74. Hopeless
♫ Imagine Dragon - Natural ♫
Il mio incubo peggiore si era materializzato davanti ai miei occhi.
Mi allontanai dall'ingresso con l'amaro in bocca per aver gestito al limite del patetico la situazione di pochi istanti prima, portandomi le mani sul volto agonizzante e asciugando i residui salmastri dalle gote. Forse ero stata troppo ottimista nel pensare che una stupida lettera avrebbe potuto sistemare ogni cosa.
Eppure, stranamente, mi sentivo libera: sollevata dal tormento del silenzio.
Trascinai il mio corpo verso la camera da letto.
Era tutto finito. Confidavo nel fatto che presto tutta la verità sarebbe venuta a galla; che Emma mi avrebbe salvata; che Nathan mi avrebbe sempre accolta; che forse un giorno Dylan mi avrebbe perdonata.
Mi sistemai sotto le coperte con la consapevolezza che avevo tentato il possibile per proteggere le persone intorno a me, ma che forse non era stato abbastanza.
E francamente non mi importava più di nulla.
***
La vibrazione del cellulare mi fece scattare sull'attenti. La suoneria che ne seguì fu solo la goccia aggiunta a quel vaso stracarico di tensione. Ci misi qualche istante per capire chi e che ore fossero. Afferrai trafilata il telefonino.
Era notte inoltrata: riuscivo a scorgere le fioche luci provenire dai lampioni per strada, niente a che vedere con il caldo bagliore del mattino.
«Pronto?» risposi con la bocca impastata dal sonno, mentre mi tiravo a sedere allontanando le coperte scivolate via dal mio corpo.
«Amy, corri in ospedale. Dylan ha avuto un incidente.» Sbarrai gli occhi per l'infausta notizia.
«Ch-che cosa è successo? Dylan sta bene? È stato Richard a fargli qualcosa? Anche lui si trova lì?» domandai a raffica. Tastai il lenzuolo tremante, strisciando fuori dal letto. Mi affacciai alla finestra cercando qualche indizio: residui di pioggia contro le vetrate.
«Richard? Cosa c'entra? E comunque non lo so. Mi hanno chiamato poco fa dall'ospedale perché sono il suo contatto di emergenza. Volevo avvisarti, ci vediamo al General.»
«Faccio il prima possibile... e ti spiegherò tutto.»
Abbandonai il cellulare, facendo mente locale su tutto ciò che mi sarebbe potuto servire. Afferrai un ombrello e un cappotto pesante, nonostante sembrasse essere ritornato il sereno, avrebbe potuto riprendere da un momento all'altro.
Mi buttai in strada e con passo veloce mi diressi al General. Era proprio lì, nel quartiere. Significava che l'incidente di Dylan era avvenuto nelle immediate vicinanze. Cercai con lo sguardo qualsiasi elemento fuori posto, ma non ne ricavai niente.
Entrai nell'atrio del General dopo esattamente cinque minuti. L'ambiente austero, luminoso e asettico mi aveva messo in soggezione fin dal primo istante. Non sembrava esserci anima viva. A riempire quel silenzio innaturale c'era il suono provocato dalla porta scorrevole apertasi al mio passaggio, susseguiti poi dai miei numerosi sospiri. Persino l'elettricità che passava nei tubi a neon mi faceva compagnia.
Stretta nelle mie braccia, incapace di decidere la direzione da prendere, mi ritrovai dinanzi al cospetto di un'infermiera. La donna sulla trentina indossava una divisa verde e il mio cervello subito l'associò alla sala operatoria. Le notti insonne passate a guardare serie tv dovevano servire a qualcosa.
«Signorina si sente bene?» si preoccupò scrutandomi con occhio clinico. In effetti non potei darle torto: ero estremamente pallida e affannata.
«Lei forse mi può aiutare. Sto cercando qualcuno, mi hanno detto che lo hanno portato qui. Forse lo hanno operato. Lui è moro, alto un metro e ottanta circa, occhi scuri. È stato coinvolto in un incidente poco fa. O'Brien, Dylan. Sa dirmi se lo ha visto, se sa dove si trova o come sta?» La donna ci pensò qualche istante deflettendo le lunga ciglia verso la luce.
«Oh, sì, per caso ha anche la capacità di farti sentire a disagio con un solo sguardo?» mossi il capo non capendo.
«Come scusi? È cosciente?» L'infermiera mi riservò un enorme sorriso di conforto, appoggiandomi una mano sulla spalla.
«Stia tranquilla, è fuori pericolo. Ma non posso divulgare informazioni. Lei è una sua parente?» in quel momento ripresi finalmente a respirare. Strinsi le labbra in una linea dura per darmi forza ed evitare di piangere. Avevo pensato a così tanti scenari negativi che sapere quella semplice informazione si era rivelata di vitale importanza. Mi rilassai nelle spalle senza neanche accorgermi che le porte dell'ospedale si fossero aperte ancora una volta.
«Lei no, ma io sì, sono il cugino: il contatto di emergenza che avete chiamato poco fa. Posso sapere delle sue condizioni?» Nathan, con ancora meno fiato in corpo di quanto ne avessi io, sbucò all'improvviso con un paio di occhiaie invidiabili. La donna sorrise caldamente riprendendo il discorso da dove lo aveva lasciato.
«Suo cugino ha subito un forte trauma frontale, ma niente di grave. Gli sono stati applicati dei punti di sutura esterni per la piccola lacerazione cutanea che si è creata. Abbiamo effettuato la chiamata in via precauzionale. È altamente consigliato che il paziente rimanga in osservazione ospedaliera per almeno ventiquattro ore per scongiurare effetti secondari all'impatto. Dopo aver effettuato tutti gli esami e i controlli di routine potrà essere dimesso senza problemi.»
«Quindi è sveglio?» domandò Nathan sbattendo più volte le palpebre per riuscire a capire il significato delle parole dell'infermiera.
«È cosciente. La sua stanza è quella in fondo al corridoio sulla destra, ma devo raccomandarvi di non esagerare. Una persona per volta e per non più di una decina di minuti a testa. Ha pur sempre subito un incidente ed è sotto gli effetti di medicinali per mitigare il dolore.» La donna sorrise dopo che le assicurammo la nostra completa comprensione. Dopo averla ringraziata, si spostò verso un'altra ala dello stabile.
«Avrò perso dieci anni di vita questa notte» ammise Nathan portandosi una mano alla nuca e riprendendo fiato. «In ogni caso se vuoi puoi andare prima tu, penso sarebbe più felice di vedere la tua faccia che la mia!» scherzò inconsapevole. Io non riuscii a fare altrettanto, anzi, abbassai il volto mirando il pavimento di mattonelle bianche e azzurre incastrate in un mosaico.
«Non credo mi voglia vedere, a dir la verità» declamai accennando un sorriso sbilenco. Mi morsi un labbro dopo aver adocchiato un paio di sedute in mezzo al corridoio. La sala d'attesa mi metteva i brividi: troppo grande per un cuore in panne.
«Che è successo, Amy, per caso ha a che fare con quello che ci siamo detti stamattina?» Annuii.
«Lo sa, Nat...» Il mio amicò strabuzzò gli occhi allunato.
«Cioè lui è scappato perché non prova-?» tirò a indovinare. Scossi il capo prima che potesse farsi strane idee.
«Non c'è stato tempo di confessarglielo. Ha scoperto che... che è colpa di Richard se Lydia è morta nell'incidente. Gli ha drogato un cocktail, sperando che fosse Dylan a morire.» Non riuscivo a guardarlo negli occhi. Sentii, però, il mio migliore amico sprofondare accanto a me. Notai come le mani di Nathan si chiusero in pugni. Mi voltai di qualche grado solo per poter osservarlo di sguincio.
«Era questo il segreto che non potevi rivelare a nessuno? Perché? È una faccenda più grande di te e di me! Saremmo potuti andare dalla polizia a denunciare Richard! Anzi, dovremmo andare proprio adesso!» Nathan sembrava essere sprezzante di qualsiasi pericolo, si era caricato di adrenalina e rabbia, la stessa che avevo notato scorrere nelle vene di Dylan.
«Non posso, non potevo. Mi ricatta, Nate. Ha minacciato di rivelare a tutti che io sia una drogata, facendomi così sbattere fuori dall'università e farmi perdere tutto quello per cui ho lavorato sodo.» I suoi occhi sembravano smarriti, persi su un volto smunto e pallido quasi quanto il mio.
«Tu? Una drogata? Ma cosa stai dicendo?» mi afferrò le mani invogliandomi a continuare in quelle confidenze. Non riuscivo a reggere il suo sguardo compassionevole.
«Mi ha drogato e ha conservato il bicchiere con il mio DNA come prova, come deterrente. Mi ha fatto capire che era la mia parola contro la sua. Lo sai come sono le università e le agenzie. A loro non interessa scoprire la verità, una volta che c'è una macchia sul tuo curriculum è finita.» Sorrisi piegando le labbra in una linea frastagliata piena di rimpianto. Nathan scosse lentamente la testa.
«Non può farlo. Vero? Non è possibile. Non si viene espulsi per queste cose. Non... ma adesso? Dylan? Dylan che voleva fare? Io non posso di certo lasciar correre dopo aver saputo tutto! Quel bastardo! Quel bastardo deve pagare!» Nathan alzò il tono di voce, spostando il peso del suo corpo in avanti.
«Oramai è tardi e non voglio che tu finisca nei guai. Prima o poi scoprirà che non ho mantenuto il segreto e mi distruggerà. Come aveva programmato. Il bello è che io ed Emma stavamo per incastrarlo...» risi amaramente.
«Emma?» mi interrogò Nathan alzandosi di scatto. Levai in alto i miei occhi verso la sua figura fraterna.
«Lei non è la stronza che credevamo che fosse, Nathan. È sempre stata una vittima.» Gli raccontai tutto ciò che c'eravamo dette e come il nostro accordo aveva fatto sì che mentire avesse un senso. Notai come i suoi occhi si muovevamo convulsivamente rivalutando per l'ennesima volta la persona che aveva da sempre fatto parte delle nostre vite. Aspettai un qualche tipo di reazione che non tardò ad arrivare. Nathan sembrava distrutto e stranito, mentre inspirava profondamente trattenendo nuovamente i pugni.
«Quel figlio di puttana» sputò velenoso digrignando i denti. Stava provando a controllarsi. Non avrebbe fatto nessuna scenata, non era da lui. Al contrario, stava pensando a qualcosa...
«Lo incastreremo e tu non patirai alcuna conseguenza. Senti, Amy, pensi che nel frattempo che Dylan si trovi qui, tu ed Emma riuscirete a trovare qualche prova?»
Sbruffai sonoramente. «La prova regina sarebbe il video della notte dell'incidente di Dylan, in cui si vede Richard drogargli il bicchiere. Ma non credo sarà possibile ottenerlo... almeno non in breve tempo.» Nathan si passò una mano sul volto spazientito. Fece qualche passo nelle più svariate direzioni. Quella situazione era davvero frustante.
«Non so come vogliate gestire la faccenda da sole tu e lei... ma mi fiderò del vostro piano e terrò a bada Dylan per tutto il tempo necessario. Richard non ti farà alcun male, non verrà mai a scoprire che noi sappiamo la verità. Lo inchioderemo. Sì, proprio così... confido che ce la faremo, te lo prometto... sì, ce la faremo.» Nathan mi afferrò per le spalle puntando i suoi occhi dritti fin dentro la mia anima. Un piccolo sorriso comparve sul mio volto. Aveva ragione, avevamo ancora tempo.
Nathan mi strinse in un abbraccio che sapeva di tutto ciò che mi era mancato in quelle settimane: amore e pace.
***
Durante il periodo di tempo in cui Nate aveva fatto compagnia a Dylan, io avevo approfittato della solitudine per avvisare i nostri amici della sua situazione, qualora si fossero fatti domande sulla sua assenza.
Inoltre, avevo comunicato a Emma che Nathan era dalla nostra parte: saremmo stati tre menti cooperative.
Quando inviai l'ultimo messaggio si era ormai fatto giorno. Il sole penetrava dalla grossa finestra a vetri della sala d'aspetto con la calura degli ultimi giorni di febbraio. Con il passare delle ore non eravamo state le uniche anime in pena ad attraversare quelle ante scorrevoli. Avevo visto fin troppe lacrime scorrere sui volti all'ingresso, avevo sentito fin troppe sirene annunciare l'arrivo di un altro caso grave.
E, mentre mi si stringeva il cuore a osservare quelle numerose famiglie che sembravano crollare sotto il peso di qualche diagnosi sconcertante, Nathan mi sorprese alle spalle, sbucando all'improvviso. Grazie a qualche strano gioco del destino potevamo tirare un sospiro di sollievo. Lui stava bene.
«Ce ne hai messo di tempo, lo sai?» schioccai la lingua al palato.
«Dylan stava dormendo, ho aspettato che si svegliasse. Intanto gli ho fatto un vero e proprio book fotografico. Vedi qui.» Nathan trasse fuori il suo cellulare sul quale c'erano almeno venti o più foto di Dylan con la bocca aperta. Il suo volto in penombra era fasciato da delle bande larghe di garza. Mi si strinse il cuore nel vederlo in un letto d'ospedale con quella medicazione. Se qualcosa fosse andato storto nell'incidente io...
«Cosa dice? Come sta? Cosa ha provocato l'impatto?» domandai interessata alle sue condizioni asciugando una lacrima che era caduta dai miei occhi lucidi.
«Mi ha raccontato che un gatto gli ha tagliato la strada e lui, per evitare di prenderlo, ha sterzato. Purtroppo la pioggia ha fatto il resto e ha sbandato. Gli fa solo un po' male dove sono i punti, ma niente di troppo insopportabile.» Nathan ripose il cellulare in tasca con aria affranta. Fece spallucce guardandosi attorno dispiaciuto.
«Ti ha detto qualcosa su di me, per caso?» sussurrai a bruciapelo. Nathan si morse un labbro per paura di proferire parole che potessero ferirmi. Ma a quel punto non c'era niente capace di farmi più male.
«Gli ho spiegato come tu non abbia colpa e che sei rimasta con me tutta la notte per sapere come stesse. Che non hai chiuso occhio e che siamo due stracci. Non sembrava sorpreso, né tantomeno contento di sapere che anche io fossi venuto a conoscenza di Richard. È arrabbiato, lo si percepisce. Secondo lui, poi, non dovremmo provare a incastrarlo, altrimenti non potrebbe fargliela pagare come vorrebbe. Su questo punto sono concorde con Dylan. Mentre su di te... lui non vuole vederti, Amy. Mi ha chiesto di non farti entrare in camera.» Abbassai lo sguardo. Potevo immaginarlo.
«Non fa niente, non è colpa tua. Troverò un modo per uscirne. Vorrei anche solo rimanergli amica, alla fine di tutto.» Alzai le spalle con fare arrendevole.
«Rinunciando così a ciò che provi per lui?» indagò schietto.
«Ci ho rinunciato io stessa quando gli ho nascosto la verità dal primo istante.» Non era una sconfitta, ma la sola vittoria a cui avessi potuto mai aspirare. Sorrisi a Nathan e, mentre cercavo un modo per non cedere alla malinconia, mi ritrovai nuovamente stretta tra le sue braccia, buttando fuori tutta la paura accumulata sotto forma di piccoli e sommessi singhiozzi.
«Nonostante dica il contrario a parole, lui ha bisogno di te... ne sono certo.»
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