9
[Phoebe]
Me la dò a gambe e non per paura di chissà cosa. Quello sarà impazzito, chi avrà pensato che io fossi?
Lascio l'ambiente udendo ancora gridare il mio nome, faccio finta di niente e continuo per la mia strada. Fuori si gela, non vedo altro colore fuori da me che non sia il legno degli alberi della foresta circostante e il bianco della neve ancora fresca.
Mi avvolgo nei miei indumenti pesanti e lascio la corte immettendomi nella via principale. Non me ne curo nemmeno del ghiaccio, il manto stradale è scivoloso ma non è proprio cosa rimanere qui nemmeno per un secondo di più.
Vedo macchine passare a tutto spiano, mezzi pesanti slittare a tal punto che sembrano quasi camminassero da soli, poco badano ai margini della carreggiata, mi schizzano quasi fossero dei gavettoni automatici in mezzo a una spiaggia deserta, desolata e per giunta nel bel mezzo di un inverno rigido come questo, d'altronde. Mi stringo ancora più tra le mie stesse membra, non ha assolutamente limiti la stupidità umana.
Dopo aver teso il braccio per non so quanto tempo simulando un autostop, sentivo la fretta divorarmi più che mai. Una volta persa quasi la speranza, noto un pick up della Ford fermarsi al lato della strada. Non è assai distante da me. Tentennando un po' inizio ad avvicinarmi sempre di più al mezzo, lo ispeziono.
Noto che dentro vi è un uomo ed è piuttosto giovane, non potrà avere assai anni più di me. Ne vedo e ne seguo il suo profilo, indago sempre più. Una brevissima manciata di secondi e ora sono prossima, mi fissa ed è lui. Sbuffo e mi giro dalla parte opposta, ancora un rumore ed è uno sportello che si apre.
"Forse non l'hai ancora capito che non ho tempo..." la sua voce, inizio a camminare in direzione opposta e ne sento i passi sordi nell'attutire di continuo l'asfalto e viene verso me, mi sfiora e lo sento.
"Ma lasciami stare..." mi dimeno.
"Non ho tempo da perdere, mi e arrivata chiamata che l'uomo del negozio sta male... ho bisogno di te, presto... andiamo!" ordina, mi volto verso lui.
Mi prende per mano stringendola forte, mi trascina e mi strattona ma è così dolce, non mi farò mica intenerire anche se in parte lo vorrei. Non capisco perchè ma sembro essere sdoppiata, in parte vorrei rimanere ma poi desidero scappare anche se non posso, non ora che l'anziano uomo riversa in quelle condizioni, non per l'altro che adesso mi è vicino ma non ancora abbastanza per me.
Entro in macchina, il riscaldamento è acceso e finalmente mi rigenera un po'. Volto il capo alla mia sinistra e noto lui che si appresta a ripartire. Mi accorgo che sbuffa, quando ancora altaleno lo sguardo, con la coda dell'occhio lo guardo e ora non più poichè abbandono le mie iridi sul parabrezza che adesso è dinanzi a me, poi ancora al vetro e per finire in avanti, è un guardare un po' perso e altrettanto preoccupato, il mio pover'uomo cosa avrà avuto ora? Chissà, lo stesso che mi ha visto crescere e maturare in fretta visto che cominciava a vedermi sempre più di rado per i miei ormai scarsi rientri qui. Il mezzo corre e non ho paura, ancor meno di prima poiché non sono più sola ma c'è il mio nuovo amato coach adesso accanto a me. Poi, non sarò mai così importante più, non come il mio vecchio amico da salvare. Il mezzo si ferma, alzo lo sguardo finito tra le mani. Un rumore secco mi riporta completamente alla realtà, mi volto a destra e il sedile è libero. Un altro rumore simile e il mio sportello improvvisamente si apre, giro la testa dall'altra parte e vedo lui che mi aspetta invitandomi segreto a sloggiare.
"Andiamo!" inclina la testa verso l'esterno e cerca la mia mano, annuisco e mi affretto a fare quanto ordinato.
Iniziamo a camminare a passo sostenuto, il giovane dinanzi a me e ogni tanto mi prega ad alzare il passo pigro dall'apatia causata dall'ansiosa smania che non mi lascia più andare. Penso tuttora all'anziana persona, non riesco a fare altrimenti e mi sento sfiorare la spalla. Il ragazzo mi scuote cercando di distrarmi invano e finalmente arriviamo, lo shop è tutto per noi. Scorgiamo già prima di entrare dai vetri della porta d'ingresso l'anziana moglie con le mani in grembo e le palpebre spalancate la portano a fissare il vuoto, non riesco ancora a delinearne l'espressione per quanto assente fosse. Con massima destrezza, il moro apre la porta e s'avvicina verso la povera donna fluttuante con la mente e con il corpo.
"Dov'è?" queste le sole parole del più giovane.
"L'hanno portato e non so dove... è caduto dalla scala colto da un malore, diceva qualcosa ma che non si capiva nemmeno..." trema.
"Arrivo subito, tranquilla... tu stai con lei..." obietta ancora, annuisco per un'altra volta.
"Si, ci sono anch'io con te... cara..."cerco di consolarla, annuisce anche l'anziana a sua volta, lo sento parlare ancora solo che in lontananza.
La sua voce pare venire dall'archivio, intuisco subito che è al telefono. Questione di poco ed è di nuovo tra noi, parla tuttora con il suo solito tono risoluto e proprio di chi sa e vuole affrontare ma soprattutto superare quello che si è purtroppo scoperto.
"Andiamo!" è l'ennesima sua decisione, sicchè letteralmente telegrafica.
Annuiamo. La strada scompare a visto d'occhio e presto giungiamo a destinazione.
Sollevo lo sguardo e lo protraggo verso destra, è la clinica più vicina al centro urbano la prima visione che ho.
"Non è nulla, avete visto? Sto bene, era solo un graffio..." odo l'anziano parlare da dietro la porta, lascio una delle tante panchine che popolano l'interminabile corridoio del reparto e un sospiro di sollievo accompagna l'azione.
"Grazie a Dio!" esclamo a me stessa.
"Si ma non hai sentito che ha detto il dottore? Devi fare attenzione e soprattutto startene riguardato..." lo raccomanda il ragazzo che è con lui, come il solito è decisamente il primo a tutto, stavolta anche a entrare.
"Si, un corno... io sono forte!" replica l'altro, lì scorgo uscire dalla porta.
"È caparbio!" le sole parole della moglie, nonostante tutto mi fanno proprio morire dal ridere tutti e due.
"Ma statti zitta che io so quello che faccio..." ribatte il marito.
"Beh, volete rimanere qui? Torniamo alla base..." obietta il giovane per l'ennesima volta, riprendiamo spontanei a camminare.
"Beh, che ne dite di un sidro prima di rincasare?" propongo non appena incontro il bar che si apre sfizioso all'entrata del fabbricato.
"Si, è il mio preferito!" il più anziano ha gli occhi che brillano come stelle, ricordo perfettamente quanto gli piace.
"Ehi, Phoebe... lasciamoli fare soli..." accenna ancora il coach rivolgendosi alla sottoscritta, annuisco.
"Ok..." mormoro " Ma comunque grazie al cielo..." sospiro.
"Grazie a te per essere venuta..." sospira a sua volta.
"Entriamo..." sorrido, finalmente decido io accennando rapidamente col capo la destinazione.
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