibrio.»

Lei pare interessata, perché sta leggendo l'etichetta.

«I tuoi hanno un'azienda farmaceutica, vero?» domanda accigliandosi.

«Buffo, no? Il mio cervello non è in grado di produrre da sé le sostanza chimiche che, guarda caso, sono proprio i miei genitori a smerciare.»

May si avvicina e posa il farmaco sul comodino.

Un profumo di fiori primaverili m'inonda le narici.

«Camminerai?»

«Sì. Non è la prima volta che faccio una cazzata.»

«Non è ora di finirla allora?»

«Mi hai sentito? Ti ho appena detto...»

«Ho sentito, William. E non ti conosco, ma penso tu sia molto di più del solo risultato delle reazioni chimiche del tuo cervello.»

Mi sono sentito coccolato e amato in questi ultimi giorni. Ari, Brian, persino Amelia e Taylor si sono preoccupate per me, e ora, questa sconosciuta mi sta dicendo che me le vado a cercare?

«Mi stai dicendo che la causa dei miei mali sono io?»

«Non l'ho detto. Forse sei tu a pensarlo.»

Il tono svelto che ha di controbattere non mi fa indispettire, m'incuriosisce.

«Ho fatto tante cose stupide. E spesso perché mi trovavo in situazioni in cui pensavo di poter fare qualsiasi cosa.»

«Ti credevi tipo un supereroe?»

La sua uscita buffa mi fa sorridere e lei fa lo stesso, i suoi occhi bui si restringono a due mezzelune. Il loro taglio magnetico mi ipnotizza.

«Sì. Ho sempre pensato di non avere bisogno della terapia, dei farmaci. Perché mi piaceva sentirmi così... forte

«Avevi paura che i tuoi genitori minassero la tua personalità...» ipotizza incrociando le braccia al petto, mentre con la spalla si poggia allo stipite della porta.

«Sì. Non ascoltavo nessuno. I miei amici mi facevano capire che stavo sbagliando, ma poco importava. Continuavo a usare i soldi per comprare cose folli e a mettere nei guai me e gli altri.»

«Beh, di sicuro non ci si annoia con te.» prova a sdrammatizzare lei, lanciando lo sguardo al pavimento.

«Se fossi rimasto in acqua qualche minuto in più... avrei perso dapprima le dita, poi gli arti.»

Anch'io chino il capo, il mio cuore è pesante.

«Scusa, non so perché racconto queste cose ad una sconosciuta. Forse perché, a differenza di June e James, io non ho una persona speciale

«Non scusarti.»

Mi stupisco. Quella ragazza mi era sempre sembrata arrogante.

«Tu ce l'hai una persona speciale

Lei muove il capo mimando un dissenso.

«Forse però... Invece che ricercare la tua felicità in un'altra persona, dovresti scavarti dentro, William.»

La fisso. Il modo in cui pronuncia il mio nome crea uno strano vortice nel mio stomaco.

«Che intendi?» chiedo incuriosito.

«Comprendere cosa ti piace e coltivare le tue passioni. Cosa ami fare?» si volta alla ricerca d'indizi, ma non c'è nulla dentro alla mia camera che possa suggerirle una risposta.

«Mi piaceva scrivere...»

«Vedi? Potresti essere il supereroe della scrittura.»

Un sorriso fa capolino sulle mie labbra.

«Grazie per i consigli non richiesti, May...ma non penso che a nessuno interesserebbe cos'ho da scrivere.»

«A me piace leggere. Pensaci, William.»






JUNE

Io e James sgattaioliamo via da casa di Will verso mezzanotte.
Quando giungiamo a destinazione, per poco non sussulto. Riconosco subito lo skatepark che si staglia davanti ai nostri occhi.

James esce dall'auto, poi mi prende per mano.

La seconda volta in una sera?

«Non farti illusioni, non c'è nulla di romantico Biancaneve. Dobbiamo scavalcare.» esclama quando si rende conto che il parco recintato è chiuso.

«Oddio...»

James mi afferra dai fianchi e mi solleva aiutandomi ad arrampicarmi sulla rete metallica che circonda lo skatepark.

Quando entrambi sorpassiamo il recinto e ci troviamo al suo interno, vengo sopraffatta dai ricordi.

«Non mi chiedi perché ti ho portata qui?»

«Tu sei tutto pazzo, perché devo farmi queste domande?»

James mi accerchia le spalle con un braccio.

«Ma se vuoi farmi la gentilezza di dirmelo...»

«Io stavo lì. E tu lì.» spiega con voce roca, puntando con l'indice due luoghi opposti.

Nel silenzio assordante, solo i nostri respiri regolari.

«Avevi l'aria di chi era stata portata qui contro la sua volontà.»

«E tu avevi l'aria di chi era proprio uno stronzo.»

«Ero solo arrabbiato con Brian.»

«Avete fatto pace?»

«A modo nostro. Quello che ha fatto per Will... Non gli sarò mai grato abbastanza. Certo, non posso dimenticare che ha provato ha baciarti.»

Scrollo il capo.

«Non gliel'avrei mai permesso, James.»

Lui mi guarda annuendo.

«Lo so, mi fido di te.» replica lui, prima di accucciarsi sotto ad una conca di cemento, che ha tutta l'aria di essere una cunetta che gli skater usano per fare i loro trick.

Decido di abbassarmi e sedermi lì sotto, accanto a lui.

«Non volevo essere così cruda con tua madre...»

La mia voce rimbomba tra le pareti che ci proteggono dalla brezza notturna.

«Grazie per avermi difeso da lei. Ogni volta che la guardo negli occhi... È come guardarmi allo specchio e vedere la parte più sbagliata di me.»

Sollevo la testa di scatto per osservare il suo viso perfetto, illuminato solo da un alto lampione che si erge nella notte.

«E penso che per lei sia lo stesso. Sono stato un errore per lei.» prosegue James.

Senza nemmeno rifletterci, afferro sua la mano che mi poggia sul ginocchio e la stringo nella mia.

«Non sei un errore, James. E se per lei rappresenti l'errore, sei l'esempio che sia giusto sbagliare nella vita. Sennò non saresti qui...»

Prendo a tormentare con le dita l'anello che gli circonda l'anulare. «E magari nemmeno io lo sarei.» concludo infine.

«Le pensi davvero le cose che hai detto a mia madre?»

«Certo, James. E tu le pensi davvero le cose che hai detto ubriaco, davanti alla mia famiglia?»

Lui a quel punto si sfila l'anello con il quale stavo giocherellando poco fa. Solo allora mi accorgo che è lo stesso copriva il piccolo tatuaggio che si è fatto sull'anulare.

«June, solo grazie a te ho capito chi sono.»

Le labbra mi si paralizzano, perché James mi prende la mano sinistra e indirizza il suo anello verso una delle mie dita. Poi lo fa scorrere, infilandomelo nell'anulare.

«Come potrei non amarti?»

Stordita da quella domanda, mi porto una mano sul petto che sembra straripare di emozioni. Chino capo a guardare la mia mano che porta il suo anello e non riesco a dire nulla in questo momento. Sto tremando e il cuore sembra volermi esplodere nella cassa toracica.

«Io e te parliamo. E ogni volta che parli con me, June, ripari una mia vecchia ferita. Ogni volta che stai con me, aggiungi qualcosa. Piccoli pezzi che riescono a colmare il vuoto che mi porto dentro. Tu mi hai fatto sentire di più e grazie a questo, io ho cominciato a sentirmi di più

Con la mano gli carezzo la gota accaldata.

«Lo sei, James. Dovevi solo accettarlo.» biascico a corto di fiato. «E lei non è poi così male. Credo si sia pentita per come si è comportata con te durante questi anni.»

«No so se crederle. Di sicuro non l'avrei mai fatto se non fosse stato per te, non avrei mai permesso che Jas trascorresse del tempo con lei»

«Come io non sarei mai andata da August, se non fosse stato per te, James.»

La sua fronte casca sulla mia e, finalmente James chiude gli occhi.

«Anche se non lo dice, Jasper ti vuole bene.»

«Lo so» mormora sottovoce.

Perché ho come l'impressione che qualche volta sia tu ad evitare Jasper?

Questo però non riesco a domandarglielo.

«Ma a volte, le persone che ami di più ti ricordano i momenti della tua vita che hai amato di meno.»

James si lascia andare a quella confessione, prima che il suo petto si svuoti di un lungo sospiro.

«E penso valga lo stesso per Brian e Amelia.»

Ma certo, come ho fatto a non pensarci prima? Probabilmente James rivede se stesso in Jasper e la cosa non può che fargli male.

Sono ancora seduta quando James si alza in piedi, poi si passa la mano tra i capelli, con fare irrequieto.

«Comunque mi piaceva stare dai nonni.»

Un lieve sussulto colpisce il mio sopracciglio, regalandomi un'espressione sorpresa.

«Che nonni...»

«I tuoi nonni, June. Lì non pensavo a Hood, all'eredità di Austin, a mia madre... Mi sentivo davvero a casa. Qui... Non...»

«Qui cosa? Anche qui puoi avere una casa, James. Se dovesse servire, imparerò a costruirne una. A mettere un mattone sull'altro. Costruirei la casa la più bella che tu possa immaginare.»

Le parole si susseguono rapide, James però non appare affatto meravigliato, anzi, mi dà corda e si fa serio. «Con un camino?»

«Con un camino.» ribatto sorridendo.

«E una camera per Benjamin?»

«Addirittura una camera? Ma è un cane!»

Scoppiamo a ridere.

«Semmai una camera per Jasper» lo correggo.

«E una per i bambini.» aggiunge lui facendomi arrossire.

James mi tende una mano, l'accolgo nella mia e così mi alzo in piedi, ritrovandomi davanti a lui.

«June, voglio dirti una cosa.»







JASPER

«Non posso mangiare il gelato, mangialo tu.»

La sua voce sottile mi crea emozioni contrastanti. Sono felice. Ma anche un po' triste.

«Perché no?» le chiedo con tono tremolante.

«Perché purtroppo infastidisce i miei bronchi malati e inizio a tossire, Jas.»

Afferro la vaschetta e vi affondo il cucchiaio.

Il gelato alla menta è tutto per me, meglio.

Siamo seduti sul divano a guardare "Mamma ho perso l'aereo", ma qualcuno continua a chiamarla sul cellulare. Lei mette giù di continuo. Di sicuro non è mio padre.

«Era il film preferito di tuo fratello.» annuncia nascondendo il telefono sotto al cuscino.

Resto a fissare lo schermo, mentre lei abbassa il volume del televisore ogni volta che parte un allarme o un suono troppo assordante. Forse ha paura che quei rumori possano causarmi una crisi, ma non sa che ormai ho imparato a isolare quei suoni, non li sento nemmeno più.

Il campanello però l'ho sentito.
Mamma sgrana gli occhi e balza in piedi.

«Rimani qui Jas.»

Poi però non si muove. Resta immobile.

Forse sta aspettando che chi sta insistentemente suonando il campanello vada via, ma ciò non accade.

Continuano a suonare.

«Okay, ascoltami Jasper. Io vado ad aprire. Tu rimani qui.»

Perché mi ripeti le cose?

Annuisco.

Lei finalmente raggiunge la porta, ma prima che possa uscire dal salotto sussurra con voce spaventata.

«Se però senti gridare, promettimi che ti nasconderai.»

Resto con lo sguardo fisso davanti a me.

«Jasper.» incalza lei. Non si smuove, non finché non mi vede esibire una reazione.

Controvoglia, annuisco di nuovo.

A quel punto si appresta alla porta d'ingresso e quando la spalanca, il tono di voce che usa non è sorpreso.

«Cosa ci fai qui?»

«Non credevo di trovarti da Jordan. Pensavo andassi da lui.»

Riconosco quella voce inquietante.

«Non siamo più in buoni rapporti io e il mio ex marito.»

«Però sei sempre tornata da lui.»

«Si prende cura tutti i miei figli, cosa vuoi da me ora?»

«Ho saputo che stai male.»

Le parole si assottigliano e io fatico a comprenderle tutte.

«Io e te siamo simili. Sai, mia figlia mi odia ora. Mi ha venduto, mi ha dato in pasto a sua madre, con tutti i miei sbagli. Tu sei uguale a me. I tuoi figli ti detestano. Siamo soli.»

«Quindi tu sai che sto male, e vieni qui a rinfacciarmi questo?»

«No, sono qui per dirti che ti ho sempre amata. E per portarti via, voglio vivere con te tutti i tuoi attimi.»

«Ma sparisci.»

«Aspetta. Stai un po' meglio?»

«Tu sei qui solo perché hai scoperto che io e i miei figli erediteremo una fortuna. E no, non sto meglio. Va' via.»

A quel punto mi alzo in piedi e riesco ad intravedere la porta d'ingresso muoversi. Lei prova a chiuderla, ma lui la blocca con la mano.

«Perché non vuoi starmi a sentire?»

«Perché mi hai mentito, hai fatto il doppio gioco, mi hai manipolata e al momento del bisogno mi hai abbandonata. James ha fatto bene a colpirti quella volta.»

«Parli in questo modo, proprio dopo che ti hanno dimessa dall'ospedale, dicendo che ti resta poco da vivere? Lo sai che nessuno ti piangerà, Greta?»

Non riesco ad interpretare le loro facce. Le loro espressioni mi sono estranee, ma non mi piace la piega delle loro parole.

«Vieni con me.»

«No.»

Lui la strattona dal braccio.

«Oh. Jasper.» mugola lui quando mi vede alle spalle di mia madre.

Lei s'irrigidisce.

«Jasper va in camera da letto. Torno subito.» Poi si rivolge a lui. «Va bene, andiamo.»

I due escono di casa ma io non ho intenzione di eseguire gli ordini. James cosa farebbe?

«Che intenzioni hai? Non ho soldi, se è questo che cerchi da me.» la sento mormorare tra un colpo di tosse e l'altro.

«Non voglio farti del male, Greta»

I due iniziano a discutere. Mi avvicino alla porta. Loro sono in strada, di spalle.

Posso uscire.

Mi raggomitolo vicino alle ruote del furgone parcheggiato lì davanti. Il motore è acceso.

Aspetto che si distraggano a parlare, poi mi avvicino alla portiera. E quando mi rendo conto che lui l'afferra dal braccio perché vuole indurla ad entrare nel veicolo, decido di restare accovacciato e fare il giro dall'altro lato per non farmi vedere.

Il furgone di Hood è aperto, quindi posso aprire lo sportello e nascondermi nel retro.

Resto basso, proprio dietro al sedile del guidatore.
A quel punto avverto un po' di trambusto, finché non mi accorgo che sono entrambi in auto.

Il furgone è appena partito.

E io ci sono dentro.

O no.



eccomi 🤍

🦋 il pov di Jasper non è stato semplice da scrivere, ma spero sia stato di vostro gradimento🙌🏻

🦋 come avrete notato, alla fine ho risparmiato il povero Will (che tra l'altro sta troppo bene insieme a May) 🫶🏻

🦋 il capitolo 59 sarà intenso✨ (tanto per cambiare)

(So che alcune di voi compiono gli anni
oggi, tanti auguri ♥️)


se vi va ci vediamo su Instagram (stefaniasbooks)
lì commentiamo insieme il capitolo e vi tengo aggiornate sulla pubblicazione del 59 🫶🏻
(e non solo)

A presto 🦋

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