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82. Rimproveri

♫ Madame - Voce ♫ 

La Jeep di Dylan sfrecciava sulla road a velocità costante, tagliando l'aria con estrema facilità: pareva di essere trasportati su una nuvola. Fissavo ciò che c'era fuori da quel piccolo mondo, ma non prestavo veramente attenzione. Non era solo il mio corpo a dover affrontare un viaggio, ma anche la mia mente. Ripercorrevo gli ultimi giorni trascorsi, mentre ripassavo il copione che avrei dovuto recitare per i due giorni seguenti. In verità, non sapevo neanche come mi sarei dovuta comportare. Dylan non aveva avuto molte parole da condividere con me ultimamente. E sarebbe andata sempre peggio.

Sospirai rumorosamente rompendo quel circolo vizioso di silenzi cui sottostavamo. Mi volsi per dare attenzione ai due ragazzi che sedevano anteriormente, basita nel constatare che Nathan si era girato a sua volta per potermi fissare. Sul suo volto traspariva una certa amarezza, nonostante fosse adornato da quel bellissimo sorriso. Le sue iridi limpide non facevano altro che domandarmi quanto avrei sopportato tutto quello, ma neanche io sapevo dare una risposta a quella scomoda domanda.

«E volevate che io facessi comunella con Pastella e Whisky, quando siete voi i protagonisti dell'alba dei morti viventi?» La voce di Dylan tuonò sarcastica e sprezzante allo stesso tempo, facendomi scattare come una molla. Persino Nathan rizzò le orecchie, stizzito.

«Se continui a trascurarci e a trattarci con sufficienza, sono sicuro che le uniche persone con cui meriteresti di stare sarebbero un autolesionista e un apprendista sciamano. Sareste perfetti l'uno per l'altro.» Forse, per una delle primissime volte, Nathan era riuscito a sputar fuori una battuta pungente. Dylan iniziò a ridere nervosamente trovandosi impreparato.

«Va bene, non commenterò più nulla. Tanto ogni mia parola sarà processata dalla santa inquisizione o presa come vilipendio alla signoria vostra. Volevo solamente fare una battuta, rilassati. Giusto per dire.»

Alzai un angolo della bocca con disapprovazione, ma ancora una volta il mio miglior amico proferì parole cariche di risentimento. «Anche noi stavamo scherzando. Ma penso che forse saresti più felice della loro compagnia che della nostra. In fondo guardati intorno, stai solo facendo terra bruciata di noi con la tua apatia e arroganza, giusto per dire. Come pensi che stiamo?» Nathan era implacabile.

Non riusciva a contemplare il casino in cui ero stata incastrata. Aveva lasciato correre le prime volte, convinto della promessa di Dylan di risolvere la situazione con i suoi genitori. Ma alla fine eravamo nuovamente al punto di partenza. Secondo il copione eravamo la coppia felice, mentre nella vita reale gli scontri non erano mai finiti.

Nate pretendeva che lui ci desse un taglio. O che almeno Dylan smettesse di comportarsi come se non esistessimo. Eravamo dei fantasmi ai suoi occhi.

E Nathan era stufo: stanco dei suoi sbalzi di umore e del suo egoismo. Non eravamo dei fantocci. Avevamo anche noi dei sentimenti e ci stava facendo soffrire.

«Nate, calmati.» Mi allungai in avanti posando una mano sulla sua spalla. Il moro mi osservò con la coda dell'occhio quel tanto per scrutare il mio volto. Tra le curve del viso traspariva un qualche messaggio positivo, che a parole non era facile spiegare. Eppure, eravamo profondamente tristi e malinconici. Quella sarebbe dovuta essere una giornata di festa e tripudio, ma aveva un sapore così arcigno.

«Non volevo. Mi dispiace...» iniziò Dylan stretto alla guida. I suoi occhi languidi, mostrati tramite lo specchietto retrovisore, inquadravano i nostri visi pallidi senza mai avere il coraggio di soffermarsi. «Probabilmente dovrei solo evitare di disturbare oltre, per evitare di ferir-»

«Smettila!» urlai all'improvviso nutrita di ira e malinconia. Il mio cuore iniziò ad aumentare il proprio battito. Mi guadagnai persino il guizzo energico dato dallo sguardo di Dylan sospinto nella mia direzione a causa della forza del mio grido. Pochi attimi in cui avvertii chiaramente il sangue pulsare forte nelle vene e iniettare il mio cervello con nuova linfa.

«Non ferisci nessuno per come sei. Le persone soffrono a causa di ciò che fai! Perché non capisci che fa male anche solo se ti allontani da loro? Nessuno ha bisogno di essere protetto da te! Nessuno! Né io, né Nathan! Perché non lo capisci? Perché cerchi sempre un modo per scappare da chiunque provi a volerti bene? Perché...?» Avevo catturato l'attenzione dei due cugini, ma nessuno osò interrompere il mio sfogo. Raccolsi le mie mani l'una nell'altra infilzando le unghie nella carne.

Ero stata paziente e avevo provato così tante volte a giustificarlo. Ma era davvero troppo. Non c'erano più motivi per punirmi. Non se significava anche trascinare Nathan in quel vortice di risentimento. Tutto ciò che avrei potuto riservare da lì in poi sarebbero state solo parole al vetriolo, nulla di più. «Io penso che sto per arrendermi e cedere. Voglio abbandonarmi alla convinzione che forse non c'è veramente la speranza che credevo potessi provare. E non capisco. Non comprendo perché non la smetti... perché non poni l'odio che covi e non abbatti i muri che continui a creare? Non vuoi ferire nessuno? Allora smettila di parlare e di agire come se fossi l'unico a cui importi qualcosa. Metti da parte tutto il cinismo e fidati di noi. Ma se non sei in grado di farlo, allora... vai semplicemente al diavolo, Dylan.»

***

Mi ero sforzata di mantenere un'aria da ragazza spensierata per poter conversare con Lyanna e David. Avevo dovuto utilizzare gran parte delle mie energie fisiche, mentre quelle mentali erano esaurite da un tempo indefinito. In poco più di un'ora eravamo pronti e perfetti per poter presenziare alla cerimonia: unico motivo della nostra presenza in una delle città più belle dell'entroterra statunitense.

Il matrimonio si era tenuto in comune, presenziato da un giudice di pace. Gli sposi avevano scelto come cornice d'amore il cortile principesco dello stabile e utilizzato il patio centrale per poter scambiare le proprie reciproche promesse. Con la luce del sole che abbandonava la terra, i due innamorati si erano scambiati il primo bacio: bagliore e scintilla del fuoco che ne sarebbe derivato.

E, mentre i fiocchi di riso e i petali di rosa avevano riempito l'aria satura di felicità, avvertivo la mia anima nascondersi in un angolo della mia mente. Vestivo i panni di un'impostora e ogni secondo che passava mi sentivo sempre peggio con me stessa.

Né la presenza confortevole di Nathan, né i sorrisi mi fecero rinsavire dai miei pensieri ottusi e confusi.

Ci trovavamo nella sala ricevimenti da più di una decina di minuti ed io non avevo fatto altro che annuire e sorridere falsamente da quando il celebrante aveva annunciato che Hyna Yamamoto e Jackson White erano marito e moglie.

«Non li hai trovati adorabili?» mi aveva domandato Lyanna camminando al mio fianco. Stringeva un fazzoletto ricamato, mentre i suoi occhi brillavano al sol ricordo.

«La conosci da molto, Hyna? A me sembrava così felice... quasi un'altra persona» commentai rimuginandoci sopra.

I coniugi White avevano affittato un palazzo ottocentesco per ospitare tutti i trecentoventi ospiti e pareva proprio che le parole d'ordine del giorno fossero: eleganza, classe e stile principesco. Ghirlande di peonie e rose adornavano le sedute in ferro laccate oro. Una passerella di petali bianchi inondava il percorso della navata centrale e, a rendere il tutto più magico, c'era il vestito di Hyna: un magnifico abito pomposo adornato di perline e pietre preziose che la facevano brillare come una delle stelle del firmamento. Il corpetto, inoltre, metteva in risalto il suo fisico esile, donandole curve mozzafiato. L'acconciatura non troppo elaborata era tenuta ben salda da una tiara.

«È sempre stato il suo sogno... ed io sono così felice per lei. Sai, il suo precedente fidanzato era un soldato scelto dell'esercito. Lei ha passato metà della sua vita con la paura che potesse accadergli qualcosa in una missione, fino a che poi quel senso di disperazione non l'ha inondata quando lui non ha fatto più ritorno a casa. Il suo futuro sposo era morto a causa di un agguato, salvando un suo commilitone.» Rimasi spiazzata per quella rivelazione. Non sapevo cosa dire, così semplicemente abbassai lo sguardo stringendo la mia mano in un pugno. Non era giusto.

«Aveva deciso che sarebbe stato meglio non sposarsi più, evitare qualsiasi contatto umano e smettere di amare per evitare di soffrire nuovamente. Credevo che questo giorno per lei non sarebbe più arrivato, invece... ha incontrando Jackson. Lui non c'è stato giorno che non abbia lottato con le unghie e con i denti affinché il suo cuore di ghiaccio si sciogliesse. Se siamo qui vuol dire che ce l'ha fatta.» Lyanna si volse per mirare i novelli sposi. Hyna le mostrò sorridente il suo bouquet con gli occhi lucidi pieni di gioia.

«Andiamo, cara, altrimenti i giovanotti prenderanno i posti migliori.» Lyanna mi fece spazio dinanzi a sé, mentre alle nostre spalle la famiglia O'Brien, più Nathan, discuteva su che tipo di prelibatezze avrebbero potuto buttarsi a capofitto durante la cena. Mi lasciai scappare un sorriso sincero nel constatare come in fondo assomigliavamo quasi a una famiglia normale.

Forse non c'era bisogno di chissà quale stratagemma. Bastava poco per essere felici. E Hyna ne era la dimostrazione.

I tavoli nella grande sala erano almeno una trentina, disposti sul perimetro illuminato non solo dalle luci a giorno, ma anche dall'enorme lampadario di cristallo, i cui pendenti riflettevano i raggi nelle più disparate direzioni. Piccoli arcobaleni si riflettevano sul pavimento in granito quando la luce li colpiva direttamente. Le composizioni floreali adornavano ogni centimetro che sarebbe stato spoglio, altrimenti.

Mi sedetti continuando a scrutare i volti della miriade di gente che era presente. Mi sentivo in imbarazzo e quasi fuori luogo, con quel vestito rosso fuoco preso in prestito dal guardaroba di Emma non ero più l'Amanda acqua e sapone di sempre. Tutti erano semplicemente perfetti, mentre io non potevo neanche permettermi di comprare un abito di lusso a causa di un affitto che gravava sulle mie spalle.

Ma non mi sarei lasciata abbattere. La mia occasione sarebbe arrivata. Presto avrei lavorato a Stanford, nella società che avevo sempre sognato. Da quel sogno a occhi aperti mi separavano solo un semestre e un tirocinio.

Sorrisi beffarda rimembrando la lista dei possibili luoghi in cui avrei potuto fare domanda. Primo fra tutti spuntava il nome delle "O'Brien Corp. sede di Los Angeles", affidata al padre di Nathan. In altre circostanze non ci avrei pensato più di un secondo... ma in quel momento?

Pur di stare lontano da Dylan e dal nostro pessimo rapporto, stavo veramente vagliando l'idea di rimanere all'UCLA, continuando il mio lavoro come assistente del professor Lynch. Avrei evitato altri casini, perdendo forse una delle opportunità migliori della mia vita.

«Amanda! Da quanto tempo!» Quella voce argentina e squillante mi fece rinsavire dai miei pensieri. Ci misi un paio di secondi prima di capire chi fosse la donna che mi stava richiamando sull'attenti: la madre di Nate.

«Margaret!» esplosi di gioia quando i miei occhi incrociarono i suoi. Rimaneva sempre la dolce e tenera donna che mi aveva visto crescere durante quei vent'anni. Ma da quando Nathan si era trasferito non avevo più avuto modo di frequentare casa loro con la stessa assiduità di una volta. L'abbracciai forte individuando Andrew al suo fianco. Lo salutai felice di rivedere dei volti familiari.

«Nathan mi aveva riferito che non potevate essere presenti, è successo qualcosa?» domandai preoccupata. I signori Kingstone erano persone che mantenevano sempre la parola data, perciò doveva esserci stato un fuori programma.

Margaret, dall'alto del suo metro e ottanta, si sistemò il copri spalle in pizzo con un gesto fluido della mano sorridendo allegra, mentre mi faceva cenno che fosse tutto sotto controllo. Spostò un ciuffo di capelli rossi dietro l'orecchio esponendo ulteriormente i suoi occhi color ghiaccio alla nostra vista.

«Mamma, papà, come mai siete qui? Come siete arrivati? Mi avete fatto dire a tutti che sarei stato da solo!» li rimproverò Nathan. Andrew si avvicinò al figlio scomponendogli i capelli in maniera goliardica come era solito fare ogni qual volta Nathan si dimostra poco cortese, ricordandogli che la gentilezza era la virtù di un uomo forte. Era pur sempre il suo bambino e quello, oltre al significato più profondo, racchiudeva un gesto pieno di amore e di affetto.

«Avresti potuto anche degnarci di una visita in questi mesi se proprio volevi sapere i dettagli. Non credi, figliolo? Ma, Lyanna, tuo figlio si comporta anche con te in questo modo? Fa solo qualche chiamata sporadica quando gli serve qualcosa. Non sappiamo niente di quello che fa, ciò che gli succede. Non vuole neanche dirci se farà domanda di tirocinio nella nostra azienda! Ti rendi conto?»

«Ma mamma! Te ne avrei presto parlato! Voglio solo considerare anche altre sedi...» Nathan era estremamente in imbarazzo. Provò a sistemarsi i capelli alla ben in meglio, mentre i suoi genitori presero posto gli uni accanto agli altri. Io ritornai a poggiare le mie membra sullo stesso schienale dove giacevo prima che Margaret mi interpellasse.

Le uniche sedie rimaste libere erano quelle al mio fianco. Ci pensarono Nathan e Dylan a occuparle. Sarei rimasta in mezzo ai due cavalieri per il resto della serata.

«Dylan fa di peggio! Non puoi immaginare. In tutti questi mesi ci siamo visti solo perché in una occasione doveva sbrigare delle pratiche in azienda, mentre le altre volte siamo giunti noi fino a Los Angeles. Una volta che lasciano il nido diventano inafferrabili. Purtroppo, è anche giusto che facciano le loro esperienze. Figurati che non voleva neanche rivelarci di essersi fidanzato ed io che temevo che non trovasse neanche un amico nella metropoli!» Lyanna sistemò il fazzoletto ricamato accanto al suo piatto piano. Tutta la sala era gremita del vociferare continuo degli altri commensali, mentre il rossore raggiungeva le mie gote donandomi una nuova colorazione.

«Dylan si è fidanzato? Con chi? Voglio assolutamente conoscerla! Nathan non mi ha accennato nulla!» Margaret, insieme a tutta la sua curiosità, si voltò nella nostra direzione per monitorare i movimenti del nipote. Per un attimo rimanemmo con il fiato sospeso indecisi se svelare l'arcano. Scrutai con la coda dell'occhio Nathan, il quale aveva deciso, tempo addietro, di tenere all'oscuro i suoi genitori. Ma il danno era ormai irreparabile: anche loro sarebbero stati truffati da quell'ingombrante bugia.

Serrai le palpebre prima di sprofondare nella vergogna più totale.

«Ma è la nostra Lilian!» Margaret sussultò esterrefatta quando Lyanna confessò che effettivamente la ragazza che sarebbe presto entrata in famiglia, era già parte della stessa. Forse era giunto il momento della verità?

«Sì, zia, stiamo insieme da qualche mese, credo che Nathan non te lo abbia detto perché sapeva avresti approvato.» Dylan mi strattonò appoggiando il suo braccio attorno alle mie spalle per avvicinarmi a lui. Spalancai gli occhi tremante. Ci stavamo scavando la fossa da soli, era sicuro. «Non ti sembriamo una coppia affiatata?» Dylan rincarò la dose. Eppure, sapevo che quelle parole, così come il suo tono, erano del tutto beffardi. Si stava prendendo gioco di me. Gli afferrai una mano solo per poter infilzare le mie unghie nella sua carne. Avvertii il suo sussulto improvviso: non avrebbe più fiatato.

«Ma che splendida notizia! Non avrei potuto sperare di meglio... anche se, ad essere sincera, speravo che il nostro Nate ti avrebbe conquistata in qualche modo!» Buttai fuori l'aria che avevo accumulato in corpo, così come la presa su Dylan. Entrambi ci affievolimmo facendo sì che i nostri lividi fisici e mentali fossero nascosti ai più. Potei ritornare a respirare nuovamente.

Non era la prima volta che i suoi genitori glielo dicevano, e neanche i miei, a dire il vero. Eppure, non capivo il perché si ostinassero a pensare che tra di noi sarebbe potuto nascere qualcosa. Eravamo già perfetti così. Avevamo raggiunto il nostro equilibrio.

«Visto che ci troviamo, farete tutti domanda alle "O'Brien Corp." di Los Angeles, giusto? Detto tra di noi, avete molte possibilità di essere scelti.» Andrew buttò avanti la proposta lavorativa come se nulla fosse. Era il capo e poteva fare ciò che meglio che credeva.

«Io sicuramente. Non voglio allontanarmi troppo da casa. Anche Nathan dovrebbe essere del mio stesso avviso.» Dylan scrollò le spalle trascinando le parole.

La coppia di calici degli sposi tintinnarono dal centro della sala. Hyna e Jackson avrebbero presto tenuto un discorso.

«Io, al contrario, non credo prenderò parte ad alcun tirocinio» sussurrai, mentre il rumore dei colpi del cucchiaio in argento catturavano l'attenzione dei commensali. Nessuno aveva udito le mie parole e, in un certo senso, mi sentii sollevata.



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