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[Phoebe]
Entro nel locale girandomi tutt'attorno, di Daniel ancora nessuna traccia. Prendo posto sul bancone e mi accingo ad aspettare. Sarò stata forse io a non averlo visto, ad un tratto mi sento sfiorare la spalla destra. Mi volgo leggermente col capo verso quella direzione ed eccolo finalmente arrivato.
"Buongiorno, Daniel!" esclamo, il mio tono ancora per metà assonnato.
"A te, cara!" risponde mettendosi il più comodo possibile sull'ultimo sgabello tondo in pelle bordeaux che allestisce l'angolo bar, il suo solito giubbotto di pelle nero non l'abbandona mai neanche tornassero le ennesime glaciazioni.
"Come mai da queste parti?" chiedo stropicciandomi gli occhi, per fortuna che non li avevo truccati.
"È da una settimana che divago in realtà tra i cinque distretti della città di vetro..." un sorriso per la stampa è quello che da sempre l'ha identificato.
Lo conosco da un bel po' di tempo, ricordo ancora quel giorno. Me lo presentarono le mie amiche di danza sul ghiaccio. Le mie sei amiche del Montana, da quanto tempo non le vedo. Mancano come aria: Alexis, Naomi, Brenda, Kelly, Hope e Sarah. Sono le mie prime amicizie americane, non sapevo niente da appena arrivata che ero. Erano nove in tutto i fiocchi di neve, l'altra era la mia sorella maggiore Frances e poi ci sono io che non mi sono ancora presentata come la solita scema.
Il mio nome è Phoebe o Febe Cameron - Martini e ho 28 anni, sono una ragazza italiana e più perfettamente torinese. Esattamente come mia madre: lei, la psicologa cinquantacinquenne Teresa Martini.
Invece, che dire di papà: lui è Alexander Cameron, l'avvocato penalista di cui mezzo mondo parla. Ha 57 anni ed è lui che è di qui, Detroit: la sua città natale, più o meno dietro l'angolo da qui.
"Buongiorno, Signori! Che cosa vi porto?" parola del Barman.
"Eh, buongiorno a Lei! Signore, due caffè americani! Grazie!" ordino guardando in volto prima il cameriere e poi Daniel.
"Allora che mi dovevi dire di tanto importante e urgente?" sbotto dopo aver sorseggiato un po' del caffè caldo una volta passatomi dall'uomo del bar.
"Phoebe, torna in Montana, abbiamo bisogno tutti di te! Ritorna a pattinare..." esorta Daniel, io faccio spallucce emettendo una faccia alquanto perplessa e apatica "Dico sul serio! Ehi, cara... perchè no? Non vuoi? Eri bravissima..." continua.
"Daniel, ma secondo te no?" schiocco la lingua sul palato "come faccio con il lavoro?" continuo.
"È per questo che hai lasciato? Ma dai... non farmi ridere! Comunque, avevamo in mente di preparare uno spettacolo per questo Natale e i fiocchi di neve sono niente senza te!" replica.
"Manca poco, non so ancora niente... come farò mai a preparare e a ripassare tutto in così poco tempo, sono tutta intorpidita poi..." mi interrompe.
"Tranquilla, tu sei brava! È solo un ripasso, poi..." ancora la perplessità tarda ad andare via dal mio volto, quasi fossi non del tutto convinta con quanto dicesse.
"Mah, vedremo! Adesso devo andare!" finisco di fretta il caffè e l'acqua, salto giù dallo sgabello e scatto via dal locale.
Inizia a piovere, cerco di fermare il primo taxi giallo che sopraggiunge e faccio si che ferma. Funziona, l'uomo frena e s'arresta. Apro la portiera e salgo a bordo, la chiudo. Lancio uno sguardo al meteo del mio smartphone: promette acqua-neve, affare fatto.
"Rockefeller!" esclamo in un sol fil di voce anticipando la domanda del tassista.
Fiocchi di neve, si. Esattamente come noi, ora capisco. Pulviscoli di ghiaccio che si librano nell'aria, piccoli e lucenti perfettamente come tutti quei piccoli tutù che brillavano sulla stessa pista dove ora non sono più. Mi mancano ma è tempo andato ormai e non torna più indietro. Adesso sono una dottoressa, con un lavoro e con tanta di casa nel cuore di New York. Non posso pensare a quello, forse non era quella la mia giusta strada ma questa. Prima ero Phoebe, ora sono diversamente Phoebe Cameron e ancora c'è tanto da guadagnare e non dico nel senso del denaro. Mi riferisco alla vita, soprattutto questo. Non credo, chissà. Tuttavia, presto lo sarò. Certo, non sarà facile, ma questo prima o poi avverrà. Me lo sento, come quel ghiaccio. Come le emozioni che provo nel vedere questi angeli bianchi cadere giù, sembrano vetri di grattacieli piombare in basso ma il bello è che stavolta non fanno rumore. La mia volta arriverà, l'importante è volerlo. Certo: la Rockefeller intralcia un po', ma io farò in modo di essere per questa l'ostacolo maggiore. Non volo ma non per il lavoro, è da prima che non lo faccio. É sin dalla notte dei tempi, credo anche prima di quelli universitari. Ah, no. Aspetto, è stata nel 2016 la mia ultima esibizione. Adesso ricordo e da allora non vi ho fatto ritorno. A momenti questa roba non so cosa sia, le mie ultime danze sono solo di immagini e parole su un foglio o sulle stoffe di seta e tulle. Molte saranno dei body e dei tutù. Li amavo un tempo e li amo ancora, solo che li ammiro dal di fuori. Non mi appartengono ormai, se non per mezzo del frutto delle mie stesse mani.
Arrivo a destinazione e mi tuffo nella nevicata, è più forte ma ancora non prende. Vorrei tanto che lo facesse, sono sempre e comunque un animale di neve e questo significa che non potrei starne mai senza. É il mio sangue e il mio respiro, il mio amore.
Questione di poco e mi addentro nel fabbricato. É un grattacielo di cristallo, la versione moderna del castello di Frozen e solo che là c'era Elsa e qua ci sono io ma io non padroneggio o almeno non ancora. Certo, solo che per poterlo fare ne dovrò avere uno tutto mio esattamente come lei e lo avrò.
Superata la hall chiamo l'ascensore, un pensiero mi sovviene. Daniel mi ha convinto ma ancora non è fatta, dovrò parlare prima con il mio datore. Lo farò.
"Buongiorno, Signorina Cameron!" un sorriso per la stampa è la firma sul volto per molti americani e soprattutto quando vanno in direzione Manhattan o per lo meno a quanto vedo.
Mi volto ed è proprio lui, Rockefeller e chi se no. É raggiante come il sole, pieno di arie e oggi più che mai. Dietro a quel viso pulito chissà quale diavolo si nasconderà, se non potrà permetterselo lui.
"Ah, buongiorno! Ho già chiamato l'ascensore!" Mi disimpegno, tanto già so che lui non vuole me ma è anche e assolutamente vero che neppure io voglio lui.
Arriva l'elevatore, si aprono le porte e mi lascia entrare. Che razza di falso, è un pensiero che come arrivo subito mando via. Entra anche lui, silenzio tombale assordante.
Si schiarisce la voce, sembra voglia parlare ma è solo un attimo e poi ritorna tutto allo stato primordiale.
Schiaccia il tasto, le porte si richiudono e la cabina riparte: risale per poco, poi va via la luce. Mi salgono i nervi ma non solo e io che ancora non ho incominciato a parlare. Senti, Phoebe o Febe come ti vorrai mai chiamare? In greco o in inglese? Mi chiedo imperturbabile. Dicevo? Che iniziasse lui! Ah, maledetta vocina! Se solo non esistessi, era da un po' che non ti sentivo ma non mi mancavi affatto! Sai? Grazie! La solita mocciosa con i codini biondi che non vedo ormai da secoli in carne ed ossa ma che scorgo, sento e noto più di prima! Mamma mia, basta! Non mi fare girare di lato o quel testone prima o poi se ne accorgerà! In fondo è sempre un uomo pure che fosse puro ma il bello è che non lo è neppure e poi non dovrebbe essere nemmeno molta distanza d'età tra noi ma, ehm... basta, quello deve essere pure più piccolo di un bambino o chissà... avrà la testa bruciata dal sesso e dai soldi a quanti se ne piazzano davanti alla sua vista non ci vede altro oltre e chissà da quanto ormai!
Inizio a tremare ma non so se è per il gelo.
"Hai freddo?" interrompe il silenzio, era assolutamente ora ma solo questo!
Mi scappa di annuire così si toglie il bomber marrone e lo posa sulle mie spalle e mi abbraccia, mi beo. Poi inarco il sopracciglio, chissà di quale marca sarà!
"Al ritorno, semmai ci sarà... ti porto io a casa stavolta e non dire di no!" accenna sussurrandomi all'orecchio, sempre più vicino.
Annuisco ancora, poi sbuffo tra me. Rimane per qualche istante, mi sta per baciare.
La luce improvvisamente torna, se sia meglio dire per sfiga o fortuna non lo so: Rockefeller riprende i suoi passi.
L'ascensore riparte e stavolta arriva a destinazione. Le porte si riaprono.
Esco dall'abitacolo, fa lo stesso anche lui. Mi segue e capisco già tutto, chissà stavolta cosa mai si sognerà!
Phoebe, digli come stanno le cose! Ti piace? Uffa, non ce la faccio più! Taci!
Arrivo alla mia scrivania, mi accomodo sulla girevole. Accendo il computer, poca voglia stranamente di dedicarmi alla mia arte, sarà questo mio cambiamento di programma o cosa? Devi lavorare, Silenzio!
"Signorina Phoebe!" mi chiama.
"Sissignore!" esclamo.
"Il progetto che voglio e dopo le vacanze è questo!" ancora lui.
Cosa sarà mai di nuovo? Uffa!
"Tranquilla, c'è tempo!" annuisco passivamente, il gomito sinistro poggiato sulla scrivania azzurrina e la mano sul mento. "Abiocco" totale, "stamattina so' romana!" "Il modello che voglio è tutto concentrato sulla passione che nutre nell'ultimo paese in cui è stata prima di venire qui! Prima deve essere disegnato e poi cucito! Lei è brava e questo lo sa, ma ciò non basta..." continua spalanco quasi gli occhi, cos'altro? "Quel capo deve ritrarre le Sue misure, poi lo indossi e pratichi quella passione, si riprenda per... noi! Ottimo sponsor, ok?" continua "Perfetto! Detto questo, dato che deve cominciare subito come finisce questa giornata lavorativa... Lei è già in vacanza!" cosa?
Ah, meglio così! Non ce ne sarà bisogno di dirglielo, comunque che coincidenza! Daniel, non sarai stato mica tu? Troppi pensieri! Montana, ti sto aspettando!
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