6
[Phoebe]
Esco dalla sala ghiacciata a lezione finita, sono rimasta la sola insieme a lui che nel frattempo mi raggiunge e i suoi passi me lo fanno capire subito tanto da farmi voltare.
"Ciao, alla prossima!" dico esattamente così mentre mi appresto a imboccare la strada del ritorno, mi arresta.
"Senti, aspetta! Che ne diresti di un caffè?" senza proferire parola cominciò a seguirlo.
Entriamo nella sua auto, abbastanza grande e confortevole. È un suv della Chevrolet grigio metallizzato nuovo di zecca, mi ci spaparanzo completamente per via della stanchezza che non vuole darmi pace.
Accende il riscaldamento per sbrinare i vetri tutti appannati e gelati dalla rugiada gelata e fosca del tempo invernale, e veramente rigido da queste parti e non me lo ricordavo decisamente così, Manhattan al confronto di Yellowstone sembra l'Africa sahariana.
Sento spegnersi il motore, non mi ero nemmeno accorta di essere già arrivati in centro.
Scendiamo dall'auto e il freddo torna a farsi sentire, non avevo preso nemmeno la sciarpa oggi, mia sorella mi ha messo una frettolosa ansia e l'ho dimenticata. Uff, certo che a volte chissà che gli farei a quella lì.
Percorriamo 500 metri e lo vedo fermarsi, che cosa starà facendo? È questo che farfuglio tra me e me.
"È questo il diner di cui ti parlavo!" esclama aprendo la porta, mi lascia passare.
Mi ci tuffo dentro ed è un caffè delizioso, non ci ero mai entrata o sarà forse nuovo.
"Immagino che la vita nella grande mela sarà molto più veloce di qui ma anche a Yellowstone ci appaiono delle novità ogni tanto!" esclama di nuovo.
"Esatto!" è solo questo che dico perplessa poiché mi chiedo come avrà saputo che io vengo da lì.
Detto questo prendiamo posto al bancone. Il pavimento è a scacchiera bianco e nera, i muri sono di un verde acquamarina e gli scaffali di un colore che va tra il bordeaux e il fucsia. Somiglia molto ai diversi Starbucks che vedevo per le vie di Manhattan ma oltre a questo, e stile anni '60 e sento già le farfalle nello stomaco per quanto sia a dir poco incantevole.
"Cosa ordinate?" chiede in un fil di voce la Barman ormai ferma davanti a noi.
"Scusa il ritardo Kathleen, lo so che stavi chiudendo! Ma comunque io vorrei un pezzo di pizza e non so lei..." dice in un fil di fiato lui.
"Mmm... allora... quell'hamburger lì con le patatine, grazie!" creo il mio turno.
"Tranquillo, fate pure... li riscaldo?" chiede di nuovo Kathleen.
Annuisco, ella prende tutto e si allontana.
Usciamo dal locale che è passata più di mezz'ora, pasto veloce ma mai più di tanto.
Passeggiamo per il marciapiede di una delle strade principali e parliamo ancora senza fare pausa, è veramente bello farlo con lui.
Vengo rapita a un tratto da un negozio di souvenir, mi avvicino e lo ispeziono tutto quasi fossi un agente segreto dell'FBI o addirittura della CIA. Ahimè, che posso farci? Son fatta così, mi lascio travolgere abbastanza facilmente dalle boutique di ricordini, specialmente se le incontro in periodi magici simili a questo. Adoro il natale, assai e da sempre. Mi sa di calore focolare e domestico, un vero e proprio nido d'amore.
"Oh, i negozi!" sbuffa.
"Che?" chiedo.
"Niente!" cerca di divincolarsi.
"Non ti piacciono?" domandò ancora.
Uff, no è che sto cercando trenini per l'albero a destra e a manca e di loro nessuna traccia!" esclama.
Inizio a ridere.
"Che c'è da ridere adesso?" chiede ora lui, sembra infastidito.
"No, niente..." sospirò "senti, ti dico una cosa? Posso aiutarti io, vuoi? ...O.. possiamo farlo insieme!" continuò, che strana idea.
"Dici? Mmm... ok, wow! Ci riesci?" fa lo stupido.
"Si, è il mio lavoro... certo, io mi occupo per lo più del tessile ma perché no posso fare anche..." mi interrompe.
"Da falegname, ah! Ecco..." ride.
"Mmm... si! Vediamoci domani e ti farò vedere!" così faccio, gli schiaccio un occhiolino.
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