88. Time Out!
♫ Zack Hemsey - The Way ♫
Brusii. Urla. Risate.
Il buio circondava il piccolo mondo in cui mi trovavo dall'alto di quella tribuna.
Iniziai a pensare che probabilmente la notte nasceva troppo presto, quando ancora non si era pronti ad affrontarla. Non facevo altro che rimuginare su come si potesse continuare a vivere nell'oscurità, dove i demoni interiori banchettavano portando scompiglio, mentre le ombre non smettevano mai di mutare forma, dimensione o profondità, trascinandoti con loro.
E in mezzo a quel caos continuavo a percepire i brusii, le urla e le risate: capaci di tenermi ancorata alla realtà prima che venissi completamente inghiottita dalle tenebre.
All'improvviso, tutti i faretti vennero accesi e puntati verso il campo di football. Talmente intensa era quella luce che mi vidi costretta a coprirmi il volto con un palmo. I più flebili raggi filtrarono tra le mie esili dita.
Non ero una particolare amante della notte, preferivo essere avvolta dal candore del sole.
Perché controluce i demoni dell'anima spariscono, mentre le ombre non fanno più così paura.
«Tieni gli occhi chiusi qualche secondo e non aver timore. Devi abituarti lentamente all'oscurità se vuoi dominarla.» Mi voltai per inquadrare la sagoma di Dylan come una figura eterea. Sembrava quasi che avesse risposto ai miei pensieri senza neanche saperlo. Probabilmente perché lui stesso aveva dovuto combattere per riemergere dallo stato in cui versava, fino ad afferrare nuovamente la purezza della luce. Il vuoto, in qualche modo, avrebbe fatto sempre parte di lui, ma non lo temeva più.
Annuii sorridendo timidamente, per poi fare come mi aveva proposto. Dopo qualche secondo fui certa di poter sopportare gli abbagli e così gli riaprii, riuscendo a distinguere tutti i giocatori della squadra dell'UCLA fare il loro ingresso in campo.
Eravamo lì per sostenere i nostri beniamini.
Stephan, seduto una fila più avanti accanto a Margot, strillò all'impazzata quando Matt, Josh e Nathan si voltarono nella nostra direzione per lanciare baci alla platea. Notai Carole e Nicole sbracciarsi per farsi notare, sedute negli spalti laterali: ciò confermava che fossimo tutti lì per tifare i nostri ragazzi.
Sorrisi resami conto che non c'era più niente da temere e, a mia volta, fui contagiata da quell'entusiasmo trascinante. Mi alzai scattante battendo le mani a tempo di musica dettata dal tamburino della banda. Mi lasciai attraversare dall'adrenalina che scandiva ogni atto delle partite: emozione mista a tensione.
Anche chi non era presente ero sicura l'avrebbe pensata come me. Cassidy, per esempio. Quel giorno non era speciale solo per il numero nove, undici e ventiquattro dei giallo e blu, ma lo era anche per lei. Eric ed Emma sarebbero tornati entro un paio di ore dal loro stage. O almeno così mi aveva comunicato la biondina al telefono quella stessa mattina.
L'arbitro fischiò l'inizio del primo tempo, riuscendo a malapena a incrociare lo sguardo di Nathan prima che la sua attenzione venne totalmente direzionata al pallone ovale posto ai suoi piedi.
Non c'era alcuna novità.
«Sembra davvero innamorato» sussurrò Dylan tra i silenzi, in cui ci eravamo più volte ritrovati a fissarci senza un apparente motivo. Mi voltai scrutandolo con la coda dell'occhio. «Sono due settimane che va avanti mostrando quel suo sorriso pieno, facendo finta che sia tutto nella norma. Ma è più teso del solito: i passaggi ai compagni non sono precisi ed è calato in velocità rispetto alla scorsa partita. L'unica cosa che può far vacillare mio cugino sono i suoi sentimenti ed io credo sia perché è veramente innamorato di lei. Non ti ha detto proprio niente, Emma?» si spiegò meglio Dylan.
Scossi il capo per diniego. Non aveva accennato neanche una singola volta a Nathan. Mi umidificai le labbra per poi poggiare le mani a coppa davanti la bocca per riscaldarmi. Quel tipo di conversazione non faceva altro che generare del gelo nel mio animo. Mi trovavo totalmente impreparata per tutto. Una volta avrei detto che i sentimenti d'amore fossero le migliori armi contro il mondo. Ma in quel momento pareva tanto che l'intero universo si divertisse a usarle contro di me.
La mia presenza al suo fianco ne era la prova.
Poteva significare tutto, ma allo stesso tempo sapevo che era una becera casualità. Ero fin troppo conscia del fatto che quei giorni erano stati strani. Ci scambiavamo sorrisi ebeti e sguardi che parevano delle radiografie. Imprimevo nella mia mente ogni espressione e movimento muscolare, ma senza alcuna giustificazione plausibile. Ero convinta che anche lui facesse lo stesso, catalogando i miei comportanti. Stavamo impazzendo, e allo stesso tempo sembrava che non ne volessimo parlare, né pensarci, se non fosse stato necessario.
Perché? Forse avevamo entrambi paura di osare troppo. Fin che limite potevano spingersi due persone senza che l'altro ne rimanesse ferito? Perché era certo, io non volevo fargli del male e lui non ne voleva fare a me, illudendoci a vicenda. Perciò eravamo lì, vicini, con il cuore e con la mente, ma senza il maledetto coraggio per cambiare le cose.
Più le lancette dell'orologio avanzavano, più mi sentivo strappata alla realtà e immersa in quelle stesse ombre che non mi facevano respirare.
E, mentre i pensieri vorticavano rumorosi nella mia mente, all'improvviso l'arbitro mi destò fischiando all'impazzata come mai avevo udito. I miei occhi saettarono verso la direzione cui proveniva il suono, mentre le mie mani guizzarono ai lati del mio corpo sfiorando quella che scoprii, qualche istante più tardi, essere la mano di Dylan. A quel tocco non mossi più un muscolo, anzi, il mio respiro rimase sospeso. Non lo avevo fatto di proposito, ma il calore della sua pelle era la calamita che mi teneva adesa a lui. Avvertii lo sguardo di Dylan posarsi sulle nostre dita, per poi passare su di me. Un sorriso gli nacque sul volto. Ennesima immagine che avrei conversato gelosamente negli archivi della mia memoria.
«Ehi! Ma quella è Emma!» urlò Margot girandosi di scatto e interrompendo la magia.
Retrassi l'arto il più velocemente possibile per evitare che la nostra amica avesse potuto vederci, farfugliando delle scuse confuse, mentre il rossore si impossessava del mio viso.
Cosa speravo di ottenere? E cosa... cosa aveva appena detto Margot?
Mi mossi e Dylan fece lo stesso.
Era vero, c'era una biondina a bordo campo che urlava "Time Out!" e che, non curante del possibile pericolo, correva in mezzo alla ventina di giocatori. Furono inutili i richiami del giudice di gara e degli allenatori. I ragazzi, d'altro canto, non smisero di fissare la figura fasciata perfettamente del suo giubbetto di pelle rossa preferito: quella era decisamente Emma. Si face spazio tra gomitate e urla, cercando di inquadrare il suo vero obiettivo.
«Ma cosa ci fa qui? Non dovevamo andare a prenderla noi appena terminata la partita?» Stephan si voltò per domandarmi ciò che in realtà stavo pensando. Feci spallucce non conoscendo la vera risposta a quelle domande.
«Cerca Nathan» asserì Dylan con tono sommesso. Lentamente si eccitò mostrando al mondo il suo più bel sorriso. Iniziò a battere le mani e a fischiare. Non capivo a cosa stesse effettivamente alludendo. «È qui per Nathan! Capisci che vuol dire?» domandò il moro emozionato come un bambino. Fremeva trattenendomi tra le sue braccia così che potessi fissare i suoi intensi occhi nocciola.
Si passò la lingua sulle labbra quando si rese conto che qualcun altro avrebbe dovuto sapere! Sciolse la presa solo per rivolgersi direttamente al giocare in campo «NATHAN! NATHAN!» Dylan gridò a squarciagola per potersi far udire dal cugino.
«NATHAN! C'E' EMMA!» Mi aggiunsi al coro disperato per il giocatore con il numero ventiquattro. Margot e Stephan strillarono più forte che poterono. Carol e Nicole non furono da meno e, in poco meno di una manciata di secondi, in cui il ragazzo si ritrovò a vagare lo sguardo nelle più disparate direzioni per cogliere lei. Il moro dagli occhi di ghiaccio capì finalmente il motivo della sospensione della partita: l'aveva finalmente vista, rimanendo congelato sul posto per l'emozione.
Emma correva verso di lui facendosi strada con foga, ma era nulla rispetto a come Nathan scansò ogni suo avversario e compagno per raggiungerla nel più breve tempo possibile. E fu proprio a metà campo che i due si scontarono e incontrarono veramente per la prima volta.
Non erano più Nathan e Emma, due amici che condividevano le loro giornate chiacchierando su banalità e riempiendo di risate l'aria. Erano diversi, lo si poteva leggere sul loro volto: avevano la consapevolezza che la vita dell'uno sarebbe stata nulla senza l'altro. Uniti in un abbraccio che parve a molti come una riconciliazione, il moro afferrò la dama per la vita facendola volteggiare in aria leggiadra e quello che avvenne in seguito fu solo la più irrazionale delle conclusioni nelle storie in cui il cuore aveva pieno potere. Perché c'era una verità universale a cui tutti sottostavamo: quando i sentimenti infuriavano, rimanere lucidi era la più ingiusta delle scelte.
I due si baciarono per la prima volta davanti a una folla gremita di sconosciuti, che in quella giornata divennero testimoni di un qualcosa di unico.
Senza bisogno di pronunciare più alcuna parola, i due al centro del campo avevano la piena consapevolezza che quella sarebbe stata l'inizio della loro, seppur non perfetta, storia d'amore.
***
Come gran finale, l'UCLA portò a casa la vittoria contro i cugini di Yale. Ma per quella sera i festeggiamenti sarebbero stati per tutt'altro motivo.
Era da poco terminata la partita che Emma ci aveva raggiunto sulle scalinate per fare il tifo a pieni polmoni per il suo Nathan. Quell'energia improvvisa ci colse tutti impreparati, tant'è che, una volta riunitici per i saluti finali, il nostro gruppo si trovò incerto se augurare un fine campionato sportivo vincente o se interrogare Emma e Nathan sul loro improvviso atto di coraggio mostrato alla platea incredula.
E poco alla volta tutte le carte furono scoperte. Mano nella mano di Nathan, Emma raccontò di come era stata una sciocca a non aver capito prima cosa in realtà fosse importante nella sua vita. Il tutto chiusi in una delle tavole calde appena fuori il campus universitario. Volevamo rifocillarci e passare una serata in compagnia.
«Avevo una certa sensazione di vuoto dentro, non so se avete presente. Come quando vai in un negozio di scarpe e manca il tuo numero. Ti senti distrutto e allora cerchi di rimanere appagato con altri modelli o diversi colori, ma in realtà sono solo brutte copie dell'oggetto dei tuoi desideri» spiegò Emma dopo aver bevuto un sorso del suo milk-shake alla fragola.
«Io conosco quella sensazione ed è orribile! Ti ricordi quei sandali argento che abbiamo visto l'altro giorno, Margot?» Cassidy si sporse in avanti dallo sgabello dove aveva preso posto. Era giunta da poco in compagnia di Eric. Il poveretto si era visto soffiare il taxi che aveva prenotato proprio da Emma, la quale non aveva pensato due volte a rubarglielo per giungere in tempo Nathan.
«Intendi forse queste?» Margot allungò una gamba sotto il tavolino così che Cassidy dall'altro lato potesse osservare quel costoso, quanto luminescente, paio di scarpe. La brunetta dagli occhi azzurri rimase sconvolta e il suo viso si aprì in una smorfia di dolore.
«Ve l'ho detto che può essere terribile!» aggiunse Emma continuando a sorseggiare il frullato.
«Io non capisco quando voi due abbiate avuto modo di parlarvi... ricordo che alla pizzata di due settimane fa non era successo niente di niente!» Matt, che era seduto su una poltrona accanto alla nuova coppia, instaurò il dubbio nei presenti. Probabilmente era l'unico che ancora non era a conoscenza dell'interesse di Nathan per la biondina. Josh gli diede una leggera gomitata alla bocca della stomaco, così che il numero nove della squadra di football si trovò sul punto rimettere il sandwich che aveva trangugiato in pochi secondi.
Io me la ridevo sotto i baffi contenta di come fossero andate le cose. Intingevo le patatine fritte nelle varie salse a disposizione per assopire la fame che mi era venuta. Lo spettacolo a cui stavo assistendo non era come uno dei solito show che visionavo la sera in pantofole e divano, ma non potevo lamentarmi: davanti ai miei occhi avevo tutto ciò che potevo desiderare.
«Amico, in queste due settimane non puoi capire come Emma sia stata pesante. Sentite me, c'era il corso con l'assistente personale di Madonna ed Emma, invece che prestare attenzione alle parole dell'agente, si limitava a scarabocchiare sul taccuino frasi senza senso! Passava metà del suo tempo a scrutare il telefono in cerca di notifiche, mentre l'altra metà mi interrogava su metodi di conquista!»
«E tu cosa le consigliavi?» domandò Stephan incuriosito, mentre Eric assaporava i toast al formaggio che aveva ordinato. Ingurgitò l'ultimo boccone prima di riprendere il racconto da dove lo aveva interrotto.
«Che doveva seguire il suo cuore e fare il possibile quanto prima. Ma non pensavo che avrebbe rubato il mio taxi facendomi così aspettare due ore per il successivo! Altrimenti ti avrei detto che domani sarebbe stato il momento ideale!» Eric allontanò il piatto, sporco di briciole di pane, per poi avvicinare Cassidy a sé lasciandole un dolce bacio sulle tempie. Pensai a quanto fossero dolci entrambi e che neanche lui sarebbe riuscito ad aspettare un'intera giornata prima di riconciliarsi con la sua amata. La brunetta chiuse istintivamente gli occhi sorridendo felice e lasciandosi coccolare.
«Perché a me non hai detto niente?» la interrogai nel periodo in cui la mia bocca non era piena di patate fritte masticate.
Emma si grattò la nuca piegando la testa lateralmente. Mi allungò una mano così che potessi a mia volta afferrarla. Utilizzai un tovagliolino per rimuovere l'unto dalle mie dita.
«Non ti offendere, Amy, ma avevi i tuoi problemi in questo periodo e non pareva il caso sobbarcarti anche dei miei. In più, volevo fare una sorpresa a Nathan e conoscendoti avresti parlato per non vederlo più star male. Ho fatto finta di niente quando in realtà morivo dalla voglia di sapere come stesse.» Abbandonai sconcertata la sua mano per tornare a focalizzarmi solo sul mio buco interiore e alle patatine che avrebbero potuto colmarlo. Un periodo difficile, diceva?
Sbruffai levando gli occhi al cielo. Di difficile non c'era molto, in quel momento. Solo, solo...
Con la coda dell'occhio notai una mano entrare nel mio campo visivo per potersi appropriare di una chip francese. Mossi le dita velocemente molestando il ladro con un sonoro, quanto innocuo, schiaffo sull'avambraccio.
«Non si tocca il mio cibo, Dylan!» lo rimproverai allontanando il piatto quanto più possibile dal colpevole. Seduto al mio fianco si limitò a fingersi offeso e dolente.
«Non credevo che fossi così aggressiva! Dovrò andare in ospedale o quanto meno penso che solo un enorme carico di cibo poco sano possa salvarmi da tutto questo rammarico.» Scossi il capo per diniego.
«Non sai cosa voglia dire "no", vero?» domandai retorica inarcando un sopracciglio. Dylan fece spallucce, avvicinandosi e mostrando il suo labbro inferiore prono in avanti. Usava la tecnica del cucciolo indifeso con me? Rimasi allibita per la sfacciataggine.
«Ti pare che si possa dire di no a questo sguardo?» E, mentre constatavo quanto in effetti potesse avere ragione, i miei occhi si posarono su Nathan, il quale aveva osservato la scena in religioso silenzio fissandomi dubbioso. Nessuno, a parte lui, sembrava essersene accorto: probabilmente troppo impegnati nell'ascoltare la versione di Emma di come avesse conosciuto per la prima volta Nathan quando avevamo sette anni.
Se lo sguardo del mio migliore amico avesse potuto parlare, avrebbe sicuramente detto "diamine Amanda, fai qualcosa anche tu per la tua situazione! Bacialo!" ed io, di tutta risposta, arrossii.
«Ehi, tutto bene? Hai preso colore tutto in una volta.» Dylan scompose il suo viso da cucciolo per accertarsi della mia situazione. Mi ritrovai imbambolata a fissarlo. Deglutii allungandogli il piatto con la patatine fritte fin sotto il naso.
«Prendi pure!» acconsentii con il migliore sorriso che avevo a disposizione, ponendo dello spazio tra di noi grazie a quell'elemento di ceramica. Dylan, seppur con riserva, accettò il mio gesto e, con esso, anche le leccornie dorate.
«Grazie» soffiò al vento, mentre il piatto veniva ripulito alla velocità della luce. Ammiccò nella mia direzione, ed io sottrassi lo sguardo dalla sua figura per posarlo sulle mie mani. Pensai alle nostre labbra rimarcando la possibilità che potessero essere ancora una volta a contatto. Nathan, ero sicura, avrebbe obiettato in malo modo il mio comportamento. Era più forte di me. Non riuscivo a buttarmi, non ancora almeno.
«Ragazzi credo che sia l'ora di andare, domani è una giornata importante! Pronti per la nuova avventura?» Quello a cui faceva riferimento Josh era il tirocinio che avremmo affrontato dal giorno successivo e che sicuramente sarebbe stata un'altra tappa fondante della nostra vita.
Quasi in religioso silenzio ognuno pagò per sé, per poi dividerci tra le svariate automobili a disposizione. Da Josh fino a Matt, sgombrammo nell'arco di qualche minuto.
Una volta messo piede in casa, in compagnia della mia rumorosa coinquilina, rimuginai sulla nuova esperienza.
Con l'immagine di Dylan impressa nella mente mi considerai pronta: non vedevo l'ora di incominciare.
♣♣♣♣♣
P.S.(= Piccola Sorpresa): Buon compleanno ♥
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