tragedia
«Ha detto che lo lascia.»
«Sì, pe' la quindicesima volta. Poi troverà una scusa come al solito.»
Da un lato, Chicca ha persino ragione e questo Manuel lo sa.
È capitato, in passato, che Simone gli avesse promesso, giurato che avrebbe lasciato Edoardo, ma è sempre sopraggiunta una scusa, tipo tra qualche giorno è San Valentino, non posso lasciarlo adesso oppure è fuori città, mica posso lasciarlo per telefono, ma tanto poi, alla fine, non lo ha lasciato neppure quando è tornato.
Manuel non comprende come faccia a rimanere con una persona per la quale non prova nulla, con quale coraggio incrocia i suoi occhi consapevole di andare a letto con qualcun altro pochi minuti dopo.
La propria coscienza non reggerebbe.
Lui si sente in colpa solo a guardare una persona che non sia Simone e loro, tecnicamente, non stanno neppure insieme.
«No, stavolta è vero» non ci crede molto, però cerca di mostrarsi abbastanza sicuro, mentre gira il caffè caldo dentro la tazza di ceramica.
Il bar in cui si sono incontrati quella mattina è pieno e vi è un chiacchiericcio sommesso che crea un brusio un po' fastidioso. Si sono accomodati ad un tavolo rotondo davanti alla grande vetrata del locale, da quel punto si può osservare la strada e la gente che passa sul marciapiede.
«Come era vero a Natale, come era vero a Capodanno» ribatte Chicca, acida.
«È vero,» sottolinea Manuel «anche perché stavolta ha risposto.»
«Ha risposto a che?»
«Al ti amo. Cioè, solitamente quando glielo dicevo stava zitto o mi baciava, stavolta lo ha detto.»
«Quando te lo ha detto?»
«Che te frega quando, lo ha detto.»
«Manuel, se lo ha detto mentre je tenevi er cazzo 'n mano, non vale.»
Spalanca la bocca, pressoché offeso da ciò. Ovviamente non ammetterà mai che quella è la verità, giusto per non farsi ancora più male.
«Che importa quando lo ha detto, lo ha fatto e basta» attesta, con una decisione che, in quel momento, non gli appartiene.
Chicca alza gli occhi al cielo. «Dai retta a me,» consiglia «trovati qualcuno de fregno e fagli rodere er fegato come se deve. Quello se deve rende conto de che c'ha tra le mani e dovrebbe lottare pe' te.»
«Non voglio la lotta, Chì. Vorrei solo— sono stanco de nasconderme. Ho fatto 'na fatica immensa pe' realizzà d'esse bisessuale ed è la parte di me di cui sono più fiero. Amo un ragazzo e vorrei solo... poterlo urla' ar mondo.»
«Ami un ragazzo stronzo, è questo il problema.»
«Non è stronzo, è...»
Manuel non riesce a trovare una definizione diversa. Potrebbe ricorrere a luoghi comuni, a frasi fatte stile tu non lo conosci come faccio io, ma è una retorica che non serve, non è utile e, di sicuro, non è veritiera.
Un po' stronzo Simone lo è davvero in quel frangente, eppure vuole credere che stavolta andrà bene, che lascerà per davvero Edoardo e potranno stare insieme.
È l'unica cosa che gli è rimasta a cui aggrapparsi
***
Edoardo torna da Londra giovedì.
Manuel non si aspetta che Simone lo molli proprio quel giovedì e nemmeno il venerdì.
Anzi, trascorre l'intero weekend e il famigerato colloquio avviene di martedì.
Nel tardo pomeriggio, riceve un messaggio da parte di Simo:
Credo sia andata bene, sembravano contenti.
Festeggiamo?
Di fronte a ciò, Manuel vorrebbe andare dritto al punto, scrivergli certo, festeggiamo, lascia Edo, innanzitutto.
Invece pensa di essere inopportuno e di smorzare il suo entusiasmo per una cosa che ritiene importante, pertanto la sua risposta è ben diversa:
grande!!
sì, certo... vengo da te?
No, da me meglio di no.
Passo io, porto le birre.
okay, dai...
ti aspetto!!
In rare occasioni il loro punto di incontro è coinciso con l'appartamento che Manuel condivide con la madre Anita, la quale, quella sera, non è presente poiché di turno al ristorante dove è caposala.
È quasi sempre di turno durante la cena, ragion per cui Manuel la vede poco e consuma i suoi pasti da solo.
Simone arriva alle nove in punto, quasi tre ore dopo il suo ultimo messaggio, con in mano una confezione da quattro di birra e un ampio sorriso sulle labbra.
«Ce stava tutta 'sta fila al supermercato?» così lo accoglie Manuel, chiudendo la porta alle loro spalle. Fa un cenno col capo per indicare all'altro di recarsi in cucina.
«No, scusa, è passato Edo da casa» replica quest'ultimo.
Il solo sentir pronunciare quel nome provoca una fitta allo stomaco di Manuel. «Ah» commenta, incrociando le braccia al petto. Si ferma sulla soglia della porta, appoggiando una spalla allo stipite.
Simone abbandona la confezione delle birre sul tavolo. Compie mezzo giro su sé stesso, inclinando il capo su di un lato. «Che c'è?» domanda.
Che c'è?
Che c'è?!
«No, nulla, figurati» borbotta Manuel, abbassando lo sguardo.
«Seh, come no.»
«Se te dico che c'è, finiamo pe' litigà, lascia sta'.»
«Dimmelo lo stesso.»
Glielo urlerebbe in faccia, magari prendendolo pure a schiaffi, se per questo.
Sbuffa una risata fiacca e stanca. «Hai fatto il colloquio oggi» dice «e hai visto Edo, dopo.»
«Sì, e quindi?»
«Quindi me pare ovvio de che stiamo a parla'.»
Simone lo comprende, sebbene faccia finta del contrario.
Avanza lentamente nella sua direzione, fino a fermarsi davanti a lui. Posa le mani su suoi fianchi.
«Se ti ho detto che lo lascio, lo faccio» sussurra.
«So' mesi che lo dici, Simó» Manuel è scocciato, tant'è che non scioglie l'intreccio delle braccia e non fa incrociare i loro occhi.
«Lo sai che c'erano altre cose in mezzo, adesso si stanno sistemando.»
«La cosa de mezzo era il colloquio e me pare sia passato.»
Simone sospira. Con due dita gli sfiora il mento per costringerlo ad alzare la testa - ha successo, sebbene con lieve difficoltà. «Ho bisogno solo di... un po' di tempo» mormora.
«Quanto?»
«Non lo so.»
«Me devi dà 'na scadenza, qualcosa.»
Ora sbuffa e fa rilassare le braccia lungo i fianchi. «Non ho un timer» borbotta.
«Io sì perché so' stanco» Manuel è arrendevole. Scansa l'altro ragazzo e fiaccamente si lascia cadere seduto sul divano.
Simone osserva i suoi movimenti con la coda dell'occhio. Rimane immobile per qualche secondo, dopo lo raggiunge. Non dice nulla, si limita a fissarlo prima, gli tocca una coscia con la punta delle dita, poi.
Manuel sa con estrema precisione ciò che sta facendo, ciò che si verifica sempre quando sono in procinto di discutere, ossia che lui inizia ad accarezzarlo, a baciarlo, a desiderarlo e così si trova in balia di quel contatto di cui non può fare a meno, smette di ragionare e l'argomento della conversazione neppure lo ricorda più.
Finisce sempre così.
Però non stavolta, Manuel, non stavolta.
Scansa la sua mano con poca delicatezza e incrocia le braccia al petto.
«Finché non lo molli, tutto questo è off-limits» attesta.
«Che?»
«Mi hai sentito.»
Sì, Simone ha sentito e capito pure benissimo. «Stai scherzando» non è una domanda.
«Assolutamente no» ribadisce Manuel «molla quel pesce lesso che te sei preso come fidanzato e forse puoi avere di nuovo tutto ciò che 'sto corpo c'ha da offrire. Fino ad allora, non vedi 'n cazzo, letteralmente, manco se supplichi.»
«Sei ingiusto.»
«Ah, io, Simó? Forse t'è sfuggito che quello che scopa co' me mentre c'ha 'n fidanzato sei tu, non io.»
Utilizza un tono duro, acido, velenoso, qualcosa che, di norma, non gli appartiene.
Simone lo percepisce e, per quel che lo riguarda, quella discussione si è già protratta oltre quanto messo in conto.
Per cui stringe i pugni sopra le cosce, serra la mandibola e si rimette in piedi. Non dice nulla, riserva soltanto un'occhiata di rammarico all'altro ragazzo e poi abbandona quell'appartamento, sbattendosi la porta alle spalle.
***
Manuel si pente di una simile decisione venticinque minuti dopo che Simone se ne è andato.
Cretino, lo rimprovera la propria coscienza che suona terribilmente come la voce di Chicca alla quale sceglie di non raccontare nulla per spirito di autoconservazione.
Non sa quanto durerà.
Tuttavia, si trattiene da scrivergli un messaggio, da prendere la moto e andare da lui a chiedere scusa - ma scusa per cosa, di grazia?! - baciarlo, finirci a letto e comportarsi come se nulla fosse successo.
Lo fa fino al venerdì.
Riesce persino ad evitarlo per quanto possibile a scuola, a tener dentro il fastidio di vederlo insieme ad Edoardo ancora.
Però, nota che Simone è infastidito da quella situazione tanto quanto lui. Ha imparato a conoscere e decifrare le sue espressioni, i suoi tic nervosi come scuotere la gamba o strapparsi le cuticole, quindi lo sa, percepisce che è qualcosa che lo irrita.
Da una parte, ne trae persino beneficio e soddisfazione: almeno non è il solo a soffrire.
Non è fiero di provare quella sensazione, ma tant'è.
Vuole mantenere una facciata di disinteresse, apatia, nonostante dentro si stia logorando.
Fino all'ora di educazione motoria, a mezzogiorno di quel venerdì, funziona abbastanza.
La classe 5^B è riunita nella palestra del Da Vinci, con il professor Battaglia.
Nessuno degli alunni segue per davvero le istruzioni fornite dall'insegnante, che ancora sta tentando di spiegare la corretta tecnica per arrampicarsi sulle pertiche arrugginite presenti nel luogo.
Manuel mantiene le spalle contro una delle pareti del posto e le braccia incrociate al petto.
Non sta ascoltando l'insegnante, tanto di norma riesce a fare tutto ciò che l'uomo richiede senza troppo sforzo.
Il suo sguardo rimane ben fisso su Simone, a qualche metro di distanza e presuppone che i sentimenti presenti siano reciproci, poiché entrambi si fissano, sospirano e rivolgono gli occhi altrove in un loop che pare infinito.
Per fortuna di Manuel, Edoardo frequenta un'altra sezione e almeno lì non deve osservarli insieme. Ciò nonostante, risulta tutto piuttosto fastidioso e irritante lo stesso.
Perché è strano, è frustrante guardarsi, scrutarsi e far finta di non essere nulla, quando, in realtà, loro due insieme sono tutto.
Manuel si sforza di desistere pure in tale situazione, evita che la distanza che li separa si accorci troppo e, durante l'ora di lezione, ha successo.
L'intoppo si verifica più tardi, quando sono negli spogliatoi.
Quando, in una maniera voluta dal destino o meno, gli ultimi due rimangono loro.
No, okay, forse per desiderio esposto di Simone e uno più latente di Manuel che li ha portati a rallentare, mentre gli altri si cambiavano più veloci.
E quindi, eccoli in quello stanzino logoro dalle mattonelle bianche e due panche di legno poste su pareti opposte.
Manuel si allaccia le scarpe con noncuranza, non perdendo tempo a fare il doppio nodo come suo solito. Ha ancora la felpa sbottonata quando è in procinto di recarsi verso l'uscita - perché deve andare via da quel posto il prima possibile, è istinto di sopravvivenza.
Tuttavia, quel gesto gli viene impedito e non c'è da sforzarsi per capire chi ne è l'artefice.
La presa di Simone sul suo polso è fiacca, leggera.
Se volesse, Manuel potrebbe liberarsi con un gesto secco. Però non lo fa. Si limita a voltarsi lentamente, inspirare dal naso e cerca con disperazione di non cedere.
Spera che lo sguardo duro che ha assunto lo aiuti, in qualche modo.
«Che vuoi?» borbotta.
Simone abbassa lo sguardo, prende un respiro profondo. «Mi manchi» soffia.
Tale affermazione è sufficiente per far scaturire una risata da parte di Manuel, nervosa, isterica. «L'hai mollato?» va dritto al punto.
Ancora i loro occhi non si incrociano. «Hai sentito che ho detto?» biascica l'altro ragazzo.
«Ho sentito. T'ho fatto 'na domanda.»
C'è una leggera esitazione in risposta, un guardare, fissare qualunque cosa non sia il viso di chi ha di fronte.
E poi «No» eccola, arriva la replica «però...»
«Allora non c'avemo niente da spartì» Manuel interrompe quel principio di conversazione - qualunque esso sia - ed è allora che si libera dalla blanda presa sul polso con mezzo strattone.
Vede la bocca di Simone schiudersi, forse per poter aggiungere qualcosa, ma se ne va e abbandona lo spogliatoio prima che un nuovo suono possa echeggiare tra quelle mura.
***
Quando Manuel torna a casa, è furioso e irritato.
Sua madre non c'è nemmeno quella sera e ringrazia il cielo perché altrimenti avrebbe litigato anche con lei e non gli va - fondamentalmente, la donna non c'entra nulla.
Nessuno c'entra qualcosa, in quel casino ci sono lui e Simone.
Lui, soprattutto.
Trascorre il pomeriggio cercando di distrarsi coi videogiochi, impugnando il joystick fino a farsi male ai pollici. È arduo non afferrare il cellulare e mandare un messaggio a Simo.
Non può, deve resistere.
Dio, ma quando è diventato così patetico?
Da quando le sue labbra si sono scontrate con quelle di Simone, più o meno.
Cena con un misero piatto di pasta condito con un sugo al basilico già pronto, che di norma aborre, però non ha la giusta voglia e concentrazione per pensare a qualcosa di meglio.
È sul divano, con la televisione accesa davanti su un film che non sta davvero guardando - tipo una commedia che mandano in onda da vent'anni in assenza di altro - non gli interessa.
Ha lasciato il telefono in camera, così da evitare ogni tentazione.
Succede, però, che per quanto eviti la tentazione, essa finisce per bussare alla sua porta.
Ed è una tragedia.
«Che ce fai qua?»
Fermo sulla soglia, Simone non risponde. Il suo sguardo è cupo, i suoi muscoli tesi. «Mi fai entrare?» dice.
«Ho detto che ce fai qua.»
È difficile essere duro e intransigente quando vorrebbe soltanto sciogliersi come neve al sole. Manuel si sente dentro ad una prigione.
«Fammi entrare» ripete l'altro ragazzo.
Non vorrebbe. Vorrebbe mandarlo a quel paese e basta.
Vorrebbe possedere quel briciolo di orgoglio e voler bene a sé stesso così da respingerlo.
Ma è una tragedia e, nelle tragedie, c'è sempre qualcuno che si lascia andare alle debolezze.
Pertanto, si fa da parte e gli lascia spazio per poter entrare nell'appartamento.
Manuel osserva la sua figura mentre chiude la porta e poi si dirigono entrambi in cucina, laddove i discorsi idioti di quello stupido film vanno avanti.
Incrocia le braccia al petto. Ha un dejà-vù.
«Allora?»
Simone compie qualche passo distratto, si ferma al centro della stanza con i pugni stretti lungo i fianchi.
«Non sopporto che mi ignori» confessa.
Manuel si acciglia. «E dovrebbe esse' 'n problema mio?» mantiene la sua facciata da duro, sebbene dentro stia tremando.
«Lo fai per ripicca, non è...»
«Se stai pe' dì che non è giusto, risparmiatelo.»
«Ma è così.»
«Te devo ricordà tutte le volte che tu sei stato ingiusto con me? C'ho 'na lista. Tipo tutte le mattine nell'ultimo anno che arrivi a scuola con Edo e ve devo vede' darve i bacetti davanti a me. O alla cena di Natale scorso quando hai fatto venì lui a casa tua e non me? O quando ce stai a letto co' lui, quando Edo è sdraiato al fianco tuo e tu mandi a me messaggi dove me supplichi di scoparti?»
Le sue frasi sono taglienti e raggiungono il loro scopo: ferirlo.
Così si sente Simone, ferito e umiliato, con un peso in più a comprimergli il petto. Cerca di non darlo a vederlo, di rimanere impassibile. Con poche falcate, lo raggiunge e fa diminuire, quasi azzera la distanza che li separa.
«Tu eri d'accordo» sibila, digrigna i denti «sei—sei sempre stato d'accordo con tutto.»
«E ora non lo sono più. Se può cambiare idea nella vita, no?»
«Non così all'improvviso, non facendo lo stronzo.»
«Se vuoi vede' uno stronzo, guardate allo specchio.»
Ci va giù pesante. Un briciolo, Manuel se ne pente, ma è una sensazione che svanisce poiché per la prima volta da quando tutta quella storia è iniziata, può vedere Simone più vulnerabile, messo in un angolo e possedere il totale controllo della situazione.
«Se pensi che io sia solo questo, che—che ci sei rimasto a fare con me?»
È una domanda lecita e quasi se la aspetta.
Si passa una mano sul viso e scuote il capo. «Perché tu sei stronzo e io sono uno stupido che s'è innamorato e non può tornà indietro» mormora «e vorrei tanto farlo, guardarte e non provare nulla, perché è estenuante e mi logora amarti, starti dietro e non pote' immagina' 'a vita mia senza di te. La vorrei, vorrei 'na vita senza di te, una dove non t'ho mai incontrato. Starei meglio, starei—decisamente meglio.»
Sputa fuori con veleno, senza ritegno o pudore, con una maschera che gli cela il viso e ogni punto più fragile, ogni microespressione che potrebbe tradirlo, in qualche modo.
Dalla parte opposta, Simone è costretto a incassare e fagocitare anche quelle parole. I suoi tratti, però, sono deformati da rabbia, delusione, tristezza.
È perso, allo sbaraglio, e vorrebbe avere la forza di reagire in qualche modo, di ribattere, invece crede di star per soffocare; quindi, tutto ciò che in grado di fare è battere i palmi sul petto dell'altro ragazzo, facendolo così indietreggiare di qualche centimetro, mentre urla: «Vaffanculo!»
Quasi Manuel se l'aspetta un comportamento del genere: lo conosce, ha preso bene la mira per colpirlo e ci è riuscito, lo ha fatto vacillare e cadere. Per questo, un ghigno involontario si dipinge sulle sue labbra.
È assurdo, crudele e illogico come bisogna portare una persona al suo limite per ottenere qualcosa che si vuole.
Non ne è molto fiero, in realtà, non è qualcosa di sano, di normale o civile, tuttavia non riesce a farne a meno.
Cazzo.
«Seh, vacci te co' quell'altro» infierisce e ciò lo porta a guadagnarci una nuova spinta, più forte e vigorosa.
A quella, però, non resta indifferente, non rimane inerme. Al contrario, controbatte e spintona l'altro ragazzo, battendo le mani sulle sue spalle.
Così si innesca una lotta priva di senso o logica, di due che non vogliono farsi male fisicamente, non per davvero, ma che si sono infilati in una situazione di cui hanno perso del tutto il controllo.
Manuel si fa valere un po' di più poiché riesce a far arretrare sempre di più Simone finché non si trova con le spalle contro il muro dal lato opposto della stanza, con la televisione ancora accesa sullo schermo della quale va in onda una pubblicità di un dentifricio.
Afferra i bordi della sua giacca per bloccarlo a ridosso della parete. Non è abbastanza forte per poterlo sollevare e non fargli toccare più terra, però ha sufficiente resistenza per non farlo sfuggire.
Simone non ha via di scampo, in qualunque senso possibile. È anche a corto di fiato, percepisce le gambe tremargli, il petto sussultare.
Non ha mai visto Manuel sotto tale veste, mai troppo prepotente, ma sempre accomodante, gentile e dolce, perlomeno nei loro momenti più intimi.
In quel momento, sotto la luce fioca e gialla di una cucina col lavandino pieno di piatti sporchi, il rumore di spot pubblicitari in sottofondo, Simone può osservare le pupille di Manuel farsi più grandi, la tensione sui muscoli del suo viso aumentare e poi...
E poi il casino si fa ancora più grande.
Esplode quando Manuel, col respiro smorzato, afferra il viso di Simone con una sola mano, da sotto il mento, e si fionda sulla sua bocca. Lo bacia con smania, con assente delicatezza come è suo solito, gli morde le labbra, fa cozzare i denti.
Non appena intercetta un suo lieve movimento, una minuscola intenzione a posare un palmo sui propri fianchi, lo blocca, afferrando un suo polso; gli porta il braccio in alto e intrappola anch'esso contro la parete, sul lato della testa.
Simone si lascia manovrare, al pari della creta. Arrendevole, placido, mugola qualcosa che non si capisce, sospira sommessamente.
«Allora—ti sono mancato anche io» riesce poi a bofonchiare.
Non vi è alcuna risposta - nemmeno se lo aspetta.
Difatti, l'unica che arriva corrisponde ad uno sbuffo e, in seguito: «Girati!»
Il tono di voce di Manuel si incrina nell'impartire quell'ordine, tuttavia non perde di autorità, non spezza in alcun modo la tensione.
«Qui?»
Sono in cucina, in effetti, nell'appartamento dove vive anche Anita, la quale potrebbe pure rientrare senza alcun preavviso.
Manuel è travolto da una miriade di sensazioni che non è più in grado di decifrare e si adduce anche la frustrazione del doversi spostare, quantomeno per raggiungere la camera da letto e accostare la porta.
Un grugnito abbandona la sua bocca quando compie mezzo passo indietro.
Il contatto tra di loro si interrompe per una frazione di secondo - poco, un frammento di tempo non misurabile dopo il quale afferra i suoi fianchi con entrambe le mani e se lo tira addosso, dietro, a far collidere le loro labbra, intanto che si indirizzano verso la nuova stanza, a tentoni, distrattamente, col rischio di cadere a terra.
Si toccano a vicenda ovunque, sopra e sotto i vestiti che a fatica si levano durante il breve tragitto che compiono.
Quando Simone sbatte con il retro delle ginocchia contro il bordo del letto, sono entrambi con addosso soltanto i boxer di cotone.
Sussulta a causa dell'urto e, senza rendersene conto, si ritrova seduto sul materasso, con le labbra gonfie e i capelli ricci e scuri arruffati e scompigliati.
Manuel deve reprimere ogni istinto che lo porterebbe a dirgli che è bellissimo.
Non è il momento e non se lo merita, gli ricorda la sua coscienza.
Per distrarsi da simili pensieri, stringe le dita attorno al suo collo. In piedi davanti a lui, lo bacia ancora, a fondo; complice la presa che stringe e controlla, rendendola un po' forte e un po' no, gli toglie il respiro.
«Girati» ordina nuovamente, nel bel mezzo del bacio.
«Dimmi che ti sono mancato.»
«Girati e sta' zitto.»
Non attende che quell'ordine venga esaudito, piuttosto afferra l'altro ragazzo per un braccio, ancora una volta lo strattona e lo spinge a sdraiarsi supino sul letto ricoperto con una trapunta bordeaux.
Gli sfila i boxer con foga, provocandogli graffi sulle cosce e sui polpacci.
Di norma, se fosse successo per distrazione, avrebbe passato i minuti successivi a baciare quei segni uno ad uno, chiedendo scusa.
No, fanculo.
La propria erezione è già ben presente: è dura e gli fa male. Si concede di allungarsi verso il primo cassetto con un braccio soltanto per raccattare un preservativo, quelli che ha cominciato a tenere lì per comodità.
Apre la confezione quadrata e fucsia, si sbarazza anche dei propri boxer e srotola l'involucro di lattice sul proprio membro turgido.
Simone non si muove, non troppo. Volta appena il capo per seguire i gesti dell'altro ragazzo, ma ciò gli viene proibito quando Manuel piazza una mano aperta tra le sue scapole, preme con forza per schiacciarlo sul materasso.
Stranamente, gli piace.
Gli piace quella presa di controllo seppur scaturita da motivi sbagliati.
Gli piace, lo vuole e glielo concede.
Gli piace così tanto che gli sfugge una risata gutturale.
Pensa che a Manuel è mancato, anche se non vuole ammetterlo, però le sue azioni sono abbastanza eloquenti.
Lo sente mentre lo afferra ancora una volta per i fianchi, gli fa sollevare appena il bacino e dopo, senza alcun preavviso e con scarsa lubrificazione prodotta con della saliva, infila un dito in quell'anello di muscoli sensibili.
È un'intrusione che ha il fine di una preparazione blanda, che, se fosse accecato soltanto dall'ira e dalla frustrazione, Manuel eviterebbe pure, però un briciolo di razionalità lo conserva e sa che è qualcosa che serve per non fargli troppo male.
Dunque si sforza, sebbene i suoi gesti non siano attenti e premurosi come al solito, piuttosto rudi e frettolosi. Infatti, dopo solo un paio di minuti, decreta che può bastare e ben presto le falangi vengono sostituite dalla sua erezione, frattanto che imprime delle spinte ben assestate, ondeggiando con i fianchi.
Simone si morde le labbra per non emettere un urlo che tanto lo preme. Il piacere di entrambi è sin da subito presente, incalzante, da far formicolare braccia e gambe.
Da quella posizione è difficoltoso toccarsi da solo. Vorrebbe masturbarsi per sentire ancora di più. Ci prova, cercando di portare una mano verso il proprio membro che ha cominciato a dolergli, richiamando d'essere accarezzato.
Manuel intercetta anche quel lieve movimento e glielo impedisce. Di più, lo afferra per un polso, piega il suo braccio e lo blocca dietro alla sua schiena. Non vuole farlo venire, non prima di lui e non così in fretta.
Continua ad affondare dentro l'altro ragazzo, con sempre più vigore.
È un sesso brutale che nemmeno appartiene loro, però è il risultato di mille questioni irrisolte, di rabbia accumulata, di tensione che non si è sciolta.
Un miscuglio di sensazioni negative che trova il suo apice in un atto selvaggio, agli antipodi di ciò che sono - e son sempre stati.
Simone strizza gli occhi. Quella contorsione gli provoca dolore alla spalla. Lo sopporta. Il basso ventre gli punge e sente di star per venire - ed è assurdo, dato che non può toccarsi e non è toccato in alcun modo.
Manuel imprime ancora spinte che via via si fanno più sconclusionate, perdono un ritmo cadenzato, diventano più lente, ma ancor più profonde fin quando l'orgasmo non lo coglie ed esplode all'interno del profilattico.
Trattiene un urlo a stento, serrando la mandibola. Poi crolla, dapprima sulla schiena dell'altro ragazzo, premendoci sopra il petto nudo, in seguito al suo fianco.
È sudato, i capelli gli si sono incollati alla fronte ed ha il fiatone.
Socchiude le palpebre. Si sente leggero e devastato. Necessita di riprendere il controllo con la realtà.
In un primo momento, Simone resta fermo, con il medesimo bisogno di uscire dalla bolla che insieme hanno creato.
Gira di poco il capo quando ne ha la forza. Osserva i tratti di Manuel irrequieti, mentre tenta di regolarizzare il respiro.
«Un po' ti sono mancato, eh?» riesce ancora a sbeffeggiarlo.
Sì, stronzo, pensa Manuel. Apre lentamente gli occhi e sta fissando il suo viso nell'attimo in cui allunga una mano, lo fa sollevare un briciolo coi fianchi, quel che è sufficiente a poterlo toccare e condurre all'orgasmo.
Compie quel gesto come fosse una sorta di ricompensa per la quale l'altro dovrebbe ringraziare.
Una risposta non vuole dargliela, non diretta.
Non merita neppure quella.
Eppure, Simone la recepisce comunque, chiara e tonda quando viene e lui non riesce a trattenere un grido, il quale sfocia in una risata strozzata.
Quando essa si esaurisce, si mette sdraiato su di un fianco. Scruta a fondo l'altro ragazzo, con occhi spalancati.
«Se questo è l'effetto di stare lontani, dovremmo farlo più spesso» sussurra.
«Ma te stai zitto?» borbotta finalmente Manuel, in risposta.
«Non è così? Guarda che non avevamo mai scopato così—intensamente.»
Così malamente, vorrebbe correggerlo. Però non proferisce parola.
Assume la medesima posizione, in modo che si trovino sul letto ad una piazza che non fa per nulla stare comodi entrambi. Riescono ad essere uno davanti all'altro e a guardarsi.
Si verifica quel momento, quello spiraglio di secondo durante il quale la tragedia decade, la calma torna a farsi largo nell'aria e tutta la rabbia e la frustrazione accumulate svaniscono, con uno schiocco di dita. Corrisponde alla fronte di Manuel che si rilassa, alle sue labbra che si schiudono, al fastidio al petto che cessa.
Ecco, torna tutto come prima.
«Vuoi restà qui stanotte?» mormora, con lieve timore.
«Non torna tua madre?»
«Sì, ma c'ha la stanza sua. Basta che non giri nudo.»
«Per chi mi hai preso, scusa?»
«Per uno che lo farebbe.»
E io starei a guardare.
Non aggiunge quella frase. Striscia appena sul materasso, si avvicina di più all'altro, abbastanza vicino per sporgersi nella sua direzione, appoggiare un palmo sulla sua guancia e baciarlo piano sulle labbra.
«T'ho fatto male?» chiede - osa.
Simone fa cenno di no con la testa e per davvero riappare la calma.
***
Manuel non dorme molto quella notte.
Scombussolato da ciò che è successo la sera prima, passa le ore prive di sole a fissare Simone che, invece, si addormenta al suo fianco.
Ciò che gli fa quel ragazzo è devastante e non riesce a dare una spiegazione logica al modo repentino col quale è passato dal voler lasciarlo andare, per essere libero, a desiderare di averlo accanto nel proprio letto.
Chicca non sarebbe fiera di lui.
Nessuno lo sarebbe, la sua coscienza in primis.
Di tanto in tanto, alla luce fioca della lampada sulla scrivania, gli accarezza il viso, passa le dita tra i suoi capelli, tutto con delicatezza e dolcezza, per non svegliarlo.
Quando è mattina - non sa con precisione che ore siano - si costringe ad alzarsi dal letto soltanto perché deve andare in bagno. Così si mette addosso i boxer e una t-shirt bianca che ha lasciato sulla sedia girevole chissà in che momento della sua vita e abbandona la camera, chiudendosi la porta alle spalle.
Ecco, dopo aver compiuto il gesto prefissato, si rende conto del casino che ha - hanno - lasciato in giro per l'appartamento, come i vestiti sparsi sul pavimento, i piatti sporchi nel lavandino e carte sul tavolo.
Nota che in cucina la televisione è spenta. Sullo schermo è attaccato un post-it giallo, con una calligrafia che riconosce essere della madre Anita.
Non deve avvicinarsi troppo per scorgere ciò che il foglietto riporta:
Metti a posto sto casino!!!
Io torno stasera
Ti voglio bene!
Mà
Non può biasimarla e più tardi si occuperà di rassettare la casa.
Per ora, tuttavia, ha una differente priorità: Simone è rimasto per la notte, il che non è praticamente mai accaduto, non da quando vanno a letto insieme e lui ha il cuore che gli esplode di gioia.
Sì, okay, è un cazzo di incoerente, non ci può fare nulla.
Decide di preparargli la colazione.
Patetico.
Sente la voce di Chicca insultarlo. Non gli interessa.
Tanto non fa nulla di speciale, giusto il caffè e dei biscotti secchi con gocce di cioccolato, niente di eclatante; cioè, mica gli ha fatto i pancake, daje.
Sistema le due tazzine piene della bevanda calda e i biscotti su di un vassoio di metallo rosso. Sta per raccattarlo dal tavolo, ma un lieve rumore lo distrae. Si tratta di un ronzio che riconosce con facilità: appartiene alla vibrazione di un telefono.
Il suo è sicuro sia ancora in camera, sulla scrivania. Il suono che sente non proviene da esso, ma da un diverso apparecchio.
Deve cercare e frugare tra i vestiti a terra per recuperare lo smartphone di Simone dalla tasca della sua giacca di jeans.
Lo schermo dell'iPhone è illuminato. Scorge una sfilza di notifiche tra WhatsApp, Telegram, Instagram e Twitter.
Ma una in particolare attira di più la sua attenzione.
Edo❤️
Fa una smorfia a vedere come è rinominato quello in rubrica.
Dall'anteprima, legge cinque suoi messaggi, probabilmente mandati ad orari differenti:
Stasera vieni da me?
Mi fai sapere?
Ohi, mica hai litigato con tuo padre??
Vabbè, spero sia tutto ok... ti amo❤️
Vorrei essere lì con te. Chiamami quando leggi...
Manuel regge il telefono tra le dita.
Una volta, scorrendo tra i video di TikTok, ha visto un video che spiegava come sbloccare un cellulare senza conoscere il codice di sicurezza. Lo aveva messo nei preferiti all'epoca e messo play più volte, fino ad impararlo a memoria.
Pareva una nozione piuttosto inutile perché ha sempre pensato fosse meschino e crudele spiare le conversazioni altrui, è indice di mancanza di fiducia e non rende belle persone.
Lo sa.
Ne è consapevole.
Ciò nonostante, come è accaduto la sera precedente, smette di ragionare lucidamente, di pensare alle eventuali conseguenze delle proprie azioni, di quanto sia sbagliato nel profondo.
Sblocca l'iPhone con quel trucco che conosce. Apre la conversazione con Edo❤️ e digita veloce:
Scusami, è tutto ok, ma non credo dovremmo continuare questa cosa. Davvero, non sei tu, sono io. Mi dispiace. Ci sentiamo.
Preme invio.
Non è bravo lui a mollare qualcuno, soprattutto per telefono, figurarsi farlo al posto di un'altra persona.
Non ha idea se sia abbastanza chiaro, se possa effettivamente servire, se...
Di sicuro ha sganciato una bomba. Lo realizza quando le spunte del messaggio spedito diventano blu.
Non può più tornare indietro.
Esce dall'applicazione e mette il silenzioso. In seguito, getta il telefono a terra e con un piede lo calcia per farlo finire sotto al divano.
«Cazzo» dice, tra sé.
È tornata la tragedia.
***
[Note autore:
Grazie per aver letto.💜
- Lilith.]
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