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75. Le brutte notizie non vengono mai da sole & spia (2/2)

AVAION - Pieces

«Credo sia il caso di avvisare Dylan» confessò ad alta voce la brunetta, la quale stava accuratamente spiando dentro ogni stanza dall'apposita finestrella di vetro incastrata nella parete. Indietreggiò in corrispondenza dal davanzale della penultima camera del corridoio. Scorsi un signore, con il gesso al braccio, che ci osservava interdetto.

"Ci scusi" mimai con le labbra prima di sottrarmi alla sua visione.

«Oh, guardate qua! È sicuramente di Dylan questa, ha chiuso le persiane per evitare che lo si riconoscesse o magari sono stati gli infermieri che hanno evitato che il suo cattivo umore potesse trasmettersi agli altri pazienti. Entriamo!»

Cassidy risoluta afferrò le nostre mani dirigendosi spedita dentro la stanza.

«Ma non possiamo in tre! Se ci scoprissero ci caccerebbero dal reparto!» li ammonii. Non opposi molta resistenza fisica, soprattutto quando Nathan si rese conto che una costrizione fisica sarebbe stata l'ideale per indurmi a un confronto con Dylan, o quantomeno a vederlo.

«Chi c'è?» si udì dall'interno della camera. Probabilmente erano state proprio le infermiere a chiudere quelle finestre, l'acredine era padrona di quelle quattro mura.

«Siamo solo noi, Dylan! Dobbiamo parlare tutti con te, ci conviene entrare se non vogliamo essere scoperti!» E fu così che mi lasciai convincere; gli occhioni azzurri di Cassidy e Nathan avevano vinto sulla mia paura di affrontare O'Brien.

Superammo l'uscio richiudendo dietro di noi la porta. Cassidy osservò attraverso gli assi delle persiane se qualcuno al di fuori della stanza ci avesse visto. Lasciò andare le alette in metallo, che ribalzarono sul vetro, solo quando fu sicura che nessuno ci stesse per cacciare, poi sorrise soddisfatta. Sembrava che avesse sempre voluto farlo.

«Che ci fa lei qui?» sentii domandare a Nathan da Dylan con voce aspra e decisa. Fu solo allora che mi voltai per scrutarlo, quasi a non volerci credere che fosse davvero un paziente di quell'ospedale. Indossava un camice bianco ingiallito dal tempo e delle fasciature sul capo, le cui bende si erano tinte di un rosa pallido rispetto a quanto avevo visto nelle foto prodotte da Nathan qualche ora prima. Fui paralizzata dall'emozione rendendomi conto per la prima volta che Dylan aveva rischiato la vita a causa mia.

La sua pelle perfettamente liscia e contornata da piccoli nei era visibilmente arrossata nell'aria sopraorbitale. La flebo che aveva inserita nella piega del gomito rendeva il quadro ancor più surreale: le gocce della fisiologica cadevano a una velocità tanto estenuante quanto tangibile.

Dylan era il solito ragazzo dall'aspetto duro e impenetrabile nelle emozioni. Aveva le labbra serrate e le sopracciglia corrugate in una espressione di disgusto; le lunghe dita affusolate che puntavano la mia figura e gli occhi che non avevano niente di caldo o affettuoso, ma anzi mostravano un'arida distesa di intemperanza. Lo stavo mettendo in una posizione scomoda con la mia presenza. Era chiaro che non mi volesse in tutti i sensi possibili.

Chi avevo davanti era semplicemente il Dylan che avrebbe preferito allontanare tutti piuttosto che mostrare la sua umanità un secondo ancora. Metteva i brividi constatare quanta freddezza mi era stata riservata da una persona così importante per me.

Rimanemmo immobili qualche altro istante perché non ce la facevo a distogliere lo sguardo, notando i suoi impercettibili movimenti del capo volti a destra e a manca. Quello era il nostro incontro e si stava comportando come se non ci fosse nessun altro a cui dover dar conto se non suo cugino. Come se niente avesse importanza, tantomeno che me.

«Io? Sì, scusa se sono piombata qui all'improvviso, ma ho una notizia molto importante da darti, loro già la sanno!» Cassidy prese posto sul letto di Dylan, con molta poca graziata, ostruendomi la visuale sul paziente. Voleva raccontare la sua storia a tutti i costi.

Il moro fu abbastanza sconcertato dall'atteggiamento e dal monologo di Cassidy, ma non osò interromperla. Almeno non ero stata cacciata.

Mi avvicinai, strisciando verso la parete, a una sedia proprio accanto al piccolo tavolino dove ancora vi erano i vassoi lasciati per la colazione. Mi ci sedetti e, stretta nelle mie stesse braccia, aspettai la fine del racconto.

«Cosa? Quel bastardo vuole farmi espellere per un pugno solo? Io lo ammazzo, solo in quel caso avrebbe motivo di fare rapporto al rettore dell'accaduto!»

Cassidy mosse una mano a mezz'aria, colpendo una spalla di Dylan. «Ma non potrebbe sciocchino... sarebbe morto, come può un morto parlare con il rettore?»

«Ouch, mi fa male!» protestò Dylan massaggiandosi la zona indolenzita e riservando un ghigno poco carino alla moretta svampita.

«Certo! Scusa! Stai tranquillo comunque, tu parla con il rettore e fai leva sul fatto dell'incidente. Sarà un incontro breve per quanto ne so. Mostrati anche pentito e andrà tutto bene.» Dylan digrignò i denti iniziando a guardarsi intorno. Sembrava intenzionato a trovare una via di fuga: voleva scappare da tutto ciò.

«Io penso che sia la cosa migliore da fare. Sii naturale, prova a nascondere tutto l'odio che provi per Richard e, soprattutto, sii furbo. Cassidy ci ha dato una buona finestra d'azione. E poi sai che abbiamo bisogno di tempo... magari potremmo anche capire quali saranno le sue prossime mosse» Nathan convenne senza aggiungere troppe parole.

Dylan strofinò un dito sotto la punta del naso, non nascondendo per nulla il suo disgusto e disappunto. Sapere di essere impotente lo irritava profondamente.

«Mosse? Intendi cosa farà Richard?» si intromise Cassie alzando gli occhi al cielo e ragionando. Stava cercando informazioni direttamente tra i cassetti della sua memoria.

«Sì, allora?» Dylan si stava comportando in maniera scorbutica. Aveva persino ricacciato le coperte così che Cassidy era stata costretta a balzare in piedi, finendo per ragionare ad alta voce.

«In realtà, io so la sua prossima mossa. Presto ci sarà una festa in spiaggia organizzata da Josh a cui parteciperà. Sarà come quella di qualche mese fa, la ricordate?» Sbarrai gli occhi per ciò che attraversò la mia mente, voltandomi istintivamente verso Dylan per tastare la sua reazione. Incredibilmente mi resi conto che i nostri occhi si scontrarono per quello che fu un tempo indefinito.

«Sì, ricordo bene» sottolineò duramente il paziente del General. Anche in quell'occasione il suo labbro superiore lasciava trapelare tutto il fastidio con un fremito tanto impercettibile quanto importante. Non aveva voglia di partecipare ad alcuna festa.

«Sono sicura ci sarà anche Richard e tutta la sua combriccola, ho sentito Josh che ne parlava con Greg. O forse era Steve, non li riconosco mai quei due. Quindi dicevo che stava chiedendo informazioni e che confermava la presenza di loro quattro: i due gemelli...»

«Richard...» continuò Dylan tenendo il conto dei membri con le dita della mano destra. Aspettò qualche secondo prima di fissare Cassidy per avere la risposta finale: l'anulare era sul punto di alzarsi, ma non gli veniva in mente nessun altro componente della combriccola.

«E Stephan...» terminai io quando mi resi effettivamente conto che forse un quarto membro era ancora viabile. Cassidy annuì dispiaciuta.

Era ritornato da lui.

«Ci sono rimasta male anche io quando l'ho saputo. Almeno adesso sappiamo di chi fidarci. Perciò se volete spiare Richard fatelo a questa festa, sarà divertente proprio come l'ultima, se non di più! Ed è proprio questa domenica!»

«Ci saremo.» Ne ero convinta, se fossi stata abbastanza fortunata magari Richard avrebbe portato con sé la sua macchina fotografica.

«Perfetto, allora! Ora il mio lavoro è concluso, vado da Eric e gli comunico della festa e che dovremmo tenere d'occhio Richard. Ho sempre desiderato essere una spia! Se avete bisogno di me, sapete dove trovarmi.» Ci avrei giurato. Cassidy ci salutò volando letteralmente via dalla stanza. Nathan approfittò della situazione per dileguarsi senza neanche una scusa plausibile. "Vado a dare da mangiare alle tartarughe".

Mi ritrovai totalmente impreparata quando la porta si chiuse lasciandomi da sola con i miei problemi. Non sapevo esattamente cosa fare, le gambe tremavano come gelatina indecisa sul filarmela o sul rimanere. Serrai i pugni convinta che quella sarebbe stata la mia unica occasione per espiare la mia colpa. Spalancai la bocca in un primo momento, ma non ne uscii nulla. Dylan era di fronte a me e mi guardava come se fossi un'estranea e quello mi fece sentire una completa idiota.

Scossi la testa voltandomi per poter dileguarmi. Tesi una mano verso la maniglia in ferro muovendo più volte le dita per migliore la presa sul metallo. Sarei voluta andare via, ma il mio corpo non me lo permetteva. Appoggiai semplicemente la fronte contro la porta, iniziando così a dar sfogo ai miei pensieri senza mai guardarlo negli occhi. Dapprima come in un sussurro, poi trovando finalmente il coraggio di dirgli tutto quello che avevo dentro.

«Mi dispiace. Non avevo alcun diritto di nasconderti la verità, eppure, non me ne pento. Come avevo immaginato sei qui, in ospedale perché hai provato a fare qualcosa di stupido e per fortuna ti è andata bene. Io... non lo avrei mai voluto. All'inizio avevo paura, paura di ciò che Richard avesse potuto farmi e ci ho messo giorni a capire che in fondo la mia stupida carriera non valesse quanto la vita di una persona. Una persona che amavi. Mi sentivo davvero immeritevole di essere al tuo fianco. Ho semplicemente smesso di guardarti negli occhi e di condividere i miei pensieri con te. Mi dispiace se siamo dovuti arrivare a questo: non mi sarei mai perdonata se ti fosse successo qualcosa, ma per fortuna stai bene. Come bene possa stare qualcuno che desidera nient'altro che distruzione attorno a sé. Lascia che ti chiarifichi un concetto. Se per te può essere accettabile perdere tutto per perseguire una vedetta personale, per me non lo è. Non permetterò che tu ti faccia del male con le tue stesse mani. Perciò mi dispiace, ma porterei questo peso mille volte ancora e ti starei lontano centinaia di miglia se significasse saperti tutto intero e non dietro le sbarre, o peggio. Sono stata egoista, codarda e testarda, ma in ogni singolo istante io ho sempre voluto il meglio per te. Mi hai sconvolto la vita in meglio e vorrei essere capace di ricambiare il favore. Non me ne andrò, non scapperò e neanche mi allontanerò se me lo ordinerai. Perché non tutti vanno via. Combatterò anche contro la tua testardaggine se sarà necessario. Perciò a te la scelta: puoi continuare a odiarmi, oppure, accettare di convivere con la scelta che ho fatto. Sto soffrendo, ma non devo farlo più quanto io meriti. Neanche se lo desideri tu.»

Non avevo fatto altro che tremare per tutto il discorso. Volevo che quel messaggio passasse chiaro e tondo senza alcun filtro e, per fortuna, Dylan non mi interruppe. A quel punto abbassai le palpebre credendo fermamente che il tempo a mia disposizione fosse finito. Allontanai la mia fronte dalla porta di compensato. Nonostante fossi di spalle, sentivo il suo sguardo bruciare sulla mia pelle. Era arrivato, decisamente, il momento di filarmela.

Afferrai la maniglia con rinnovata foga e, prima che potessi spingerla verso il basso, lui mi richiamò.

«Amanda...» Aveva un tono più dolce e incerto, seppur trasparisse una certa tristezza e rammarico in quelle sillabe rauche. Mi voltai aspettandomi una sua qualche richiesta. Solo allora toccò a me passare in rassegna la sua figura. Si era voltato verso la finestra mettendo in mostra il profilo spinoso illuminato dai raggi solari. Non voleva più mettermi a disagio, semplicemente mi stava concedendo spazio. O forse non si sentiva ancora in grado di fidarsi di me affidandomi il suo sguardo e i segreti in esso contenuti. Speravo solo di avere presto l'opportunità di scrutare le sue iridi nocciola come ero solita fare in un tempo che pareva assai remoto. Era spietato essere esclusi dal suo mondo interiore.

«Credi davvero che pagherà per i suoi crimini?»

Rilassai le labbra emettendo un sospiro. Un luccichio fece capolino sui suoi occhi.

«Farò tutto il possibile per riuscirci. Lo devo a te, a Emma e a...» Dylan abbassò lo sguardo verso il pavimento di linoleum sorridendo irriverente.

«Lei sarebbe stata davvero felice di conoscerti. Le saresti piaciuta testarda e dannatamente fragile come sei.» Finalmente il suo capo fu rivolto nella mia direzione, un brivido percorse la schiena quando i nostri occhi si incastrarono in una maniera totalmente differente rispetto a poco prima. Quella volta lui voleva guardarmi veramente, non ero più un semplice fantasma che infestava il suo spazio.

«E lei sarebbe piaciuta a me. Doveva essere fantastica.» Mi morsi un labbro perché mi sentivo stranamente commossa. Annuì nella mia direzione lasciando che quell'immagine e i suoi occhi fossero il ricordo che avrei mantenuto di lui prima di incontrarlo nuovamente, avendo la consapevolezza che c'era ancora speranza.

«Lo era.»

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