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Louis William Tomlinson era un uomo di trentasei anni, alto un metro e settantacinque -lui può giurarlo- del segno del capricorno.
Diventare professore era stato da sempre il suo sogno.
Infatti all'età di otto anni si divertiva ad improvvisarsi maestro, con i suoi quaderni scarabocchiati aperti sul tavolo del salotto di casa sua, una penna cancellina nera in mano e uno sguardo fintamente severo mentre le sue sorelle stavano sedute sul divano e seguivano le parole del loro fratello più grande.
A dieci anni mamma Johannah gli aveva regalato una lavagnetta nera con i gessi bianchi e, allora, giocare a fare il maestro era diventato ancora più emozionante per Louis.
A scuola non aveva avuto il massimo dei voti, ma era stato sicuramente uno degli studenti più bravi. I maestri e i professori erano stati totalmente affascinati da Louis tanto che, ricorda col sorriso, gli facevano sempre i complimenti per la sua condotta, le sue capacità di comprensione ed espressione, la sua voglia di fare e di aiutare sempre gli altri. Inoltre riusciva sempre a cavarsela durante un'impreparazione grazie ai suoi occhi azzurri vispi ed allegri che riuscivano e riescono a convincere tutti.
Era soddisfatto di aver finito, comunque, la scuola dell'obbligo con ottimi voti. Non vedeva l'ora di laurearsi e poter andare ad insegnare in una scuola. Infatti, non aveva perso tempo ad iscriversi in una università, studiare come un matto e laurearsi in tempo -storie d'altri tempi.
Fortunatamente all'età di ventiquattro anni aveva trovato posto in un asilo vicino casa sua: certo, non era ciò a cui aveva aspirato, ma come inizio non era stato male. Tra l'altro non poteva permettersi di rifiutare quel lavoro perché il suo stipendio non solo era abbastanza alto per un giovane principiante, ma serviva anche per pagare tutte le spese per il suo nuovo appartamento, il cibo, le medicine, le cure mediche per la sua bambina e la madre della sua bambina, insieme ai giocattoli, alle pappine e ai vestitini.
Già.
All'età di vent'anni aveva avuto una bambina con la sua migliore amica storica. Era nato tutto dalla curiosità di quest'ultima: "Sono ancora vergine, Lou," gli aveva confessato una notte mentre erano stesi entrambi sul letto di lui, ubriachi fradici. Louis aveva sempre pensato che lei avesse fatto qualcosa con il suo ex ragazzo, e invece si sbagliava. "Non so nemmeno cosa si prova." La sua voce tremava. La ragazza diventava sempre così vulnerabile e depressa quando alzava il gomito. "Christie e Sophia -le sue amiche più fidate- hanno già avuto la loro esperienza ed io mi sento così," aveva fatto una pausa e poi aveva continuato. "Ho vent'anni e mi sento così sfigata". Al che, Louis aveva provato a tranquillizzarla, dicendole che la vita non è una gara a chi brucia prima le tappe fondamentali. "Vorrei farlo con qualcuno di cui mi fido ciecamente, Lou, e tu... tu sei l'unica persona". Louis pensava che Eleanor, questo era il nome della sua amica, stesse scherzando. Infatti aveva cercato nel suo viso cenni di divertimento. Ma tutto ciò che aveva trovato erano stati due grandi occhi nocciola lucidi, seri, che lo fissavano in attesa di ricevere risposta e con grande aspettativa. Louis non aveva mai saputo dire di no ad Eleanor, erano due persone inseparabili, cresciuti insieme sin dall'asilo. Ma non poteva dire di sì a quello. Sarebbe stato imbarazzante e poi non gli sembrava giusto nei confronti della ragazza. Ma "Lou, ti prometto che non cambierà niente tra noi. Forse un giorno lo ricorderemo col sorriso, ma," si era avvicinata di più e gli aveva stretto la mano con la propria. Poi aveva abbassato lo sguardo. "Vorrei, solo per una volta, provare ciò che sente una ragazza quando viene amata". Così Louis, lasciandosi convincere alla fine -e aiutato forse anche un po' dall'alcool in circolo nel suo corpo- le aveva detto di sì e con un po' di agitazione le si era avvicinato di più, ripetendole infinite volte: "Se non sei sicura El, ti prego, fermami". Ma alla fine era tutto andato liscio, avevano anche riso a causa del solletico sentito qui e lì o dei gemiti imbarazzanti. Eleanor lo aveva abbracciato e con un bacio sulla guancia lo aveva ringraziato e "Ti voglio bene, Lou".
Avrebbero ricordato tutto col sorriso, in quel momento ne erano stati certi.
E invece no.
La ragazza, qualche settimana dopo, si era presentata davanti casa Tomlinson in lacrime. Aveva suonato al campanello e ad accoglierla era stato Louis che vedendola in uno stato davvero pessimo aveva sgranato gli occhi e l'aveva fatta entrare. Dopo una serie di domande senza risposta, Eleanor gli aveva confessato di essere rimasta incinta. "Scusa scusa scusa scusa," continuava a ripetere, "non volevo metterti in questo casino!". Louis in un primo momento era rimasto scioccato, il suo cervello non riusciva a captare una singola parola. Si era chiesto come fosse stato possibile, si era protetto prudentemente.
Poi si era ripreso, si era detto di non fare il coglione e aveva abbracciato Eleanor, rimanendo in silenzio. Solo dopo la ragazza aveva guardato Louis negli occhi e si era morsa il labbro: "Non sto piangendo per questa notizia... solo che-" si era seduta sul divano e aveva continuato a parlare. "Insomma, lo sai che mi sono sempre piaciuti i bambini e... anche se non mi aspettavo che una cosa del genere mi potesse succedere a vent'anni sono tranquilla." Aveva sorriso. "Solo che... i miei genitori," aveva poi scosso la testa, "hanno cominciato ad urlarmi contro, mio padre mi ha tirato uno schiaffo ed io- io non ce la faccio più Louis".
Eleanor aveva da sempre avuto problemi con i suoi genitori, da che ne ha memoria. Avvocati di successo, erano delle persone sempre eleganti, piene di sé, pretenziose e attente puntualmente alla loro reputazione. Hanno sempre elogiato Christina, la sorella di Eleanor e la loro primogenita, per aver scelto la loro stessa strada. Sempre composta, brava lavoratrice, determinata, col cuore di pietra -come i genitori. Eleanor invece era diversa da tutti loro. Innanzitutto, era una sognatrice, ed una volta finito il liceo si era rifiutata di intraprendere la strada dell'avvocatura, nonostante tutti i ricatti e le minacce di suo padre; aveva invece grandi aspirazioni e, in quanto amante della natura e dell'avventura, puntava a lavorare come fotografa per National Geographic. La sua scelta non era stata per niente gradita dai suoi genitori che, a quel punto, avevano cercato sempre di emarginarla e farla sentire una nullità -come se scegliere quel tipo di lavoro fosse per poveracci.
Così non le avevano pagato nemmeno gli studi, nonostante ne avessero le possibilità, ed Eleanor si era dovuta rimboccare le maniche per racimolare qualche spiccio. In quel momento, Louis l'aveva aiutata a cercare lavoro ed era finita per fare la cameriera in un ristorante italiano, dove fortunatamente non servivano anni di esperienza.
"Potevo non dirglielo, tenerlo per me e sparire definitivamente dalla loro vita," aveva detto esasperata, "e invece no. Sono stata così stupida..."
A quel punto Louis le aveva detto di non preoccuparsi, che l'avrebbe aiutata lui insieme alla sua famiglia perché i Tomlinson adoravano Eleanor. E così era stato.
Avevano sistemato la camera degli ospiti, rendendola più femminile ed accogliente. Eleanor aveva passato lì i nove mesi della gravidanza durante i quali, grazie al suo stipendio, aveva potuto scegliere percorsi di studi pertinenti a ciò che voleva tanto fare, seguendo corsi di specializzazione sulla fotografia e, ovviamente, facendo molta gavetta durante i suoi tre giorni liberi dal lavoro. Aveva mandato così il suo curriculum con allegato un portfolio dei suoi lavori alle agenzie fotografiche più conosciute in Italia e in America e aveva atteso notizie per circa un mese e mezzo.
Nel frattempo era nata Rebeckah. Pesava a stento 2,5 chilogrammi e la prima volta che Louis ed Eleanor l'avevano vista erano scoppiati a piangere perché la bimba era così piccola e rannicchiata su se stessa.
Un altro mese era passato ed Eleanor non aveva ricevuto notizie da nessuna delle agenzie. Ma nonostante questo continuava a studiare e fare gavetta, mentre lavorava al solito ristorante italiano e passava il tempo restante -che non era poco- con sua figlia.
I signori Tomlinson erano stati così gentili da montare una piccola culla accanto al letto di Eleanor, riempiendola di pupazzi e cuscini.
Louis nel frattempo continuava a studiare e portare a buon fine tutti gli esami.
Rebeckah era stata fortunata perché non solo era nata da due ragazzi splendidi, anche se non prevista, ma aveva trovato tante piccole ziette pronte a trascorrere il loro tempo con lei, riempiendola di attenzioni, coccole e peluches.
Due anni e tanto lavoro dopo, Eleanor aveva ricevuto un primo incarico da una delle agenzie americane. Doveva lavorare solo per un paio di giorni, ma a lei non era importato: era già qualcosa. Così aveva chiesto a Louis di badare a Rebeckah in sua assenza e per loro due non c'erano stati problemi. Inoltre c'erano anche i nonni, ormai innamorati della loro piccola nipotina, che contribuivano.
Ed era stato così anche quando Eleanor aveva ricevuto un secondo incarico di nove mesi. All'inizio aveva un po' tentennato: non voleva lasciare sua figlia per così tanto tempo, ma nello stesso momento non voleva rinunciare al suo quasi lavoro. Quindi una sera, mentre stava stesa sul letto con Rebeckah sul suo petto e Louis steso al suo fianco che faceva delle smorfie alla piccola, aveva deciso di dire tutto al ragazzo. "El, non ti preoccupare. È la tua grande occasione di far vedere al mondo di cosa sei capace". Aveva poi preso in braccio Rebeckah e guardato Eleanor negli occhi. "Io e questa pulce ti aspetteremo. E poi, lo sai, mi laureo fra un mese, sarò più libero!".
E quindi Eleanor aveva accettato l'incarico perché sapeva quanto era faticoso non solo ottenere il posto, ma anche mantenerlo.
Così era stato anche per il suo lavoro definitivo, a tempo indeterminato. Dopo tanti sacrifici, Eleanor era diventata ufficialmente una fotografa di National Geographic.
Rebeckah nel frattempo aveva compiuto tre anni e Louis era riuscito a laurearsi, trovando persino il lavoro. Voleva ripagare i suoi genitori per tutti gli sforzi e i sacrifici non previsti che avevano fatto per Rebeckah ed Eleanor.
Ogni fine mese Eleanor tornava a casa per stare un po' con la sua piccola grande famiglia e ogni volta raccontava loro di una specie animale diversa che aveva visto in un bosco, in montagna, in mare. Poi ritornava in America.
All'età di ventisei anni, Louis aveva scoperto di essere omosessuale. Era stato grazie ad un ragazzo che aveva incontrato fuori dall'asilo in cui lavorava. Biondo, occhi castani, alto quanto lui ed un sorriso che lo aveva fatto sognare. Era sicuramente il padre di una delle sue piccole alunne e lo vedeva sempre appoggiato ad un muretto vicino l'ingresso. Un giorno gli si era avvicinato con la scusa di complimentarsi per il comportamento di sua figlia e magari invitarlo a bere un tea. Quindi aveva scoperto di chiamarsi Philip, che abitava a pochi isolati dall'asilo con sua moglie, aveva specificato con un tono un po' più duro, e che preferiva il caffè. Louis aveva fatto una pessima figura. Così si era congedato ed era tornato a casa un po' troppo pensieroso.
Aveva coccolato sua figlia e dopo averla fatta mangiare e addormentare si era posizionato di fronte al suo computer portatile per cercare qualcosa sull'omosessualità. Louis non era bigotto e chiuso di mente, ma era nuovo in quell'ambiente e stupidamente si era messo a cercare "Come comportarsi con un altro ragazzo", come se non fosse una persona normale, oppure "Come capire se un ragazzo è gay". Dopo varie ricerche era finito a guardare un porno. Ma questa è tutta un'altra storia.
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I suoi genitori avevano saputo della sua omosessualità grazie ad Alex, un ragazzo che Louis aveva conosciuto in un locale gay. All'inizio, per entrambi era stato solo uno svago, sesso, ma dopo qualche mese erano diventati qualcosa di più, nonostante non aveva mai accennato al fatto di avere una figlia. Così Louis aveva deciso di presentare una persona importante per lui ai suoi genitori. Questi, felici finalmente di conoscere la ragazza del loro unico figlio maschio, avevano deciso di andare a cenare in un ristorante in centro. C'erano anche tutte le sue sorelle, Eleanor e Rebeckah quella sera con loro, perché Louis voleva rendere partecipi tutti.
Quando i Tomlinson, già seduti al tavolo, avevano visto arrivare Louis insieme ad un altro ragazzo quella sera, si erano congelati sul posto. Non potevano credere ai loro occhi. Avevano passato il loro sguardo da Louis ad Alex e, poi ancora, da Alex a Louis... ininterrottamente. E poi i due coniugi si erano fissati confusi per chiedersi in una tacita domanda cosa ci facesse Louis con un altro ragazzo. Un amico? Non lo avevano mai visto...
"Lui è Alex... il mio fidanzato!" aveva detto all'improvviso, senza giri di parole. L'altro ragazzo aveva salutato cordiale tutti quanti, imbarazzato e messo in soggezione da quegli sguardi glaciali. Avevano passato metà della cena in silenzio, con un evidente disagio che aleggiava fra loro. Quando Alex si era alzato per andare in bagno, Louis aveva guardato i suoi genitori con un'espressione seria e "Potete per favore comportarvi bene?!". Era nervoso anche lui, certo, ed il comportamento dei suoi genitori non lo aveva aiutato per niente. Forse quella scoperta era stata come un fulmine a ciel sereno per loro, ma Alex era una persona normale, non qualcuno da disprezzare e da guardare dall'alto in basso con occhio critico.
Ma stranamente, quando Alex aveva ripreso posto, avevano iniziato a fare domande. Comuni domande. E alla fine era andato tutto liscio, per fortuna.
I giorni successivi erano stati molto particolari per i Tomlinson: Louis li aveva presi davvero alla sprovvista, non si erano mai posti il problema -non che fosse un problema per loro. Louis aveva avuto paura di aver deluso i propri genitori, ma un pomeriggio, mentre tutte le ragazze erano a fare shopping, Dan gli si era avvicinato e gli aveva assicurato che per loro andava tutto bene, che li aveva colti solo di sorpresa e che lui avrebbe potuto frequentare chiunque perché era grande e vaccinato, e se era felice lui erano felici pure loro.
Con Alex però non era andata per niente bene. Dopo tre mesi di relazione Louis aveva voluto fargli conoscere Rebeckah, ma il ragazzo se l'era svignata a gambe levate perché non aveva intenzione di accasarsi così presto. E quindi aveva lasciato Louis solo e con il cuore spezzato.
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Quando Rebeckah aveva compiuto sette anni, Louis aveva deciso di comprare una propria casa, per sistemarsi definitivamente e lasciare un po' di pace e tranquillità alla sua famiglia. Eleanor ormai si era stabilita in America, insieme ad un'altra ragazza della crew, e in un tacito accordo erano giunti alla conclusione che per lei sarebbe bastata la camera degli ospiti per ogni volta che fosse tornata a casa.
Louis non aveva voluto l'aiuto di nessuno. Si era voluto occupare di tutto, dalla ritintura delle pareti alla scelta di nuovi mobili; dalla disposizione dei quadri alla scelta delle tende e delle lenzuola.
La prima sera che si era stabilito nella nuova casa insieme a sua figlia era stata l'occasione in cui aveva conosciuto, il suo ormai amico, Niall. Capelli biondi, occhi azzurri e un sorriso contagioso, Niall Horan era il fattorino di una pizzeria che Louis aveva chiamato per prenotare appunto una pizza con peperoni per lui e una con patatine e würstel per Rebeckah -si era occupato di così tante cose che era finito per dimenticarsi di fare la spesa. Il biondo si era fermato più del previsto notando che Louis fosse nuovo in quella zona e gli aveva dato il benvenuto.
Due giorni dopo invece aveva conosciuto Liam Payne. Capelli castani, occhi marroni e profondi, aveva suonato al campanello di casa Tomlinson e si era presentato con "Ciao, sono Liam e sto nella casa accanto alla tua" ed una crostata di mele fra le mani. "Niall mi ha parlato di te e mi sembrava giusto presentarmi". Louis, sorpreso e felice lo aveva fatto entrare ed avevano parlato per tutta la mattinata. Aveva scoperto che Niall e Liam erano amici di vecchia data, che avevano frequentato le stesse scuole e che avevano deciso di aprire un locale tutto loro -anche se Niall aveva preferito lavorare pure come fattorino per arrotondare il suo stipendio.
Poi Liam lo aveva invitato a bere qualcosa nel suo locale, ma Louis aveva tristemente rifiutato. Liam lo aveva guardato male, non aspettandosi un no come risposta, e così Louis gli aveva presentato Rebeckah.
"Ho questa pulce con me e non ho nessuno a cui lasciarla". Gli aveva accarezzato i capelli e sistemato meglio il pigiamino con gli orsetti, mentre la piccola si strofinava gli occhi. "I miei abitano lontano e-"
"Potresti lasciarla a me, io non lavoro sempre"
E così Liam era diventato il babysitter di Rebeckah, o meglio... lo zio Lee.
Nel corso dei mesi e degli anni, tutti e tre avevano stretto una forte amicizia e i due ragazzi erano diventati come una seconda famiglia: erano gli zii di Rebeckah e i confidenti di Louis. Inoltre stavano simpatici pure ad Eleanor, che aveva avuto l'occasione di conoscerli durante una permanenza a Londra di una settimana. Aveva passato il suo tempo con sua figlia, concedendosi un giorno di totale relax tra giostre, cibo e una gita all'acquario. Rebeckah stravedeva per Eleanor. Non aveva mai sofferto la sua mancanza perché agli eventi importanti era sempre stata presente e quando stava male e voleva la sua mamma allora subentrava Louis che la videochiamava attraverso FaceTime oppure le raccontava alcune storie -molto spesso inventate- che dipingevano Eleanor come una ragazza forte. E allora Rebeckah la vedeva come un'eroina coraggiosa. Era la sua mamma coraggiosa. "Anche io voglio diventare come lei", diceva sempre e Louis non aveva alcun dubbio a riguardo.
Nel frattempo Louis aveva fatto domanda per trasferirsi in un'altra scuola, preferibilmente una scuola dove poter insegnare quello che lui aveva appreso all'università.
Fu quando, all'età di trentasei anni, entrò a far parte ufficialmente del collegio docenti della Guildhall School of Music and Drama che Louis conobbe Harry Styles.
Harry Styles, ragazzo ventitreenne dai capelli lunghi, ricci e castani, occhi da cerbiatto di un verde da far invidia al più bello degli smeraldi ed un metro e ottanta di bellezza. Studente della Guildhall School of Music and Drama, aveva una passione innata per la musica. Aveva iniziato a studiare lì frequentando corsi di teatro, ma dopo qualche mese aveva capito che quella non fosse per niente la sua strada. Così, perdendo un anno, aveva cambiato il piano di studi e aveva deciso di seguire il corso di musica. Aveva un talento vocale pazzesco e se la cavava pure con la scrittura -aveva infatti scritto due o tre canzoni per un esame, superandolo con il massimo del punteggio. Ciò che invece gli mancava era saper suonare uno strumento. Per questo aveva deciso di intraprendere lo studio del pianoforte e della chitarra.
Viveva in un piccolo appartamento vicino all'università insieme a Gus, il suo gatto, e al suo migliore amico Zayn Malik, ventitreenne anche lui e studente di arte nella stessa università di Harry. Per mantenersi, il primo lavorava nella biblioteca mentre il secondo nella caffetteria della scuola. Zayn aveva sempre preferito il silenzio al chiacchiericcio e la biblioteca faceva proprio al caso suo; Harry invece era una persona solare, amava far conoscenza con nuove persone ogni giorno -e poi il suo sorriso e il suo fascino attiravano sempre più persone in quella caffetteria, che all'inizio stava proprio cadendo in rovina e nessuno si avvicinava.
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«Hey Haz, fammi un caffè, ti prego!» Zayn si avvicinò al bancone e si sedette a peso morto su uno degli sgabelli, di fronte al suo amico.
Harry alzò un sopracciglio e sorrise divertito. «Ti avevo lasciato del caffè in cucina», disse mentre azionava la macchinetta e posizionava la tazzina.
«Stamattina mi sono svegliato in ritardo e l'ultima cosa che ho pensato è stata quella di passare dalla cucina per vedere se c'era del caffè», alzò le spalle e impugnò la tazzina che Harry gli aveva appena messo davanti. Ingurgitò poi il liquido caldo e si sentì meglio. «Sai che c'è un nuovo professore?», chiese all'improvviso mentre poggiava di nuovo la tazzina sul bancone e tirava fuori dal suo zaino una cartina e del tabacco.
«Chi è?», chiese Harry curioso.
«Non so come si chiama, ma insegna musica o qualcosa del genere», fece un gesto vago con la mano e poi leccò una parte della cartina per chiudere la sigaretta. «Fa parte comunque del tuo corso».
«Dio mio», sbuffò e si portò le mani in faccia. «Sarà un altro vecchio frustrato...»
«O probabilmente è giovane», Zayn fece un occhiolino e finì il suo caffè, alzandosi poi sulle punte per arrivare all'altezza della guancia di Harry al di là del bancone e schioccargli un bacio. «Come fai il caffè tu, nessuno lo fa!»
Prese lo zaino e fece per andarsene, quando: «Hey Zayn!»
«Sì?», domandò facendo finta di nulla.
«Paghi due pounds!», disse con un sorriso furbo e assistette allo sbuffo e alle lamentele del suo amico.
Harry si guardò poi intorno e si rilassò. La caffetteria a quell'ora non era piena: c'erano giusto due ragazze sedute al tavolo in fondo mentre sorseggiavano il loro tea e studiavano dai loro libri, un altro ragazzo seduto vicino la grande vetrata concentrato a disegnare qualcosa sul suo blocco-schizzi, con una tazzina vuota lasciata lì a lato che Harry, o chi per lui, sarebbe andato a prendere al più presto, ed infine altri due ragazzi seduti al bancone mentre discutevano animatamente riguardo una serie TV che avevano iniziato solo la sera prima. Harry non li stava ascoltando di proposito, lo può giurare.
Doveva affrettarsi a dare il cambio perché in quindici minuti avrebbe avuto la prima lezione del pomeriggio e non aveva ancora mangiato nulla. Quindi appena vide entrare Perrie, con i suoi capelli rosa legati in due trecce e la divisa già indossata, non attese neanche un secondo e andò a salutarla, ringraziandola per essere arrivata in tempo e augurandole una buona giornata. Prese il suo zaino dal retro e poi uscì dalla caffetteria per andare a comprare qualcosa da mangiare.
Di solito si fermava in un locale alla fine della strada, dove la maggior parte degli studenti andava per mangiare qualcosa di sostanzioso come una pizza o un panino. Lo faceva anche lui, ma quel giorno sentiva lo stomaco chiuso e quindi chiese al biondo dietro al bancone di preparagli gentilmente uno smoothie all'arancia rossa, more e mirtilli, accompagnato da quattro biscotti al latte -i suoi preferiti. Pagò e attese.
L'ordinazione arrivò più tardi del previsto e, dopo aver ringraziato, si era ritrovato a correre per tutto il giardino dell'università per arrivare in tempo a lezione. Non poteva arrivare in ritardo.
Ma il destino non era dalla sua parte quel giorno e arrivò davanti l'aula tutto trasandato, col fiatone e alcune ciocche di capelli che fuoriuscivano dal suo bun, una volta perfetto. Prese fiato davanti alla porta già chiusa e poi bussò per entrare.
«Scusi il ritardo», disse con un tono basso e guardò il suo professore che era girato di spalle; quindi si affrettò a prendere posto in uno dei banchi disponibili e poggiò il suo pranzo.
«Non si preoccupi, signor...», si girò verso il ragazzo e rimase sorpreso da tanta bellezza. Era seduto solo in seconda fila e da quella poca distanza poteva osservare chiaramente i suoi occhi verdi che lo guardavano intimorito.
«Styles, Harry Styles»
Il riccio si sorprese di vedere che il suo nuovo professore non era un vecchio bisbetico, grasso e con i baffi come aveva pensato, bensì un ragazzo, un bel ragazzo, trentenne?, che non aveva per niente l'aria di uno severo.
«Stavo giusto dicendo ai suoi colleghi che io sono il vostro nuovo professore di musica», indossò gli occhiali ed Harry pensò di star svenendo. Indossava una giacca blu sopra una maglietta bianca e le sue gambe erano fasciate da un paio di jeans scuri. «Mi chiamo Louis Tomlinson», concluse e poi consegnò dei fogli bianchi a tutti i presenti. «È il primo anno che insegno in una università, quindi non ho ancora un programma ben definito. Per questo motivo, dovrete scrivermi in questo foglio perché avete scelto il corso di musica e cosa vorreste che io facessi durante le mie lezioni», spiegò. «Per una sana convivenza»
Tutti risero, annuirono e si misero a lavoro, con le teste chine e gli occhi fissi su quel foglio.
Harry dopo poco tempo fece un rumore imbarazzante con la cannuccia del suo smoothie e il professore lo fissò. «Gradirei che durante le mie lezioni facessimo un altro tipo di musica, che ne pensa Styles?», il riccio arrossì e si scusò imbarazzato, concentrandosi sul suo lavoro.
Louis nel frattempo era tornato al suo posto ridacchiando, seduto dietro la cattedra. Aprì il suo computer portatile e cercò di organizzarsi un po' di lavoro. Voleva fare una buona impressione davanti ai suoi studenti; erano persone che avevano una decina di anni in meno di lui, ma nonostante questo lo mettevano in soggezione. E, siccome era il professore più giovane e l'ultimo arrivato, non voleva diventare lo zimbello dell'Università. Voleva, anzi, essere un punto di riferimento per i ragazzi, qualcuno capace di guidarli e aiutarli durante il loro percorso di studi. Ce l'avrebbe messa tutta.
Alla fine dell'ora e mezza prevista per il compito da lui assegnato, si alzò dalla sedia e iniziò a ritirare tutti i fogli. «Spero abbiate preso sul serio questo compito», disse osservando uno per uno. «È davvero molto importante, sia per me che per voi»
«Ovviamente prof!», esclamò qualcuno dal fondo dell'aula. «Adesso possiamo andare?»
Louis guardò l'orario e sorrise rassegnato, «Certo, andate pure», disse incamminandosi verso la cattedra per conservare i fogli in una carpetta, spegnere il computer e posare tutto dentro la sua ventiquattr'ore.
La sua prima ed unica lezione del giorno era andata e Louis ne era uscito indenne. Forse non sarebbe stato così male come la sua ansia gli faceva invece credere.
Incamminandosi verso la porta, vide Harry chinarsi per buttare nel cestino il bicchiere di plastica ormai vuoto, ma nel farlo fece cadere tutti i libri a terra. Louis trattenendo un ghigno, si accovacciò per prenderli e consegnarli al proprietario. «Faccia attenzione signor Styles»
Harry lo guardò, più rosso che mai, e prese i libri fra le mani. «Mi scusi e... grazie». Da vicino è ancora più bello, pensò Harry mentre osservava gli occhi del suo professore. Ci si poteva perdere in un paio di occhi?
Louis tossicchiò. «Styles, vuoi per caso aiutare il personale a chiudere l'università?», chiese sarcastico.
Harry si diede dell'imbecille. «No, certo che no. Buona giornata professor Tomlinson», e scappò via, dritto verso casa, senza attendere alcuna risposta. Si sarebbe chiuso nella sua stanza e non sarebbe uscito più.
~
«Hey Reb, sono a casa!» Louis si chiuse la porta d'ingresso alle spalle e appese la sua giacca sull'appendino lì vicino. Si guardò poi intorno e, non trovando sua figlia, salì le scale. Si affacciò nella stanza della ragazza e la trovò stesa sul letto, con il computer sulle gambe.
«Ciao pa'»
«Hai mangiato?», le si avvicinò e le schioccò un bacio fra i capelli. Quelli li aveva ereditati da sua madre: erano lunghi, morbidi e con i boccoli.
«Sono andata a prendere qualcosa fuori, sì»
Louis annuì e fissò il computer. «Che fai? Lo sai che a quest'ora dovresti studiare», le ricordò.
Rebeckah sbuffò e ruotò gli occhi in cielo. Quello era decisamente un vizio ereditato proprio da Louis. «Stavo parlando con mamma,» cercò di giustificarsi.
«Sì, ma adesso sei su Facebook. Quindi chiudi qui ed apri i libri, su!» Le diede una pacca sulla coscia e si alzò dal letto, affamato più che mai.
«Sì sì, adesso inizio a studiare», mormorò. Louis scosse la testa esasperato: sua figlia non aveva ereditato per niente la sua voglia di studiare. Rebeckah passava il suo tempo davanti al computer o al cellulare. A volte invece la vedeva scrivere su un piccolo quaderno che puntualmente riponeva dentro il secondo cassetto del comodino, ma Louis non aveva mai voluto controllare. Rebeckah aveva sedici anni, era nella piena fase dell'adolescenza e andarle contro o invadere i suoi spazi significava farsi odiare.
«Se ti serve un aiuto, mi trovi in cucina», detto ciò chiuse la porta alle sue spalle e scese in cucina, appunto, per mangiare: il suo stomaco pretendeva cibo.
Due ore più tardi, mentre lui era seduto sul divano intento a leggere qualche compito dei suoi alunni, sentì veloci passi avvicinarsi e si trovò il busto circondato dalle braccia magre di sua figlia. Tolse gli occhiali e la accolse fra le sue braccia. «Come è andato il tuo primo giorno di lavoro?»
«Molto bene», sorrise, «ammetto che avevo paura, ma poi è andato tutto bene!»
«Tu sei bravo, papà. Ti ameranno»
«Lo spero», sussurrò. «Finito di studiare?», chiese dopo attimi di silenzio.
«A proposito di questo... posso non andare a scuola domani?»
«Reb, è soltanto il tuo quinto giorno di scuola», non capiva queste richieste. Era successa la stessa cosa alla fine del suo secondo anno, ma date le vacanze estive imminenti non era più successo. «Non hai motivi validi per non andarci», la fissò.
Rebeckah deglutì e abbassò lo sguardo. «Ti prego?», lo guardò con quei suoi occhioni azzurri. «Non- Non riesco a memorizzare e domani la prof interroga sul ripasso»
Louis sospirò e si massaggiò il ponte del naso. «Va bene, va bene. Ma la prossima volta che ti interrogherà dovrai prendere il massimo, okay?»
«Grazie, papà», lo abbracciò forte e poi gli fece finire il suo lavoro.
Louis entrò in aula puntuale come al solito e posò la sua ventiquattr'ore sulla cattedra. Poi guardò i suoi studenti e sorrise, dando loro il buongiorno. «Styles, vedo che lei oggi è arrivato puntuale!»
Harry, che era seduto stavolta in quarta fila, alzò di scatto la testa non aspettandosi che il nuovo prof ricordasse il suo cognome. Annuì semplicemente e prese un quaderno dal suo zaino.
«Allora ragazzi», iniziò Louis, indossando i suoi occhiali e prendendo i fogli dalla sua valigetta. «Ho letto tutte le cose che mi avete scritto, direi molto interessanti, e ho deciso di iniziare le mie lezioni proprio dallo spunto che ha dato...», sfogliò tutte quelle carte, interrompendo la frase. «Scusate, è ancora troppo presto per sapere i vostri nomi», e tutti risero. Alla fine trovò il foglio ricercato e «...Mark Wilson, ecco. Il vostro collega ha scritto dieci motivi per cui studiare musica» il ragazzo in questione esultò dal fondo dell'aula per essere stato preso in considerazione dal nuovo professore: stava già vagando con la fantasia pensando al suo bel voto in Musica.
Harry alzò subito la mano e Louis gli diede subito il permesso di parlare. «Non crede sia alquanto ingiusto pensare che i motivi per cui studiare musica si esauriscano in un elenco di dieci punti?»
Louis ci pensò su e annuì, soddisfatto dalla sua constatazione.
«Harry ha ragione», continuò un altro ragazzo seduto dietro al riccio. «Sarebbe come semplificare tutte le qualità dell'universo musicale»
«Tu sei...?»
«Mi chiamo Daniel Jones», sorrise.
«Hai ragione anche tu Daniel», annuì e girò lungo la cattedra per sedersi di sopra. «Allora possiamo definirli come dieci punti di partenza per poter comprendere le potenzialità della musica», spiegò. «Oggi inizieremo con il primo punto», tornò indietro e si avvicinò alla lavagna, prese il gesso e iniziò a scrivere.
La Musica:
1) Migliora lo sviluppo psicomotorio
«Quanti di voi vogliono imparare a suonare uno strumento?», chiede Louis, togliendosi gli occhiali e guardando la sua classe. Vide una serie di mani alzate e continuò la sua spiegazione. «Tra di voi ci sarà chi toccherà per la prima volta uno strumento musicale, chi invece ne sa suonare già uno e vuole dilettarsi in qualcos'altro», poggiò il sedere sulla cattedra e incrociò le braccia al petto. «Sapete comunque tutti che la prima cosa che si impara è-», si avvicinò alla lavagna, disegnò una freccia sotto quello che aveva scritto precedentemente e guardò i suoi alunni in attesa di risposta. Voleva che gli studenti interagissero a lezione, non che fosse solo lui a riempire il silenzio di parole. Così attese una risposta, non gli importò di aspettare minuti infiniti.
«Come ottenere un suono?», domandò incerto Harry. Louis si incantò un attimo a sentire la sua voce lenta e graffiata. Poteva benissimo fare il cantante, pensò.
Comunque si ridestò e annuì, scrivendo sotto la freccia ciò che Harry aveva appena detto.
«Imparerete a premere un tasto, sfiorare una corda o strofinare un arco, cose elementari», spiegò gesticolando lentamente. «Però poi imparerete a modellare il suono», fece il segno delle virgolette con le mani, «sviluppando quegli specifici meccanismi motori che lo trasformeranno in musica». Vide poi una mano alzata e interruppe la sua spiegazione. Si rivolse alla studentessa che aveva attirato la sua attenzione e le diede la parola.
«Lei suona uno strumento?»
Louis annuì e sorrise. «Ne suono due, il piano e la chitarra»
«Ed ha imparato a suonarli molto presto?», continuò sempre la stessa ragazza.
«Ero poco più che un bambino, ma comunque non è mai troppo tardi per imparare. Siete qua per questo, no?» chiese retoricamente. «A proposito di questo, finita questa lezione vi chiedo gentilmente di recarvi in segreteria per comunicare al Dipartimento quale strumento volete suonare. Sarà chi è di competenza a procurarveli», comunicò. Dopo di che continuò la sua lezione in tranquillità.
~
Harry era in super ritardo. In segreteria c'era troppa confusione e lui doveva correre assolutamente a lavoro perché in meno di cinque minuti Perrie sarebbe andata in pausa. Sbatteva il piede freneticamente a terra in attesa che la segretaria velocizzasse il suo lavoro.
Dieci minuti dopo, passato il suo turno, corse per il corridoio per recuperare il tempo perduto, ma «Hey Har!» Zayn lo richiamò.
Quindi il riccio si fermò, in trepidante attesa che si sbrigasse a dire qualsiasi cosa dovesse dirgli. «Dimmi Zay»
«Stasera mangio fuori, non mi aspettare sveglio»
Avrebbe voluto chiedergli dove dovesse andare, cosa dovesse fare e soprattutto con chi. Ma non aveva il tempo necessario, ci avrebbe pensato poi a farselo raccontare. Quindi annuì, «Non ti preoccupare, penso che mi intratterrò di più a lavoro», guardò il suo orologio, «cavolo, sono in super ritardo e Perrie mi ucciderà!»
«Ti lascio andare allora» Zayn rise «Buon lavoro!»
Harry salutò con la mano e corse via. Vide in fondo al corridoio l'ascensore aperto e non ci pensò due volte: si fiondò dentro così magari avrebbe fatto prima.
Si accorse, poco dopo, che dentro quell'ascensore ci fosse il professore Tomlinson che lo guardava incuriosito e si imbarazzò. «Sei di fretta?» chiese, passando la sua ventiquattr'ore da una mano all'altra e premeva il tasto numero zero.
«Devo correre a lavoro», disse, sistemandosi bene il suo zaino sule spalle.
«Dove lavori?»
«In caffetteria, qui all'università», rispose cortese, mentre quello stupido ascensore sembrava non voler arrivare al piano terra.
«Non sapevo ci fosse una caffetteria qui», esclamò sorpreso, «dovrò passare qualche volta, allora», disse, come se stesse parlando con qualcuno che conoscesse da una vita e poi sorrise.
«Non lo dico perché sono di parte, ma si mangia davvero ben-»
Ad un tratto sentirono un tonfo, poi l'ascensore rallentò fino a bloccarsi e la luce si spense e si accese automaticamente quella di emergenza che di luminoso non aveva proprio niente e rendeva quel luogo solamente più inquietante delle altre volte.
Harry si guardò intorno e «No no no, cazzo!»
Louis sorrise per l'imprecazione e «Tranquillo Harry, adesso chiediamo aiuto» così premette il tasto con la campanella disegnata sopra, sperando che qualcuno li tirasse fuori di lì il prima possibile, dato che Harry doveva andare a lavorare e Louis doveva raggiungere sua figlia a casa.
Harry osservò i movimenti del suo professore e deglutì. «Devo avvertire del mio ritardo», tirò fuori dalla sua tasca il cellulare e cercò di chiamare Perrie, ma non c'era campo lì dentro.
«Adesso chiamiamo qualcuno, non ti preoccupare»
Mentre Louis cercava di chiamare qualche collega con il suo cellulare, Harry si accasciò a terra. Sentiva l'aria mancare e, dannazione!, come gli era venuto in mente di salire su un ascensore, proprio lui che non riusciva a sopportare gli spazi chiusi per più di un minuto? Non era un tipo claustrofobico e non sapeva nemmeno da cosa era scaturito quel suo malessere, ma cercava sempre di evitare di stare per troppo tempo -e soprattutto da solo- all'interno di piccoli spazi.
La luce di emergenza funzionava ad intermittenza e sapere di essere quasi al buio in luogo chiuso e senza finestre lo faceva sentire male. Sentì improvvisamente lo spazio richiudersi su di lui e le pareti cadergli addosso; non voleva rimanere intrappolato fra quelle quattro mura. Sentiva il cuore in gola battere forte.
Non voleva nemmeno fare brutte figure davanti al suo professore e ridicolizzarsi, cosa avrebbe pensato? Quindi provò a contenere le sue reazioni, respirare profondamente e poi chiuse gli occhi.
«Harry?» Louis si allarmò e lo guardò preoccupato, «Harry stai bene?»
Lasciò cadere la sua valigetta a terra quando vide il volto del ragazzo di fronte a lui diventare pallido. Si accovacciò al suo fianco e iniziò a dargli piccoli colpetti sul viso per tenerlo sveglio, ma Harry svenne fra le sue braccia.
«Harry, mi senti?»
Ovviamente il ragazzo non rispose e Louis preso dal panico portò le mani fra i suoi capelli, cercando di ragionare lucidamente. Non gli era mai successo prima di quel momento che qualcuno svenisse di fronte ai suoi occhi, quindi cercò di ricordare, da tutti i documentari che aveva visto, cosa fare in quel caso.
Fece sdraiare Harry a terra, togliendogli prima lo zaino dalle spalle, e gli alzò le gambe per riportare il sangue al cervello. «Dai Harry, riprenditi!» ripeteva, mentre le porte dell'ascensore venivano aperte improvvisamente dai tecnici addetti a quel tipo di lavori. Quindi tirarono fuori prima Harry cautamente e poi Louis, che prese la sua valigetta e lo zaino del ragazzo.
Harry riprese conoscenza pochi secondi più tardi e la prima cosa che vide fu il blu degli occhi del suo professore e la sua espressione preoccupata. Portò una mano sulla fronte, non ricordando praticamente nulla di ciò che era successo, e si mise seduto. «Harry?» lo chiamò Louis che in un gesto quasi automatico e paterno gli accarezzò il viso.
Harry non ci fece caso inizialmente, concentrato a sentire la morbidezza della pelle di Louis contro la sua guancia e la delicatezza con cui lo stava sfiorando, come se fosse un diamante prezioso.
E lui cosa stava pensando esattamente?!
Si allontanò leggermente da quel tocco, che già rimpiangeva, e tossicchiò contemporaneamente a Louis. «Cosa...?»
Il professore si guardò intorno, sperando che nessuno, a parte i tecnici concentrati nel loro lavoro, li avesse visti in quel momento. «Sei svenuto in ascensore», chiarì Louis, mentre raccoglieva la sua valigetta e aiutava Harry ad alzarsi. «Ti senti meglio? Vuoi che ti porti al pronto soccorso?»
«No, no», scosse la testa recuperando lo zaino da terra. «Sto bene»
«Dovresti mangiare qualcosa», consigliò. «Hai fatto colazione?»
Harry ci pensò su e scosse la testa. «No, volevo essere puntuale per la sua lezione», disse e cosa aveva appena detto?
Louis sorrise. «Così mi fai sentire in colpa però»
«Oh, io non volevo», arrossì e abbassò lo sguardo.
«Vieni con me, ti offro il pranzo»
«Ma no, non mi sembra il caso. Io devo-»
«Mi farai davvero sentire in colpa», rise Louis. «E ti devi pure fare perdonare per lo spavento che mi hai fatto prendere»
Allora Harry accettò, dimenticando di dover andare a lavoro, seguendolo poi fuori dall'edificio, stavolta prendendo le scale.
~
«Vengo sempre qui prima della lezione del pomeriggio». Entrarono nel locale in cui Harry andava sempre per prendere il suo pranzo e rimase sorpreso di avere qualcosa in comune con il prof Tomlinson -oltre la musica. «Ciao Liam! Niall!» salutò poi i suoi due amici e presero posto ad un tavolo il più lontano possibile dal bancone -e da occhi indiscreti.
«Cosa vi porto?» chiese il biondo, affiancando il tavolo con un blocchetto in una mano ed una penna nera nell'altra. Poi guardò attentamente il ricciolino seduto insieme a Louis e «Ma tu sei il ragazzo che viene sempre qui a prendere lo smoothie ed i biscotti!»
Harry annuì e fece per parlare, ma Louis lo batté sul tempo. «Esattamente quello che oggi eviterà di prendere», lo guardò severo, «oggi mangerai qualcosa di più sostanzioso» ed Harry semplicemente annuì, ancora, intimidito da tutta quella situazione strana e assurda. Da quanto in qua un professore invita un suo studente a pranzo? Gli sembrava di essere stato catapultato all'interno di un romanzo per ragazzine.
Gli sei svenuto fra le braccia, gli ricordò la sua coscienza.
Niall li guardò curioso e poi si rivolse a Louis. «Allora porto il tuo solito anche per...»
Il riccio capì che volesse sapere il suo nome e «Harry» disse, prendendo poi il suo cellulare. Niall fece ok con la mano e sparì dietro il bancone per dare le ordinazioni pure a Liam, mentre Harry si rivolse a Louis. «Io- uhm- vado un attimo fuori a chiamare la mia collega, se non le dispiace»
Louis annuì ed Harry gli ricordò indirettamente che dovesse chiamare sua figlia. E così fece.
«Chi è quel ragazzo?» chiese Liam, sedendosi in una delle sedie libere, accanto a Louis. Fissò Harry mentre camminava freneticamente a destra e a sinistra e gesticolava, portandosi le mani fra i capelli e tirandoli.
«È un mio studente», rispose tranquillo, continuando a fissare il movimento delle labbra di Harry.
Liam balzò dalla sedia. «Cosa?» chiese sconvolto. «Te la fai con un ragazzino?»
«No!» urlò allarmato. «Che vai a pensare? Mi è svenuto fra le braccia e ho voluto offrirgli il pranzo perché non aveva ancora mangiato»
«Non ci sarebbe nulla di male nel frequentarlo eh», lo guardò, «in fondo è un bel ragazzo... solo che sarebbe strano-»
Louis alzò la mano per bloccare qualsiasi altra parola pronta ad uscire dalla bocca di Liam. «Frena la tua fantasia, il mio invito a pranzo non ha secondi fini», specificò. «Mi sto solo assicurando che Harry riprenda le forze, okay? E adesso vai a fare il tuo lavoro perché qui ci sono due clienti che aspettano», rise e Liam ubbidì.
Harry tornò al tavolo e si sedette al suo posto, messo a disagio dagli occhi di Louis fissi sulla sua figura. Fortunatamente per lui, non ebbero nemmeno il tempo di perdersi in silenzi o discussioni imbarazzanti perché Niall portò loro i due piatti ordinati e iniziarono a mangiare.
«Lei è di qui, professore?» chiese Harry, prima di portare in bocca una forchettata di spaghetti al pomodoro. Lui era sempre stato una persona socievole, non gli erano mai piaciuti i silenzi, quindi cercava sempre di interagire con le persone anche e soprattutto quando gli sembravano interessanti. Solo che interagire con il professore Tomlinson gli risultava davvero difficile, ma era sicuramente una persona interessante e bella. Decisamente bella.
«Sono originario di Doncaster, conosci?»
«Sì, è a pochi chilometri da Holmes Chapel, dove abitano i miei nonni», sorrise.
«Non ci sono mai stato», rispose pensieroso, con la mano sotto il mento.
«Oh, è un piccolo paesino con case e strade», disse fintamente serio provocando una grossa risata da parte di Louis, tanto da attirare l'attenzione di Niall e Liam su di sé.
«Davvero suggestivo», esordì sarcastico e continuò a mangiare. «E tu invece? Sei un londinese o uno studente fuori sede?» e lo fissò davvero curioso.
«Sono nato ad Holmes Chapel in realtà. Però quando io avevo due anni i miei si sono trasferiti qui per lavoro e quindi sono cresciuto in città», raccontò come se stesse parlando con un amico.
Continuarono a parlare per molto tempo, quando già i loro piatti erano stati svuotati e le loro pance riempite. Harry non si era nemmeno reso conto di essere a proprio agio lì con Louis e aveva dimenticato persino di essere in compagnia di un suo professore. Se solo Louis non fosse stato tale e più grande di età -chissà di quanto-, gli avrebbe chiesto di rivedersi, magari in un contesto diverso da quello scolastico. Gli avrebbe chiesto di andare a prendere qualcosa da bere nel pub in cui si recava di tanto in tanto, andare al cinema, o fare una semplice passeggiata. Harry non frequentava qualcuno ormai da un paio di anni: l'ultima volta era rimasto scottato a causa di un ragazzo che lo aveva illuso e poi, una volta portato a letto, lo aveva lasciato, era sparito ed Harry non lo aveva più visto. Si era disperato per giorni, forse settimane, mangiava poco e usciva solo per le lezioni e gli esami. Grazie a Zayn che gli era stato accanto, e alla musica, era passato alla fase dell'odio e poi semplicemente all'indifferenza.
Da quel momento fidarsi era diventata un'impresa davvero difficile -non che Harry avesse trovato qualcuno per cui ne valesse la pena.
L'atmosfera piacevole venne interrotta dal cellulare di Louis che squillava insistentemente dentro la tasca dei suoi pantaloni.
«Pronto?» sorrise ascoltando attentamente. «Piccola, non disturbi... dimmi», e ovviamente è etero e pure fidanzato, pensò Harry sconsolato. Magari ha una compagna a casa che lo sta aspettando. «Va bene, sto arrivando!» chiuse la chiamata e mise a posto il cellulare. Sistemò la sua maglietta e si alzò, prendendo la sua valigetta. «Scusami Harry, ho una persona a casa che mi aspetta e devo andare», spiegò.
«Non si preoccupi», sorrise nonostante avesse voluto passare un po' più di tempo con Loui- il suo professore. «Anzi, mi scusi se le ho fatto perdere tempo», si morse il labbro e sistemò la forchetta ed il coltello ad ics sul piatto per distogliere il suo sguardo dagli occhi di Louis, felici di tornare a casa.
«Ma figurati. Spero ti senta meglio adesso», Harry annuì e ringraziò. «Adesso scappo davvero... Ovviamente non ti preoccupare per il pranzo, offro io», puntualizzò con un sorriso e andò via senza dare modo ad Harry di ribattere.
«Quanti di voi vorrebbero imparare una nuova lingua?» domandò Louis e osservò attentamente i suoi studenti. La maggioranza alzò la mano, il resto invece borbottò annoiato. «Beh, mi dispiace per chi non vuole imbattersi in questa nuova avventura perché...», si interruppe, indossò gli occhiali e si avvicinò alla lavagna col gesso in mano.
La Musica:
2) Incrementa le competenze linguistiche
Ed iniziò a spiegare. «Insieme a me imparerete a leggere la musica... che equivale praticamente a leggere in un altro alfabeto in cui linee, punti e altri simboli», fece tre frecce sotto ciò che aveva scritto alla lavagna e segnò i tre punti appena elencati, «combinati tra loro forniscono precise indicazioni su ritmo, altezza, durata, velocità, carattere e tecnica musicale», camminò poi avanti e indietro per l'aula, gesticolando. Fece una pausa e poi riprese a parlare. «La musica, inoltre, possiede frasi, sintagmi e parole che chiameremo motivi», aggiunse anche quello sotto le tre frecce, sporcandosi le mani con il gesso, «che si combinano in un vero e proprio discorso», scrisse anche quello e lo cerchiò ripetutamente.
Tutti i ragazzi sembrarono interessati e quasi tutti presero appunti sui propri quaderni.
A fine lezione entrò in bagno per lavare le mani. Era un completo disastro con i gessetti bianchi, sua mamma glielo ripeteva sempre. Finiva per sporcare anche i suoi vestiti.
Mentre era intento a togliere una macchia dalla sua maglietta nera, appunto, in bagno entrò Harry, seguito da un altro studente che si chiuse subito in uno dei cubicoli.
Harry invece, vedendo il suo professore, si avvicinò ai lavandini e imbarazzato lo fissò. Louis strappò un po' di carta e asciugò le mani, poi lo guardò facendo nascere un sorriso spontaneo. «Salve Harry! Come stai?»
«Salve, sto bene, grazie», sorrise.
«Ti ho visto molto concentrato oggi a lezione», gli aveva chiaramente detto che lo aveva fissato per tutto il tempo, ma questi sono semplicemente dettagli.
«Oh sì, è stata molto interessante», dichiarò, aprendo il rubinetto per lavare le mani e per cercare di non perdersi nel volto angelico del suo professore.
«Mi fa piacere che ti sia piaciuta», voleva dire che stava facendo un ottimo lavoro.
«Prof, io mi sento in debito con lei», confessò a bassa voce, per non farsi sentire dal ragazzo che era appena uscito dal cubicolo.
«E perché mai?»
«Ieri mi ha pagato il pranzo», gli ricordò.
«Non ti devi sentire in debito, l'ho fatto con piacere», gli sorrise e prese la sua valigetta per dirigersi fuori dal bagno.
Harry lo seguì, «Ma a me non sembra giusto, professor Tomlinson», insistette. «Un giorno di questi potrebbe venire in caffetteria. Può prendere qualsiasi cosa, offre la casa»
«Grazie Harry», si ritrovarono fuori dall'università. «Ma davvero, non serve!»
«Mi ritengo offeso, sia chiaro», finse e accelerò il passo con le braccia conserte.
Louis rise perché Harry era così buffo: i capelli legati in una piccola coda, una maglietta stravagante ed il labbro imbronciato. «Va bene!» disse poi, sconfitto. Harry era così testardo. «Passerò dalla caffetteria», gli si avvicinò, «ma mi dovrai fare trovare il tea più buono che io abbia mai assaggiato». Louis non sapeva cosa stava facendo. Parlava con Harry come se fosse tutto fuorché un suo studente. Sembrava conoscerlo da tanto tempo.
«Sarà fatto!»
«Adesso vado», indicò col dito una macchina sulla quale stava poggiata una ragazza dai lunghi capelli castani, molto bella. L'umore di Harry vacillò per qualche secondo. La sua ragazza.
«Buona giornata!» disse allora e osservò sconsolato il suo professore allontanarsi per raggiungere quella ragazza e poi abbracciarla affettuosamente.
Louis salì in macchina. «Sono felice che tu sia qui», disse ad Eleanor.
«Lo so, lo so. Non vedevi l'ora di avermi fra i piedi», rise e fece attenzione poi alla strada. «Quello è il tuo nuovo ragazzo?» chiese curiosa riferendosi al riccio che aveva visto da lontano.
«Perché me lo chiedete tutti?» sbuffò.
Eleanor alzò le spalle. «Era carino»
Lui non è carino, è bellissimo. E non hai visto i suoi occhi! Ti ci potresti perdere in tutto quel verde e non ne vorresti uscire più. «Ti prego, è un mio studente!» disse invece, ingannando i suoi pensieri e mettendo fine alla discussione.
Una volta a casa, la prima cosa che fece fu quella di andare a salutare sua figlia. Era chiusa nella sua stanza, ovviamente con il cellulare in mano. «Stai studiando?» chiese, sapendo ovviamente la risposta.
«Ciao anche a te papi, come stai? Io sto bene. Hai avuto una bella giornata? Io sì, non mi posso lamentare», rispose ironica, facendo ridere Louis. Mise il telefono in carica e andò a salutare suo padre con un abbraccio.
«La mia giornata è andata bene», come sempre Rebeckah riusciva a sviare l'attenzione da se stessa. «Hai mangiato?»
«Sì, mamma mi ha preparato la pasta alla carbonara»
«Sono felice che almeno lei sappia cucinarla», e risero. Lui aveva provato molte volte a cucinare la carbonara, ma una volta bruciava la cipolla, un'altra volta bruciava la pancetta, una volta addirittura si erano appiccicati gli spaghetti sul fondo della pentola. Un totale disastro. Poi ci aveva semplicemente rinunciato lasciando l'arduo compito ad Eleanor. «Adesso ti lascio studiare, devo andare a preparare la prossima lezione», uscì quindi dalla camera di Rebeckah e andò a posare la valigetta nella sua. Poi si diresse in bagno per spogliarsi dei suoi vestiti e rilassarsi nella vasca piena d'acqua e sapone profumato.
Contemporaneamente Harry aveva raggiunto Zayn e Gus a casa, stanco della mattinata appena trascorsa e un po' pensieroso. Riservò tante coccole al suo amato gatto che non appena lo sentì entrare gli si fiondò in mezzo alle gambe per ricevere attenzioni. Lo prese in braccio e lo strinse a sé, raggiungendo poi la cucina «Ciao Zay», il ragazzo era seduto su una sedia, concentrato a disegnare qualcosa su un foglio bianco. «Hai già dato tu da mangiare a Gus?»
Zayn alzò per qualche secondo lo sguardo su Harry e rispose. «Fortunatamente per lui sì», indicò la palla di pelo, «se aspettava a te poteva morire», disse ironico.
«Lo so, lo so!» lasciò andare il gatto a terra. «Sono andato a recuperare un'ora in caffetteria»
«Ti senti meglio oggi?» domandò Zayn per accertarsi. «Mi dispiace non esserci stato ieri... magari ti serviva una mano»
«Sto bene», si avvicinò a Zayn per lasciargli un bacio sulla fronte: era sempre stato così affettuoso Harry con lui. «Non preoccuparti!» gli sorrise poi. «Adesso ti lascio in pace, vado su a preparare qualche video». Zayn annuì felice e mise la sua sigaretta, quasi spenta ormai, in bocca.
Una cosa che non è ancora stata detta di Harry è che all'età di vent'anni aveva aperto un canale YouTube: inizialmente lo aveva creato solo per poter mettere likes ai video, commentarli, creare le sue playlist preferite. Poi, un giorno, vedendo che molti ragazzi postavano video in cui cantavano e suonavano, ed incoraggiavano altri a farlo per non far morire la musica, si decise a caricare la sua prima cover.
Era un video di pessima qualità, a causa della risoluzione della fotocamera del suo vecchio telefono -sì, ai tempi registrava col suo vecchio cellulare. Anche l'audio era pessimo, persino lo sfondo del video che consisteva nel letto di camera sua, tutto sfatto.
La sua prima cover era stata Isn't she lovely? di Stevie Wonder. Con sua grande sorpresa aveva riscosso molto successo -okay, magari non così tanto, ma aveva ricevuto duemila visualizzazioni, cinquanta mi piace e quattro commenti in cui le persone lo elogiavano per la sua meravigliosa voce e gli chiedevano di continuare a pubblicare altre cover. Così, pochi giorni prima del primo Febbraio, quando i suoi parenti gli avevano domandato cosa volesse regalato per il suo compleanno, aveva richiesto una macchina fotografica professionale; lui con i pochi soldi che aveva guadagnato a lavoro avrebbe comprato da solo un treppiedi ed un microfono.
Da quel momento aveva continuato a pubblicare video in cui mostrava il suo mezzo busto coperto da maglie colorate, il suo sorriso sincero e a tratti nervoso, i suoi occhioni verdi ed i suoi capelli acconciati ogni volta diversamente. Sullo sfondo invece ci stava la parete dipinta di bianco e ricoperta da poster e foto varie, il letto sempre ben sistemato con le sue lenzuola blu e azzurre e due cuscini beige.
Aveva continuato quindi con You are so beautiful di Joe Cocker e The way you look tonight e Your song di Elton John.
Ad ogni canzone faceva innamorare le persone, indistintamente maschi e femmine. Gli facevano sempre i complimenti e le visualizzazioni crescevano a vista d'occhio, insieme agli iscritti al suo canale. Aveva deciso così di continuare a pubblicare video non solo perché la sua voce migliorava ogni volta, ma anche perché aveva notato che cantare aiutava a mettere a tacere i suoi pensieri.
E Zayn lo sapeva. Per questo, quando lo sentiva cantare, non lo disturbava mai. Lo ascoltava rilassato dalla cucina o dalla sua camera.
Harry non era famoso, ma il fatto che cinquantamila persone lo conoscessero e vedessero i suoi video gli metteva i brividi.
Così, quel pomeriggio, chiuse la porta della sua stanza, si avvicinò alla sua postazione, aprì la tenda della finestra di fronte per far entrare quanta più luce naturale possibile e scelse velocemente cosa cantare: Total Eclipse of the Heart di Bonnie Tyler.
«Hey, Reb», bussò alla porta ed entrò contemporaneamente. «Sono arrivati Niall, Liam e la cena!» sorrise.
Rebeckah mise pausa ad un video che stava guardando. «Sì, un secondo», rispose senza voltarsi verso suo padre e alzando il dito indice, «finisco di vedere questo video e scendo giù», lo avviò di nuovo e in tutta la camera si espanse una bella, bellissima voce che Louis pensava di aver sentito da qualche parte -forse in radio, forse in un film, forse in qualche pubblicità?
Louis assottigliò la vista, concentrandosi sullo schermo del pc e cercando di leggere il titolo del video. Sgranò gli occhi quando riconobbe la figura di Harry Styles con gli occhi chiusi al centro del video mentre metteva la sua anima in quella canzone.
Harry Styles, il suo studente, faceva cover su YouTube?
Tossicchiò, distogliendo lo sguardo dallo schermo e «Sbrigati che se no si raffredda tutto!»
Poche ore più tardi, dopo aver mangiato, ripulito la cucina e dato la buonanotte ad Eleanor e Rebeckah, si rintanò nella sua camera. Prese il suo computer portatile e lo accese. Mentre aspettava che il caricamento si completasse, cambiò i suoi vestiti per mettere un pantalone del pigiama. Si mise comodo a letto, portò il pc sulle sue gambe e lo collegò alla rete Wi-Fi di casa. Entrò su Google e poi su YouTube. Non sapeva il nome del canale, ma gli sembrò giusto digitare il nome del ragazzo.
Harry Styles.
In meno di un secondo comparvero un sacco di suoi video in ordine non cronologico e Louis scoprì che il canale si chiamasse semplicemente harrystyles. Ovviamente.
Inserì le cuffiette e avviò un video a caso. Use Somebody dei Kings of Leon. Poi ne avviò un altro, e poi un altro ancora perdendosi completamente nella sua voce, nei suoi occhi, nei suoi movimenti delle mani, nel modo in cui le sue dita sfioravano il microfono, nelle sue espressioni facciali.
E poi la riproduzione casuale ebbe la meglio e gli mostrò quel video maledetto.
Era stato chiaramente girato in un luogo diverso da una stanza. In un giardino. Forse a casa di Harry? C'erano una batteria, un basso e una chitarra elettrica posti in fondo, a semicerchio e sopra un tappeto enorme, insieme ad un amplificatore e un'asta nera posta al centro e più avanti. Dopo pochi secondi entrarono in scena i musicisti che si misero in posizione, seguiti poi da Harry. Louis mise pausa al video e sgranò gli occhi perché lo vide in un abbigliamento insolito, ma davvero davvero sexy. Aveva i capelli lunghi e lasciati liberi sulle spalle, una maglietta nera a maniche corte abbastanza aderente, una collana argentata si intravedeva appesa al collo e poi le sue gambe erano fasciate da un paio di pantaloni a palazzo neri a righe bianche, che nascondevano un paio di scarpe nere. Un abbigliamento del genere poteva stare bene solo ed esclusivamente ad Harry.
Il riccio cominciò a cantare, seguito subito da chitarra e batteria, mentre la scritta Kiwi bianca, in corsivo e a stampatello spuntò al centro del video.
«She worked her way through a cheap pack of cigarettes»
Iniziò a cantare Harry, mentre fissava l'obiettivo della telecamera. Era un ritmo abbastanza rock e non aveva sentito prima di allora quella canzone -non che lui ascoltasse rock, comunque-. Pensò quindi che la canzone fosse un suo inedito.
«Hard liquor mixed with a bit of intellect. And all the boys, they were saying they were into it such a pretty face, on a pretty neck»
Ed Harry sorrise probabilmente alla persona che stava filmando quel video, ma Louis pensò che stesse sorridendo a lui e gli si mozzò il fiato. Gli occhi verdi risplendevano grazie alla luce del sole e luccicavano, più di uno smeraldo. Quel primo piano gli smosse qualcosa. Quanto poteva essere bello, Harry? Ma una bellezza eterea, vera, che ti lascia senza fiato.
Harry battè il ritmo col piede.
«She's driving me crazy, but I'm into it, but I'm into it, I'm kind of into it. It's getting crazy, I think I'm losing it, I think I'm losing it»
E poi prese il microfono e si scatenò davanti la telecamera.
«I think she said "I'm having your baby, it's none of your business", "I'm having your baby, it's none of your business", "I'm having your baby, it's none of your business"».
La voce di Harry impressionò tanto Louis perché non credeva che il ragazzo avesse così tante potenzialità. Non è sempre detto che chi sa suonare uno strumento, allo stesso tempo, sa cantare, e viceversa. Ma Harry voleva imparare a suonare la chitarra, glielo aveva detto durante quel pranzo al locale di Liam.
«"I'm having your baby, it's none of your, it's none of your"».
Tornò vicino all'asta e mise il microfono al suo posto per cantare la seconda strofa.
«It's New York, baby, always jacked up
Whole tunnels, foreign noses always backed up
When she's alone, she goes home to a cactus
In a black dress, she's such an actress»
Quelle mani sfioravano il microfono delicatamente, mentre il suo viso era contorto da alcune smorfie, segno che non aveva abbastanza fiato per completare la strofa. Ma riuscì comunque a farcela e respirò pochi secondi prima di cantare nuovamente il ritornello.
I capelli davanti al viso, le labbra rosse, gonfie e appena in fuori, la mascella affilata e ben definita, le vene del collo. Era la perfezione o cosa?
«She sits beside me like a silhouette
Hard candy dripping on me 'til my feet are wet
And now she's all over me, it's like I paid for it
It's like I paid for it, I'm gonna pay for this»
Esattamente quella parte fu la goccia che fece traboccare il vaso. Letteralmente. Gli occhi di Harry guardavano sempre verso l'obiettivo e Louis si sentì intimidito, ma allo stesso tempo eccitato. Percepì i boxer restringersi troppo per i suoi gusti e iniziarono a dargli fastidio, insieme ai pantaloni del pigiama. Si morse il suo labbro inferiore e chiuse un attimo gli occhi, non rendendosi conto di aver portato la mano destra a sfiorare il suo membro ancora dentro i boxer per darsi sollievo. Che cosa sto facendo?
Ma in quel momento non gli importò perché non provava quelle sensazioni -il formicolio alla pancia, il cuore battere all'impazzata, il cervello pulsare e il suo pene richiedere certe attenzioni- da molto tempo. Ed in quel momento volle essere egoista e pensare che Harry fosse un comune ragazzo, un uomo, e non un suo studente.
«"It's none of your, it's none of your
"I'm having your baby, it's none of your business"
"I'm having your baby, it's none of your business"»
E Louis venne sulla sua pancia scoperta non appena sentì Harry urlare baby con gli occhi chiusi in una smorfia per arrivare a fare l'acuto e vide la sua faccia madida di sudore... esattamente come la propria. Rimase lì, steso a letto ansimante, mentre Harry finiva di cantare ed inchinarsi in avanti con le mani giunte in segno di ringraziamento ed il video iniziava a sfocarsi e diventare nero.
Chiuse il computer di scatto, spaventato dalla sua stessa reazione e da quello che aveva fatto.
Merda.
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