53. 'Cause all of my enemies started out friends
e si ricomincia...🎡
JACKSON
«Tesoro fa freddo, mettiti questo.»
Nonna mi guarda dal basso con i suoi occhietti trasognati. È un'anziana burbera, a volte persino maleducata, come quando litiga furiosamente con i vicini o con le commesse del banco frutta. Ma non con il suo Jackson. Stravede per me, lo fa da quando sono nato.
«Non ne ho bisogno, nonna. Lo sai che... Okay, va bene.»
Finisco sempre per cedere alle sue lusinghe insistenti. Non ci provo nemmeno a contraddirla, tanto ha sempre ragione lei.
Accolgo tra le mani il mio giubbotto di football preferito, mentre nonna, che mi arriva a malapena al petto, aggrotta le sopracciglia grigie con aria fiera.
«No certo, dicevi così anche quando ti sei preso la broncopolmonite.»
«Avevo dieci anni.»
«Ora che ne hai otto in più, pensi forse di essere immune ai colpi d'aria?» mi redarguisce col suo filo di voce gracchiante.
Attende con pazienza che io mi tolga una trentina di centimetri, che mi faccia ricurvo verso di lei e quando abbasso il viso alla sua altezza, finalmente può baciarmi la fronte.
«Grazie nonna.» mormoro beandomi dell'occhiata gratificata che segue quel gesto affettuoso.
Lo faceva anche quando ero piccolo, ma è diventata un'abitudine mattutina solo nel momento in cui mi sono trasferito qui da lei, dopo quella notte d'inferno.
Mentre infilo la giacca, nonna mi fa un cenno complice e presto mi accorgo della presenza di mio nonno, che è appena giunto in cucina per fare colazione.
Anche lui ha i suoi rituali mattutini, ma non comprendono baci o moine amorevoli. Pretende che il suo caffè sia già pronto e servito caldo. Che il suo quotidiano preferito sia già ad aspettarlo sul tavolo e che nessuno disturbi la sua colazione, amara come il caffè che beve e triste come le notizie che legge.
«Non sei in ritardo per la scuola?»
La sferzata gelida non è dovuta alle parole che usa, ma per il modo in cui le comunica. Brusco e severo.
Con i pollici spingo verso il basso i polsini del giubbotto e vi nascondo immediatamente le dita, le cui unghie sono ricoperte di smalto nero.
«Sto andando» sbuffo controvoglia, uscendo dalla cucina.
Non voglio essere un peso per loro e sebbene mia nonna mi abbia fatto capire in più di un'occasione di non esserlo, è proprio così che mio nonno mi fa sentire.
Dovrei cercarmi un lavoro, dar loro una mano...
Questi sono i pensieri costanti, le angosce che mi assalgono ogni volta che mi ritrovo a cenare e a pranzare con loro. Senza contare che l'università posso scordarmela. Non eccello in nessuna materia, non ho passioni che non siano il football. Soltanto il football.
Sto guidando, perso nei miei pensieri, quando noto qualcuno camminare sul bordo del marciapiede che conduce a casa dei miei nonni. Con una manciata di riflessi pronti freno di scatto e metto a fuoco la sagoma conosciuta.
«Blaze che cazzo ci fai qui?»
Lui sgrana gli occhi impaurito quando mi vede abbassare il finestrino.
«Sto andando a scuola.»
«Casa tua non è da queste parti», gli faccio notare, mentre le sue guance si tingono di un rosa pallido.
«Che vuoi, Jax?»
Blaze non accenna ad arrestare la sua camminata, perciò lo seguo con l'auto, andando a malapena ai cinque all'ora.
«Perché sei qui?»
Lo metto alle strette, così finalmente lui si decide a rompere quel silenzio.
«Volevo solo parlarti.»
«Anch'io volevo parlarti.»
«Ma ti sono mancate le palle, Jax. Come sempre»
Freno nel bel mezzo della strada e vedo Blaze trasalire nel momento in cui scendo sbattendo la portiera. Sembra farsi piccolo quando gli sopraggiungo davanti, lasciando che la mia ombra incomba su di lui.
«Non ha l'aria di uno che è nella posizione di parlare, dato che stai scappando da casa mia.»
«Jax...»
Poi prova ad indietreggiare, ma ormai si trova pressato con le spalle schiacciate al cancello di una vecchia casa.
«Potevi entrare, Blaze.»
«C'era tuo nonno.»
Abbasso lo sguardo e vedo che sta giocherellando con la sua catenina. Con l'indice arriccia il metallo, scaricando la tensione che gli causa la mia vicinanza.
«Quello che avevo intenzione di dirti...Tuo nonno l'avrebbe gradito, Jax.»
Mi accorgo di avere la mascella inceppata e le gambe rigide. Con la punta delle dita prendo a massaggiarmi la mandibola, come a volerla rilassare.
«Posso sapere di cosa parli?» domando sottovoce.
Blaze innalza gli occhi, consentendomi di perdermi nella profondità delle sue iridi profonde.
«Mi manchi.»
Quelle parole mi creano un buco nel petto, così potente da levarmi il respiro.
«Te ne sei accorto prima o dopo aver baciato Scott?» lo istigo, forse per evitare di trovarmi faccia a faccia con la realtà.
Mi manchi anche tu
«So di aver sbagliato, ma continuare a non darmi certezze è stato il tuo errore, Jax. Ho creduto di non essere...»
Lo vedo piegare il capo, con l'intento di eludere la mia occhiata pressante.
«...Importante per me?» completo la sua frase, fissandolo in pieno viso con un sopracciglio innalzato.
«Di non essere abbastanza. Per te.» spiega Blaze, seguitando ad osservare l'asfalto.
«Senti Blaze, io... In passato lo so di aver detto cazzate, ma poi ho provato a dimostrarti...»
A quel punto però, lui solleva il mento. I nostri sguardi collimano alla perfezione e io dimentico ogni cosa, anche quello che volevo dirgli.
«Hai provato a dimostrarmi qualcosa? Quando? Quando dopo aver fatto sesso, mi hai mandato via perché dovevi risolvere le solite cazzate che fate tu e i tuoi amici?»
«Di che parli?»
Lui è nervoso, ma io non sono da meno. Non riesco a smettere di tormentare il piercing al labbro, triturandolo sotto agli incisivi.
«Non era passata nemmeno un'ora, Jax. È arrivato James e tu... Tu hai cancellato ogni cosa.»
La sua voce trasuda debolezza e si spezza proprio sull'ultima parte.
«Mi dispiace, okay? Sono stato un coglione. È questo che vuoi sentirti dire?» M'irrito all'istante.
«No. Volevo sentirtelo dire quella sera.»
La naturalezza con cui Blaze riesce ad ammettere certe cose mi lascia a bocca aperta. Vorrei mandarlo a quel paese, dirgli di smetterla, ma i nostri occhi, finalmente, si scontrano di nuovo.
«Sera in cui ho aspettato mi chiamassi, ma niente. Sei uscito con i tuoi amici fregandotene di ciò che io provassi. Del mio stato d'animo. Dei miei sentimenti, Jax»
Smosso da alcuni sussulti, mi perdo a fissare il suo labbro inferiore tremare appena.
Stato d'animo? Sentimenti?
Mi ghiaccio sul posto nell'udire quelle parole che, come al solito, mi smuovono a fatica. Perché Blaze si ostina sempre a voler parlare di sentimenti, di emozioni, se poi tradisce la mia fiducia alla prima occasione?
Nell'assistere alla mia reazione impassibile, Blaze decide di voltarsi per darmi le spalle e andarsene, ma prima che possa compiere un ulteriore passo, lo afferro bruscamente.
La mia mano è calda e lui sussulta grazie a quel contatto. Noto la sua pelle color avorio scaldarsi sotto al mio palmo, così grande da racchiudere l'interezza del suo esile polso.
Quindi lo trascino verso di me, lasciando che il suo petto si scontri con il mio torace e mi è sufficiente curvare di poco il capo, per solleticare il suo zigomo con la punta delle mie labbra sensibili.
«Blaze, se quella volta non ti ho richiamato... Non significa che io non abbia passato tutta la notte a pensarti.»
Lui però non ha l'aria di uno che abbia voglia di credermi. La sua bocca resta incastrata in una linea sottile, non batte ciglio.
«E la serata successiva?» mi provoca sollevando il mento.
Le nostre labbra non si sfiorano per un soffio.
«E quella dopo...?»
Così ricasco nelle mie abitudini. Provo a zittirlo con un bacio, come facevo sempre, ma Blaze ruota il capo evitando l'illusione di un ravvicinamento.
Cristo
«Vieni, ti accompagno a scuola.»
Afflitto e ferito nell'orgoglio, provo a restare composto, provo a non darlo a vedere, ma ormai Blaze mi conosce troppo bene e il cipiglio che gli contorna il volto, sembra chiedere "Dici sul serio?"
«È solo un passaggio.» minimizzo dirigendomi alla mia auto, parcheggiata al bordo del marciapiede.
Blaze però, sembra temporeggiare vicino alla portiera.
«Non pensi che a scuola possano vederci arrivare insieme e...»
«Non me ne frega un cazzo. Ti va bene come risposta?» Sputo risoluto, prima di entrare nell'abitacolo.
Aspetto che lui si accomodi sul sedile del passeggero e mentre armeggia con la cintura di sicurezza, io metto in moto e proseguo verso la scuola.
«Tuo padre lo sa?»
«No.»
La risposta di Blaze non esita ad arrivare, lui capisce immediatamente a cosa io mi stia riferendo.
«Tua mamma?»
«Penso di sì»
«Gliel'hai detto?»
Sono concentrato alla guida, ma con la coda dell'occhio noto Blaze fare spallucce.
«No. Credo l'abbia capito da sola, Jax.»
«Ti fa paura che lo scoprano?»
«Non penso che a qualcuno possa interessare chi mi porto a letto, se ragazzi o ragazze. Ma è una cosa mia, non mi va di dirlo ai miei. Se invece un giorno dovessi intraprendere una relazione seria, allora il discorso sarebbe diverso.»
Nell'udire le confessioni di Blaze, il mio respiro si fa grave, un nodo soffocante mi stringe il petto.
«Sono d'accordo.» mi ritrovo ad ammettere con un filo di voce.
Blaze si volta verso di me, forse mosso dal fatto che io abbia gli occhi rivolti alla strada e non possa guardarlo dall'alto come il mio solito.
«Perché me l'hai chiesto, Jax?»
«Mi sembrava volessi urlarlo ai quattro venti. Insomma... Eravamo appena stati insieme, dammi un attimo per metabolizzare» mi lamento irrigidendo il collo.
«Volevo che James lo sapesse. Che la smettesse di metterti le mani addosso...» lo sento dire sottovoce.
«Lo fa anche con te, è fatto così» taglio corto «E poi... Con James le cose erano complicate»
«Erano?» si acciglia lui.
«Sì.»
La mia risposta criptica però, non lo soddisfa e lo capisco dal broncio deluso che gli incupisce il volto. Fermo l'auto proprio davanti al cancello di scuola, ma Blaze non sembra interessato a scendere. Picchietto la punta di indice e medio contro il volante, manifestando tutto il mio disagio: io non riesco ad aprirmi con Blaze. Le parole restano impigliate tra i denti, permangono serrate in una morsa velenosa.
«Non hai altro da dirmi?» Ci riprova lui.
«Te l'ho detto. Le cose con James erano complicate, ora non più.»
Vedo Blaze rilassare il petto e lasciare fluire un respiro pesante, poi però aggancia la maniglia con la mano destra. Prima che possa aprire la portiera e scappare via, gli faccio cenno di restare e riprendo a parlare.
«Io in qualche modo lo idealizzavo.»
Gli occhi di Blaze tornano a sfrecciare rapidi verso di me.
«Non voglio che tu ti senta giudicato per questo, perché ci sono passato anch'io, Jax. Ci siamo passati tutti. Tutte le persone che conosci sono state invaghite di James... Forse tranne Marvin, Will e Brian. Ripeto, forse»
Le sue parole sussurrate mi danno il conforto necessario per proseguire. Io e Blaze non abbiamo mai parlato faccia a faccia, in modo onesto. E credo proprio che il nostro problema sia sempre stato questo.
«Il fatto che James non ricambiasse... Mi teneva aggrappato a quell'idea che avevo di lui, mi faceva sentire al sicuro. Forse era solo un modo per non espormi, per non rischiare davvero. Avevo una sorta di scusa. Era il mio modo per rinnegare ciò che sentivo.» confesso senza più barriere.
Blaze non si acciglia, né si lascia andare a prese in giro, come invece pensavo poco fa.
«Per "rinnegare ciò che sentivo" intendi i tuoi sentimenti per lui?» domanda Blaze, tentando di risultare pacato, ma in realtà percepisco un leggero stato ansioso nelle sue parole.
«No, parlo dell'attrazione per un altro ragazzo. Tutto ciò che mio nonno ha sempre condannato.»
«Non si può accontentare tutti nella vita. Tuo nonno dovrà farsene una ragione. Il coach dovrà farsene una ragione.»
È la prima volta che mi apro così tanto con qualcuno e mai avrei creduto che la condivisione fosse un sollievo di tali proporzioni.
«Ricordo che ero piccolo quando in California avevano reso legali i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Mio nonno aveva addirittiura partecipato a cortei di protesta... Non lo accetterà mai, Blaze. E anche se un giorno dovesse farlo... è rassegnazione. Si troveranno costretti ad accettarmi, non è questo ciò che desidero»
«Vorresti il loro supporto?»
Scrollo le spalle.
«Non so cosa vorrei in questo momento, Blaze. Di certo non essere una delusione per le persone a cui voglio bene o per chi ha in mano il mio futuro.»
Blaze è la classica persona che non ama esporsi, ma ora sembra mosso dal fuoco di una convinzione che, prima d'ora, non gli avevo mai visto bruciare negli occhi.
«Il coach non ha in mano il tuo futuro, Jax. Avrai quella borsa di studio.»
«No.» ribatto risoluto.
«Sì invece. Tuo nonno è una testa di cazzo, ma ormai non gliela cambi. Lo sai questo?»
Si rivela più tenace di quanto credessi, ma poi, ripensandoci, oltre a quei dieci minuti in cui stavamo insieme nascosti da qualche parte, io e Blaze non ci siamo mai detti molto. Forse io non gli ho mai dato l'opportunità di rivelarsi per quello che è realmente.
«L'avevo interiorizzato il rifiuto per ciò che sentivo. Lo nascondevo senza nemmeno accorgermene.» ammetto poi, questa volta però, guardandolo dritto negli occhi.
Con il pollice gratto lo smalto che mi dipinge l'unghia dell'indice. Sono nervoso, non posso nasconderlo.
«Mi dispiace, Jax. Dico davvero. Sei circondato di persone che ti amano, dovresti lasciarle avvicinarsi un po' di più a te. In modo che possano comprenderti, darti forza quando pensi di non farcela»
«Non è facile. Ho sempre fatto tutto da solo.»
Da quella notte in cui i miei genitori se ne sono andati.
«Lo so che pensi sempre di potercela fare da solo. Probabilmente è così, ma non puoi affrontare quello che ti sta accadendo ora, senza avere qualcuno al tuo fianco, perché così facendo, ogni problema verrà amplificato. Ti sembrerà di portare sulle spalle un macigno mille volte più pesante di quanto lo sia in realtà.»
Annuisco. Non posso dargli torto.
«Pensa a quando James l'ha scoperto. Non ti sei sentito meglio?»
«Sì.»
Resto criptico nella mia affermazione e Blaze capisce subito che c'è qualcosa in più, qualcosa che non gli sto raccontando.
«Quindi con James le cose sono complicate?» chiede curioso, ricalcando la mia espressione di poco fa.
«James sta con June.»
Prendo una piccola pausa.
«E le cose erano complicate. sì. Ora non più.»
«Già, perché è cambiato tutto da quando l'hai baciato...» mi canzona lui, non sapendo però, che poi l'abbiamo rifatto.
Ma non voglio segreti con Blaze. Non sono qui per mentirgli oppure omettergli la verità.
«E ne ho avuto conferma quando l'ho baciato di nuovo.»
I suoi occhi svelti saettano nella mia direzione per pungermi con un'occhiata furiosa.
«Blaze, prima che salti a conclusioni affrettate...»
Mi spingo con la schiena contro il sedile, abbandonandomi ad un respiro ansante.
«Porca miseria.» lo sento sussurrare a denti stretti.
Restiamo in silenzio per qualche istante, finché lui non prova a scendere dall'auto con uno scatto rapido e imprevedibile.
«Blaze» mugolo agguantando con decisione la sua spalla.
Lui sussulta.
«Lo sapevo era tutta una farsa» sputa scrollando il capo.
«Ascoltami un attimo, Blaze. Tu hai fatto lo stesso. Hai baciato un altro fregandotene di me, dei miei...»
Sentimenti per te
«Ma James è James. È diverso. Non è uno sconosciuto» insiste lui evitando il mio sguardo.
«June lo sa? Lui ti ricambia?»
«Cosa? June lo sa. C'era ehm... Anche lei.»
«Ah, adesso avete cominciato a fare giochetti anche con lei, solo che non vi fate la stessa ragazza ma vi baciate tra di voi.»
Blaze alza la voce e alcuni studenti che passano fuori dall'auto si voltano a guardarci male, oltre al finestrino. Io però non me ne curo.
«Non hai capito un cazzo, Blaze. Non è così. È successo il giorno stesso in cui James ha scoperto di me e te. Era sconvolto e io e June l'abbiamo solo assecondato.»
«A fare una cazzata.»
«Può darsi, Blaze. Ma gli voglio bene, è una delle persone piu importanti della mia vita e tu devi accettarlo.»
«Senti, io non voglio essere la seconda scelta, non voglio passare la vita ad essere messo sempre al secondo posto. Tu forse credi che io non abbia abbastanza amor proprio per...»
Blaze agguanta la maniglia, prova ad aprire la portiera ma non ci riesce.
«Lasciami uscire»
È furibondo, perciò tolgo il blocco e lo seguo fuori dalla macchina.
«James sta con June, Blaze. E ho avuto la riprova che non c'è nulla tra noi, di nuovo. E vuoi sapere una cosa? Se lui mi ricambiasse o no, a me non fregherebbe un cazzo comunque» esclamo tremando.
Blaze si guarda intorno. Ho appena alzato la voce per parlare di questioni così private. Non è da me.
«Perché?»
«Blaze e dai...»
«Adesso mi dici il perché.» s'impunta venendomi sotto al mento.
«Perché mentre ero lì con lui, io non facevo che pensare a te. Lo capisci?» strepito senza controllo.
Col fiato corto, provo ad avvicinarmi per dargli un bacio, ma lui si scansa.
«A me? Mentre gli ficcavi la lingua in bocca?»
«Cristo, ma come fai a... A essere così insicuro»
«Scusa tanto se non sono nato perfetto come te e se non riesco a credere che tu...»
«Cosa?»
«Non riesco a credere che tu voglia me, per davvero.»
«Per questo hai baciato Scott? Perché io non posso credere che quel coglione ti piaccia più di me.»
«Non esisterà mai nessuno che mi piacerà più di te, Jax..»
Il suo sguardo scorre languido lungo le mie labbra.
«Ma quando le cose tra noi si sono fatte serie...»
«Intendi quando l'abbiamo fatto?» bisbiglio con voce accennata, in modo che nessuno possa udirci.
«Sì. Mi sono spaventato. Avrei voluto delle rassicurazioni, una tua dichiarazione. Pensavo non mi calcolassi più. Ero convinto mi avessi usato per l'ennesima volta e non puoi biasimarmi se l'ho pensato.»
«In gita io ti ho cercato ma tu mi hai evitato, Blaze. L'hai fatto di proposito.»
«Stavi sempre con i tuoi amici cosa dovevo fare? Tu e il tuo gruppo siete sempre al centro dell'attenzione. Io... non sono così. La cosa mi mette a disagio.» spiega lui scrollando il capo.
«Non sei mai sceso una volta per un bagno in piscina.»
«Te ne sei accorto davvero, Jax?»
«Certo che me ne sono accorto.»
Stavolta Blaze non si ritrae quando le mie labbra poggiano morbide sulle sue. M'impadronisco della sua bocca con un bacio a stampo soffice e delicato.
«Ma non siamo una coppia...» Mi provoca con un sorriso.
Quindi schiudo le labbra e la sua lingua vellutata comincia a leccare, a lusingare il mio piercing, lasciando che una piacevole sensazione di vertigini si espanda nella mia testa.
Dimentico di trovarmi davanti al cancello di scuola. Dimentico tutto.
«Ed è stato solo sesso...» sussurra lui, rompendo l'incantesimo.
O almeno, provandoci. Perché io non gli credo.
«Blaze, prova a ripeterlo e ti faccio male.» sorrido baciandolo ancora. «Non provare mai più a dire una cosa del genere.»
«Che vorresti fare, Jackson?»
Sento il suo respiro sgretolarsi quando la mia mano s'impossessa del suo fianco.
Non voglio nessun altro che non sia tu.
«C'è sempre stata troppa gente tra di noi, ma solo tu, solamente tu, sei affar mio Blaze. Lo sei sempre stato.»
A quel punto il mio telefono prende vibrare e il mio pensiero va immediatamente a Will. Possibile che debba sempre interrompere ogni momento?
Quando però estraggo il cellulare dalla tasca del giubbotto, mi accorgo che non si tratta di William.
È June.
Che strano. Non mi ha mai chiamato, tantomeno così, di prima mattina.
«June? Dimmi» rispondo svogliato e anche un po' stizzito.
Lei prende a parlare a macchinetta, il suo modo di conversare è così concitato che capisco a malapena cosa mi stia dicendo.
«Oh cazzo, rallenta... Che cos'è successo?»
June comincia a farmi un riassunto confuso di ciò che l'è appena accaduto e per poco non mi cedono le gambe nell'udire "James è sparito con un uomo che penso fosse il padre di Brian."
Le basta pronunciare due parole.
James. Sparito.
Il mio cuore sembra arrestarsi all'improvviso.
La vista mi si annebbia. Ogni fibra nervosa del mio organismo prende a scoppiettarmi sotto la pelle.
«Arrivo immediatamente.»
Apprendo che June si trova a casa di James, ma non riesco a dire altro.
Sono troppo scioccato per fare supposizioni o per perdermi in rassicurazioni.
Metto giù la chiamata, poi guardo Blaze. O perlomeno, tento di mettere a fuoco la sua sagoma.
Le sue labbra schiuse sono rosse e umettate per via del bacio passionale appena concesso. Purtroppo però, non posso indugiare oltre.
«Devo andare.»
Sento le gambe diventare fiacche, come se all'improvviso fossero appena divenute responsabili di un peso insormontabile.
«È per James?» domanda Blaze nel vedere il mio viso segnato dalla paura.
«Blaze, ascoltami.»
Prendo un ampio respiro, mentre ci scambiamo un'occhiata intensa.
«Non abbiamo fatto altro che essere nemici sin dall'inizio. Ho bisogno che tu stia dalla mia parte questa volta.»
«Posso almeno sapere di cosa si tratta?»
«No, non posso coinvolgerti in questo guaio, ma...»
«Cosa?»
«Se vuoi aiutarmi...»
Fletto il collo, anch'esso appesantito e lo curvo nella sua direzione. Blaze solleva il mento e in poco tempo mi ritrovo a sussurrare sulle sue labbra.
«Va' a scuola. Potrei chiamarti, tieni il cellulare vicino.»
Ma quando con la coda dell'occhio noto la sagoma robusta del coach che sta scendendo dalla sua auto, mi discosto subito da Blaze.
Una cosa alla volta, siamo pur sempre nel parcheggio della scuola
«Okay» ribatte lui senza fare ulteriori domande.
Possibile che si fidi di me ora?
Dopo aver salutato Blaze, mi precipito da James in un soffio. Come June aveva preannunciato, di quest'ultimo non v'è traccia. Percorro il viale che conduce al portone d'ingresso, calpesto cocci e rimasugli dei vasi rotti che adornavano il pianerottolo, infine entro in casa, dove scorgo la sagoma di June dietro al bancone della cucina, cosparso di buste di farina e confezioni di scaglie di cioccolato.
«Ma che fai?»
«Stavo preparando i muffin quando quest'uomo si è presentato alla porta. Mi ha chiesto di Jordan, aveva un vecchio furgoncino blu, di quelli per fare le consegne. Doveva lasciare delle tele, così quando mia madre mi ha chiamata, mi sono defilata per rispondere. James è accorso alla porta e quando sono tornata... Era sparito.»
È agitata all'inverosimile.
Non credo d'aver mai visto June in questo stato, come non penso d'aver mai udito la sua voce graffiarsi di terrore, come adesso.
La lucidità data dall'adrenalina inizia a venir meno, stiamo entrambi tremando.
«Chi...? Tu pensi davvero fosse...»
«Jax ne sono sicura, era il padre di Brian.»
«Oh porca troia.»
«Dobbiamo chiamare la polizia?» domanda lei, mentre io mi soffermo a squadrarla con aria interrogativa.
Indossa una t-shirt di James che le sta come vestito e nient'altro. I capelli scombinati le avvolgono il collo, coprendo il piccolo livido violaceo che si staglia al lato sinistro della sua gola.
Mi verrebbe naturale chiederle che cosa sia accaduto ieri notte, ma penso di averlo capito con un'occhiata.
«Quindi è vero...» mormoro confuso.
Non riesco a fare a meno di guardarmi intorno: il salotto e la cucina non hanno nulla di diverso dal solito, eppure nell'aria si respira la paura. June sta stringendo i pugni sul bancone della cucina, come volesse obbligare le sue mani a smettere di tremare. E io non sono da meno.
Mi sfilo il giubbotto e accorro a sistemarglielo sulle spalle, lei per poco non mi sviene in braccio.
«June, siediti.» le intimo allungandole uno degli sgabelli che attorniano l'isola della cucina.
«Dobbiamo chiamare la polizia.» la sento ripetere, facendosi piccola sotto al mio giubbotto, le sta enorme.
Ripenso a ciò che June mi ha brevemente raccontato e una pungente sensazione alla bocca dello stomaco sembra volermi confermare che sia tutto reale.
«Sì, dovremmo chiamare la polizia, June. Ma...»
Il mio pensiero va a James.
«Non lo so se sia una buona idea. James non lo farebbe mai.»
Lei annuisce, portandosi una mano davanti alla bocca. Comincia a grattare l'unghia dell'indice sotto ai denti, sfogando così il nervosismo e l'ansia che le provoca questa situazione.
«Come puo averlo portato via? Cioè James non è affatto piccolo.» chiede poi, allargando le sue iridi impaurite.
«Tu non conosci quell'uomo, June.»
Le sue spalle vengono percosse da una scarica ghiacciata.
«È un viscido. Io non ci ho mai avuto a che fare, ma l'ho visto alla cena dei genitori, a casa di Ari. Per ottenere ciò che vuole, farebbe qualsiasi cosa.»
«Che schifo.» la sento commentare a denti asserragliati.
«Se non vogliamo chiamare la polizia, allora dobbiamo trovarlo, Jax. Tu sai qualcosa di questo Hood? Dove possiamo cominciare a cercare? Forse dovremmo dirlo a Jordan.»
June in un secondo entra nel panico più totale, così provo a rassicurarla, nonostante io non sia tanto più calmo di lei.
«Dobbiamo chiamare Will...» Glielo sto dicendo a malincuore.
Lei si alza in piedi d'impulso.
«No Jax, Will ci mette sempre nei guai.»
«Lo so ma... Ho come il presentimento che ci sia qualcosa di cui James non era a conoscenza.» confesso strofinandomi la fronte con il palmo della mano.
June si avventa su di me, strattonandomi dalla camicia della divisa scolastica.
«Cosa? Di che parli?» soffia impaziente.
«La notte in cui James voleva far fuori Hood, Will ha chiamato Austin. E non solo per chiedere aiuto... Quei due si sono parlati.»
«Che gli ha detto?»
«Non lo so perché in quel momento io e James ci eravamo allontanati. L'avevo accompagnato in auto. James non stava bene. Era incazzato, odiava quell'uomo, eppure non è riuscito a sparargli. Ha cominciato a...»
Piangere.
«Era molto arrabbiato, l'ho consolato.» taglio corto.
«Intanto Will ha chiamato Austin...» suppone June, massaggiandosi il mento.
«Già.»
«Sì però dimmi di più, Jax»
Un anno prima
«Ma che cazzo...»
James sembrava più agitato del solito quella sera.
Era buio pesto quando parcheggiammo l'auto sul ciglio della strada. Ricordo che uscimmo nella notte e il freddo mi penetrò nelle ossa.
«James, calmati» provai a rassicurarlo stringendogli la spalla, ma lui stava tremando senza sosta.
Hood era malconcio, sdraiato a terra con le braccia strette al torace. Qualcuno l'aveva appena pestato. E quel qualcuno lo avevamo proprio qui davanti a noi. Brian e William lo fissavano dall'alto. L'avevano ridotto male.
E anche Brian non era messo bene, la mandibola gonfia e le palpebre livide.
«Cosa cazzo ci fai lui qui?» si agitò James nel vedere il moro con noi.
Con le dita mi puntellai gli zigomi raggelati dal vento notturno.
«Sono andato a prenderlo io all'ospedale.» s'intromise William.
«Perché?» sputò James senza riuscire a stare fermo. Era sicuramente fatto.
«Perché è suo padre.» spiegò Will.
«Tu devi parlarmi prima di fare queste cazzate e mettere in mezzo altra gente, hai capito?»
Will e James iniziarono a battibeccare.
«Calmatevi. C'è un uomo mezzo morto per terra. Oh cazzo, è il prof?»
In quel momento realizzai, non l'avevo capito prima. Mi trascinai una mano tra i capelli. Rabbrividii. Avevo detto sì a James, avevo detto che gli avrei parato le spalle per qualsiasi cosa, ma quando vidi l'uomo a terra, con tanto di ferite e segni di percosse... Non n'ero più così sicuro.
«James, l'hai detto tu che saremmo andati a scovare Hood per farla finita. E che per farlo avresti usato la pistola che hai preso in prestito al padre di Taylor.» insistette Will, come se stesse narrando la lista della spesa. Senza pathos, senza emozioni.
Io in tutta risposta sgranai gli occhi.
«Quale pistola? Ma che cazzo dite?»
E non feci in tempo ad agitarmi che James estrasse l'arma dalla tasca del giubbotto di pelle.
«Jax tu sei dentro a questa cosa, con me.»
«Sì ma non sapevo...»
Tentennai. E il mio sguardo finì ben presto sul viso di Brian, che ad intermittenza veniva illuminato dalle luci delle auto che passavano in lontananza. Non riuscii a decifrare le sue emozioni, il suo volto era ridotto male e le sue espressioni rimasero un mistero per me.
«Dai, finiscimi.» sentii sibilare dal basso.
«Lo faccio, stronzo.» fece James a quel punto. Brian però s'intromise prontamente.
«Abbiamo fatto abbastanza.» disse il moro.
«Tuo padre è un fottuto assassino.» scandì James, ponendo l'accento su ogni singola parola.
Ma quel discorso non conciliava con il suo comportamento. Diceva di volerlo uccidere, ma tremava come una foglia.
«Voglio farlo fuori. Voglio vederlo sparire dalla mia vita per sempre.»
James chiuse le palpebre. Il suo petto sembrò stringersi, come se delle pareti anguste lo comprimessero. Non riusciva a reggere quella tensione. Ne aveva subite troppe.
«Ti conviene venire qui.» Sentimmo dire ad un certo punto.
Era Will e parlava al telefono.
Sembrava una minaccia, ma in realtà una richiesta di aiuto, perché William sapeva che James non ce l'avrebbe mai fatta.
«Andiamo, sei troppo scosso.» Lo portai verso la mia auto, col tentativo di farlo calmare.
Dopo poco infatti, vidi un pick-up nero dal quale scesero Ethan, Tom e altre persone. Di loro padre, Austin senior, non c'era traccia, ma a James arrivò un messaggio.
Mi sei debitore.
Lasciammo che quei delinquenti se la vedessero tra loro e ci rifugiammo nella mia macchina, rimettendoci in cammino.
«Datevi una calmata»
«Cosa gli faranno? Cosa faranno a mio padre?» domandò Brian dal sedile dietro, di fianco a Will. Il moro continuava a voltarsi verso il lunotto posteriore, incapace di realizzare che avessimo lasciato suo padre con quei tizi loschi.
Io ero alla guida, mi allontanai dal pick-up nero degli Austin e imboccai l'autostrada per la via del ritorno a casa.
William fece spallucce, così Brian continuò.
«Perché hai chiamato Austin?»
«Senti cosa cazzo vuoi?» sbottò James che stava accanto a me.
«Che non lo uccidano, cazzo.»
«Ora hai cambiato idea?»
«Will calmati» provai a placare gli animi.
Brian era ancora infermo, con i buchi nelle braccia per via delle flebo che si era strappato via per venire qui con noi.
«È meglio se ti riporto all'ospedale.» osservai.
«Non dire un cazzo a tua madre.» disse James, riferendosi alla signora Hood.
«Volevi ucciderlo?»
«Ti sembra che l'abbia fatto?»
«Non te l'avrei mai perdonato.» sibilò il moro con rabbia mista a risentimento.
Sembrava combattuto, perché anche lui detestava suo padre. Aveva aiutato Will a pestarlo di botte, ma non sarebbe mai andato oltre. Nessuno di noi l'avrebbe mai fatto.
Quando arrivammo davanti al pronto soccorso per scaricare Brian, James scese insieme a lui. «Ritira le accuse contro di me o sto dentro un anno.»
Fu una supplica quella di James.
«Non voglio finire a fondo con te.» fece Brian, prima di allontanarsi nel buio.
La smorfia ferita di James suggerì che quella di Brian sarebbe stata una scelta definitiva. Un gesto che avrebbe demarcato per sempre la loro netta separazione. Brian non ritritò le accuse e James finì in riformatorio.
«Non glien'è mai fregato un cazzo di me» costatò James, prima di tornare in macchina.
Guardo June lanciare il mio giubbotto sul bancone, per poi cominciare a camminare avanti e indietro per la cucina.
«Non possiamo mettere in mezzo Will, al di là dei casini che combina... Lo dico anche per la sua incolumità. Non voglio infilarlo nei guai.» spiega lei, senza accennare a smetterla.
«Puoi fermarti un attimo?»
«Camminare avanti e indietro mi aiuta a concentrarmi.» borbotta mordicchiandosi il labbro inferiore.
«Per me è l'opposto.» provo a dirle, senza ottenere alcun risultato.
Mi accascio sulla superficie di marmo della cucina e comincio a massaggiarmi la fronte con anulare e medio.
Possibile che quest'uomo riappaia dopo circa un anno, così, dal nulla?
«Magari possiamo provare a parlare con Amelia e Brian...»
Mi lascio scappare un pensiero ad alta voce ed è proprio quello che induce June a fermarsi. Mi fissa con aria dura.
«Sono sicuro che quei due sanno qualcosa.» mi giustifico per aver osato nominarla.
«Potremmo chiedere a Brian, sì.» concorda lei, eliminando completamente Amelia dall'equazione.
«Non ho il suo numero però»
«Ce l'ho io» borbotta June, mentre è già intenta a telefonare.
Restiamo in silenzio, solo il suono della chiamata in attesa. Nessuno risponde.
«Brian non dà segni di vita, chiamiamo Will.»
Oh no.
Mi sa che questa volta siamo nella merda.
Per davvero.
BRIAN
Mi sveglio di soprassalto.
Qualcuno mi sta telefonando.
È June.
Devo essermi ubriacato ieri sera e non sono nel mio letto. Perché ho bevuto così tanto? Sfrego le palpebre ancora assonate e metto a fuoco tutto ciò che mi circonda.
Una camera da letto sconosciuta.
Non è da me svegliarmi in un letto che non è mio.
Improvvisamente comincio a ricordare.
La sera prima
«Non puoi stare a casa tutte le sere. Tu e Ari vi siete ormai lasciati da mesi.»
A quanto pare Blaze ha deciso che stuzzicarmi sia diventato il suo passatempo preferito e non posso dire il contrario, dato che, se mi trovo ad una festa, questa sera, è solo colpa sua.
«E quindi?» sputo infastidito.
«Il periodo di lutto è finito» mi prende in giro, mentre varchiamo la soglia di casa di Tiffany.
La villa pullula di ragazzi ed è proprio la padrona di casa a rivolgerci un cenno con la mano, mentre sta seduta sul bracciolo di una poltrona, circondata dai suoi amici.
«James e June hanno ignorato le mie chiamate...»
La sento sbuffare quelle parole, mentre con le unghie rosa fluo ticchetta sullo schermo del cellulare.
«Saranno impegnati...» ipotizza Marvin prima di scolare un generoso sorso dal boccale di birra.
Lancio gli occhi al soffitto, maledicendo Blaze in tutte le lingue. Non li sopporto gli amici di James. Stanno lì a bere, a ridacchiare di battute scadenti e a credersi i migliori del mondo.
«Povera White. Domani le servirà la sedia a rotelle che Miss Amelia ha usato per ben un giorno e mezzo»
Eccola.
Taylor.
Il terrore di ogni ragazzo.
O almeno, il mio.
La sua voce fende l'aria con quelle parole taglienti, dandomi sui nervi. La vedo sostare vicino al tavolo imbandito di snacks e bevande alcoliche, con il suo fare altezzoso e arrogante.
«Cosa staresti insinuando? Che mia sorella abbia fatto finta?»
Mi avvicino minaccioso, lei non sembra avere intimorita. Mai. Tende la schiena per non lasciare che la mia altezza la sovrasti, arrivando a far combaciare il suo viso col mio.
«Ora la tua sorellina cammina benissimo... Quindi chi mi dice che, come al suo solito, non abbia solo cercato attenzioni?»
Taylor ha un buon profumo, due bellissimi occhi freddi e felini. Il suo animo è spietato ed è proprio questo a non piacermi di lei.
Ad un tratto però, ricordo qualcosa di dolce. Non erano le sue parole, ma la sua lingua intrecciata alla mia.
Io e Taylor ci siamo baciati in gita.
Mai fatta cazzata più grande.
«Mi spiace che June e James non riescano a venire»
«Possiamo non parlare di Jamie ora? Grazie Tiff. E tu versarmi da bere.»
L'ordine di Taylor è rivolto a me, che resto a fissare i suoi capelli lucenti cascare dritti come spaghetti dorati, sopra alle spalle lasciate scoperte da un tubino elegante.
«A me e a Tiffany, grazie.»
La trafiggo con due pupille incandescenti, lei però non appare mai a disagio, infatti mi fissa di rimando, con sfrontatezza. Non distoglie lo sguardo. Sembra non avere paura di nulla. Nemmeno del mio malumore perenne.
«Ti sembro un cazzo di cameriere?»
«Guarda come sei vestito. Poi scusa, non puoi renderti utile per una volta?» aggiunge Taylor, porgendomi un calice vuoto, con la speranza che io lo riempia.
«E tu non chiedi mai "per favore"?»
«Quindi a te piace proprio stare qui a perderti in chiacchiere e discussioni insensate, vero? Vuoi continuare o mi servi quel dannatissimo spumante?» insiste con il bicchiere rivolto nella mia direzione.
Io afferro la bottiglia, ma invece che versare la bevanda nel suo, centro un altro calice, il mio.
«Non sono il tuo schiavo, versatelo da sola.»
Lei rolla gli occhi al soffitto.
«Pensa che se te ne stavi zitto e facevi come richiesto, a quest'ora avevamo già finito.»
Deglutisco nervosamente quando Taylor mi passa vicino per rubarmi la bottiglia dalle mani. Senza volerlo, con il braccio mi sfiora il torace avvolto dalla maglietta aderente.
«Non tremare troppo, Hood.»
«Non ti sto nemmeno ascoltando» borbotto mentre i miei occhi slittano in direzione di Ari e William.
Si trovano in un angolino appartato, a conversare tra loro. Lui è seduto sugli ultimi gradini delle scale che portano al piano superiore, Ari invece, sta in piedi, proprio davanti alla sagoma di William. Se ne sta ricurva sul viso di quello stronzo, tenendogli le guance tra le mani. I miei occhi percorrono il fisico minuto di Ari, stretto in un vestitino dai toni scuri. Il pensiero che sia stata per davvero con tutti quei ragazzi, mentre eravamo insieme, mi dà il voltastomaco.
Non riuscirò mai più a guardarla nello stesso modo. Ci ho messo una pietra sopra.
Eppure il petto brucia ugualmente.
«Il mio tacco dodici nello stomaco fa meno male, vero?»
Taylor si versa da bere, poi riempie nuovamente il mio bicchiere, ormai mezzo vuoto.
«Mi dispiace, William. Ma io sono Ariana e sono fin troppo bella per essere vera, figuriamoci se posso abbassarmi a stare in una relazione con te.»
«Blaze basta con questa mania di doppiare la gente a distanza»
Il mio amico mi coglie alle spalle, ridacchiando con un umorismo tutto suo.
«È divertente»
«Non per me.» lo freddo senza accennare nemmeno un sorriso.
«Scusa...» sussurra Blaze a quel punto.
Io lancio giù un sorso di spumante, poi mi volto verso Taylor che scandaglia i dolci presenti sulla tavola.
«Stanno insieme?» la interrogo indicandole Ari e William, mie uniche fonti d'interesse.
«La tua sorellina non te l'ha detto?»
No, cara Taylor, mia sorella è una tomba.
Probabilmente nessuno sa che Amelia ha litigato con Ari, che loro due parlano poco e che, di sicuro, il loro oggetto di conversazione sarà tutto fuorché William Cooper.
E a me va bene così, non voglio mettere il becco in ciò che fa Ari, mi chiedo solo se sia realmente felice.
«Che cazzo ne so» sbotta Taylor, allungando una mano verso Poppy, che si avvicina per afferrare due patatine.
«Bionda»
«Che c'è?»
«Che succede tra quei due?»
Poppy allarga i suoi occhioni azzurri e Dio, le si legge proprio tutto in faccia.
«Non lo so»
La sua espressione colpevole non combacia con le sue parole titubanti. Poppy non è brava a mentire.
«Non lo sai, certo. E io sono Zendaya.» la canzona Taylor.
«Okay, Ari non ne può più di Will»
Poppy svuota il sacco alla velocità della luce. Mi guarda di nuovo, poi sposta gli occhi a lato.
«Le ha fatto qualcosa?» domando sfoderando il mio istinto protettivo.
Lei a quel punto solleva lo sguardo nel mio e solo allora noto che le sue guance si sono addolcite di un colore rosato.
Poppy la conosco da quando era piccola, veniva sempre a casa nostra e camera di Amelia, da buia e lugubre, diventava una festa grazie al suo chiacchiericcio e al suo buonumore inesauribile.
Cessava di parlare solo quando arrivavo io. E anche ora, sembra imbarazzarsi proprio per via della mia presenza.
«Non parli? Che succede?» la rimbecca Taylor, nel notare come Poppy fatichi a parlare davanti a me.
«Non le ha fatto niente... Però...»
Io e Taylor la fissiamo dall'alto, con insistenza, invitandola a parlare.
«Siccome in gita hanno litigato, quando poi siamo tornati, Will le ha fatto recapitare dei regali.»
«Dei regali? E c'è da lamentarsi? Io l'avrei apprezzato. Tu, Tiffany?»
Taylor prova a coinvolgere l'amica, che la ignora palesemente. Tiffany sta scherzando insieme a dei suoi amici, causando una curva rovesciata sulle labbra della bionda.
«Sì ma Will lo fa così, dal nulla.»
Poppy torna a parlare, riscattando la nostra attenzione.
«E poi si trattava di un centinaio di rose rosse sparse per casa. Il padre di Ari si è arrabbiato tantissimo. Sembrava di stare, cito le sue parole, "in un dannato cimitero".»
Taylor gonfia le guance provando a trattenere una risata, ma questa alla fine fuoriesce contagiosa.
«Poi le ha regalato dei gioielli. Ari dice che non può andare avanti così. L'ha fatto dal nulla, dopo aver passato giorni ad ignorarla... Lei non ne più di queste montagne russe.»
«Ma questo dove li trova tutti 'sti soldi? Vorrei saperlo» sbuffo irritato.
«Io so solo che i suoi gli hanno i tagliato i fondi, tolto carte di credito, tutto. C'è ancora torta o l'avete finita tutta?» s'intromette Marvin, allungando il collo verso il tavolo.
«Pensavo che fosse proprio questo il desiderio di Ari. Avere un rapporto d'amore tormentato e mai noioso...» Mi ritrovo a pensare a voce alta.
I miei occhi tornano di nuovo su di loro. Will scansa bruscamente la mano di Ari, che prova a sfiorargli lo zigomo. Compio un passo, ma prima che io possa avvicinarmici, Taylor mi ferma dal braccio
«Ma dove vai? Sei forse impazzito? Dimenticati la stronza.»
Taylor m'impedisce di fare quella cazzata, perciò torno improvvisamente lucido.
Basta, è arrivato il momento di lasciare che Will e Ari discutano tra loro, lei non ha più bisogno delle mie intromissioni.
Senza rendermene conto, però, sono già al terzo calice alcolico. La testa gira impazzita quando mi suona il cellulare.
«Hai una nuova fidanzatina o no?» mi provoca Taylor.
«Quanto sei stronza, è mia sorella»
«Uh, ecco. A proposito di stronze...»
Lancio un'occhiataccia funesta verso la bionda che in tutta risposta mi sorride, poi torna ad attingere dalla cannuccia affogata dentro ad un cocktail.
Potrei benissimo andarmene, allontanarmi da Taylor, visto che non la sopporto...ma lei è l'unica che mi sta salvando dal compiere cavolate, permettendomi di evitare di pensare troppo ad Ari.
«Amelia?» rispondo al telefono, mentre con la mano destra mi copro l'altro orecchio, per schermare il baccano e la musica che mi circonda.
«Brian, senti... Ehm...»
È strana. Il suo tono di voce è misteriosamente tentennante.
«Cosa c'è? Stai bene?» Mi preoccupo io.
«Dimmi la verità... Papà ti ha mai chiamato durante quest'anno?»
Sgrano gli occhi nell'udire quell'ipotesi assurda.
«Cosa? No! Che dici?»
«Ahm, okay.»
Lei si fa criptica e io m'insospettisco subito.
«Amelia è successo qualcosa?»
«No, ne parliamo domani. Divertiti.»
«Come vuoi, ma... Se c'è qualcosa, richiama.»
Il mio tono di voce si fa titubante e Taylor non perde tempo, comincia a farmi il verso.
La chiamata è stata sospetta, sì, ma decido di non darci troppo peso. Alla fine Amelia è strana da quel giorno in cui è stata investita davanti al locale di Austin. Il sospetto che James c'entrasse qualcosa non si è mai spento, ma lei continua a dire che è stato solo un incidente...
Dopo aver concluso la chiamata, punto Taylor con uno sguardo deciso.
«Perché mi stai sempre intorno, Taylor?»
«Che noia che sei. Ma sai che c'è? Hai ragione. Perché ti sto sempre intorno? Chissà. Me ne vado.»
Non ero preparato ad una reazione così di pancia, tantomeno da una come Taylor.
«No, ferma.»
L'afferro dall'avambracccio, causandole un sopracciglio inarcato.
Sarà l'alcol, sarà che è davvero molto bella, ma mi ritrovo ad un centimetro dalla sua bocca. Di nuovo.
Sto per baciarla, lei però sorride e abbassa il mento per evitare lo scontro di labbra.
Mi ha appena rifiutato.
Che figura del cazzo.
«Me l'hai fatto credere...» ringhio tra i denti.
Fortuna che gli altri sono troppo impegnati con i loro discorsi e non hanno notato il mio tentativo patetico di baciare Taylor Heart.
Lei però non mi sta nemmeno guardando, fissa qualcosa dietro di me.
E quando mi volto mi accorgo che stava sorridendo a Tiffany, che ricambia il suo sguardo.
«Sicuro Brian?» chiede la mora alle mie spalle, mandandomi in confusione.
La mia testa vortica per vai dell'alcol e dei loro profumi inebrianti.
«Vieni con me» m'incita Taylor a quel punto.
La stanza non smette di ruotare, il movimento peggiora man mano che mi muovo. Taylor mi fa strada tra studenti e ragazzi ubriachi, mentre ci apprestiamo a raggiungere una camera da letto.
La riconosco.
È la stessa stanza in cui ho trovato mia sorella insieme a James.
Stringo i pugni lungo i fianchi, mentre la mia mandibola diventa di roccia.
Mi accorgo però che in camera insieme a me, non c'è solo Taylor, ma anche Tiffany.
La bionda viene davanti a me e mi sferra un colpo sul petto con due dita, basta quel gesto per farmi sedere sul bordo del letto.
«Allora rispondi a questa domanda...Perché Tiff ti gira sempre intorno?»
Ci riprovo, questa volta con più coraggio, forse perché l'alcol ha cominciato a fare la sua corsa sfrenata nel mio sangue.
«La risposta non è palese?» chiede la bionda con piglio sicuro di sé.
Posa una mano sul fianco con fare da diva, poi si gira in direzione di Tiffany.
«Perché è la tua migliore...» abbozzo una spiegazione spicciola, ma vengo presto interrotto per via di ciò che accade davanti ai miei occhi.
«Amica.» sussurra Taylor prima di poggiare le sue labbra morbide sulla bocca della mora.
Strofino la fronte con aria confusa, ma ciò che realmente mi spedisce nel pallone, è assistere alle leggi della chimica che lega due persone. Quel meccanismo invisibile che improvvisamente diventa reale, grazie ad un legame ineluttabile, fondato su leggi alle quali è impossibile sfuggire.
Sento le mie pupille ardere e dilatarsi, resto a bocca aperta davanti a quel bacio. E il mio stupore aumenta quando le loro lingue iniziano a vorticare, desiderose l'una dell'altra.
Perché si stanno baciando? Perché lo fanno davanti a me?
«Ehm... È meglio se vado» balbetto alzandomi in piedi. La testa mi gira ancora di più, mi sorreggo con la mano contro la parete che costeggia il letto, ma a quel punto mi accorgo che le due si sono già allontanate.
«No. Me ne vado io» annuncia Tiffany, cogliendomi di sorpresa.
Anche la stessa Taylor inarca un sopracciglio dorato e la esamina con aria interrogativa, quasi incredula.
«Taylor senti, se...»
Non so nemmeno io cosa voglio dirle, ma tanto la bionda sembra aver occhi solo per la sua amica.
«Perche te stai andando, Tiff?»
«Perché non mi diverto.» sussurra sottovoce l'altra, voltando le spalle a Taylor.
«Ti divertivi solo quando c'era Jamie?»
Di cosa parlano?
«Non è questo. Era diverso prima»
«Ma che dici, Tiff?»
«Se vuoi stare con lui, stai con lui. Lasciami in pace.»
La mora mi fulmina con i suoi occhi color caffè, velati da lunghe ciglia folte.
E sì, sono un esperto di gelosia, in passato sono stato possessivo e assillante con Ari per anni... quindi la riconosco subito la gelosia nell'aria. Tiffany è gelosa. Di me e Taylor.
«Dio, Tiffany. Sei insopportabile» si lamenta la bionda, mentre l'altra se ne va sbattendo la porta.
Tiffany potrebbe avere le lacrime agli occhi, ma affretta di così tanto il passo, che non sono riuscito a capirci nulla.
«Ma che succede tra voi?»
Taylor in tutta risposta si lancia sul letto.
«Stai zitto.»
Vi si sdraia sopra e senza curarsi di levare le scarpe con il tacco vertiginoso, prende a fissare il soffitto con aria imbronciata.
«Non parli?»
La mia domanda finisce nel vuoto, così provo ad essere più specifico.
«Tu non parli mai con nessuno, vero?»
Lei mi fulmina con un'occhiata severa, ma non abbastanza da intimidirmi.
Mi stendo di fianco a lei, incrociando le mani sul petto. Seguitiamo a fissare il soffitto, entrambi con il naso all'insù.
«Tu in un letto con una ragazza, parleresti dei suoi problemi piuttosto che scopare?» mi punzecchia lei.
«Non mi chiamo James.»
«Non sai niente.»
«So che ti ha tradita.»
Ruoto il capo, lasciando che la mia guancia affondi nel cuscino. La vedo deglutire.
«Mi ha fatto sentire meno di zero. E io gliel'ho permesso.»
Taylor inala un respiro sofferto che le annega il petto come fosse acqua ghiacciata.
«Ma ora è tutto passato»
«Già, ma fa male comunque» riconosco con un filo di voce. «Sono stato tradito anch'io»
«Ari è una stronza, non ha scuse. È una bugiarda patologica, mentre James non mi ha mai mentito. Se gli avessi chiesto di dirmi la verità, l'avrebbe fatto senza problemi. Preferivo non sapere, ero troppo presa da lui per riuscire a vedere come stessero realmente le cose.»
«Stiamo davvero giocando a chi ha l'ex peggiore?» mugugno tra i denti, facendola sorridere.
«Solo l'ipotetico ex di tua sorella vincerebbe questo gioco.»
La sua risposta è ironica, ma mi spiazza ugualmente.
«Perché sembrate tutti odiare Amelia?»
«Lascia perdere. La lista sarebbe troppo lunga.»
«Secondo te... Perché Ari non aveva il coraggio di lasciarmi?»
Il mio sguardo s'incupisce nel pronunciare quella domanda e Taylor sembra accorgersene.
«Perché nessuno la faceva sentire speciale come facevi tu.»
Siamo occhi negli occhi, i nostri visi vicini, quando mi ritrovo a sussultare ad un centimetro dalle sue labbra.
«Svegliati, Hood.» mi prende in giro, dandomi un po' di coraggio.
Mi spingo verso di lei, i nostri nasi si sfiorano.
Lei però si ritrae. Di nuovo
Il rifiuto brucia scottante, ma è una sensazione temporanea, complice l'alcol e ciò che lei e Tiff hanno fatto poco fa.
«Mi sento come bloccata, ferma, non riesco ad andare avanti con nessuno.» sembra realizzare Taylor, tutt'ad un tratto.
«Intendi...?»
«No, non come te. Intendo a livello emotivo.»
Percepisco le mie guance avvampare all'improvviso. Come fa a saperlo? Scommetto che è tutta colpa di Poppy. Ari le avrà fatto una confidenza e lei non è riuscita a stare zitta. Come al solito.
«E lo stesso vale per Tiff.» aggiunge poi.
«Il perché non lo capisci da sola? E poi dici a me di svegliarmi?»
Taylor mi fissa di sbieco, con uno sguardo che sembra volermi sbranare, o forse, più semplicemente, comunicare un "Come osi"?
«Lei... Ti piace?» azzardo quella domanda, brancolando completamente nel buio. La vedo arricciare le labbra ed increspare la fronte all'unisono.
«Ma che dici? È la mia migliore amica»
«Le vuoi bene come una sorella?»
Taylor fa spallucce, poi impiglia una ciocca dorata dietro all'orecchio.
«Te lo dico io. No. Vi siete baciate cinque minuti fa»
«Non hai capito. A lei piacciono le ragazze, a me no.»
«Ne sei sicura?»
Si solleva sul gomito e si mette a sedere, guardandomi dall'alto.
«Certo» ribatte con voce calma, carica di convinzione.
«Quindi la baci così, tanto per...?»
«Era solo un bacio. Poi lei è l'eccezione. Lo faccio solo con lei, nessun'altra»
Taylor, a quel punto, forse mossa dalla voglia di dimostrare qualcosa, flette il collo nella mia direzione, cercando la mia guancia. Chiudo gli occhi per via dei brividi piacevoli che mi formicolano sotto la pelle, quando lei mi sfiora la gola con la punta delle labbra.
Io resto tutto d'un pezzo e le indico la porta con un cenno del capo.
«Non è meglio se vai a cercarla? Tiffany sembrava piuttosto sconvolta per essere "solo un bacio".» canzono le sue parole, poi la osservo.
I capelli corti le donano, rendono il suo viso più aggraziato. È davvero bella, ma forse baciarla non è la soluzione, non vuole me. Non posso approfittarne.
«Mi accompagni a cercare Tiff?» La sento dire quando fa per tirarsi su in piedi.
Annuisco così decidiamo di scendere al piano inferiore, dove di Ari e Will non c'è traccia, ma trovo Blaze a chiacchierare con Poppy. Ignoro il fatto che stiano prendendo in giro Connell e una ragazza, doppiando anche i loro discorsi e mi rivolgo al mio amico.
«Posso venire a casa con te? Ho bevuto troppo» gli chiedo barcollando.
«Lo sai che Blaze si scopa Jackson? O forse è il contrario?»
Taylor mi afferra il braccio con un'andatura oscillante. È più ubriaca di me.
«Ti prego non me lo ricordare. E poi come fai a sapere sempre tutto, tu?»
«Ho solo un buon intuito.» sogghigna lei.
«E dimmi...» La istigo, quando dalla porta d'ingresso vedo Ari e William fare ritorno in casa.
«Dureranno quei due?»
«Si sono già lasciati... possibile che tu sia ancora innamorato di lei?»
«Non sono innamorato di lei, è solo che...» Scrollo il capo. «Non così facile.»
Ci scambiamo uno sguardo d'intesa, poi Taylor curva la bocca in un sorriso complice.
«E invece sì, guarda.»
E proprio mentre Ari ci passa di fianco, Taylor si solleva in punta di piedi e mi lascia un bacio a fior di labbra. A stampo, innocente e senza malizia.
La mossa è stata studiata per far ingelosire Ari, ma se quest'ultima non ci calcola di striscio, qualcun'altra però, mi sta fissando sbigottita.
Poppy.
«Che c'è Poppy?» domando sorridendo. Lei però non ricambia il sorriso.
«Nulla.»
Poi distoglie immediatamente lo sguardo.
ARI
L'avrei anche salutato, ma vederlo baciare Taylor è stato disgustoso.
Come può baciare Taylor?
Decido di non sostare nei loro paraggi, ma di raggiungere la cucina e defilarmi dal casino.
«Possiamo finire di parlare?»
Will mi rincorre, sperando che io possa cambiare idea, ma non voglio tornare sulle miei decisioni. Tra noi è finita.
«Will, non lo so. Probabilmente dopo Brian non sono pronta per una relazione seria»
Lo vedo serrare le palpebre.
«Perché torni di nuovo con queste cazzate?»
«Non sono cazzate, Will. E la verità. E probabilmente nemmeno tu sei pronto.»
«Questo non sta a te dirlo.»
Abbiamo trascorso tutta la sera a discutere e per me questo tipo di rapporto non ha più senso. Un momento prima Will è geloso se qualcuno mi parla, il momento dopo non mi calcola. E questo trattamento può durante anche tre giorni di fila.
«Te le ho perdonate tutte, Ari»
«Ma cosa? Che cosa avrei fatto di così assurdo?»
«Fregartene! Te ne sei sempre fregata! In gita pensavi solo a stare con le tue amiche» mi aggredisce lui.
«Siamo stati insieme, Will.»
Lo vedo contorcere le labbra, quasi infastidito dal doverlo ammettere.
«Non intendo in quel senso...»
«Will...»
«Volevi solo quello?» si scalda lui, mandandomi in confusione.
«Cosa? No, certo che no.»
Lui però non mi sta più dando retta, mi volta le spalle. È adirato.
«Will calmati, non è quello. È solo che io non riesco a ...»
«A cosa? A stare con me? Se non mi metto in qualche casino, automaticamente divento troppo noioso per te?» mi fulmina voltandosi di scatto nella mia direzione.
«Noooo ma che dici!» esclamo indignata. Prendo un lungo respiro, poi decido di confessarglielo.
«Io non credo di provare lo stesso per te.»
A lui però non sembra importare.
«Lo sapevi. Sono anni che sai cosa provo per te, avresti dovuto essere chiara sin da subito»
«Non lo sapevo, Will.»
Lui si scansa in malo modo quando provo a sfiorargli il braccio.
«Will.... Mi hai fatto tutti quei regali e...»
«È una colpa?»
E di nuovo quella sensazione alla bocca dello stomaco.
Non sono la persona giusta per te. Forse non lo sarò mai.
«Dico solo che non me lo aspettavo, pensavo... A volte è così difficile.»
Lui mi rivolge un'occhiata straziante e io mi sento immediatamente in colpa.
«Parli di me? Parli dello stare con me, vero?»
«Non... Will...»
Non è volontario, il respiro mi si spezza e il pianto si fa strada nella mia gola fino ad indurmi a scoppiare in lacrime. Non era mia intenzione ferirlo. Non ci siamo giurati amore eterno, non capisco perché io non possa mai avere il diritto di chiudere una relazione senza trovarmi dalla parte del torto.
Ma William è troppo preso dal rancore per provare a comprendermi. Con i palmi che si macchiano di mascara, provo a tamponare le lacrime che mi circondano le palpebre, ma in quel momento ricevo una chiamata. Leggo il nome di Amelia sullo schermo, Will intanto approfitta del mio momento di distrazione per defilarsi dalla cucina e andarsene.
«Will...» Io non demordo.
Voglio che tra noi finisca, sì, ma non che lui mi serbi rancore in questo modo.
«Va bene così.» chiude senza nemmeno darmi la possibilità di replica.
Lo vedo uscire in balcone per raggiungere i suoi amici intenti a fumare, quindi provo a seguirlo per assicurarmi che, sopraffatto dalle emozioni, non faccia cavolate. Jackson però, m'inchioda con un'occhiataccia delle sue.
«Che vuoi?» Chiede il biondo e lo fa bruscamente, mentre Will mi osserva di sbieco.
«Perché la trattate male?» domanda Marvin, cascando dalle nuvole come al suo solito.
«Perché voi siete così!» strepito prima di voltarmi per tornarmene dentro casa.
Il mio gesto è avventato, mi giro di scatto e, senza farlo apposta, finisco addosso a Marvin che esibiva tra le mani un piattino. La torta alla panna finisce dritta sulla mia scollatura.
«Ops, scusa»
Lancio gli occhi al cielo.
«L'hai fatto intenzionalmente, Marvin?»
«Secondo te volevo sprecare l'ultima fetta di torta lanciandotela addosso?» esclama lui, impermalosito dalla situazione.
Poi però si accorge del mio disagio e aggiunge. «Ti ho chiesto scusa»
«Lascia stare» sbuffo facendogli cenno di levarsi dai piedi.
«Non volevo»
«Hai finito?» lo rimprovero quando il suo sguardo finisce sulla mia scollatura e ci rimane per troppo tempo.
«Ma cosa avete tutti quanti? Rilassatevi.» mugugna allargando le braccia.
«Ho litigato con Will»
«Ti prendo dei fazzoletti»
Lo vedo allontanarsi alla ricerca di qualcosa con cui ripulirmi.
«Grazie» sospiro quando Marvin torna con dei veli di carta da cucina.
Me li porge in modo buffo, sostenendo lo sguardo verso l'alto, senza abbassarlo mai nemmeno per un secondo.
«Ma che fai adesso?» ridacchio.
«Sto provando a non guardarti le tette»
Mi trattengo, nel vedere il suo atteggiamento sciocco, finché non scoppio a ridere divertita, nonostante le guance ancora macchiate di lacrime.
«L'hai mangiata la torta?» chiede lui indicando quel che resta sul suo piattino, ovvero una piccola fetta di pandispagna farcita di crema e panna.
«La torta? No.»
Marvin che cos'ha nel cervello? Perché dovrei mangiare la torta? Tutto zucchero e calorie.
«Se vuoi ti offro la mia»
«E poi tu come fai? Era l'ultima fetta, no?»
«Non importa, Ari. Se la vuoi la mia, te la lascio»
Che carino.
Marvin mi fissa inebetito e io non capisco con che coraggio possa pensare che io voglia perdere tempo a parlare con uno come lui.
«Non la voglio. Ciao.» sbotto scacciandolo via.
Sono intenta a ripulirmi il vestito, mentre le voci sul balcone si mescolano tra loro.
«Che ti stavi dicendo con Ari?»
Marvin parla con i suoi amici e Jackson è sempre il più ficcanaso.
«Niente, l'ho aiutata poverina.»
«Non è che se alle elementari vi siete sposati, vuol dire qualcosa» s'inasprisce William.
«Sei solo geloso perché l'ho baciata prima di te, Will?»
Sorrido.
"Che stupido Marvin". Mi ritrovo a pensare mentre rispondo al cellulare.
Amelia mi sta chiamando. Di nuovo.
«Amelia? Ma che succede?» rispondo con tono leggermente ansioso.
Ho uno strano presentimento.
«Ari... Non so a chi dirlo.»
«Cosa?»
«Mi ha chiamato mio padre.»
BRIAN
«Sei nervoso?» domando a Blaze nel vedere il suo sguardo sfrecciare sempre nella medesima direzione. Un metro e novantacinque, capelli biondi e tanti muscoli.
«Perché non rispondi mai alle domande?»
Il mio amico si fa incalzante, ma a me poco importa.
«Non so di che parli»
Mi stringo nelle spalle e affogo la bocca dentro al bicchiere, piuttosto che rispondere.
«Goditi la serata, Brian. Se Taylor ti piace, fregatene.»
«È una stronza»
«Non sto dicendo che dovete fidanzarvi ufficialmente...»
«Senti, parliamo di cose serie.» mi ritrovo a sussurrare con una mano a conca davanti alla bocca. Il mio gesto deve risultare particolarmente goffo, perché causa una risatina da parte di Blaze, che probabilmente non mi ha mai visto bere un goccio di alcol in vita mia.
«Sono preoccupato per Amelia, ultimamente è molto strana. Con me non si apre, ma se ti dovesse dire qualcosa...»
«Sta' tranquillo.» mi rassicura lui.
«Sì ma da quando James è tornato dal riformatorio, non c'è da stare troppo tranquilli»
«Perché?»
«Blaze hai il coraggio di chiedermelo? Ha un sacco di nemici e Amelia deve stargli lontano. Quello che abbiamo fatto a mio padre...»
Gli occhi di Blaze fiammeggiano nella mia direzione e io non mi accorgo di star parlando un po' troppo.
«James si è messo contro gente troppo grossa e...»
In quell'istante Jackson ci passa davanti e Blaze cambia improvvisamente espressione facciale.
«Senti io me ne torno a casa» sbuffa il mio amico, nel vedersi ignorare per l'ennesima volta.
«Okay vengo con te» mi affretto a dire prima di posare il calice su un tavolino del salotto.
«Ma dove vai? Hai detto che mi davi una mano! Che razza di amico sei?»
Sobbalzo nell'udire una voce femminile e oscillante, richiamare proprio me.
«L'aiuti per davvero?» Si stranisce Blaze nel vedere Taylor reclamarmi dalle scale.
«Troverò un altro modo per tornare a casa, tranquillo, Blaze.»
Saluto il mio amico, prima di finire in bagno insieme alle ragazze.
La mora è curva con la testa sul water.
«Ma che cazzo succede?» mi stranisco.
«Tiff vomita. Non vedi?» spiega Taylor facendomi cenno di stare in silenzio, mentre sorregge il mucchietto di riccioli scuri tra le dita.
«Che hai mangiato?»
«Niente, sono giorni che sto male» borbotta la mora piantando il ginocchio sul pavimento per risollevarsi in piedi.
«Potrebbe essere l'alcol che hai appena bevuto?»
«Ho bevuto solo un goccino. Mi sento svenire, devo stendermi a letto»
Taylor guarda l'amica con aria impensierita, finché non ci adoperiamo per aiutarla.
Tiffany non sembra ubriaca, ma ha sicuramente bisogno di una mano.
Così, io a sinistra e Taylor a destra, l'aiutiamo a sorreggersi e a salire le scale fino a giungere in camera sua.
Resto in corridoio, mentre Taylor rimette a letto l'amica esausta, le sistema le coperte e dopo un paio di minuti, Tiffany sta già dormendo.
«Io tornerei a casa adesso.» bisbiglio sottovoce nel vedere Taylor uscire dalla camera.
«Come vuoi» ribatte lei ad occhi bassi.
«Che vorresti dire?»
«Che i genitori di Tiff sono a Toronto a trovare i nonni, quindi io dormo qui. Se vuoi restare a farmi compagnia, puoi farlo» bofonchia sbrigativa, quasi pentita di aver appena ammesso quelle parole a voce alta.
«Ehm...»
Il mio esitare le causa una stoccata di occhi al soffitto
«Non ti salto addosso, Hood.»
Restiamo a fissarci per qualche istante, fermi in quel corridoio, ma ben presto il duello di sguardi si spegne in fretta, perché mi ritrovo a realizzare che non provo alcun tipo di sentimento nei confronti di Taylor.
«No, nemmeno io.» confesso osservandola aprire una porta sconosciuta.
«Ma se preferisci stare da solo...»
Sto sempre da solo.
Decido di non farmi ulteriori domande e sfilarmi le scarpe per poi sdraiarmi sul letto dei genitori di Tiff, insieme a Taylor.
«Ti dico un segreto, Hood» sibila lei, dopo aver spento la luce.
È tutto buio nella stanza, ma nell'oscurità, il suo profilo elegante viene illuminato da un piccolo spiraglio di luce che scivola sotto la porta, proveniente dal corridoio.
«La "one bed trope" funziona solo se c'è reale attrazione tra i due protagonisti»
Non sto capendo. Per fortuna lei decide di spiegarsi meglio.
«Nei libri e nei film spesso si usa l'espediente di un solo letto, per far sì che i personaggi finiscano a dormire insieme. Il tutto ai fini di un avvicinamento, nonostante l'odio che dicono di provare l'uno per l'altro. Beh, nel nostro caso... sì, io un po' ti odio, ma odio tutti. Non sei speciale. E il fatto che ci sia un letto solo, non significa niente.»
«Mi stai dicendo in modo carino che non sei attratta da me? Grazie tante»
La sento ridere nel buio.
«È reciproco»
Restiamo in silenzio per qualche istante, finché lei non mi coglie alla sprovvista con una domanda.
«Perché non glielo hai mai detto?»
«Cosa?» ribatto accigliato.
«Ad Ari, che non eri pronto»
«Ho provato a farglielo capire.»
«Tuo padre è un tipo strano. Non lo so, mi dà queste vibes da persona di cui non ci si può fidare» aggiunge lei.
«James ti ha raccontato sua versione.» m'irrigidisco. Mio padre può aver sbagliato, ma ciò non dà il diritto a nessuno di sputare fango sulla mia famiglia.
«Sai Brian, credo che quella raccontata da James non fosse solo "la sua versione", ma anche la tua, dato che c'eri anche tu quella sera.»
«Tu come lo sai?»
«Io e Jamie siamo stati insieme, te lo sei dimenticato?»
«Ci parlavi anche?»
La sento sorridere nel buio.
«Mio padre ha fatto cose sbagliate»
«Tipo causare ad Amelia un occhio nero? Non so, su questo piccolo dettaglio avrei dei dubbi...» ironizza lei.
«È stata solo una colluttazione, non avrebbe dovuto, ma non l'ha fatto apposta.» spiego io.
«Lo stai giustificando?»
«No. Assolutamente no. Sennò non mi sarei unito a Will, per massacrare mio padre di botte.» ringhio a denti serrati.
«Allora perché non hai ritirato la denuncia nei confronti di James?»
«Perché mi ha fatto finire all'ospedale, forse?»
«Sì ma come facevate a non capire le sue ragioni? Quello che tuo padre ha fatto con sua madre, è sbagliato. Chissà quante altre volte ha approfittato delle donne in quel modo.»
«Lui si è meritato quello che ha avuto, ma James voleva ucciderlo, questo non l'avrei mai permesso. Una cosa del genere avrebbe solo finito per distruggere mia sorella.»
Entrambi udiamo un rumore, probabilmente un lamento provenire dalla stanza accanto.
«Vado da Tiff» sbuffa lei a quel punto.
Quando giunge alla porta però, si volta con l'unico intento di prendermi in giro.
«Ah, e grazie per la chiacchierata, Taylor»
La bionda imita la mia voce bassa e maschile, prima di sparire in corridoio.
Resto con gli occhi al soffitto e un lieve sorriso stampato in volto. Sono troppo ubriaco per alzarmi da quel letto e, dopo qualche istante, mi addormento di sasso.
Al mio risveglio Taylor non è qui, sono solo.In compenso però, June mi sta chiamando.
Ho la testa cerchiata da un mal di testa martellante e lo stomaco in subbuglio, non riesco a rispondere ora.
La richiamerò mi dico issandomi controvoglia da quel materasso.
Rimetto le scarpe, poi esco in corridoio e sfilo davanti alla porta socchiusa della camera di Tiffany. Le ragazze stanno ancora dormendo. Mi sfugge un sorriso nel vedere la temibile Taylor risultare così tenera nel sonno.
Con entrambe le braccia circonda la sagoma di Tiffany, che rimane stretta in quel dolce abbraccio.
Sono già le sette, perciò decido di tornare subito a casa, dove, una volta arrivato, mi butto sotto la doccia. Indosso la divisa pulita e stirata che trovo già pronta nel mio armadio e quando sto per uscire da camera mia, mi ricordo della chiamata di June.
«Ciao. Mi hai chiamato?»
«Abbiamo bisogno di te. Vieni da James»
La voce di June sembra turbata, ma sono quasi le otto del mattino, cosa può essere accaduto di così grave?
«Cosa succede?» chiedo chiudendo la porta della mia stanza, per evitare che qualcuno ci senta.
«James è sparito.»
«In che senso?»
«Ho visto tuo padre questa mattina, Brian.»
Sbarro le palpebre.
«Oh cazzo.» sbraito senza preoccuparmi di aver perso qualsiasi compostezza.
«Non dire niente ad Amelia» sento June sussurrare sottovoce.
«No, va bene. Arrivo subito.»
Così scendo al piano inferiore e con mia sorpresa, trovo Amelia ancora in pigiama.
«Tutto bene? Sei in ritardo...» la rimprovero nel notare che non porta la divisa scolastica.
«Non me la sento di andare a scuola. Non sto bene» bofonchia lei stringendosi nelle spalle.
La carnagione del suo viso risulta più pallida del solito.
«Come mai non te la senti?»
Lei solleva gli occhi nei miei. Non mi dà risposta.
«Che cos' è successo Amelia?»
«Niente, smettila di insistere.»
È nervosa, particolarmente lunatica stamattina e io vorrei saper il perché.
«Mamma lo sa che non stai bene?»
«Brian...»
Afferro il mio zaino dalla sedia, poi sollevo le mani in segno di resa. «Va bene, va bene.»
«Tu vai a scuola?» M'infilza con quella strana domanda, destandomi non pochi sospetti.
«Non dovrei?»
C'è uno strano attimo di tensione tra noi. Restiamo occhi negli occhi per qualche istante, come a voler intuire con un solo sguardo i segreti non detti, ma le parole di June tornano presto alla mia mente.
Ho visto tuo padre questa mattina.
JUNE
Il cuore mi trema in gola, non riesco a respirare. È cominciato tutto quando ho visto quel post-it. Quando James è sparito. È come se i pensieri mi si fossero aggrovigliati in testa, in un ammasso sconosciuto che ancora adesso m'impedisce di dipanare i miei sentimenti.
Non sembro nemmeno in grado d'intuire il mio stato d'animo. La scarica di angoscia è pulsante dentro al mio petto e ogni emozione positiva nata dalla serata trascorsa con James, al momento sembra essersi congelata.
Mi sento affossata dai contrasti che mi scuotono la pancia. Prima la confusione, poi la felicità, infine di nuovo lo smarrimento. Ma è la paura ad essere preponderante, la paura che qualcuno gli abbia fatto del male.
Io e Jackson abbiamo deciso di chiamare William ed è proprio lui a varcare l'ingresso. La porta è ancora spalancata, è rimasta così da quando l'ho aperta a quell'uomo.
«Che succede? Dov'è James?» Ha domandato Will appena entrato in casa, notando immediatamente l'assenza dell'amico.
Non riesco nemmeno a parlare. La mia gola è serrata, come se avessi appena mandato giù un boccone troppo amaro da digerire.
«June ha avuto l'onore di aprire la porta al signor Hood questa mattina.»
È Jackson a spiegare l'accaduto a Will, che aggrotta la fronte per una frazione di secondo.
«Ma che cazzo state dicendo?»
Io continuo a dondolare la gamba, ticchettando ritmicamente contro il bancone della cucina.
«Non sapevo fosse lui.» Mi faccio piccola nella mia colpa.
«E James? In che senso è sparito?»
«L'ho perso di vista in quell'attimo in cui ero al telefono con mia madre e lui... Sparito nel nulla.»
Will prende a strofinarsi vigorosamente la nuca, Jackson china il capo. Sembriamo tre anime in pena, sopraffatte dagli eventi incontrollabili. Così facendo però, non risolveremo nulla. "Dobbiamo prendere la situazione in mano" mi dico ad un certo punto.
«Will concentrati. Cos'è successo l'ultima volta che l'avete visto?»
«In che senso, June? James non te l'ha detto?»
«Sì, ma...»
«Tu hai parlato con Austin quella sera. O sbaglio?» lo incalza Jackson.
Will rivolge lo sguardo al biondo, come a voler cercare l'approvazione dell'amico per poter parlare. Jackson, dal canto suo, annuisce, poi riprende a giocherellare nervosamente con il piercing che gli fora il labbro.
«James non è riuscito a finire il lavoro che aveva in mente. Qualcuno doveva farlo, perciò ho chiamato Austin.»
«Questo lo so, ma perché anche tu volevi Hood fuori dai giochi? Perché chiamare Austin con tanto tempismo?» Insisto io.
In questo momento, anche la minima informazione può rivelarsi utile, perciò avere il quadro completo della situazione, mi sembra il minimo.
«Era un viscido. Ari non si sentiva tranquilla quando andava a casa di Brian. È anche capitato che me lo confidasse. E poi, scusa... Dopo tutto quello che ha fatto a James? L'ha messo nella merda più di una volta. James non riusciva a dirgli basta, qualcuno doveva fermarlo. Soprattutto dopo aver ucciso una ragazza innocente.»
«Will, ma... Tu pensi l'abbia fatto apposta? Pensi che Hood l'abbia uccisa di proposito?»
Lo vedo sollevare il lato della bocca, non sembra certo di ciò che sta per dire.
«Questo non posso saperlo. Secondo me ha ricevuto ordini dall'alto. Il tipo che si scopava James era molto influente, nonché geloso, magari la voleva fuori dal giro dopo averli beccati insieme. Hood non sapeva che fosse epilettica e dopo averle somministrato quei farmaci, l'ha fatta fuori. Però non intenzionalmente. Questo è quello che abbiamo sempre pensato»
«Ne sei davvero sicuro?»
Una voce cupa e misteriosa taglia l'atmosfera. È Brian. Sosta sull'uscio e in un attimo si prende tutta la nostra attenzione.
«Se sai altro, parla.» lo freddo io, senza nemmeno salutarlo.
Will e Brian si guardano in cagnesco ed è proprio questo atteggiamento astioso ad impedire al moro di proseguire oltre.
«Potete mettere da parte il risentimento causato da Ari, per qualcosa d'importante?» li redarguisce Jackson con aria seccata.
«Ci sono cose che non ti hanno detto June. James non ti ha detto tutto.»
Brian pronuncia quella frase compiendo un passo all'interno della cucina. Io gli vado incontro, con la speranza che possa confidarci qualcosa di utile ai fini della ricerca di James.
«Parla, ti prego. Lo so che si tratta di tuo padre, ma ho bisogno che tu mi dica tutto, ora.» Mi rivolgo a Brian con occhi supplicanti.
«Chi ti dice che non se ne sia andato via di proposito? Insieme a mio padre, intendo.»
La sua uscita mi spiazza così tanto che per poco non barcollo all'indietro.
«No aspetta, che vorresti dire?» mi ostino a quel punto.
«James non ti ha detto tutto, June.»
Lo ripete, creando una voragine instabile sotto ai miei piedi.
«Non riuscirai a farmi cambiare idea su di lui.»
Will e Jackson sono ancora alle nostre spalle, ma al momento non ho occhi che per Brian. Voglio arrivare fino in fondo, voglio sapere la verità.
«Ero con loro quella notte.»
Il mio petto si svuota di un rantolo appesantito nell'udire Brian.
Era solo questo?
«Lo so.» gli dico ricordando le parole di James.
Brian era con loro la notte in cui James, dopo aver rubato la pistola al padre di Taylor, voleva sparare al signor Hood, non mi sta dicendo nulla di nuovo.
«James mi aveva massacrato quel pomeriggio, ma quando Will è venuto a prendermi all'ospedale, non ho esitato nemmeno un attimo e ho deciso di unirmi a loro. Questo James te l'ha detto?»
Annuisco, mentre il mio battito crescente nel petto, comincia a risultare quasi fastidioso.
«Sì, me l'ha detto. Quindi alla fine hai creduto a James?» gli domando senza mai perdere di vista il suo sguardo gelido.
«No, June. Ho creduto a cosa hanno visto i miei occhi.»
In quel momento Will e Brian si scambiano un'occhiata mesta, poi rivolgono sguardo al pavimento. Accade all'unisono e la cosa mi fa rabbrividire.
«Di cosa parli, Brian?»
«Di quando abbiamo trovato mio padre con la mamma di James»
La mia bocca disegna un cerchio, mentre le sopracciglia s'inarcano involontariamente.
«Ho provato a rinnegare quell'avvenimento per anni, odiando James e la sua famiglia per aver mandato a puttane la mia, ma la verità... È che ho solo provato a seppellire quel ricordo e questo è cresciuto sempre più pericoloso dentro di me.»
«Tuo padre ha colpito Amelia quella sera, dillo.» incalza Will.
«Non l'ha fatto apposta.»
«Lo giustifichi? Davvero?»
«No. Sto dicendo che... Quello che ho scoperto è stato molto più grave di uno schiaffo che lui ha dato a sua figlia.»
William e Jackson si cristallizzano in un silenzio istantaneo. Io riesco solo a compiere un piccolo cenno col capo, per invitare Brian a continuare a parlare.
«I documenti dell'autopsia che erano arrivati a mia mamma, dicevano una cosa molto chiara.»
«Cosa?» Ormai senza fiato, non provo nemmeno a nascondere la mia impazienza.
«Erano delle analisi del sangue molto specifiche, le aveva commissionate mia madre poco dopo che la ragazza era stata trovata morta. C'era traccia dell'ormone beta hcg nel sangue della ragazza.»
La spiegazione di Brian causa delle espressioni disorientate in tutti noi.
«Che cazzo vuol dire, ti sembriamo dei fottuti medici?» lo incalza Jackson.
«Quella ragazza era incinta.»
Con il palmo della mano, mi affretto a coprire la mia bocca spalancata, mentre lancio un'occhiata rapida prima a destra, poi a sinistra. Will e Jackson sembrano più sbigottiti di me.
«O mio Dio...»
Le parole mi si spengono il gola.
«Tu lo sapevi? Tu e Amelia...»
«No, noi non sapevamo un cazzo, June. Eravamo alla festa di Tiffany un anno fa. Io e Amelia siamo tornati a casa prima del previsto e lì abbiamo beccato i miei genitori litigare furiosamente. Mia madre parlava di quella ragazza, era convinta fosse stato lui.»
Brian compie una breve sosta, prova a concedersi un po' di respiro, ma quest'oggi l'ossigeno sembra mancare a tutti.
«Amelia era fuori di sé, era ancora scossa di suo per quello che era accaduto alla festa.»
«Era scossa? Lei? Parli di quando ti ha mentito sul fatto che James volesse approfittare di lei?» lo istigo senza remore.
«Non è questo il punto June.»
Si crea un rete d'incomunicabilità tra di noi, un silenzio fitto e inquietante, che si spande, creando delle distanze abissali.
«Allora l'ipotesi di William non è corretta. Quello non è stato un tentativo di tagliarla fuori dal giro di prostituzione per via delle gelosie del vicesindaco, com'è stato detto a James. La colpa non è stata di James e del suo rapporto con quell'uomo. È stato un tentativo di omicidio ben riuscito.»
La frenesia con la quale compio quell'affermazione, mi fa quasi dimenticare che sto parlando con il figlio dell'uomo che sto accusando di omicidio premeditato.
«Era incinta di lui, vero? L'ha uccisa per questo? Ha organizzato tutto sin dall'inizio per questo. La storia della festa alla quale doveva partecipare James...»
Le mie pupille si espandono, assorbendo la luce che ci circonda, ma quando il mio sguardo incontra il viso cianotico di Brian per poco non mi spavento. Ha occhi lucidi, è pallido come un lenzuolo e pare in procinto vomitare.
Con il gomito si accascia sulla superficie di marmo, poi prosegue con il racconto.
«Avrebbe perso tutto. Lavoro, famiglia... Denaro. Mia madre lo fa di mestiere e per lei sarebbe stato un gioco da ragazzi vincere la causa contro di lui. Un divorzio con prove che testimoniamo l'infedeltà del coniuge, in questo caso mio padre, avrebbe avuto un'unica conclusione: pagarci gli alimenti a vita. Lei lo avrebbe distrutto socialmente, l'avrebbe spremuto fino all'osso. Quindi lui ha colto l'occasione. Ha incastrato James e il vicesindaco che avevano già una mezza tresca e...»
Brian viene scosso da uno spasmo. Si porta una mano sullo stomaco e io vengo sopraffatta da una pena infinita. Non dev'essere bello sapere queste cose sul conto del proprio padre. Brian ha provato a negarle fino all'ultimo, finché non è stato messo dinnanzi all'evidenza.
Jackson a quel punto si accorge dello stato vulnerabile in cui si trova Brian e gli offre dell'acqua, ma il moro rifiuta.
«Quindi Hood sapeva che a quell'uomo piacesse James, l'aveva capito dalla cena a casa di Ari. Lui non gli levava gli occhi di dosso... E quando ha scoperto che la ragazza era incinta di lui...»
Le parole di William disegnano una supposizione che si fa sempre più reale.
«Ha organizzato tutto. Quella festa l'ha organizzata apposta... Così lei sarebbe morta a casa di un politico facilmente ricattabile, vista la sua relazione con un ragazzino minorenne.» mi trovo a realizzare ad alta voce.
Brian annuisce, fatica a guardarci negli occhi. E io mi sento morire.
«Pensi che quella sera, lei sia stata con James solo perché tuo padre gliel'aveva chiesto? Voleva incastrare il sindaco e farla fuori uscendone pulito?»
«Penso che lei e mio padre fossero d'accordo per incastrarli. James pensava...»
Le parole cominciano a sfumare, ad accavallarsi creando significati incomprensibili. Mi si annebbia la vista e smetto di ascoltare le voci che si mescolano intorno a me.
È stato tutto un inganno. L'ennesimo inganno. James pensava che quella ragazza fosse davvero sincera con lui, invece è stata l'ennesima persona che l'ha ingannato. Ci è stata a letto solo per incastrare il politico.
«Povero James.» mi ritrovo a sibilare tra i denti.
«Povero James? June dici sul serio? Credi che lui non facesse lo stesso?»
Le parole di Brian mi risvegliano dal torpore delle mie convinzioni.
«Cosa?»
«Quando m'impunto dicendoti che James non ti ha raccontato tutto, mi riferisco a questo. Lui aiutava spesso Austin in queste situazioni.»
«E quindi? A ricattare politici viscidi?» lo provoca Will.
«No. Ad incastrare gente innocente.» replica Brian, stizzito.
«Innocente? Sul serio?»
«Il fatto che fossero ricchi o politici, non significa nulla. Non per forza dovevano aver fatto qualcosa di male. Mio padre e Austin li ricattavano.»
Brian prova a far valere le sue motivazioni, ma noi siamo troppo di parte per dargli ragione. Forse quegli uomini non se lo meritavano, forse Hood e Austin meritano la galera, ma a me preme solo una cosa. James.
«Quindi hanno usato quel flirt con James per ricattare il vicesindaco.»
«Non l'hanno ricattato. L'hanno reso ricattabile. Avevano sufficiente materiale da usare al momento giusto, magari in cambio di favori di altri politici.»
«Austin e tuo padre cosa ci ricavavano?»
«Potere. Il loro maggior business non erano i soldi ricavati dal giro di spaccio o prostituzione. Ma il potere. Quei due sanno tutto su qualsiasi personalità emergente che è passata sotto le loro mani, durante le loro feste. Ed è così che possono ottenere quello che vogliono. Un occhio chiuso in polizia, il culo parato in tribunale, appalti, qualsiasi cosa.»
Le parole di Brian sono ponderate e ben calibrate, sembra che lui e sua madre ne abbiano parlato a lungo.
«Ma James non lo sapeva.» mi ritrovo a sospirare.
«Tu dici, June? Pensi non fosse d'accordo?»
«Che stai insinuando, Brian?»
E basta poco che la tensione arriva di nuovo al culmine. Come una saetta impazzita m'infilo sotto al viso del moro e lo punto con uno sguardo di sfida.
Will allarga gli occhi, Jackson sembra avere il respiro mozzato.
«Dico che se James fosse una ragazza, saremmo tutti lì a dargli nomignoli dispregiativi, ma siccome è James... Poverino, è stato raggirato dal papà cattivo.» mi fronteggia Brian.
Sento la mano destra formicolare dalla voglia che ho di picchiarlo.
«Prova a dire un'altra volta qualcosa sul suo conto...»
«Cosa? Che fai, June? Amelia su questo ha ragione. Lui spesso vuole fare la vittima, ma ...»
Non connetto più. Il mio cervello s'inonda di fumo, di rabbia, d'ira incontenibile.
Mi avvento su Brian con tutte le intenzioni ti zittirlo, di tirargli uno schiaffo.
«June, no!» Jackson mi blocca prontamente dagli avambracci, mentre Will sembra non aspettasse altro che vedere me e Brian litigare.
«E io che ci provo anche ad aiutarvi!» si lamenta il moro uscendo dalla porta d'ingresso, deluso per la mia reazione avventata. Forse sono stata un po' impulsiva, ma sto ancora tremando come una foglia.
«June ma sei impazzita?» Jackson mi rimprovera, mentre William mi spalleggia.
«Ha fatto bene, l'avrei picchiato io.»
«Certo Will, certo... Ora però non perdiamoci in queste cose di poco conto.» prova a farci ragionare il biondo.
«Di poco conto? Quei due, Brian e Amelia, non ragionano. Loro padre ha ucciso una persona, peraltro incinta e lui mi viene a dire che James ricattava la gente insieme a loro? Non ci credo...»
Sollevo lo sguardo incontrando quello di Jackson, perso nel vuoto.
«Vero Jackson?»
Ma la mia insicurezza non trova terreno fertile in quegli occhi color mare.
«Senti io non so che rapporti ci fossero tra loro, non so se Austin ricattasse James o meno...»
«Dobbiamo andare da Austin» taglio corto, interrompendo ogni tipo d'ipotesi.
«No June» s'impone Jackson nell'udire la mia risolutezza.
«Sì invece» mi dà corda Will.
«C'è qualcosa che non mi torna. Perché James sospettava che Austin non avesse fatto fuori Hood quella notte?»
Mi rivolgo a William che si strofina il ciuffo scombinato.
«Non lo so, era un suo presentimento»
«E tu Will?»
«Io ero convinto che l'avessero fatto. Ero quasi sicuro che l'avessero ucciso per davvero. Soprattutto dopo ciò che ho raccontato ad Austin...»
William si stringe nelle spalle ma io e Jackson lo stiamo fissando esterrefatti, raggelati dalle sue parole non dette.
«Will?»
Non ci posso credere
«Che cosa hai fatto...?»
William in tutta risposta ruba le chiavi di Jackson dal bancone della cucina.
«Andiamo guido io, vi racconto tutto in macchina»
«Quindi ti hanno ridato la patente?» si acciglia il biondo.
«Ehm...»
«Aspetta. Dicci quello che sai, Will.» lo fermo dal braccio, ancor prima che varchi la soglia.
Lui esala un piccolo mugolio, infine si lascia convincere.
«James non avrebbe mai fatto fuori quel bastardo, Austin sì, ma solo se gli avessi dato un reale motivo per farlo. Gli ho detto la verità, che Hood era un assassino e che se la faceva con la sua ex moglie, che se la scopava anche mentre erano sposati»
«Per questo spesso lo chiami? Siete in confidenza? E lui... ti ha creduto?»
Le mie domande escono sconnesse, complice l'agitazione alle stelle.
«Sì... A giudicare da quello che Austin gli ha fatto dopo»
William a quel punto non regge più i nostri sguardi, serra le palpebre.
«Austin l'ha torturato per farlo parlare.»
«Oh cazzo Will. E tu le tieni per te queste cose?»
Il tono indignato di Jackson parla anche a nome mio.
«Sì, perché James non voleva che Austin scoprisse dei tradimenti di sua mamma. Austin pagava la riabilitazione di quest'ultima, le cure di Jasper, la scuola di James...E se fosse scoppiata una guerra tra Hood e Austin per colpa della mamma di James, gli unici a rimetterci sarebbero stati i figli» spiega William provando a far luce sulla situazione.
«Dio mio Will, ma come facevi a vivere tranquillo credendo che Austin avesse ucciso un uomo per via delle tue confidenze? E poi sapevi che James non voleva che Austin scoprisse di quei tradimenti e tu gliel'hai confessati ugualmente?»
«L'ho fatto per il suo bene. Volevo capisse che razza di bastardo fosse Hood. Che lo facesse fuori. Volevo la pagasse per quello che aveva fatto a James. Ecco perché è tornato Jordan.»
Premo il palmo della mano su entrambe le mie guance, ormai tremanti per l'angoscia.
«Che vuoi dire?»
«Quella sera non ho detto nulla a James, ma ho chiamato Jordan. Jasper aveva bisogno di un padre, soprattutto se James fosse finito in riformatorio. Lui per orgoglio non l'avrebbe mai fatto, non l'avrebbe mai chiamato il suo vero padre.»
«Quindi Jordan è tornato perché l'hai chiamato tu...» esclamo fissando Will che annuisce.
«Con James in riformatorio, non so che fine avrebbe fatto Jasper... Austin non aveva la custodia legale di loro due, sarebbero finiti in affidamento, o peggio in qualche istituto per ragazzini senza genitori. I bambini autistici non fanno una bella fine in quelle strutture.»
Guardo Jackson e noto che anche lui ha gli occhi sbarrati, sta provando a metabolizzare il tutto, finché non se ne esce con «Hai fatto bene, Will.»
«L'unico che potrebbe saperne qualcosa di più è Austin. Lui è stato l'ultimo a vedere Hood. Perciò sono d'accordo, dobbiamo andare da lui.» insiste William.
Potrei starmene qui, col cuore in gola e lo stomaco attorcigliato dall'ansia. Potrei starmene a crogiolarmi nella paura di compiere la prossima mossa. Invece no, è arrivato il momento di agire. Basta chiacchiere.
«Vado a cambiarmi. Arrivo subito»
M'infilo in camera di James alla velocità della luce e qui, una volta rimasta sola, mi accorgo di stringere qualcosa tra le mani. È l'ultimo post-it.
È rimasto accartocciato nella mia mano destra da quando l'ho staccato dal frigo. La prima cosa a cui penso è a preservarlo, così lo piego in due, lo porto alle labbra per respirarvi sopra, poi lo infilo nel reggiseno.
Sono in procinto d'indossare i jeans, quando mi accorgo di quanto tutto ciò che mi circonda sia sempre più sfocato. Evito di posare gli occhi sulle coperte sgualcite che ornano il letto di James o i miei occhi potrebbero inondarsi di lacrime.
E il pianto vorrebbe prendere la meglio sul mio autocontrollo, ma decido di scacciare via ogni emozione che possa rendermi vulnerabile. Devo farmi coraggio. Non posso essere debole. Non ora.
«Andiamo da Austin.» annuncio tornando in salotto.
«June, no.»
Io però non ascolto cos'ha da dire Jackson e mi volto verso William.
«Will?»
«Sì andiamo.»
«Will, lei non sembra ragionare in questo momento.» sussurra Jackson all'amico. «È troppo scossa, non la porto così da Austin. Meglio se torna a casa.»
«Jackson ma che cazzo stai dicendo?» ribatto, ormai irritata dalla sua mania protettiva. Eccessiva in questo momento.
«Anche se, ripensandoci... Io non sono più in buoni rapporti con Austin. Non dopo aver spaccato la testa a suo figlio contro un lavandino.» sottolinea Will.
«Pensi m'importi qualcosa?» erompo dirigendomi alla porta.
Con la coda dell'occhio, però, intercetto i loro sguardi preoccupati.
Jackson e Will si scambiano un'occhiata veloce. La mia aggressività sta superando il limite, ma non riesco più a contenere la preoccupazione. L'ansia. Il nervosismo. Tutte le sensazioni negative traboccano in modo naturale e io non posso farci nulla per fermarle. Non sono solita viverle in questo modo. Normalmente trovo un modo per arrestare questi pensieri negativi, ma ora non posso. Devo affrontarli. Così torno sui miei passi.
«Scusate. Non volevo risultare aggressiva, è solo che... Voglio solo riavere James sano e salvo. Tutto qua.»
«Va bene, andiamo.» ribadisce William annuendo.
«Ora?» Si stranisce Jackson. «Austin non si trova al locale in questo momento. È mattina, dobbiamo aspettare»
«Andiamo a casa sua?» propone Will, quasi più impaziente di me.
«No, a casa di Austin non ci andiamo. L'ultima volta stavi per farci picchiare tutti»
Prendo a massaggiarmi il mento con le dita, mentre siamo ormai usciti sul pianerottolo, proprio davanti alla villa.
«Potremmo parlare con la signora Hood.»
«Non è mai in casa, devi prendere un appuntamento per parlare con lei»
Per poco non sobbalzo quando sento la voce di Brian, che sta con le spalle abbandonate al muro esterno della casa. Mi sorprendo nel vederlo ancora lì, ma in quel momento il rombo di un motore ci obbliga a voltarci verso la strada.
Nel viale antistante viene parcheggiata un'auto dalla quale scendono dapprima Jasper, poi Jordan.
«Che succede?» Domanda quest'ultimo nel vederci riempire il suo porticato, tutti in piedi come delle statuine.
«Niente.»
«Dov'è mio figlio?»
«Ehm ecco...»
«Praticamente...»
Will è in procinto di parlare, ma io gli tiro una gomitata non appena incontro gli occhi limpidi di Jasper.
Non davanti a lui.
«Stavamo tornando a casa. Tutti» mi affretto a spiegare.
«James è già a scuola.» aggiunge Jackson, come se a Jordan potesse minimamente importare.
Salutiamo l'uomo, che indugia un istante per squadrarci tutti, ad uno ad uno. Io in quel momento mi accorgo che deve proprio mancargli lo spirito d'osservazione per non rendersi conto che il pianerottolo è cosparso di cocci rotti. Jasper però lo nota immediatamente. I suoi occhi blu restano fissi a perlustrare i pezzi dei vasi frantumati.
Dovrò dargli una spiegazione mi dico a quel punto.
Prima però devo passare da casa o è la volta buona che mia madre mi strappi i capelli ad uno ad uno. La mia giornata sarà dedicata a cercare James, non posso permettermi di litigare anche con lei, devo assolutamente darle una rassicurazione o finisce che non mi lascerà uscire di casa.
Jasper e Jordan entrano in casa, così noi finiamo di organizzarci sul da farsi.
«Saltiamo scuola e verso le tre ci troviamo da Austin. Okay? Il locale a quell'ora è ancora chiuso, ma possiamo fare un tentativo, magari lui si trova già lì»
Ci accordiamo sul fatto che Jackson passerà a prendere tutti intorno alle tre del pomeriggio, infine torniamo ognuno a casa propria.
L'unica fortuna della giornata è fare ingresso in casa e trovare sulla lavagna magnetica l'orario delle lezioni di mia mamma. Ha corsi fino alle quattro, perciò non è in casa. Io ne approfitto per farmi una doccia veloce, che però, a differenza delle altre volte, non mi scrolla di dossi i pensieri negativi. Vivo in una sorta di limbo, resto fissa con le mie supposizioni senza a riuscire a trovare una soluzione. Non ho idea di dove sia James e aver visto il suo telefono rotto sugli scalini, non ha aiutato affatto.
Se almeno avesse avuto il cellulare con sé...
Una morsa avida e pungente fa capolino nel mio stomaco, mi dilania il petto e mi fa tremare le mani. Vivo solo in attesa che vengano a prendermi, non aspetto altro. È incredibile come il tempo si dilati divenendo insostenibile quando si aspetta qualcosa con tanto ardore.
Alla fine però, arriva quel benedetto momento in cui Jackson si fa trovare davanti al portone di casa mia. Indosso una felpa, un paio di jeans e mi fiondo giù alla velocità della luce.
William è seduto davanti, proprio di fianco al biondo, quindi a me tocca il posto nel sedile posteriore, insieme a Brian.
Nello sguardo di quest'ultimo mi sembra di scorgere una nota di dispiacere. Non era mia intenzione aggredirlo, ma è stato più forte di me. Ci scambiamo un'occhiata veloce, finché lui non prende parola.
«Ho parlato con Amelia, non ne sa niente»
Nessuno fiata dinnanzi a quell'affermazione. Restiamo a bocca chiusa per tutto il tragitto e questa tregua silenziosa prosegue anche quando giungiamo davanti al locale di Austin. Vengo oppressa da un brivido nel riconoscere l'entrata con le insegne luminose spente, perché tutte le volte che ci siamo recati in questo posto, siamo finiti in situazioni spiacevoli.
«Non possiamo portare June lì dentro» sento Jackson confabulare con Will dai sedili anteriori.
Discutono per qualche istante, alla fine il biondo si volta nella mia direzione.
«Entriamo prima noi due, sondiamo le acque e vediamo il da farsi. Voi restate qui, verremo a chiamarvi solo se abbiamo la certezza che sia tutto tranquillo.»
Resto in auto con Brian e il silenzio prende a farsi assordante. Troppo assordante.
«Cosa ci dirà Austin?» provo a tagliare quel momento di tensione con una domanda all'apparenza vaga, ma in fondo, d'importanza vitale.
«Ti dirà quello che vorrei dirti io, June»
«Cosa?»
«James non ti ha raccontato tutto»
Brian utilizza un tono calmo, perciò mi forzo a non dare nuovamente in escandescenza, ma purtroppo se toccano James, non posso fare altrimenti.
«Spiegati meglio. Vuoi dirmi che James abbia mentito riguardo a tuo padre?»
«Non ha mentito, mio padre si è sbarazzato di quella ragazza e il suo posto è la galera. James però non è da meno. Voleva ucciderlo.»
«Non riuscirai farmi cambiare idea su di lui. Te l'ho già detto»
Non incrocio le braccia al petto per non risultare una bambina capricciosa, ma Brian mi fa davvero arrivare al limite con la pazienza.
«Cosa pensi ci facesse con il vicesindaco?»
«Si frequentavano»
«Si era innamorato? Davvero June, tu credi a questo?»
La vena canzonatoria e quasi sarcastica che macchia le sue parole mi comincia ad urtare.
«No non ho detto questo» mi ritraggo, tornando con la schiena sui sedili.
«James lo faceva sempre, June»
«Cosa?»
«Quella non è stata l'unica volta. La prassi era organizzare festini incastrando gente ricca»
«L'hai già detto, Brian» sbuffo mordendomi l'interno della guancia per il nervoso.
«E non pensi che James andasse a letto con gente ricca e famosa solo per questo?»
Provo a contare fino a cinque prima di rispondergli.
Uno.
Due.
Tre...
«No! Non è così!» Il moto di rabbia che mi percuote è tale da non permettermi di pazientare oltre.
«Sì invece, guarda in faccia la realtà»
«No. Smettila» insisto chiudendo gli occhi. «James mi ha confidato che quella era stata la sua prima volta con la ragazza»
«Ma non l'unica.»
«Perché mi fai questo Brian?»
«Sto solo dicendo la verità, sto provando a farti aprire gli occhi.»
In quel momento la portiera si spalanca e Jackson torna in auto per primo. Nota immediatamente le nostre facce sconvolte, il mio viso paonazzo.
«Che cosa sta succedendo qui?»
«Niente.» taglia corto Brian.
Il mio cuore sembra non conoscere sosta. Batte rapido, pesante. Quando poso una mano sul petto giurerei di sentirlo vibrare.
Non fa abbastanza male il fatto di non sapere dove si trovi James? Non è sufficiente stare senza di lui?
Perché sono costretta a sentire tutto ciò?
Chiudo fuori i pensieri negativi, gli stessi che di solito mi portano a fare errori, a voler cancellare tutto il dolore che sento dentro, con quell'attimo di dolore fisico che azzera tutto.
Ma non posso farlo ora. James è riuscito a superare il suo passato, per me ha corso sotto il sole e io non posso fare lo sforzo di superare i pregiudizi che Brian sta provando a sbattermi in faccia? Anche se quello che mi ha raccontato fosse vero, io non mi tirerò indietro. Farei qualsiasi cosa per James.
«Il locale è chiuso. Abbiamo provato ad entrare dal retro, ma niente da fare. Dovremo tornare questa notte.» annuncia William, con il benestare di Jackson che annuisce.
«Ci rivediamo più tardi allora, mi venite a prendere alle cinque?» sbotto io.
«Alle cinque? June forse non hai capito, è un night non una sala da tè.» mi punzecchia Jackson, anche lui agitato da tutta questa situazione.
«Prima delle dieci di sera non c'è nessuno» spiega Will, stranamente il più calmo dei quattro.
«Non posso aspettare così tanto... Ogni ora che passa dalla sua sparizione è preziosa. E se stessimo sbagliando qualcosa? Se la soluzione a tutto fosse sotto al nostro naso e noi la stessimo mancando?»
Mi ritrovo a sudare freddo, intenta a ricacciare le lacrime che provano a forzare l'uscita dai miei occhi spossati.
«Aspettiamo almeno le nove.» ribadisce Jackson che, irremovibile, rimette in moto l'auto.
«E tu, June, hai bisogno di una bella dormita.» mi redarguisce William.
«Io stasera non ci sono.»
Brian se ne esce con quell'esclamazione che mi urta ancor di più. Scommetto che sua sorella se ne sta a casa, con le sue amichette, bella tranquilla e all'oscuro di tutto.
«E non venire allora» borbotto incrociando le braccia al petto.
«Abbiamo almeno un piano, June?» domanda Jackson cercandomi con lo sguardo puntato sullo specchietto retrovisore. «Perché James non mi permetterebbe mai e poi mai di portarti da Austin. Tantomeno senza un piano in mente»
Resto con il naso spiaccicato al finestrino, a rimirare il nulla che scorre davanti ai miei occhi.
«Sì. Io ho un'idea.»
BRIAN
Vittima o il figlio del carnefice?
Rimango con questo lacerante interrogativo marchiato sulla pelle, appiccicato alle ossa come un segno indelebile. Perché mia madre, da quella sera, non ne ha più fatto parola. Sapeva che qualche delinquente prima o poi avrebbe preso di mira mio padre, ma a lei non è importato. E parlarne con me e Amelia, non è mai stato nel suo carattere. Non si è mai sprecata di aprirsi, di comunicare. E io da un dottore non ci sono mai voluto andare. Perché non era con uno sconosciuto che volevo parlare, ma con lei.
Però con James l'ha fatto. L'ha aiutato. L'ha assecondato. Come posso nascondere il fatto che abbia dato più attenzioni a lui che a me?
Giungo a casa controvoglia e invece che imbattermi solamente un in mia sorella, in cucina riconosco la sagoma atletica di Poppy, racchiusa in un completino sportivo.
Sono entrambe sedute al tavolo da pranzo, intente a fare i compiti, quando senza nemmeno salutarla, punto Poppy con un'occhiata torva.
«Poppy devo parlare con mia sorella.» La freddo duramente.
Ad Amelia però, il mio atteggiamento non piace affatto.
«Parla davanti a lei»
Mia sorella si rivolge a me col suo fare provocatore, che mi porta a serrare la mandibola.
«Amelia...»
«Se volete io vado...» Abbozza Poppy, nel tentativo di non risultare invadente.
«No rimani, Poppy.» Seguita a sfidarmi Amelia con i suoi occhi sottili e pungenti.
Ma che le prende ora?
La vedo scrollare il capo, sembra delusa, perciò resto in attesa di una sua spiegazione.
«Dove hai trascorso la tua giornata Brian? Puoi dirlo anche davanti a Poppy, no?» sbotta Amelia, alzandosi in piedi, lasciandoci completamente sgomenti.
Io serro le labbra. Non posso rispondere e lei lo capisce.
«O forse sai che c'è? Me ne vado io.»
La vedo abbandonare la cucina senza nemmeno darmi una possibilità di replicare.
Merda, ha capito che sto tramando qualcosa.
Poppy invece sposta i suoi occhioni azzurri dalla porta che conduce al salotto e li getta su di me, chiaramente perplessa.
«Certo. Dovrei parlare davanti a te, così lo vai a dire a tutti»
Con quell'affermazione ad alta voce, provoco Poppy, che in tutta risposta si alza in piedi.
«Non so perché tu ce l'abbia con me, Brian»
Questa volta la blocco dal polso, la sua faccia da bambina innocente con me non funziona.
«Perché non è così che fai, mhm?»
«Lasciami, non ho fatto niente. Se pensi che io abbia detto qualcosa di tuo a qualcuno, ti sbagli di grosso. Io e te non ci siamo mai fatti confidenze, quindi...»
«Perché non le sapresti tenere.»
«Tu non me le faresti comunque»
Poppy mi ripassa la battuta velocemente, così non posso fare a meno di stuzzicarla.
«Perché dovrei? Sei la migliore amica di mia sorella.»
La frase mi esce con un tono sprezzante e lei se ne accorge.
«Lasciami, Brian.»
Ma io non smetto di torreggiare su di lei.
«E poi te la fai con quei delinquenti.»
«Beh, almeno a loro piace la mia compagnia. Tu ami stare da solo.»
«Se non amassi stare da solo che faresti?»
Un piccolo sussulto le fa tremare le lunghe ciglia che le contornano le iridi pulite.
«Niente. Perché dovrei? L'hai detto tu. Sono solo la migliore amica di tua sorella.»
Allento la presa intorno al suo polso senza mai lasciarla del tutto, l'attiro a me, costringendola a curvare il collo verso l'alto per subire il mio sguardo. Avverto il suo respiro di cioccolata calda misto al profumo della sua pelle chiara, che sa di gelosomino.
«Brian!» Mi richiama Amelia a quel punto.
Indietreggio all'istante e solo allora mi accorgo che io e Poppy eravamo così vicini, che la sua bocca socchiusa e umida per poco non stava per toccare la mia.
Mi precipito subito in salotto.
«Che ti prende Amelia?»
Mia sorella è seduta sul divano e quello che stinge tra le dita tremolanti è il suo telefono.
Ormai è tutto chiaro, vorrei solo me lo dicesse.
«Ti ha chiamato qualcuno?»
«No.»
La sua risposta secca non mi convince, quindi decido di essere più specifico.
«Ti ha chiamato papà?»
Lei mi fissa con due occhi vitrei. Ha smesso di parlare. Dovremmo essere dalla stessa parte io e lei, perché mi nasconde le cose?
«Da quando non mi dici la verità?» esclamo in preda alla collera.
«Da quando ho capito che eri d'accordo con loro. Da quando ti ho visto con i miei stessi occhi, quella volta, ad Halloween... Tu sapevi che James aveva il suo telefono e non mi hai detto niente!»
Il telefono... Uno strano presentimento mi aggredisce la bocca dello stomaco al solo pensiero.
E non è un'intuizione poi così assurda, dato che la stessa Amelia sta tremando. Così mi avvicino alla sua sagoma esile, nella speranza lei riesca a vuotare il sacco.
«Amelia lui ti ha chiamata. Dimmi la verità»
«Voleva solo salutarmi!»
«Quando?»
«Ieri.» ribatte lei inclinando il viso, mentre la cascata di capelli corvini le copre l'espressione colpevole.
La confessione di Amelia mette a tacere i miei dubbi. Lo sapevo. È tornato in città e ha chiamato la sua figlia preferita.
«Okay non solo ieri. Anche qualche settimana fa.»
Allargo le guance e resto con la bocca spalancata per qualche istante.
«Cosa?»
Mi volto di scatto e noto la figura di Poppy ricurva sui compiti sparsi sopra al tavolo.
«Poppy tappati le orecchie per favore» strepito bruscamente.
«Okay.»
Lei invece che andarsene o chiudere la porta, accompagna entrambi i palmi sulle sue orecchie.
«Poppy, non... Non dicevo letteralmente...»
«Non sento niente, non sento niente.» canticchia lei provocandomi una curva laterale all'angolo della bocca.
«Perché ridi? Tu non ridi mai!» mi urla addosso Amelia e lo fa con la stessa prontezza con la quale torno a rivolgerle un'occhiata fredda.
«Ti pare che io stia ridendo? Cosa ti ha detto papà?»
«Voleva solo sapere come stessi»
«Sicura che l'incidente fuori dal locale di Austin non c'entri nulla con la sua chiamata?»
Lei sposta gli occhi a lato. Ci prova a mentire, ma con me non funziona.
«Mi ha chiamata la sera stessa, qualche ora prima dell'incidente.»
La testa prende a vorticare e i pensieri si accavallano, offuscandosi a vicenda. E non è il troppo alcol di ieri sera. Mi sorreggo con una mano allo stipite della porta, forse per non crollare.
«Oh cazzo.» biascico nauseato.
«Mi ha detto sarebbe tornato e che... Voleva farla pagare ad Austin per ciò che gli ha fatto. L'ha costretto a fuggire.»
«L'ha costretto a fuggire? Quindi tu non credi che sia veramente responsabile della...»
Mi volto verso Poppy che ha già smesso di tenere le mani sulle orecchie e sta provando un nuovo filtro di Tik Tok, persa nel suo mondo.
«Della morte di una ragazza, Brian? Di questo parli? C'erano dentro tutti quanti. Non solo lui. Austin, James... Perché non lo capisci? Perché devi per forza credere che papà sia una brutta persona?» strepita incollerita.
E non faccio in tempo a farla ragionare, che lei fugge di nuovo, questa volta in camera sua.
Mi ritrovo a con entrambi i palmi stretti sulla nuca. Mi sento vinto, incapace di far valere le mie ragioni. Né con June, né con Amelia. Perché io sono nel mezzo.
«Scusa, non volevo spaventarti prima» borbotto in direzione di Poppy che solleva lo sguardo nella mia traiettoria.
«Non mi hai spaventata. Mi hai insultata»
«Non è forse vero che vai a raccontare in giro tutto quello che Ari ti confida?»
«No... Non di proposito» si corruccia lei, confusa.
«Resta il fatto che non siano affari tuoi. Non puoi farlo, perciò vedi di tenere per te ciò che hai sentito oggi.»
Poppy sembra dispiaciuta, si alza in piedi e prende a mordicchiarsi il labbro inferiore quando mi avvicino a lei.
«Scusa» la sento mormorare ad occhi bassi. Evita il mio sguardo. Di nuovo.
«Sei strana»
«Lo so grazie, me lo dicono tutti» salta su risentita.
«Non intendevo in quel senso. Intendo quando ti sto intorno»
JUNE
Il pensiero di starmene sola con i miei pensieri mi fa ribaltare lo stomaco, così quando Jackson mi riporta a casa, decido di prendere la bici per andare a farmi un giro. Ma di schiarirmi le idee non se ne parla nemmeno, la mia mente non vuole collaborare oggi, così faccio una piccola deviazione per passare a salutare Jasper.
Ad aprirmi la porta però, è Jordan, che è vestito in modo elegante e, come sempre, sembra stia per uscire.
Mi fa entrare e dopo qualche convenevole, lo studio attentamente: se ne sta nel suo salotto, o meglio dire, nel suo habitat a sorseggiare caffè con aria tranquilla, imperturbabile.
«Non so se James sia già tornato da scuola. Puoi andare a vedere tu stessa.»
Nel notare il suo sorriso bonario, vengo percossa da un fremito di rabbia.
Possibile che se ne freghi così tanto di suo figlio?
Quindi, invece che accettare la sua proposta, affronto l'uomo di petto.
«Non ti chiedi dove sia James?»
Alla mia domanda, Jordan mi fissa spaesato.
Dapprima inarca un sopracciglio, poi con la mano mi fa cenno di abbassare la voce.
Anche lui non vuole che Jasper ci senta.
«Dov'è James?»
«Non lo so. Dimmelo tu. Non è tornato da scuola?» lo provoco.
«Sarà da qualche parte ad ubriacarsi.» minimizza lui con una scrollata di spalle. «Lo fa sempre sparisce, poi ritorna»
«E questo ti sembra normale?»
Il mio affronto non passa inosservato. Jordan inasprisce lo sguardo e delle rughe dapprima poco marcate, poi via via più profonde, cominciano a marchiare il suo contorno occhi. Lo vedo scuotere la testa, per poi poggiare entrambe le mani sulla superficie di marmo dell'isola.
Restiamo a sfidarci con occhiate guardinghe, finché lui non si decide a parlare.
«Senti, June... So che sei molto affezionata ai miei figli, ma non consci il nostro vissuto. È da poco che sto provando a riconciliarmi con loro. Mentre James è stato in riformatorio nessuno si occupava di Jasper. E io mi sono dedicato anima e corpo a lui. Ma James... Per me è stato lui il vero problema. Non riesco a trovare un punto d'incontro con quel ragazzo.»
Te ne sei lavato le mani
«Jordan, non fraintendermi, mi fa piacere che tra te e Jasper le cose vadano bene. A tal proposito, secondo te ci sono probabilità che possa tornare a...»
Lui a quel punto mi fa un cenno verso la macchinetta del caffè e io annuisco, invitandolo a prepararne uno anche per me.
«Ogni medico sembra avere un parere differente. La sua forma di autismo non è migliorata, anzi, ha preso a peggiorare negli ultimi anni. Secondo i terapisti, i primissimi periodi di mutismo combaciavano con i momenti in cui restava con la madre. È accaduto lo stesso durante il periodo di riformatorio di James. Ma poi ha smesso di fare miglioramenti. Ha smesso del tutto.»
Non mi sento nella posizione di fare altre domande, penso che Jordan sia adulto abbastanza da comprendere i suoi errori e il disastro familiare al quale sta provando a mettere una toppa, ne è la prova.
Sorseggio il caffè, ma l'impazienza ha la meglio. Sono già le cinque di pomeriggio, non voglio aspettare oltre.
«Posso andare su a vedere come sta Jasper?»
«Certo, gli farà sicuramente piacere vederti.»
Lascio Jordan al piano di sotto e prima di dirigermi in camera di Jasper, sosto davanti alla porta di James per qualche istante. Questa mattina ero troppo scossa per accorgermi di ciò che mi circondava, ma ora che spalanco la porta... vedo tutto. L'atmosfera è rimasta intatta, come l'abbiamo lasciata ieri notte.
Il proiettore. I cuscini per terra. Le caramelle. I dvd sparsi. È il ritratto di un momento passato, la fotografia di qualcosa di bello che potrebbe anche non riaccadere mai più...
A quel pensiero le mie ginocchia perdono completamente vigore, mi abbandono sul materasso sgualcito e qui abbraccio il cuscino che profuma di lui. Vi affondo il naso dentro, inebriandomi del suo calore, poi mi rannicchio con la schiena contro il muro. Sprofondo con la testa nel cuscino, per nascondere i singhiozzi che cominciano a scalpitare per uscire fuori dal petto.
Resto in quella posizione per non so quanto tempo, perdo completamente la cognizione della realtà, fronteggiando tutto il mio dolore. Ma proprio quando sembro non essere più in grado di tenerlo dentro di me, un tocco gelido mi fa trasalire.
Una mano mi sfiora con delicatezza le nocche e per poco non sobbalzo. È Jasper.
«Sai cos'è tuo fratello?»
Provo ad avviare una conversazione, nel tentativo di offuscare la visione del mio viso arrossato e dei miei occhi rigonfi.
Tiro su con naso, poi con un colpetto di mano gli faccio cenno di accomodarsi di fianco a me.
«È un cretino.»
Lui si siede vicino a me. Le labbra di Jasper, che solitamente si limitano ad una linea stretta, si arcuano in un timido sorriso.
«A volte non riesce ad esprimere le sue emozioni, allora me le scrive sui post-it che uso per evidenziare le frasi che amo nei libri.»
A quel punto vedo Jasper allungarsi verso il comodino adiacente al letto, lo fa per raccogliere qualcosa. Osservo ogni suo minimo movimento: porta la mano chiusa a pugno nella mia direzione e ben presto, la apre rivelando, all'interno del palmo, un piccolo sassolino nero dalla forma perfettamente tonda.
Mi fa cenno di prenderlo e solo allora capisco. Si tratta della stessa pietra che avevo notato sul vassoio, questa mattina, al risveglio.
Il sassolino. I pinguini. Collego subito.
«Vuoi dirmi che è stata un'idea tua?»
Lo vedo scrollare le spalle, come se fosse una cosa di poco conto. Della serie "Non ringraziarmi".
«Ti è venuto in mente perché... Atipical è il tuo telefilm preferito! Lo sapevo!» realizzo a gran voce, come se avessi appena decifrato un enigma impossibile da risolvere.
Jasper annuisce.
E io vorrei abbracciarlo.
Mi sporgo verso di lui con uno slancio istintivo, ma percepisco immediatamente il suo essere diffidente. E prima che Jasper possa palesare il suo disagio, decido di fermarmi.
Torno con le spalle al muro, poi stringo le braccia tra le gambe stese sul materasso. E quella sensazione d'impotenza prende di nuovo il sopravvento.
«Sai, ero in gita quando è successa questa cosa. Io ero ubriaca, molto ubriaca e...»
Mi volto di scatto perché Jasper mi sta osservando con la fronte raggrinzita di preoccupazione.
Il pensiero vola subito a sua madre.
«Oh no, non... Non volevo dire... Insomma, a volte capita che ad una festa...»
Mi sto impappinando, perciò decido di arrivare al sodo.
«Ero così piena di emozioni, che sono crollata. Ho pianto. E non lo facevo da anni.»
Lui ora sembra ritrovare vero interesse nei miei confronti.
«L'ultima volta è stata quando hanno dato la diagnosi definitiva a mio fratello. Leucemia promielocitica acuta. Le tre parole più terrificanti che io abbia mai sentito in vita mia.»
Vedo Jasper flettere il collo a lato. Sta provando a decifrare i miei sentimenti, o forse, sta solo tentando di reprimere il senso di vuoto che gli lasciano addosso le mie parole.
«Ho finito le lacrime durante quel periodo.» mi ritrovo ad ammettere senza respiro.
«E poi, prima del previsto, è arrivata la sua morte. E io non sono più riuscita a piangere. Come può una persona non piangere, al funerale del proprio fratello? Mi sembrava di aver sofferto così tanto da non sentire più niente. Come se mi avessero rimosso i recettori del dolore.»
In quel momento, il crepitio immaginario di un vetro che si disgrega in mille frammenti. Forse è solo il mio cuore a essere frantumato. Non sono più stata in grado di ricucirlo da sola. Ho solo provato a evitare le mie ferite, facendomene altre, più fisiche.
E quel rumore, non è più solo nella mia testa, ma si tramuta rapido in un singhiozzare impossibile d'arrestare. Raccolgo le gambe al petto e abbandono la testa sulle mie ginocchia tremolanti.
Ormai non posso più fermarmi.
Le bellissime emozioni di ieri sera, le sensazioni soffocanti della giornata. Tutti i miei sentimenti si mescolano fino ad indurmi ad un pianto liberatorio. Non mi curo dei miei capelli bagnati dalle lacrime, non m'importa di quanto il mio petto risulti squassato dai respiri frammentati. Non provo nemmeno a nascondere il mio viso completamente umido di dolore.
Jasper non emette un suono, resta in silenzio, a condividere quella sofferenza che, repressa così a lungo, mi travolge come un fiume in piena in grado di distruggere qualsiasi cosa incontri lungo in suo cammino.
Abbandono la testa sulla spalla di Jasper, finché il silenzio non m'ingloba completamente e non mi addormento, sfinita da quel singhiozzare rumoroso. Crollo in un sonno ristoratore.
Al mio risveglio fuori è già buio e mi ritrovo sdraiata sul letto di James con una copertina di Super Mario addosso. Mi stropiccio le guance con aria confusa, quando noto un piatto con un sandwich e un post-it verde incollato sopra.
La calligrafia non è quella nervosa di James. È ordinata e riflessiva.
Trova James 🐧
Il respiro si arresta quando intuisco che Jasper mi ha lasciato scritte quelle parole. Prima che io possa alzarmi dal letto però, percepisco la vibrazione del mio telefono. Jackson.
«Dove diavolo siete?» esclamo nel notare l'orario.
«Calmati, June. Arriviamo.»
Il tragitto per giungere al locale di Austin mi sembra infinito, ma quando finalmente parcheggiamo nello spiazzo buio che circonda quella catapecchia, l'adrenalina prendere a scorrere nelle mie vene, inducendomi a dimenticare qualsiasi tipo di paura. La dormita appena fatta è stata una manna dal cielo e quel momento di disperazione acuta, mi ha aiutata a rischiararmi le idee, a lavare via qualsiasi risentimento verso me stessa. Ora sento di aver solo un obiettivo in mente. Ritrovare James. Per me, ma soprattutto, per Jasper. Austin parlerà e noi troveremo James. Ne sono sicura.
Ci avviamo verso l'entrata. Jackson è quello più agitato dei tre, continua a stimolare il piercing con la lingua mentre Will è stranamente calmo. Vorrei chiedergli se abbia ripreso con i farmaci, ma visto cosa stiamo andando a fare, penso che lo scopriremo a breve.
Il buttafuori fa per chiederci i documenti, eppure, sembra cambiare idea quando nota che siamo insieme William, infatti decide di non fare altre domande e ci lascia entrare.
Ci facciamo strada in quel locale rumoroso e vietato ai minori di ventun anni, tra pali luccicanti, cameriere mezze nude e tizi in giacca e cravatta. Il tempo sembra fermarsi lì dentro e anche lo stesso Austin è sempre uguale. Sempre lo stesso uomo sulla cinquantina, con pochi capelli ramati in testa e due gote rosse. Non ha l'aria di essere un criminale, eppure lo è. Sta spaparanzato su un divano, la sua stazza robusta viene messa in risalto dalle figure che lo circondano, quelle dei suoi scagnozzi magri ed emaciati. Sembra ci sia una festa, un addio al celibato al locale. Sono così decisa a parlare con lui, così impaziente, che non avverto nemmeno il disagio che mi provocano le ragazze svestite che brulicano ovunque intorno a noi, tra il baccano e i bicchieri di champagne.
«Che cazzo c'era in quella roba che mi avete dato? Era tagliata male?»
Sebbene sovrastata dalla musica martellante, avverto in lontananza la voce di Austin.
Io Jackson e Will avanziamo verso di lui, che poggia entrambi i gomiti sul tavolo cosparso di patatine e alette di pollo. I suoi tirapiedi bofonchiano qualcosa, ma lui non demorde. Ci osserva senza distogliere mai lo sguardo.
«Ho le allucinazioni. Sennò non si spiega il perché io veda arrivare i due figli di papà, insieme alla figlia dell'insegnante.»
Quelle parole mi fanno raggelare il sangue. Come conosce mia madre?
«Come conosci la signora White?» esclama Jackson, quasi più disorientato di me.
«Buonasera anche a voi. Cosa vi fa credere di poter rimanere qui, nel mio locale, senza che io vi sbatta fuori a calci in culo?»
Come da previsione, Austin ci riserva un trattamento tutto fuorché garbato e prende a fissare William, che in tutta risposta non fiata.
Okay, questa volta li ha presi i farmaci
«Abbiamo bisogno di parlarti» Esordisco attirando tutte le attenzioni su di me.
Restiamo in piedi, davanti a quegli uomini che ci esaminano diffidenti.
«Prego, voglio proprio sentire.»
L'uomo incrocia le braccia al petto e solleva il mento in aria di sfida, come se fronteggiare una ragazza di sedici anni non lo rendesse abbastanza ridicolo.
«Dov'è James?»
«Io come faccio a saperlo? Sicuri non ci sia qualcos'altro che dovete dirmi?» incalza lui con sguardo indagatore e per nulla rassicurante.
A quel punto la musica cresce all'improvviso, una ragazza sale su un palco allestito poco distante e comincia a ballare. Gli uomini si distraggono e in quell'attimo Jackson mi si avvicina all'orecchio.
«Cosa gli raccontiamo?» bisbiglia il biondo.
«Diciamogli tutto» mormora Will.
«Non voglio parlare con voi due spilungoni.» taglia corto Austin, nel vederci complottare tra noi. I suoi occhi inespressivi mi si piantano addosso.
«Voglio parlare con la signorina.»
Ad un tratto una cameriera ci sfila davanti. Il suo corpo magro, ma straboccante di curve al punto giusto, viene avvolto da un fascio di tessuto luccicante. Versa da bere a quegli uomini, poi se ne va giusto in tempo per lasciarmi vulnerabile allo sguardo assetato e sprezzante di Austin.
«Siediti.»
Quell'ordine è rivolto a me.
Con cautela, quindi, muovo due passi verso quel divano di pelle color vermiglio.
Jackson e Will mi seguono, ma l'uomo non sembra essere d'accordo.
«Voi indietro, solo lei.»
I ragazzi rimangono in piedi, posizionandosi al lato del divano, mentre gli scagnozzi si alzano all'unisono quando Austin rivolge loro un cenno del capo. I posti a sedere accanto a lui si liberano, così decido di accomodarmi proprio su quel divano, mantenendo però una debita distanza.
«Dimmi cosa vuoi sapere. Dosa bene le domande, ne hai poche a disposizione.» mi sollecita rilassandosi con la schiena. Io sono tutto fuorché distesa al momento, me ne sto chiusa con la schiena ricurva, a pugni stretti sulle ginocchia.
«Quando è stata l'ultima volta che hai visto il signor Hood?»
Austin arriccia le labbra rugose prima di parlare.
«Quella notte.»
La sua voce sinistra e minacciosa mi fa sobbalzare.
«Puoi dirmi qualcosa di più?» domando tentando di mantenere un tono gentile, accondiscendente.
A quel punto l'uomo solleva la spalla, dando un colpetto verso l'alto.
«E perché dovrei?»
«Perché James è sparito e ho bisogno di ritrovarlo.» sentenzio decisa.
La mia risposta dev'essere risultata più intraprendente del dovuto, perché Austin ne sembra colpito. Mi scruta a lungo, rimanendo in rigoroso silenzio.
«E dimmi, ragazzina... Se ti aiuto, in cambio cosa ottengo?»
«Hei...»
Jackson muove una lamentela, ma l'uomo non lo considera nemmeno. Lo allontana con il palmo rivolto verso l'alto.
«Indietro voi.»
«Faccio quello che vuoi, dammi solo una pista. Un luogo. Un punto di partenza da cui cominciare a cercarlo. »
«Jamie è sparito...» Mi canzona con l'intento di farmi irritare.
Tento di mantenere la calma, ma è inutile girarci intorno. Chi voglio prendere in giro? Sto giocando ad un gioco troppo grande per me, la realtà dei fatti è che Austin è un criminale e sarà del tutto inutile provare a raggirarlo a mio piacimento. Meglio essere sincera sin da subito.
«Hood è tornato.»
E la sferzata gli arriva secca in viso. Austin non se l'aspettava quel risvolto. Non sembra credere alle tre paroline che mi escono dalla bocca. Hood è tornato.
Annuisco, come a volergliele conficcare in testa, ad una ad una.
«Che cazzo significa?»
Lui s'inalbera vistosamente e la vena del collo che s'inspessisce a dismisura, tanto da costringerlo ad allentare il colletto della camicia, ne è la prova.
«Ti ho appena dato un'informazione molto importante. Ora toccherebbe a te.»
Avanzo quella pretesa senza battere ciglio. Dentro sto morendo di paura, ma non posso darglielo a vedere.
L'uomo si massaggia il mento, sfrega le dita tozze tra la barba incolta che gli adorna il viso, finché non torna a parlare.
«Vedi, io ho sempre trattato bene i clienti di Hood. I suoi clienti sono anche i miei.»
Annuisco, senza capire bene dove voglia arrivare. Nel sentirlo parlare però, mi accorgo di quanto sia il classico mafioso compiaciuto della propria parlantina, innamorato del suo essere un criminale.
«Ma lui, Hood, non ha fatto lo stesso con una delle mie ragazze.»
«Lo so, la ragazza è morta.» sbuffo accentuando la mia supponenza.
Voglio fargli capire che so già tutto e ho bisogno di ben altre informazioni per ritrovare James. Ma di certo non ho l'esperienza di un mafioso di mezz'età, che invece che stupirsi dinnanzi al mio coraggio, ora abbozza un ghigno affondando una patatina nel ketchup mescolato alla maionese.
«Vedo che sei informata...»
La visione del cibo, in questo istante mi dà allo stomaco.
«Gliel'hai fatta pagare per quello che ha fatto alla ragazza?» domando nel tentativo di scavare in una decisione ben precisa.
«Sì, certo.»
Austin si volta verso sinistra, dove torreggia la sagoma di William, fermo ad ascoltare i nostri discorsi. «Vero William?»
«Ehm...»
«Perché vedi, ragazzina... I tuoi amichetti non sono dei santi. E sì, io ho parato il culo a William in più di un'occasione, ma mai gratuitamente.» spiega Austin, senza mostrare alcuna emozione.
«Che cos'hai fatto, Will?» domando con il labiale. William però non risponde, bensì china la testa.
«Willy mi ha aiutato a fare una cosina. Willy non ama l'odore del cloro vero?»
La sua cantilena mi fa rabbrividire.
Fatico a capire le intenzioni dell'uomo. Ora ci sta prendendo in giro? Non è di certo un buono, ma perché fino a cinque minuti fa mi dava l'impressione di volerci aiutare?
«È cominciata tutta la tiritera, quella noiosa. "Sei un campione di nuoto, Hood. Sai resistere due minuti sott'acqua?" gli ho detto.»
A quel punto intuisco dove voglia arrivare.
«L'avete... davvero torturato?» La mia domanda è così debole che non riceve risposta.
«E lui come diceva, Willy? "Ma sono dei ragazzini... Perché credi a loro invece che al tuo socio in affari?"»
«Quindi Will ti ha raccontato come stavano le cose e tu hai deciso di fargli del male. Però, ripensandoci... Perché hai creduto subito a Will?»
Insomma, William non è l'emblema della fiducia. Ma questo non posso dirlo ad alta voce.
«Era tutto troppo strano... Brian, il figlio di Hood era lì, insieme a loro quella notte, a massacrarlo di botte. E questo mi ha lasciato intendere solo una cosa. Era tutto vero. Era vero anche l'episodio della chiave inglese. Perché Brian era lì anche quel pomeriggio. L'ho visto con i miei occhi come tremava. Hood ha cominciato a blaterare del vicesindaco, di come questo gli avesse chiesto di far fuori la ragazza perché l'aveva trovata a letto con il nostro Jamie. E poi, non è certo la prima volta che uno dei nostri clienti s'innamora perdutamente del nostro Jamie.»
Provo a restare impassibile, ma lui mi sta provocando e io sto sbattendo le ciglia che viaggiano ormai impazzite, seguendo il ritmo del mio battito nervoso.
«Sembra essere una cosa così comune... Innamorarsi di lui. Vero, biondina?»
L'insinuazione di Austin non è per nulla casuale, questa volta sta provando ad intrufolarsi nel mio sguardo in modo sgradevole. Vuole capire il mio ruolo in tutta questa vicenda. E lo sta facendo senza nemmeno chiedermelo direttamente.
«Io sono solo una loro compagna di classe, mi è solo stato chiesto di aiutarli. Per questo sono qui.»
Ovviamente nessuno crederà mai a queste parole, ma è il minimo che io possa fare. Austin si lascia andare ad un ghigno beffardo, ma decide di non sprecare ulteriori parole per darmi corda, così torna al suo racconto.
«La telefonata tra Hood e il vicesindaco è stata registrata. La ragazza è morta. Il vicesindaco potrebbe finire nei guai seri. Tutto molto bello, no? Ottimo lavoro da parte di Hood, se non fosse che... una delle mie ragazze era stata uccisa. E a me queste mancanze di rispetto non piacciono. È qui che entra in gioco Willy.» sogghigna sadicamente Austin.
Io in quell'istante sollevo lo sguardo e sorprendo Jackson fissare Will con aria sgomenta.
«Ve l'ho detto... Gli ho raccontato di aver trovato la mamma di James e Hood insieme... Per questo James l'ha aggredito con la chiave inglese.» si giustifica Will.
«Willy ha pensato di dirmelo dopo mesi dall'accaduto, mantenendo quel segreto un po' troppo a lungo per i miei gusti.»
Oh no, William voleva fare una cosa per James, ma alla fine gli si è ritorta contro.
«E sì, il pensiero che una delle mie ragazze fosse morta mi dava fastidio, ma... Sapere che, colei che all'epoca era mia moglie veniva sbattuta dal mio socio in affari... No, questo non glielo avrei permesso.»
Austin ricapitola l'accaduto, ma io ho solo una domanda in mente.
«William che cos'hai fatto?»
«Abbiamo solo provato a vincere la nausea che prova all'annusare l'odore del cloro. Vero Willy?»
Le mie ossa si ghiacciano nell'udire tanta freddezza.
«Ma questa è solo peggiorata.» lo canzona Austin divertito, senza mostrare un minimo di empatia per il viso pallido di Will.
«L'ho aiutato a riempire la vasca del bagno del suo ufficio. Acqua e cloro. E l'abbiamo fatto parlare.» spiega William.
«James lo sapeva?» domando esterrefatta.
William compie un cenno di diniego col capo, così torno a rivolgermi ad Austin.
«Quindi Hood ha confessato?»
«La solita tiritera di domande. "Perché l'hai fatto? Me l'ha chiesto il vicesindaco. Bugia. Testa sott'acqua. Perché l'hai fatto? Me l'ha chiesto lui. Bugia. Testa sott'acqua. Willy gli ha tenuto la testa sott'acqua finché non ha cominciato ad avere spasmi.»
Io e Jackson ci scambiamo un'occhiata terrorizzata.
«Ma state tranquilli, non l'ha ucciso. Hood ha resistito più di Willy stesso, che non ce la faceva più ed è dovuto fuggire con la coda tra le gambe. Finalmente, dopo mezz'ora di tortura, Hood ha parlato. Voleva far fuori l'amante incinta che non aveva intenzione di abortire. Lo avrebbe messo nella merda per sempre. Semplice no?»
«E tu ne hai approfittato! Avevi materiale sul vicesindaco, su James, su Will...»
Il mio tono di voce è ormai equiparabile ad un urlo, ma non m'importa più niente. Quest'uomo è spregevole.
«Beh, non volevo più collaborare con Hood. Che razza di uomo fa una cosa del genere? E si scopa pure mia moglie?»
«C'è dell'altro, vero?» domando bruscamente.
A quel punto Austin si sporge verso di me, facendomi indietreggiare per evitare il suo alito di fumo e salsa barbecue.
«Potrebbe essere... Ma credo tu abbia chiesto e ricevuto, senza dare niente in cambio, biondina»
«È meglio se andiamo... Subito.» Sento Jackson mugolare ed è inequivocabile il piglio nervoso che ha preso a serpeggiare nel suo tono di voce.
Austin indica le ragazze che si esibiscono disinibite intorno ai pali.
«Vedi quegli uomini? Lasciano mance ridicole. E sai perché?»
Scrollo il capo, imbarazzata dall'argomento e dalla sua vicinanza al mio viso.
«Sono qui ogni fine settimane e ogni fine settimana vedono sempre la solita ventina di ragazze. Tutte uguali. Ma...»
Con la coda dell'occhio noto che Will sta trattenendo Jackson dal braccio.
«Ma se vedessero qualcosa di nuovo... Scommetto che le mance quadruplicherebbero.»
Austin si tampona la barba macchiata di ketchup con un fazzolettino, causandomi una smorfia schifata.
«Perché non ci dici qualcosa in più delle analisi?» incalza William, come a voler persuadere l'uomo e a volermi sottrarre a quella situazione scomoda.
Austin scrolla il capo e incrocia le braccia gonfie al petto. La sua camicia sgualcita si tende sul petto rilevando un addome flaccido.
«Gli affari sono affari, ragazzina. Sto aspettando.»
«Cosa vuoi da me?»
Con un cenno del capo torna ad indicarmi le ragazze che ballano.
«No grazie. L'ho già fatto una volta. E poi chi mi dice tu sappia realmente qualcosa in più? Questa mattina abbiamo ricevuto informazioni molto importanti dal figlio di Hood» lo provoco nella speranza che Austin cambi idea.
Non era certo la mia intenzione iniziale, quella di mettere in mezzo Brian, ma sono disperata.
«Pensi che non sappia già tutto? La signora Hood ha raccolto delle prove. Le analisi del sangue che presentavano le tracce del farmaco di Hood nel sangue della ragazza, le prove che ci fosse l'ormone della gravidanza, c'erano filmati di telecamere di sicurezza che ritraevano Hood e la ragazza in vari ristoranti, erano spesso insieme. Tutto quel materiale, l'aveva raccolto la moglie e serviva per incriminarlo. Quella donna non è una stupida e sicuramente, tutte quelle prove, le aveva nascoste da qualche parte, in casa, ma qualcuno le ha trovate e le ha consegnate a Hood quella sera.»
«O porca miseria» Jackson esprime a voce alta il mio pensiero. Sono sgomenta.
«Dove sono finite queste prove?» chiedo strofinandomi la fronte.
«Io non le ho.» Austin sembra sincero nel pronunciare quella frase.
Ripenso a James, alle telecamere che voleva far installare a scuola per monitorare i movimenti di chiunque. Lui non sapeva cosa nascondessero a scuola, ma sapeva che gli Austin avevano intenzione di curiosare, in cerca di qualcosa d'importante.
«Ecco perché volevate fare irruzione a scuola! Pensavi che Hood le avesse nascoste da qualche parte sul luogo di lavoro, dato che in casa non si fidava della moglie!» esclamo con la foga dettata da chi ha appena realizzato qualcosa d'importante.
Austin è in procinto di finire il suo piatto di patatine fritte, quando resta con la mano a mezz'aria.
«Sei più sveglia del previsto. Ma più di questo, io non posso dire.»
«Lui ha nascosto le prove a scuola, tu le hai cercate per mesi senza trovare nulla. Lui è sparito per un anno. Perché? Perché l'hai lasciato libero?»
L'adrenalina mi sfrigola nelle vene. Ormai non riesco più a fermarmi, sembra una vocazione la mia.
Austin mi priva volontariamente della soddisfazione di rispondere, mentre io mi volto verso William.
«Tu eri con loro la sera in cui l'hanno torturato, Will. Che cos'è successo? Perché pensavi fosse morto?»
«Quando io sono andato lui ha continuato a torturarlo con l'acqua. Pensavo lo stesse uccidendo per davvero.»
«Le mie intenzioni erano quelle, ma alla fine, decisi di dargli una via alternativa. L'esilio. Lasciarmi tutti i suoi clienti e sparire per sempre. Nuovo passaporto, nuova vita.» conclude Austin soddisfatto della sua scelta apparentemente magnanima.
«Ma certo, così non ti sei macchiato le mani di sangue e ci hai guadagnato con un sacco di persone in più da ricattare. E siccome l'unico amico di Hood era il preside, tu hai creduto che le prove le nascondesse lì, nell'ufficio della presidenza. Però non avevi nulla che lo potesse incriminare, quindi perché l'hai lasciato fuggire?» insisto, più agguerrita che mai.
«Era obbligato ad andarsene. O l'alternativa sarebbe stata...»
Austin slitta piu vicino, dandomi i brividi quando sussurra nel mio orecchio con voce minacciosa.
«Sarei andato a casa sua, sua figlia non avrebbe fatto una bella fine.»
Deglutisco rumorosamente. Un piccolo vortice di apprensione comincia a farmi accapponare la pelle. «Quindi queste benedette prove che incastrerebbero Hood sono a scuola o no?» provo a cambiare discorso, sottraendomi alle attenzioni di Austin.
«Questo implicherebbe un coinvolgimento da parte del preside.» ipotizza William.
«No, il preside non è coinvolto.» sputa Jackson, risoluto.
Ma è Austin che voglio far parlare. C'è ancora qualcosa di non detto, me lo sento.
«Non ci credo tu l'abbia torturato fino alla morte senza ricevere un indizio, qualcosa. Hood ti avrà detto qualcosa in più, ne sono certa. Ecco perché i tuoi figli sono andati a cercare a scuola. Lui ti ha detto che erano lì le prove.»
Austin annuisce sogghignando maliziosamente. «Devi imparare a negoziare, ragazzina. Ora è il tuo turno, no?»
«No, June. Andiamo Abbiamo sentito abbastanza.»
Jackson, maledizione. Lasciami fare
«Okay, mi vado a cambiare.» esordisco senza muovermi di un millimetro.
«Guarda che io non dimentico. Hai preso per il culo i miei figli in più di un'occasione.»
Austin resta impassibile e io provo a sostenere uno sguardo che sia gelido almeno la metà del suo.
«Lo farai?» insiste l'uomo, scettico.
Qualsiasi cosa per James
«Chi mi garantisce che parlerai? Prima dimmi quello che sai, poi farò come dici tu, Austin.»
«No. No. No. Calmiamoci»
Jackson prova ad intromettersi di nuovo, ma io lo inchiodo con un'occhiataccia.
«E a me chi garantisce che una ragazzina manterrà la sua parola?»
In quell'instante decido di tentare il tutto per tutto.
«Veniamoci incontro. Ci troviamo a metà. Tu sali su quel palco e mi annunci, così siamo sicuri che tutti sappiano che sono nuova. Io mi cambio. Mi dai la prima parte delle informazioni e dopo che avrò ballato, mi darai la seconda.» m'impunto indicando il palco.
«Mhm, vediamo... Offerta accettata. Ma solo se racimoli duecento dollari di mance.» Mi sfida lui, assottigliando gli occhietti piccoli.
Mai
«Certo. Dove posso cambiarmi?» domando con un filo di voce e il fiato rotto.
Austin richiama una cameriera che ci passa di fianco e le chiede di occuparsi di me.
«Lei ti mostrerà la strada. Vediamo che sai fare, ragazzina.»
Mi alzo in piedi, quando sento Jackson aggredire verbalmente Austin.
«Il nostro migliore amico è in pericolo e tu pensi solo a fare questi giochetti vero?»
«Mi diverto, sì» confessa l'uomo, senza curarsi di nascondere il ghigno tagliente che gli si dipinge in volto.
Io intanto seguo la ragazza mora che mi conduce in uno stanzino buio, dall'acre odore di naftalina.
«Non sapevo assumessero ragazze delle superiori. Ad ogni modo... Tu sembri avere una M.»
«Senti chiudi quella bocca e dammi quel maledetto straccio.» taglio corto allungando una mano nella sua direzione.
La ragazza però temporeggia, è indecisa.
«I nuovi vestiti sono taglia unica e non so se...»
«Cosa non sai? Non sai se mi staranno?»
«Stai calma, voglio solo dire che abbiamo cambiato politica. Una volta le M c'erano.»
Lei non si leva il broncio dal viso, ma si china verso un armadio il quale si spalanca mostrando al suo interno una serie di completini succinti.
«Oh, immagino. Ma d'altronde, perché mettere una taglia in più? Vuoi mica correre il rischio di coprirti per bene le tette ed evitare di mostrare troppo il culo?»
La mia reazione lascia la ragazza sgomenta. La vedo spostare gli occhi a lato ed evitare il mio sguardo mentre mi porge il vestito identico a quello che indossa lei.
«Scusa, non so niente di te.» mormoro mentre lei si volta, lasciandomi la privacy per cambiarmi.
«Purtroppo l'università e l'assicurazione sanitaria per le cure del diabete di mia madre, non si pagano con un lavoro in un fast food.» sibila lei, mentre io mi sfilo i jeans.
«Scusami. Sono davvero mortificata. A volte non mi rendo conto di quanto io sia fortunata.» mi ritrovo a bisbigliare.
E non è di certo una taglia a determinarlo.
«Di giorno ho lezione, poi torno a casa e mi occupo di mia madre. Trovo a malapena il tempo per lo studio. Non potrei permettermi un lavoro full-time. Qui mi basta lavorare poche ore e la paga è buona.» La ragazza si giustifica ulteriormente, facendomi sentire tutta la sua frustrazione.
Quando finalmente riesco ad infilarmi in quell'ammasso intricato di stoffa, mi osservo allo specchio. Le geometrie dell'abito striminzito avviluppano le mie curve, che restano nascoste a malapena. L'abito è lo stesso che indossano tutte le ragazze in sala. È composto da un triangolo rovesciato che copre a stento il seno e una gonna stretta e corta che si congiunge alla parte superiore mediante un cerchio argentato. Il vestito scintilla di paillettes facendomi sentire un gigantesco albero di natale ambulante.
La ragazza mi si avvicina per sistemare i miei lunghi capelli sciolti, rimasti impigliati nel retro dell'abito.
«Ti dico un segreto. Preferirei portare una L piuttosto che fare questo lavoro, ma non ho alternative.»
E dopo avermi salutata, esce da quello stanzino, lasciandomi sola, con solo l'amaro in bocca.
Meglio non pensare a mia madre in questo istante. L'odore del fumo è soffocante, così come il sapore d'alcol che impregna l'aria. Torno nella sala dove mi aspettano, ma non posso fare a meno di continuare ad abbassarmi la gonna, è troppo piccola per i miei fianchi, quindi sale in continuazione.
Jackson mi squadra contrariato.
«June, no. Se lo scopre James...»
Will dice qualcosa ma non lo ascolto nemmeno.
Mettiamo fine a questo circo.
Arrivo dinnanzi ad Austin e lo provoco a testa alta.
«Annunciami.» ordino a braccia conserte. «Poi potrò chiederti quello che voglio»
«Hai una domanda sola.» mugugna lui. E prima che possa alzarsi in piedi, lo inchiodo con un quesito che lo fa trasalire.
«Il preside è innocente?»
Lui non ha questa informazione, glielo leggo in faccia. Pensa siamo noi a saperne di più, dato che frequentiamo quella scuola.
«James voleva mettere le telecamere. Non solo per beccarci in pieno.»
Corrugo la fronte dinnanzi a quell'affermazione.
«Che significa?»
«Se il preside avesse messo le telecamere in un determinato punto, all'interno della scuola, quella sarebbe stata la sua ammissione di colpa. Le telecamere puntano nella direzione esatta che si vuole tenere d'occhio, la zona che si vuole proteggere. Con le telecamere, sarebbe stato troppo facile capire dove andare a cercare. E James voleva proprio questo, scovare le prove per incriminare Hood.»
«Volevate la stessa cosa.» realizzo a quel punto, ignara delle sue cattive intenzioni.
«No, James voleva denunciarlo e sbatterlo in prigione.» spiega Austin.
«E tu?»
«È solo l'ennesima arma in mio potere. Ora te la faccio io una domanda.» ribatte rapido.
Lo scambio procede frenetico e io dimentico persino l'imbarazzo d'indossare quel copri-gina imbarazzante.
«Perche avete cercato avvelenarmi quella sera?»
«Dovevamo restituire la pistola.»
«È solo questo?» insiste lui.
Sono in procinto di dirgli di sì, quando davanti agli occhi mi appare il ricordo di Amelia.
Lei aveva aumentato la dose del sonnifero quella sera. Sembrava volesse uccidere Austin per davvero. Perché si era comportata così? È stato tutto così strano...
«Mi hai annunciato?» chiedo ad Austin, che si prende del tempo per scoccare un'occhiata viscida lungo tutta la mia scollatura.
E se la chiave di tutto fosse lei? Amelia?
L'uomo finalmente scolla il suo fondoschiena da quel divano e si dirige a passo lento verso il palco. In quel momento avverto l'impulso impellente di fuggire da lì. L'istinto me lo sta comunicando. Urlando. E non me lo faccio ripetere due volte.
«Andiamo» sputo voltando le spalle al palco sul quale Austin sta mettendo piede.
Faccio cenno ai ragazzi di seguirmi.
Jackson e William accelerano il passo e io per poco non mi metto a correre per raggiungere l'uscita del locale.
«Will perché non hai mai detto queste cose a James? Quello che avete fatto tu e Austin?» ringhio tra i denti.
«Non volevo farlo stare peggio.»
«Sì ma così gli hai fatto credere che Hood fosse morto!»
Usciamo da quel locale in fretta e furia e c'infiliamo in auto alla velocità della luce.
«Austin mi mandò via quando vide che ero troppo nauseato da quella tortura. Io ero convinto l'avesse fatto fuori. Tu non l'hai mai visto quell'uomo all'azione. Gli ha fatto confessare tutto.»
Con l'acceleratore premuto al massimo, avverto l'asfalto sgretolarsi sotto al fischio delle ruote che scorrono veloci, il più lontano possibile da quel luogo. E prima che uno di noi tre possa mettere insieme i cocci e cominciare a parlare. Will mostra il suo cellulare.
«È lui.»
Mi sporgo in avanti, verso il sedile di William.
«Cosa?»
«Cazzo è lui.»
Nel buio dell'abitacolo, leggo il nome sul display. Prof di nuoto.
«Come mai hai il suo numero?»
«Mi dava ripetizioni di nuoto e....»
«Rispondi.» taglio corto, freddando Will con un'occhiataccia.
Non ne posso più di tutta questa adrenalina. Di tutta questa ansia. Di tutta questa tensione. Ho solo bisogno di rivedere James. Di sapere che stia bene.
Jackson a quel punto molla il volante per una frazione di secondo. Porta entrambe le mani ai lati del viso, sembra terrorizzato.
«Cazzo, se chiama col suo numero... Significa che ha trovato il telefono che avevamo sotterrato» esclama il biondo, prima di riprendere possesso della guida.
Restiamo tutti e tre col fiato sospeso, finche Will non pigia il tasto rispondi e attiva il viva voce.
«William?»
Mi muore il fiato in gola. Forse perché ne riconosco la voce. È la stessa dell'uomo a cui ho aperto la porta questa mattina.
«Dove cazzo è James?» sputa Will.
«Le domande le faccio io, William. Dove sei in questo momento?»
«In...ehm... Macchina. Sto tornando a casa.»
«Con chi sei?»
«Da... Con Jackson.»
L'attimo di quiete sembra infinito.
«Ho bisogno che tu faccia una cosa per me.»
Will è costretto a voltarsi, perché gli pizzico la spalla facendogli segno di no con il capo. Jackson intanto continua a guidare nella notte, ma da ogni sua espressione angustiata, trapela tanta preoccupazione.
«Tu falla, Will. E io ti restituisco James sano e salvo.»
A quel punto è impossibile non negoziare.
«Cosa vuoi? Parla»
«Austin ha del materiale che mi serve» bofonchia l'uomo dall'altra parte della linea.
Sta parlando delle prove, ma noi dobbiamo allungare i tempi, farlo stare al telefono il più possibile.
«Materiale?» domanda Will fingendo di non capire. «A cosa ti serve questo materiale?»
«Ad incastrarlo a farlo finire dentro.»
Sta parlando di Austin?
Io e Jackson continuiamo a far cenno di no con la testa. Non ci possiamo fidare di un assassino. E se fosse una trappola?
«Inducilo a parlare. Più parla, meglio è.» sussurro sottovoce, per non farmi sentire dall'uomo.
«Sicuro sia questo il tuo piano, prof? Sicuro di non volere quei documenti solo perché sono la prova per incriminati di omicidio?»
«Austin mi aveva promesso di lasciare in pace i miei figli e non l'ha fatto. Ha mandato mia figlia in ospedale...»
Oddio e come fa Hood a saperlo?
«Ti richiamo tra poco.»
Andiamo tutti e tre nel panico, non possiamo permettergli di riattaccare.
«Pensaci William. E salutami la biondina che è lì con te»
Hood stacca la chiamata immediatamente. Sarà durata meno di trenta secondi.
«Se chiamata è breve sarà impossibile rintracciarla. Lo stronzo lo sa.» sbuffa Jackson, mentre io comincio a ticchettare con la punta delle dita sul labbro inferiore.
«Ci sfugge qualcosa... O forse qualcuno.» si dispera Will.
«Amelia»
Sibilo quel nome come fosse preghiera sinistra.
«Cosa vuoi dire, June?»
Un ansito abbandona le labbra di William.
«Amelia. Quando eravamo da Austin, è stata lei ad aver aumentato la dose del sonnifero. E se suo padre l'avesse chiamata? Se suo padre si fosse fatto vivo con lei? Se l'avesse incontrata? Se fosse stato Hood a dirle di farlo?»
«Cazzo... Perché allora Brian non ci ha detto niente?»
Jackson prova a trovare una soluzione, ma non riusciamo a venirne a capo.
«Magari Brian non lo sapeva. Resta il fatto che ci chiamato dal suo telefono. Come l'ha trovato? La risposta protrebbe essere la stessa. Amelia.» esclamo concitata.
Sento che questa è la direzione giusta, me lo sento sotto la pelle.
«L'abbiamo sotterrato la notte di Halloween, nei boschi vicino a casa di Blaze. Dopo quella discussione che avevamo avuto davanti a lei, avrebbe potuto intuire che l'avessimo nascosto nei paraggi, ma non poteva sapere il punto esatto.» tentenna Jackson.
«Casa di Blaze... Casa di Blaze... Magari lei non conosceva il punto esatto, ma gli ha dato un punto di partenza. E per lui era importante quel telefono o sbaglio?»
«Certo, aveva tutti i contatti dei suoi clienti. Sicuramente insieme ad altre cose ignobili.»
Perché James non l'ha distrutto?
«Se ha trovato il suo telefono lì, chi ci dice che non sia lì? Che non si sia nascosto lì per tutto questo tempo? La casa al lago di Blaze è disabitata no? O l'affittano?»
«No, resta chiusa tutto l'anno. Ci vanno solo in estate, o quando Blaze ruba le chiavi per farci qualche festa clandestina.»
La scarica di adrenalina che sale rapida lungo la mia spina dorsale mi scuote improvvisamente, come destandomi da un lungo periodo di letargo.
«E se Hood avesse portato James lì? Se l'avesse nascosto lì?» prorompo concitata.
«Dobbiamo chiamare Blaze, subito» esclama Will.
Jackson pigia due tasti ai lati del volante, impostando la chiamata dalla vettura.
«Okay, chiedigli se suo padre ha più di un mazzo di chiavi, se le ha ancora in casa e...»
«Jax? Non pensavo mi chiamassi per davvero.»
La voce di Blaze interrompe le mie parole e arriva particolarmente tesa.
«Blaze, devo chiederti una cosa.»
«Anch'io voglio chiederti una cosa. Vorrei sapere... Se tu potessi tornare indietro e rivivere solo uno dei momenti che abbiamo trascorso insieme... Quale sarebbe?»
Nella penombra il volto di Jackson viene attraversato da mille colori. E tutti con un solo comune denominatore, l'imbarazzo.
«Ehm... Blaze non sono da solo. Sono in macchina. In vivavoce. Con Will e June.»
«Oh cazzo. Beh...Infatti... Volevo dire... Perché mi hai chiamato?»
«Perché ho bisogno di sapere una cosa. Tuo padre ha mai prestato le chiavi della casa al lago a qualcuno? Ne ha mai fatto una copia? Puoi controllare di averle sotto mano?»
Non c'è esitazione nella risposta che segue.
«No, mio padre non ha mai dato quelle chiavi a nessuno. Ne ha solo un paio, infatti per la festa di Halloween ho dovuto rubargliele dalla casetta portachiavi che tiene all'ingresso...Con il rischio che se ne accorgesse e...»
In quel momento avvertiamo un ticchettio metallico, sembra che Blaze stia frugando tra mazzi di chiavi
«Oh cazzo, non ci sono. Mancano solo quelle.»
«Blaze stamattina, quando sei uscito, c'erano o erano già sparite?»
«Non mi ricordo. Non ci ho fatto caso. Stamattina mio padre è uscito prestissimo per andare a surfare, poi si è diretto a scuola. Strano che le abbia prese...»
«Non dire niente a tuo padre, ti spiegherò tutto. È successo qualcosa di strano stamattina?»
«Beh... »
«Hai sentito qualcosa di strano?»
«Sì. A dirla tutta... Ne ho sentite di cose strane questa mattina.»
«Blaze.»
Il tono di Jackson rassomiglia ad un vero e proprio rimprovero.
Jax e Blaze parlano un linguaggio tutto loro, difficile per noi da decifrare.
«L'unica stranezza che ho notato prima di venire da te... Voglio dire, prima di uscire di casa, è stata la finestra aperta al piano inferiore. Pensavo fosse di nuovo il gatto del vicino.»
«Mi sa che non... Grazie Blaze.»
C'è un momento di silenzio, sembra quasi che Blaze non si aspettasse quel ringraziamento da parte del biondo.
«Prego. Bisogno d'altro, Jax?»
«No... Ah, Blaze.»
«Sì...?» domanda il moro con un filo di voce.
«Ehm... Quella volta. Penso che rivivrei quella volta.»
«Anch'io.»
Sorrido dinnanzi alle loro confessioni così pure e delicate, ma né io né Will abbiamo idea di cosa stiano parlando.
Jackson saluta Blaze, poi fa una deviazione che ci riconduce verso l'autostrada, imboccando la direzione per il lago. Il cammino è lungo, soprattutto perché è notte e l'ultima parte di tragitto è composto da stradine secondarie che s'inerpicano su sentieri tortuosi.
Tutti e tre siamo ormai certi di una cosa: che Hood l'abbia portato James in quella casa abbandonata.
«E se si fosse nascosto lì per mesi?»
«Pensa se Hood si trovava già lì, la notte di Halloween... Tipo nel seminterrato. Questa sì che è una storia degna di un racconto dell'orrore.»
Scrollo le spalle, colte dai brividi. E la sensazione di terrore aumenta, quando dopo quasi un'ora di auto, finalmente giungiamo alla grossa radura che circonda la casa di Blaze.
La vecchia porta in legno è chiusa a chiave, le finestre sono leggermente impolverate. E da questi piccoli dettagli, deduciamo che la casa sia disabitata da settimane.
«Mi sa che ci siamo sbagliati...» sussurra Will.
Nel buio, i nostri bisbiglii si fanno spaventosi e si mescolano ai canti delle civette e ai fruscii delle foglie degli alberi, che danzano nella notte inquieta.
Decidiamo quindi di non separarci e di compiere un giro intorno alla casa, per esaminare tutte le entrate. Jackson sembra non aver dato peso al fatto che io e Will abbiamo ascoltato quei discorsi tra lui e Blaze, poco fa. Will invece, non fa caso al fatto che io sia mezza nuda, mentre io nemmeno lo sento più il freddo. Siamo troppo in pensiero per James per badare a tutte queste piccolezze.
«Di Hood non c'è un singolo indizio qui» soffia Jackson con tono deluso, ormai riassumendo la realtà dei fatti.
La casa è inaccessibile, non c'è nessuna luce accesa. Nè segni che qualcuno abbia acceso il riscaldamento.
«Aspetta.»
Il mugolio di Will mi fa trasalire. Imposta la torcia sul cellulare, poi la punta sugli scalini che danno verso la porta sul retro. C'è del fango a rivestire gli angoli dei gradini.
«È fresco, potrebbe essere di massimo un giorno fa. Non ci sono impronte o graffi. Non provengono da un animale» bisbiglia il biondo.
«Eri nei boy scout Jax?»
«Avevi dubbi, June?»
Jackson prova a forzare la porta sul retro, ma questa è chiusa.
«È una vecchia porta in legno, certo noi non siamo dei vandali, ma basterebbe...»
Non termino la frase che con una spallata Jackson sfonda la porta, completamente.
«Prego.» Sbuffa, facendoci cenno di entrare.
L'ingresso dà su un ripostiglio polveroso e semi vuoto. Non c'è nulla lì dentro.
«Altro buco nell'acqua.» si lamenta il biondo.
Will però tiene la torcia alta e ad un certo punto mette a fuoco un vecchio corrimano scrostato. «Guardate. Ci sono altre scale.»
«Dove portano?» domando allungando il collo, come a voler sovrastare le loro altezze.
«Alla cantina, presumo.»
Nell'aria non si respira un singolo rumore, niente che lasci presagire ci possa esser qualcuno di vivo lì sotto.
Seguo le sagome buie di Will e Jackson, addentrandomi in quel seminterrato oscuro come la notte.
«Perché non hai acceso la luce, cazzo?» s'indispone Jackson.
«Hai visto un interruttore? Già grazie che ho un cellulare. Il tuo l'hai lasciato in macchina? Avevi paura che ci saremmo sorbiti altre dichiarazioni d'amore tra te e Blaze?» lo istiga Will.
«Parla quello che fa delle scenate assurde ad Ari davanti a tutti.»
«Ah perché...»
«Ragazzi!»
Li rimprovero con uno strillo, facendoli tacere all'instante. O forse, a lasciarci senza parole è il gelo che ci pervade quando scendiamo in quella cantina cupa e agghiacciante. Fa un freddo che rompe le ossa. Mi scopro a tremare, quando Will finalmente trova l'interruttore.
Lo pigia e dopo qualche secondo, una lampadina penzolante dal soffitto di legno, prende ad ingiallire l'ambiente intorno a noi.
Il cuore mi esce dal petto.
James
Sta seduto a terra. Noto dapprima le sue braccia distese sopra alla testa. È immobilizzato da un paio di cavi che gli circondano i polsi, bloccati contro la gamba di un vecchio tavolo sgangherato. La testa curva a lato, gli occhi chiusi. Sembra stia dormendo.
È ancora a torso nudo come questa mattina, con solo i pantaloni della tuta addosso. Le pelle pallida per il freddo e i capelli spettinati.
Do una spallata sia a Jackson che a Will e m'intrufolo tra le loro sagome ingombranti, per correre da James.
Le sue labbra sono frastagliate, gonfie, bellissime. Ma non si muovono.
«James»
Gli prendo il viso tra i palmi con l'intento di scaldarlo, ma non ottengo reazioni. Il suo collo segue il movimento delle mie mani, morbido sotto al mio volere.
Il torace è gelido al tocco.
«James!»
Mi siedo su di lui, senza nemmeno preoccuparmi di trattenere il peso questa volta.
Will prova ad armeggiare con i cavi per liberarlo, Jackson invece affonda il pollice nel polso dell'amico, come ad assicurarsi che vi sia battito.
Resto sospesa in quell'attimo che sembra durare per l'eternità.
Finché Jackson non getta la testa all'indietro, sospirando a lungo.
«C'è polso.»
Con le dita tremolanti gli sollevo il mento verso l'alto.
Parla.
Parla.
Parla.
Finalmente vedo il suo pomo d'adamo muoversi.
Le sue palpebre sembrano pesare una tonnellata, si muovono a fatica.
Sono quasi certa gli abbiano somministrato qualcosa per stordirlo.
«Biancaneve.»
Lo esala con un filo di voce, fiacco ed impercettibile.
«James...»
«Ce ne hai messo di tempo, eh.»
Non credo di aver mai adorato tanto il suo sarcasmo, come in questo momento.
«Alla fine, come vedi sono qui.» sussurro sulle sue labbra invitanti.
James lascia scivolare i suoi occhi spenti lungo tutto il mio corpo, fino a raggiungere le mie cosce nude, serrate intorno ai suoi fianchi.
«Esattamente dove dovresti essere.»
No denunce, grazie 📜
Questo capitolo doveva essere per forza un po' diverso dagli altri. Spero comunque vi sia piaciuto e mi auguro di avervi stupite positivamente. ✨
Love me Love me non è solamente James+June e la tensione che c'è tra loro, ma è tanto altro🎡
Per i prossimi non vi farò aspettare così tanto, tranquille 🦋🖤
(E sarà indubbiamente 🔴🔴🔴)
Che ne dite?
Poi vabbè, già sapete dove andare per sparlare un po' di ✨Amelia✨ e di teorie varie!
Su Instagram @ stefaniasbooks 🦋
alla prossima ✨
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