94. Equilibri sconvolti (2/2)
♫ Jonas Brothers - Sucker ♫
*Din*
Le porte dell'ascensore si aprirono accompagnate dal solito tintinnio. Ero ritornata sulla scena del delitto, ma quella volta non ero più l'Amanda impaurita e solitaria della giornata precedente. Ero più sicura, meno tremante e non ero più sola.
«Oh, ma è enorme! Gli uffici, dimmi subito dove sono gli uffici!» mi ordinò Emma dopo neanche due ore che eravamo fuori dal letto. Ero riuscita veramente a dirle ogni cosa che mi turbasse e non mi stupii sapere che fosse già in parte a conoscenza del mio interesse amoroso. Il signorino Nathan aveva pensato bene di parlarne con lei senza informarmi. In fondo, non potevo fargliene neanche una colpa, avrei dovuto confidarmi molto prima. Mi aveva ascoltata e fatto pensare: a come in realtà fossi cresciuta e maturata nel tempo, facendomi anche i complimenti per come avessi gestito la mia "cotta". Sapeva bene che non poteva più essere definita tale da almeno un paio di mesi, ma scherzandoci su il tutto pareva semplicemente più facile da affrontare.
"Amare è la cosa più bella che tu possa fare, perciò cammina a testa alta o ti perderei la persona che guarderà te con gli stessi occhi" aveva detto.
Inutile dire che quella semplice frase mi aveva ridato il sorriso; magari non nell'immediato, ma presto ero sicura sarei ritornata più felice di sempre. Come un pendolo che oscillando, nonostante tocchi il fondo, è capace di rialzarsi, ogni volta.
«Si trovano nel lato ovest, l'ala est ha la sala pranzo. Gli uffici dei capi sono al piano superiore e all'ultimo abbiamo le sale conferenze. Vuoi forse conoscere i tuoi suoceri in veste ufficiale?» Le punzecchiai un fianco usando un gomito. Se la mia storia d'amore non poteva decollare almeno potevo gioire per la loro. E lo avrei fatto, ogni giorno. Perché ero fermamente convinta che l'amore trasformasse il mondo, e perché no... anche le persone.
«Non so se sono ancora pronta. Sai, Nathan mi chiede spesso di fare qualche visita, ma io... ma io...» Scossi il capo per diniego. Feci segno di seguirmi, l'avrei portata dal suo promesso sposo in un secondo.
«Sai che Nate non ti metterebbe mai in cattiva luce, fidati di lui. Non penso ci siano altri motivi per rimandare. Ho capito, probabilmente troppo tardi, che delle volte sarebbe giusto buttarsi senza pensare alle conseguenze. Si affronta il problema e poi bisogna solo guardarsi avanti e tu puoi farlo considerando chi hai al tuo fianco e che...» Emma si fermò di colpo. Mi voltai per capire il motivo, non riuscendo a terminare il mio discorso.
«Sei sicura, quindi? Vuoi davvero guardare avanti d'ora in poi?» mi interrogò la bionda stringendo tra le sue dita una ciocca di capelli. Ingoiai il nodo che mi si era formato in gola per alzare tristemente un angolo della bocca.
«Devo farlo. È l'unica cosa che posso fare. Ho avuto la mia possibilità con Dylan e non è andata. Lui è stato anche molto chiaro. Ha capito i miei sentimenti e mi ha offerto una via d'uscita che in realtà io non avevo visto e che non volevo vedere perché sapevo avrebbe portato a questo. Si è fatto carico e colpa del suo rifiuto nei miei confronti e nonostante questo ha comunque scelto il meglio per me. Mi starà lontano solamente per evitare che io possa soffrire ancora. Mi vuole proteggere da me stessa e gliene sono grata. E lo fa pagando lui stesso un peso molto importate. Mi ha detto che sono l'unica capace di capirlo e l'unica che vorrebbe vicino. Sta rinunciando a me, per me.»
Iniziai nuovamente a fare quella cosa. A pensare. Sembrava uno strano scioglilingua da quattro soldi, ma quelle frasi rappresentavano solamente la realtà. «Perciò sì, andrò dritta per la mia strada, glielo devo.»
Emma non pareva troppo convinta. Anche a casa aveva provato in tutti i modi a risollevarmi il morale, ma effettivamente non mi aveva consigliato cosa fare con lui. Con Dylan. Aveva detto che la decisione sarebbe spettata solamente a me e le ero grata per non avermi fatto pressione. Ma sapevamo che non ci fossero altre vere opzioni.
Nel mentre che le mie parole si perdevano nell'aria, avvertimmo una serie di passi convogliare nella nostra direzione. Pochi secondi e ci ritrovammo in mezzo al marasma formato dalla classe di tirocinanti capeggiati da Kobe.
«Finalmente, Amanda, seguici!» mi accolse Kobe con un sospiro di sollievo. Emma venne accolta e acclamata da Cassidy, Dylan, Stephan e soprattutto Nathan.
«Amore! Ma che ci fai qui?» si rivolse Nate verso la bionda, la quale si buttò tra le braccia del suo amato per lasciargli un doveroso bacio sulle labbra.
«Volevo solamente essere qui. Se guardo avanti, nella mia vita riesco a vedere solo te.» Sorrisi a tale affermazione. Aveva capito cosa intendessi con il mio discorso precedente.
*Coff, coff*
«Piccioncini, salite con noi o devo forse chiamare la sicurezza?» intervenne Cassidy con tono irrisorio facendo segno al vano ascensore nel quale ci eravamo accomodati tutti.
«Eric in questi giorni ha da fare, per caso? Questo spiegherebbe un po' di cose!» insinuò innocentemente Stephan tra i sospiri. Soffocai una risata, ma in quel momento non avrei voluto essere nei panni del povero ragazzo. Stava scherzando con il fuoco. Il biondino spalancò gli occhi ponendo le mani avanti in segno di difesa quando Cassidy gli si avventò contro.
«Perciò lei è Emma, la ragazza di Nathan, giusto?» Kobe domandò rivolgendosi a me e Dylan, unici a non aver preso parte a conversazioni esterne. Levai lo sguardo incrociando per un nano secondo quegli occhi nocciola che tanto avevo ammirato in quell'anno. Annuii per poi ritornare a fissare il pavimento della cabina.
«È proprio lei, Kobe. E faresti meglio a esserle subito simpatico.» A suon di battute, finalmente, riuscimmo tutti a infilarci in quel piccolo buco. Eravamo più stretti di quanto credessi.
«Nathan ti amo, ma se sei tu l'uomo che mi sta schiacciando le Louis Vuitton, credo che la nostra relazione avrà vita breve.» Non riuscii a vedere direttamente Emma parlare, ma potei solo immaginare il rossore del suo volto e l'imbarazzo di Nathan a quella affermazione. Il nostro viaggio sarebbe durato altri dieci secondi, ma ancora non sapevo del perché stessimo salendo verso la sala congressi.
«Credo di doverti delle scuse, Emma. Sono io il colpevole» ammise Kobe. Avvertii un suo spostamento laterale, probabilmente per evitare di rovinare le preziose scarpe di Emma.
«Pessima mossa, amico» sussurrò Dylan alle mie spalle. Come dargli torto: Emma lo avrebbe massacrato.
«E tu saresti? Come conosci il mio nome?» La bionda si accese, mentre il suono del campanello dell'ascensore ci avvisava di essere arrivati. Sgombrammo l'abitacolo in men che non si dica.
Lisa e George furono gli ultimi a entrarvi, ma i primi a uscire ignorando la situazione circostante. Cassidy afferrò Stephan per il colletto trascinandolo via con sé. Nathan cercò di mettere pace tra la sua dolce metà e il suo capo, il tutto sotto lo sguardo di un Dylan sempre più compiaciuto dello spettacolo. Non aveva staccato un secondo gli occhi da loro. Solo da loro.
«Sono desolato, credimi. Il mio nome è Kortis, ma tutti mi chiamano Kobe, in mia difesa posso dire che era un ascensore davvero piccolo. Nate, amico, aiutami per favore, la tua ragazza mi fa paura! Sarei disposto a ripagarti il danno arrecato.» Si avvertiva il senso di leggerezza nella sua voce. Non aveva alcuna cattiveria nelle intenzioni, era ben chiaro.
Emma si sentì lusingata, pertanto incurvò le spalle con aria di sufficienza. «Era ovvio che non lo avessi fatto di proposito... e stavo scherzando! Non avrei mai mandato a rotoli una relazione a causa di questo paio di sandali, probabilmente però per delle Jimmy Choo, sì. Ma questa è un'altra storia. Accetto le tue scuse. Sono Emma. È un piacere.» Nathan sembrò sbalordito da come Kobe avesse rigirato la frittata in suo favore, scagionandolo da accuse infondate. E sotto i nostri occhi avvenne il primo vero contatto tra Emma e Kobe: una semplice stretta di mano che sanciva rispetto reciproco.
«Che diamine, le stai simpatico! Speravo in qualche dramma prima del meeting... vabbè, ci vediamo dentro.» Dylan fece spallucce e senza salutare alcuno se ne andò lasciando noi quattro più indietro.
«Ci sarebbero stati problemi nel caso non le fossi piaciuto?» mi domandò Kobe in disparte. Scossi il capo per asserire. Era stato fortunato. L'uomo sorrise mostrandoci la strada. «È la prima volta alla Corporation?» domandò rivolgendosi a Emma.
La ragazza implose di gioia. «Sì e ne sono già innamorata! Questo posto è magnifico!»
«Quante volte ti avevo chiesto di venire e invece non ne hai mai voluto sapere! Sono felice che tu abbia cambiato idea. La nostra Amanda fa miracoli per averti convinto ad accompagnarla» asserì bonariamente Nathan. Sicuramente più tardi avrebbe saputo che il vero miracolo l'aveva fatto lei quella mattina. La bionda ignorò la frecciatina continuando a visionare l'intero piano con la semplice forza della vista. Ormai era assorta.
«Purtroppo, però, non so quanto tempo avremmo a disposizione quest'oggi. Dopo la riunione con i tuoi genitori, Nathan, dovremmo chiudere l'ufficio. Magari, Emma, se non ti dispiace potresti passare un altro giorno, prendiamo un caffè tutti insieme e ti facciamo fare un tour completo dello stabile!» L'idea di Kobe mi parve da subito ottima. Anche se in cuor mio il sapere che avremmo avuto un meeting con i signori Kingstone mi metteva a disagio. Di cosa volevano informarci?
Emma si destò per poi lasciare un bacio a fior di pelle sulla guancia sinistra di Nathan. «Accetto volentieri l'offerta e vi auguro una buona giornata. Per quanto riguarda te, se vuoi, credo sia arrivato il momento di parlare con i tuoi genitori... qualcosa di veloce, niente di troppo formale. Solo un saluto se sei d'accordo.» Emma rivolse quell'ultima parte del suo discorso a Nathan che, come potevo immaginare, si illuminò per la gioia: non aveva alcun tipo di obiezione a riguardo.
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