93. Interazioni pericolose (2/2)
♫ Ultimo - Pianeti ♫
Superate le porte di plexiglas vagai lo sguardo al fine d'inquadrare la testolina arruffata di Dylan. Era seduto in disparte e lontano da tutti. Stava sorseggiando del caffè da un bicchiere di carta dalle dimensioni alquanto opinabili: si sarebbe potuto tenere sveglio un intero reggimento per giorni con tutta quella caffeina.
«Dylan!» lo richiamai trovando il coraggio di andargli incontro. Posai i moduli sul tavolino dove era rannicchiato.
Il ragazzo si voltò sbattendo le palpebre più volte per inquadrare il suo interlocutore. Si strofinò una mano sul volto per riprendersi e, dopo aver fatto un debole cenno del capo, mi fece spazio proprio accanto a lui, scavalcando la panca con una gamba e stando a cavalcioni.
Lo ringraziai mettendomi a sedere, dando le spalle al tavolo. Il moro era taciturno. Si limitò a scrutare i documenti sotto il suo naso con una semplice occhiata, poi sbuffò. Aveva capito il motivo della mia presenza e molto diligentemente stava leggendo i "compiti" assegnatoci dal maestro Kobe.
«Le risorse umane sono veramente arrivati a volere queste firme? Pff, mi sembra solo una perdita di tempo. Che gliene frega. Sicuramente questa è opera di mia madre che vuole venire a conoscenza di dettagli che sa che non le direi.» Mi voltai per fissarlo dritto negli occhi, ma non riuscendoci per l'imbarazzo mi rigirai immediatamente.
Maledetto Eric.
«Tua madre domanda di noi?» Le mie gote presero colore, mentre puntavo il pavimento della sala nell'attesa di risposte. Dylan rise tra sé e sé.
«Sei il suo argomento preferito di conversazione... hai una penna con te? Ah, no aspetta, ce l'ho io.» Scrollò le spalle ricacciando una biro dalla tasca interna del gilet. Dylan iniziò a compilare il primo della decina di fogli senza emettere alcun fiato. Lo bloccai prima che potesse andare oltre.
«Dylan forse non capisci, ma con questi documenti noi stiamo attestando di essere praticamente...» mi bloccai incapace di pronunciare quella parola.
«Fidanzati?» sovvenne inarcando un sopracciglio.
Annuii. «Lilian, tranquilla. È carta straccia. Li consegneremo per poi continuare con le nostre vite come al solito, senza più sentirci gli occhi addosso quando camminiamo per i corridoi.» Il sorriso di conforto che mi propinò non mi mise per nulla a mio agio. Il suo dimostrarsi strafottente mi diede sui nervi.
«E come continueremo le nostre vite, Dylan? Facendo finta di amarci quando abbiamo qualche tuo parente vicino per poi giocare quando invece siamo soli? Non ho paura di uno stupido foglio di carta e neanche di quello che la gente possa pensare di noi, ho paura di perdere di vista me stessa e ciò che voglio veramente per noi due.» Deglutii non appena pronunciate quelle parole. Improvvisamente la bocca mi si era seccata.
Dylan abbandonò la penna che rimbalzò meccanicamente sul tavolino, rotolando fino a sfiorare il mio braccio.
«Okay... quindi cosa vorresti per noi due? Abbiamo sempre avuto questo tipo di rapporto. Noi, oddio, non so neanche come definirlo, non mi pare strano che qualcuno voglia per iscritto qualcosa che sanno mia madre e mia zia...» Dylan sembrò prendere sotto gamba la questione mancando totalmente il fulcro del discorso. Lo interruppi nuovamente, forse non capiva, forse non mi ero espressa abbastanza bene.
«Dylan, so benissimo che loro pensano che noi siamo una coppia, ma questo perché glielo hai voluto far credere tu. La farsa sarebbe dovuta durare un paio di giorni. Ti serviva come scorciatoia per sbarazzarti di Sophia. Invece, eccoci qui a distanza di mesi. Quando in realtà... io non so cosa c'è tra di noi! Questa situazione mi sta facendo soffrire. Siamo amici? Siamo conoscenti? Siamo innamorati? Non siamo niente di tutto questo!» Le parole mi si formarono in gola aspre. Lo sguardo mi si spense al ripensare di tutte le innumerevoli volte in cui i nostri abbracci o le nostre parole servivano solamente per un copione programmato. Ci eravamo talmente tanto focalizzati sull'essere complici che la stessa natura del nostro rapporto non aveva radici abbastanza profonde per essere considerata reale. E più le immagini scorrevano veloci davanti agli occhi della mia immaginazione, più montavo di rabbia. Chiusi la mano in un pugno stringendo così forte da dover percepire il dolore sopra quella nuvola di finti dolci ricordi.
Dylan scosse il capo per diniego. «Io non lo so! O meglio, io credo di sapere cosa potremmo...»
«Credi?» incalzai. «Non si tratta di credere o tirare a indovinare, ci sono in ballo sentimenti veri per ogni stupido giorno in cui penso di essere una persona che in realtà non sono. Io firmerei quei documenti seduta stante se ciò corrispondesse a verità, ma non voglio farlo se dobbiamo continuare così... continuare a fingere perché non ce la faccio!» mi sfogai trattenendo le lacrime che sapevo bene prima o poi sarebbe sgorgate.
«Abbiamo sempre finto tutto?» mi domandò di rimando. Puntai i miei occhi dritti nei suoi leggendoci un pizzico di amarezza. Schiusi le labbra per parlare, ma non uscì suono. Avrei voluto chiedere se si stesse riferendo ai nostri baci, al nostro continuo punzecchiarci o al semplice vederlo felice, perché no, in quel caso non avevo finto un solo istante. Purtroppo per me, dichiarai altro.
«Vuoi dire forse che non è così? A me questa situazione non sta più bene, come non va bene neanche il tuo atteggiamento, Dylan. Io non ti capisco. Non so cosa pensi e perché tu stia facendo questo. Come mai parli con tua madre di me, ma non le dici la verità? Perché ci baciamo e poi fingiamo che non sia successo nulla? Io non voglio questo. Non sono quel tipo di persona e noi non siamo...» Deglutii nervosamente. La risposta sapevo che non mi sarebbe piaciuta in ogni caso.
«Lilian, al diavolo, potevi parlarne con me! Se qualcosa non volevi farla, se non ti piaceva potevi dirmelo! Cazzo! Cazzo!» Diede un pugno sul tavolo in alluminio per poi balzare sull'attenti. Si guardò attorno e per fortuna nessuno pareva star prestando troppa attenzione a quel battibecco. Mi afferrò le braccia mirandomi dritto negli occhi. «Non siamo due estranei e non siamo neanche semplici conoscenti. Non sei neanche una mia amica se è per questo. Credo di aver fatto un errore a coinvolgerti nel mio casino chiamato vita. Stai soffrendo e non sai come mi stia logorando saperlo ed è tutta colpa mia. Sappi, però, che non ti ho mai mentito. Non mi pento di niente di quello che ho fatto se non di aver portato avanti le bugie con la mia famiglia.» La voce di Dylan sembrava così rassicurante. Aveva una strana incrinatura, quel tanto che mi portò a sentire una profonda fitta in mezzo alle coste. Si allontanò qualche istante fumante di disappunto, tensione e pentimento.
«Mi dispiace di averti imposto questa situazione scomoda. Ero convinto, in un modo assai contorto, che la nostra finta storia significasse qualcosa... era speciale. Perché sai, lo sai... lo sai che sono attratto da te e non so se riuscirò a fare a meno di questo piccolo mondo tutto nostro dove mi trasmetti i sentimenti positivi che avevo perso da tempo. Baciarti sembrava così naturale perché mi fai impazzire, inutile negarlo. E ho sbagliato, lo so. Non ho voluto chiedere cosa ne pensassi tu a riguardo, ho agito di istinto credendo che potesse essere lo stesso per te e che potesse bastare, ma a quanto pare mi sbagliavo. O almeno, a me bastava perché so che non proviamo le stesse cose. Non vogliamo le stesse cose. E ti ho ferita di conseguenza. Ho esagerato e ti chiedo scusa. Non era mia intenzione farti del male o usarti in alcun modo. Lo volevo veramente. Io, cioè il noi di questa relazione fittizia era davvero troppo bello per poterne rinunciare era...»
«Era una bugia, Dylan. Lo sai anche tu...» decretai malinconica dopo tutto ciò che mi aveva rivelato. Sapere di aver due obiettivi separati mi rendeva ancor più triste.
Ci perdemmo qualche istante negli occhi all'altro. Le sue pupille si dilatarono permettendomi di specchiarmici: ero spaventata. Dentro di me avevo tanto voluto credere a quella piacevole menzogna. E lo avevo fatto evitando di parlare, di agire e lasciandomi trasportare dal corso degli eventi.
E quell'evidente che tutti non facevano altro che denotare, in realtà non esisteva.
Il moro perse la forza nelle braccia e la presa salda delle mani. Scosse il capo sorridendo mesto, mentre le mie labbra premevano forti tra di loro per evitare di proferire parole che avrebbero potuto espormi a successivi colpi dolorosi. Dylan mi aveva praticamente confessato di essere semplicemente attratto dalla sua idea di noi.
«Era tutta una bugia» bisbigliò abbassando lo sguardo verso il suo caffè freddo. «Scusami. Sono uno stupido.» Si alzò in piedi afferrando di gran lena i moduli sparsi sul tavolo strappandoli dinanzi al mio volto spento. «Rimedierò al mio errore. Dirò la verità a mia madre e ai miei zii. Non dovrai più sopportare il peso della mia inettitudine. Ti prometto che sistemerò tutto e che non ti metterò più a disagio, non dovrai più preoccuparti di me. Meriti di meglio di ciò che ti ho offerto. Ho fatto nuovamente solo un enorme casino. È meglio che io vada via. Come tutti... vado via.»
E così velocemente come si era pronunciato, il moro si dileguò con le mani tra i capelli: affranto e spaventato da quelle rivelazioni che gli erano cadute addosso come una doccia fredda. Scomparve dalla mia vista, senza mai voltarsi indietro. I miei occhi avevano provato a seguirlo, ma si erano arresi precocemente alla realtà.
Quello sembrava tanto un addio. Proferito da una persona che probabilmente si stava odiando con tutto sé stesso solo per avermi ferito. Il cuore mi diceva che avrei dovuto tanto inseguirlo, fermarlo e chiedergli di far finta di nulla e continuare in quel modo, seppur scomposto, ma altrettanto speciale. Perché nonostante le nostre vite sembrassero dei cubi di Rubik irrisolti, avevamo tutto il tempo del mondo per poterli sistemare.
Ma a che pro? La mezzanotte era scoccata, la magia era terminata e il dolore era sopraggiunto. Non si tornava indietro.
Solamente stando lontano avremmo vissuto la vita che ci spettava evitando di confonderla con la fantasia. Perché sapevo di meritarmelo, almeno quanto lui meritava di amare ancora.
La nostra era stata una relazione malata e viziata.
Le lacrime solcarono il mio volto dopo essere esplose silenziosamente nel chiacchiericcio generale della sala. Alcune gocce salate caddero persino oltre le gote rosee, posandosi sulle mani intrecciate all'altezza del petto che stringevano la camicia fremente. Bruciavano a contatto con la cute, anche più di quanto avesse asserito Dylan qualche minuto prima, guancia contro guancia.
E, mentre mi ritrovai incapace di muovermi o di prendere qualsiasi decisione, il mio cervello terminò di proiettare le visioni di un mondo in cui io e Dylan eravamo amanti.
Avrei potuto definirmi soddisfatta: avevo avuto la verità e la stavo rivivendo più e più volte nella mia mente.
La nostra attrazione si era rivelata fatale, più di quanto avessi messo in conto.
Ritrovandomi infinitamente disillusa, come mai prima d'ora.
♣♣♣♣♣
Cari Cursed, il confronto che aspettavamo dall'inizio del libro c'è stato. Certo, ce lo aspettavamo leggermente diverso, ma pazienza. Questo passa nel reame.
Stare lontano per non farsi del male? Una tragica storia d'amore o stupidità inaudita?
So già la risposta anche senza la sfera di cristallo.
Per queste e altre fantastiche discussioni restate sintonizzati con il pianeta "Lilian e Dylan e le loro mirabolanti incomprensioni" perché... perché siete dipendenti da questa storia lo sappiamo tutti!
A presto, dalla vostra Red Witch,
Haineli ♥
P. S. S. (=Potrebbe Stupirvi Sapere): Il libro terminerà tra una quindicina di capitoli. Siamo agli sgoccioli.
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