73. La fine di qualcosa che non sarebbe più iniziato (Dylan VII) (1/2)
♫ The Chainsmokers - Sick Boy ♫
Continuavo a lanciare la pallina da tennis sopra la mia testa osservandola imbambolato, mentre i pensieri vorticavano veloci. L'afferravo, ne accarezzavo il tessuto pesante per poi flettere le dita e lasciarla nuovamente sospesa in aria.
E forse mi ero abituato a far scorrere il tempo in balia dell'apatia che mi circondava, se la porta della camera non fosse stata spalancata.
La luce penetrò costringendomi ad abbassare le palpebre e facendomi perdere di vista la pallina che mi ricadde sulla fronte con un tonfo secco.
«Ouch. Nathan, puoi bussare la prossima volta, per cortesia?» Alzai il busto massaggiandomi il punto dolente, mentre l'oggetto in velcro rotolò per terra fino a sfiorare i suoi piedi.
Nathan si chinò e, con un sorriso sornione, la raccolse di buon lena iniziando a giocarci come avevo fatto io prima del suo arrivo.
«Lo farò, scusa!» rispose mostrandomi la fila di denti bianchi. Cosa c'era da essere così felici?
La mia vita stava andando a rotoli.
«Sai, in università ho incontrato Amanda» aggiunse accomodandosi ai piedi del letto. Schioccai la lingua al palato abbassando le mani e concentrandomi sulla sua voce.
«C'entra la visita di Emma?» chiesi ingenuo. Notai un cipiglio di disappunto sul volto, nascosto da un velo di sorpresa.
«Ha incontrato Emma?» Incurvai un sopracciglio.
«Sì, ieri mattina in università. Quando l'ho vista mi sono fatto avanti per dirle di andarsene e lasciarla stare, ma sono stato cacciato io, invece. Da allora non ho più avuto notizie. Ho la sensazione che non gradisca più parlare con me.» Nathan annuii distratto, mentre io mi crogiolavo nel disappunto. Il moro si grattò la cute partendo dalla mandibola e arricciando il naso.
«Quindi diceva sul serio...» Nathan rimuginava. Non potei far altro che aspettare ulteriori spiegazioni, che non tardarono ad arrivare. «Non è come credi, Dylan. Amanda sta passando un brutto periodo e ha bisogno di tempo... e non solo.» Sul volto di Nathan spuntò un sorrisino beffardo.
Avvertii il suo peso spostarsi dal materasso per rimettersi in piedi.
«Cosa vorresti dire? Perché sei venuto?» riproposi cauto.
«Non arrenderti. Tutto qua.» Mi bloccai alzando il busto con fare arrendevole. Non lo capivo.
«Arrendermi in cosa?» chiesi beffardo. Nathan era in procinto di allontanarsi.
«Non so cosa stia succedendo tra di voi, quello che so è che lei ha bisogno di te e di saperti al tuo fianco nonostante tutto quello che potrebbe accadere.»
«Perché? Cosa potrebbe succedere?» domandai scuotendomi e sentendomi in dovere di agire. «Amanda sta bene?» Nathan si voltò, sorridendo dispiaciuto.
«Non lo so neanche io.»
***
Probabilmente stavo commettendo l'ennesimo sbaglio della settimana, ma oramai chi li contava più. Nathan aveva ragione, non potevo arrendermi. Almeno non ancora. Lo strano comportamento di Lilian, il suo umore e i suoi occhi spenti. Lei mi stava evitando per qualcosa che avevo fatto e non potevo permettere che la mia stupidità intralciasse la sua felicità. In cuor mio sapevo che c'era dell'altro e il discorsetto di mio cugino me ne dava la conferma.
Quindi, senza un vero scopo da perseguire, ero arrivato fin sotto casa sua, impaziente di riuscire a parlare o di fare qualsiasi cosa lei avesse voluto. Sperai di non essere giunto a conclusioni affrettate e di non risultare inopportuno.
Ma anche io avevo bisogno di lei.
Che cosa buffa. Era stata proprio Lilian a farmi capire che valesse sempre la pena lottare per le persone cui si vuole bene, eppure, lei sembrava essersi arresa in partenza.
Con me non lo aveva mai fatto...
Cosa cercassi veramente da quell'incontro, probabilmente non lo sapevo neanche io. Tutto ciò che desideravo era solamente essere in sua compagnia.
Salì le rampe di scale fino a giungere dinanzi la porta con il numero romano "IV". Bussai ripetutamente, aspettando di udire la sua voce.
I secondi passavano, facendomi rimanere pietrificato e indeciso sul da farsi. Forse sarebbe stato meglio lasciarle un messaggio prima di presentarmi. Ma quando sembrava che la disfatta fosse vicina, fu proprio allora che la porta si aprì.
Levai gli occhi in alto incrociando quelli di Lilian: ciò che vidi non mi piacque per niente. Sembrava distrutta, triste e smunta. Era così pallida.
«Non dirmi che non hai mangiato niente per tutta la giornata?» la interrogai entrando in casa come se fosse mia. A quel punto mi sarei aspettato una battuta pungente a riguardo, ma, come temetti, non arrivò. Stava decisamente perdendo colpi.
Lilian, per quanto fosse stato possibile, perse ancor più colore. Sbatteva le palpebre spaventata allontanandosi dalla mia figura. Non potevo vederla così. Mi sarebbe bastata anche solo una parola venir pronunciata da quelle labbra violacee. Anche un "vaffanculo" mi sarebbe andato bene. Ma perché?
Levai gli occhi al cielo buttandomi sul divano. Incrociai le braccia dietro la nuca iniziando a scrutarla da capo a piedi. Magari si sarebbe arrabbiata.
«Per farmi andare via dovrai cacciarmi!» l'avvertii. Incurvai un sopracciglio pregando per una sua risposta.
«Dylan, perché sei qui?» Stropicciò gli occhi con una mano, irrigidendosi all'istante. Cambiò atteggiamento, iniziando a tremare, mentre guardinga spostava le braccia dietro la schiena. Intravidi qualcosa stretto tra le sue dita. Che cosa diamine stava facendo?
«Da quanto tempo non mangi, Lilian? Sembra tu abbia visto un fantasma...» Drizzai in piedi, poiché sembrava di essere sul punto di avere un mancamento. Lei indietreggiò portando una mano inanzi come scudo.
«Sto bene, Dylan. Davvero, ho solo dormito poco, sai. Una ricerca di Wilde, niente di preoccupante, ma mi ha sfinita. Ho perso il conto del tempo. Se non ti dispiace possiamo vederci domani? Devo assolutamente finire entro questa sera. Dico sul serio, Dyl. Non hai un buon tempismo...»
Scoccai la lingua al palato. Era sicuramente una misera scusa che mi stava rifilando pur di allontanarmi. Ma no, no lo avrei permesso ancora.
«Ah, sì? Su che argomento? Potrei esserti utile, sai che sono il primo della classe, vero?» domandai retoricamente avvicinandomi a lei fino ad appoggiare il mio busto contro la colonna portante della casa. Incrociai le braccia al petto aspettando una sua risposta, ancora.
«Emh, no. Cioè sì, ma non è necessario il tuo aiuto, posso farcela da sola. Se non ti dispiace vorrei tornare in camera...» Ebbene era quello il gioco a cui voleva giocare? Sembrava volesse mostrare indifferenza, eppure, i suoi occhi mi stavano solamente testimoniando la sua fragilità.
Lilian si voltò e io finalmente intravidi quella che doveva essere la "ricerca" stretta in un suo pugno. Non ci pensai due volte, balzai per sottrargliela con un rapido gesto furtivo. Lilian s'impietrì, voltandosi terrorizzata.
«Allora... leggiamo qui» scherzai spiegazzando il foglio appallottolato e correndo verso la parte opposta della sala. La sua reazione mi fece preoccupare.
«No, Dylan, non farlo!» urlò straziata. E, ponendo un passo dopo l'altro, mi si avvicinò cauta allungando i palmi verso la mia figura. Puntò quel foglio di carta con le sue iridi tremanti e supplichevoli. «Per favore... non leggere ciò che c'è scritto... Dylan, ti prego, non farlo. Non adesso. Ridammelo. Io-io non sono ancora pronta.»
Che cosa stava accadendo?
«Perché non posso farlo? È solo una ricerca, o forse no? C'è qualche altro motivo per cui ultimamente mi stai evitando più della peste e ti comporti come se non volessi saperne niente di me? È perché ho provato a baciarti? Ti faccio schifo o pena, per caso? Ti prego, parlami.» Le lacrime iniziarono a solcarle il volto. Mi feriva vederla in quello stato sapendo che fosse tutta colpa mia, ma non avevo altro modo, arrivato a quel punto, di riuscire a capire quale fosse la verità che mi stava celando.
«Dylan, il bacio... il bacio che non ti ho dato po-posso spiegare. Lo sai co-cosa penso riguardo...» singhiozzò.
«Riguardo a baciare gente a caso senza che tu ne sia innamorata, certo che lo so cosa pensi. Mi hai reso il concetto anche abbastanza chiaro ultimamente, ma non si tratta solo di quello. Si tratta di come ogni volta evadi il mio sguardo o una conversazione molto semplice. Ti supplico, ti chiedo scusa per l'ennesima volta, non avrei mai voluto che il nostro rapporto si incrinasse. Ho fatto delle pessime scelte e non so cos'altro fare per farmi perdonare. Il problema è che ne sto vedendo le conseguenze e mi si strazia l'anima. Ma parlami! Dimmi perché, dannazione!» Abbandonai le braccia penzoloni ai lati del mio corpo. Lilian era ancora in lacrime, esile sotto il riflesso dell'unico lampione che illuminava la strada e filtrava dalle persiane.
«Non posso. Non ora.» la sua voce tremante riempiva l'aria. «Ti spiegherò tutto con un'altra lettera, ma non questa...» schiusi gli occhi rimuginando su quale sarebbe stata la scelta migliore. Io mi fidavo ciecamente di lei e, sapere che non riponesse altrettanta fiducia in me, mi feriva profondamente. O forse era solo il mio cuore a essere deluso.
Volevo una spiegazione che giustificasse i silenzi e quella strana inquietudine che provavo da troppe sere.
Alla fine presi la mia decisione, nonostante sapessi che fosse errata fin dall'inizio.
«Mi dispiace, ma ho bisogno di capire e se leggere queste righe me lo permetterà, allora correrò il rischio di aver sbagliato tempismo.» Impugnai il foglio di carta pieghettato, iniziando la mia lettura. Lilian tentò di dissuadermi ancora una volta.
«Caro Dylan...» Alzai lo sguardo solo per poterla scrutare un'ultima volta. Nella sua fragilità si era arresa di fronte la potenza di quelle due semplici parole che segnavano l'inizio della fine. Indietreggiò, piegandosi su stessa fino a sfiorare il freddo parquet.
«Ti prego... non mi odiare» furono le parole che udii provenire dalla sua bocca, quando ancora credevo a ciò che mi diceva.
♣♣♣♣♣
Non sarà facile per nulla.
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