69. Emma (1/2)
♫ Martin Garrix feat. Khalid - Ocean ♫
Avvertivo il peso della mia misera esistenza schiacciarmi rovinosamente, mentre fuggivo e vagavo tra le mura dell'università con l'unico scopo quello di non incrociare Dylan.
Ero patetica.
Invece di risolvere i problemi, li stavo evitando, come se non si sarebbero palesati alle porte della mia mente una volta che mi fossi fermata. Speravo di battere la testa così forte da dimenticarmi di tutto.
Dimenticare.
Volevo davvero farlo e ci ero quasi riuscita almeno per una sera. Per un'oretta spalla contro spalla, io e Nathan avevamo affogato i nostri problemi nell'alcool, ricavandone solamente quel maledettissimo mal di testa che non faceva altro che premere forte contro il lobo occipitale.
Ero ritornata a occupare il mio appartamento da poche ore appena, non potendo rimanere in casa Kingstone un secondo di più dopo lo scambio di battute con Dylan. Avevo fatto ciò che dovevo: raccolto le mie cose e, nel più assoluti dei silenzi, ero sparita... come avrei voluto fare quella mattina.
Ero lungi dall'essere in prossimità dell'aula di Lynch, eppure, non mi importava. Mettere un altro passo in avanti avrebbe significato solamente essere in compagnia di due persone che in quel momento non volevo assolutamente vedere.
Cosa fare? Dare soddisfazione a Richard nel presentarmi in quel pessimo stato con i capelli fuori posto, le occhiaie, l'alito disgustoso e un vestiario improponibile? Forse era ciò che aveva sempre voluto fin dall'inizio: vedermi distrutta. La cosa che mi faceva rabbia era che non ci sarebbe riuscito se non mi avesse costretta al segreto. Se non mi avesse imprigionato dietro un muro di bugie.
Scossi il capo dandomi una spinta da quella lurida parete alla quale mi ero poggiata. Dovevo camminare e continuare a farlo a testa alta.
Mossi il primo passo nella direzione delle scalinate in ferro battuto. Sorrisi tiratamente verso chiunque mi osservasse. Dovevo mantenere una parvenza di lucidità nonostante il grosso peso sul cuore che aveva il nome di Dylan.
La sua presenza premeva contro la mia anima dopo aver realizzato che fosse la risposte a tutte le mie domande. Era lui quello stato capace a farmi provare nuovamente le farfalle nello stomaco, a farmi pizzicare le viscere, a tornare a ridere.
L'unico capace di farmi battere il cuore.
Fino a qualche sera prima non avevo ancora ben compreso cosa significasse Dylan per me e ne stavo pagando il prezzo: un conto assai salato.
Stavo iniziando a domandarmi se l'amore potesse costare tanto... o se al contrario non ci fosse niente che potesse valere quanto quel nobile sentimento. Avrei dovuto stringere i denti e andare avanti. Prima o poi l'avrei dimenticato.
Ma come potevo... Io...
Mi portai le mani al volto rimembrando i suoi occhi quel sabato sera, mentre mi fissavano e come le sue mani mi avevano sfiorato e io... e io che gli avrei permesso di fare tutto ciò che avrebbe avuto in mente, quando lo avrebbe voluto.
Ma sarebbe stato reale?
Debole e fragile com'ero avevo fatto un'enorme fatica nel rifiutarlo. Stavo per cedere e avvinghiarmi a lui, che fosse stato vero o meno, io lo desideravo con tutto me stessa.
"Volevo soltanto divertirmi" quelle parole mi avevano fatto male come niente prima d'allora.
Ed era proprio ciò che in un certo modo gli avevo fatto capire.
"Senza amore non può funzionare" gli avevo sussurrato. Un leggero sospiro dritto sulla sua pelle soffice quanto perlacea.
Finché ci sarebbero stati dei sentimenti da parte mia, non avrebbe potuto funzionare.
Perciò alla fine Richard aveva ordito il piano perfetto per farmela pagare: costretta a soffrire su entrambi i fronti.
Mi confermai di essere semplicemente una stupida ragazzina che non aveva avuto il coraggio di parlare con la polizia; che non aveva avuto il coraggio di credere nell'amore fin da subito; che non aveva avuto il coraggio di confessare a Dylan ciò che in realtà provava...
Valeva davvero la pena continuare a vivere nella paura? Era la mia vita o quella degli altri? Ero io a decidere cosa sarebbe stato giusto o sbagliato, fregandomene delle conseguenze? Cosa avrei dovuto fare quella sera o quella precedente? Continuare a far finta di nulla? Continuare a mentire a tutti... e soprattutto a me stessa?
Dimenticherò.
Mi ripetevo.
Dimenticherò il segreto di Richard e dimenticherò di aver mai provato qualcosa per Dylan.
Ma allora perché faceva così male fin dentro le viscere pensare solamente a quella eventualità?
«Ehi, Amanda, tutto bene?» La voce squillante di Cassidy mi fece ritornare alla realtà. Alzai il volto dalle mani intrecciate osservandola di sguincio. Mi si avvicinò accarezzandomi la schiena con fare materno.
«Mi fa un casino male la testa e stavo provando con un tipo di massaggio che ho letto su internet di recente.» Pensai che quella scusa fosse la più stupida del mondo, ma conquistò subito l'attenzione della mora. Non volevo farla preoccupare più del dovuto.
«Hai letto l'articolo di quel giapponese che colleziona statuine d'avorio?» Non volli smontare l'entusiasmo di Cassidy sul nascere, così annuii promulgando in avanti le labbra e corrugando la fronte. Iniziò un discorso su quale fosse il tipo di massaggio migliore per ogni tipo di situazione: uno suppurativo, uno classico, uno anche con del cioccolato, ma in realtà non le prestai molta attenzione. Mi aveva letteralmente preso in ostaggio ostacolando i miei movimenti e trascinandomi dove le fosse più congeniale.
E in quel modo non mi accorsi neanche di come fossimo giunte in prossimità dell'aula di Lynch. Avrei preferito che mi colpisse un fulmine all'istante. Magari la parlantina di Cassidy era la mia punizione divina.
Annuii un'ultima volta fino a quando non fui di fronte la porta spessa in metallo, al che mi bloccai sul posto sotto lo sgomento di Cassidy.
«Cosa succede?» Le gettai un'occhiata lasciva. Non avevo voglia di prostrarmi in lunghi discorsi su quanto fosse patetica la mia vita e su come fossi una codarda in ogni singola vicenda. Ancora mi veniva da stringere i pugni e abbassare lo sguardo al ripensare che avevo rifiutato Dylan e che per lui non ero altro che una ragazza da sfruttare per le sue esperienze sessuali invernali. Ed io avrei dovuto dirgli che provavo qualcosa per lui? Mi avrebbe riso in faccia e sarebbe scappato il più lontano possibile da me... il suo grande amore era Lydia ed io non avevo alcuna possibilità di competere con lei.
«Mi hai capito?» Dopo poco arrivò la voce di Cassidy al mio cervello. Fino a quel momento era semplicemente sottofondo per i miei pensieri. Sbattei le palpebre con veemenza scuotendo il capo. Non c'ero proprio.
«Sì, ehm. Stavi parlando di...» provai a buttare giù qualche parola. Cassidy abboccò all'amo riprendendo il suo soliloquio come se nulla fosse, conscia del fatto che la stessi seguendo.
«Quindi Margot sì, mi ha chiamata ieri sera in lacrime. In pratica Nathan l'ha lasciata proprio sull'uscio di casa. Lei ultimamente sentiva che c'era qualcosa che non andava in lui. Per questo avevano provato a parlarne e a stare più tempo insieme, ma niente. Lui ha deciso per entrambi. Infatti, sabato sembrava un po' strano, cioè bere tutto quell'alcol senza un apparente motivo, chi lo farebbe se non avesse problemi d'amore?» Cassidy mi osservò per un istante diventando paonazza in volto. Gettò le mani in avanti come scudo. «Non che tu abbia problemi d'amore. Cioè, non volevo offenderti. Oddio che figura certo che tu eri in sua compagnia per bere e dimenticare Richard. Scusami, davvero, oddio Amanda quanto sono indelicata!»
Lasciai correre. Non poteva avere che più ragione, in fondo. Ciò riportò alla mente anche del perché eravamo finiti io e Nathan da soli a scolarci un litro sano di vodka in due. Gli avrei tanto voluto raccontare di ciò che era successo realmente a Lydia e di come Richard mi tenesse in pugno, ma non mi era stato possibile. Non avevo il coraggio necessario per farlo. Altra casella da spuntare alla lista dei motivi per cui ero una patetica ragazzina vinta dalla paura.
Da parte sua, invece, ricetti una confessione completa a proposito dei suoi reali sentimenti per Margot e del motivo per il quale non riuscisse più a continuare quella relazione. Non l'amava... almeno non più di quanto amasse Emma.
Era straziato dal dolore e dalla consapevolezza di aver perso per sempre una persona che credeva parte fondamentale della sua vita. E provava rammarico per non essere riuscito a confessare i suoi sentimenti alla vera destinataria del suo cuore. Anche lui per paura di un rifiuto.
Amare, forse, faceva schifo davvero.
In tutti quegli anni aveva imparato a convivere con la gelosia, con l'astio e la repressione che esercitava nei confronti dei propri sentimenti. Perché avere Emma vicino era meglio che non averla. Eppure, gli aveva fatto così male. Dopo aver scoperto le sue bugie, per lui non era rimasto nient'altro che affrontare i suoi stessi demoni e liberarsi del peso che portava dentro.
Margot lo aveva compreso, ma non fino in fondo. Ed entrambi si sarebbero per sempre voluti un bene dell'anima.
Io avevo fatto un pensiero diametralmente opposto. Perché rimanere accanto a Dylan quando non avrei potuto comportarmi come avrei voluto?
Per quello allontanarlo era stata la mia scelta.
«Non ti preoccupare, Cassie. Invece, io ti ho visto con Eric... sei felice?» La scrutai piena di speranza. Almeno qualcuno di noi ce l'aveva fatta.
«Sì.» Le labbra di Cassidy si allargarono in una maniera che avrebbe fatto invidia a chiunque. Era straripante di positività. Eric l'aveva conquistata nonostante i prognostici negativi. Chissà cosa le aveva confidato, quali parole magiche l'avevano convinta o quanti baci pieni di passione avevano catturato il suo cuore. L'avevo semplicemente capito dai suoi occhi... i suoi occhi sembravano tanto i miei quando Dylan troneggiava nella mia testa.
Il mio sorriso perse il suo originale smalto. Era estenuante ricordare di quante cose mi stessi privando. Ero prigioniera di me stessa, ma allo stesso tempo scalpitavo per poter essere salvata. Mi sembrava di essere rinchiusa dentro una torre senza via d'uscita. Avrei tanto voluto essere la mia stessa eroina.
«Andiamo in classe...» borbottai voltando lo sguardo verso ciò che mi circondava. Notai Dylan comparire da lontano con la sua camicia a quadri rossi e verdi, quella che adorava mettere di lunedì mattina perché lo metteva di buon'umore. Ma chissà per quale motivo camminava senza prestare attenzione a chi gli era accanto, concentrandosi verso un punto indefinito. Le nostre iridi si incrociarono per qualche istante e un sorriso gli spuntò sul volto.
Al contrario di quanto aspettato, scossi il capo spezzando la magia, incamminandomi per poter trovare un posto in aula quanto più lontano da tutti.
Quando mi sedetti, mi concentrai solo sul foglio appena scarabocchiato. Volevo rimanere nascosta nella mia bolla, in un posto in cui il mondo esterno non poteva accedere, mentre il mondo che mi circondava procedeva a pieni ritmi. I ragazzi si muovevano frenetici, parlottando tra di loro o rispondendo alle domande di Lynch.
Li miravo con superficialità, ergendo muri sempre più alti per una torre che aveva fondamenta nella paura.
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