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59. Idiota (Dylan II)

Au/Ra - Panic Room

Idiota.

Sono un fottuto idiota.

Ero issato contro il muro, immobile nel mio stato di quiete, mirando la mia stessa ombra che si allungava informe dinanzi i miei occhi. Flebile e mossa dallo scostare irrefrenabile dei pugni che battevo contro l'intonaco turchese. Mi trovavo in quella posizione da più di mezz'ora, incapace di poter andare avanti e fermo nel riportare a galla i ricordi più recenti.

Mi sentivo un idiota e non c'era altro che potessi fare.

Dopo che Lilian era scappata, mi si era rivoltato lo stomaco. Le mani fremevano e la lingua pungeva. Quante cose avrei potuto dire ancora, quanto altro avrei potuto fare per non farla scivolare via.

Idiota.

Rimarcavo con più fermezza. Perché la verità era che lei era fuggita per colpa mia e di tutto ciò che le avevo vomitato addosso sperando che... sperando in.

Ma alla fine non aveva più importanza, perché a far ribollire le viscere, come se fossi infinitissimamente vicino al Sole, c'era la rabbia che stavo covando nel pensarla in compagnia di Richard.

L'odiavo con tutto me stesso.

Serrai le nocche sferrando un ulteriore destro contro il muro. Per qualche attimo le mie dita persero di colore, sbiancando come aveva fatto Lilian poco prima di voltarsi senza più guardarmi. Abbassai le palpebre per focalizzare la mia intenzione sulla respirazione così che divenisse più regolare.

Nell'ufficio di Lynch non era rimasto che il mio orgoglio ferito e del disappunto costernato. Non chiedevo molto! Almeno un cenno. Mi sarebbe andata bene anche una frase di circostanza o la promessa che ci avrebbe pensato. Invece, mi aveva sbattuto in volto l'unica porta che ero riuscito ad aprire.

Era fuggita con le sue becere conclusioni disilluse, immaginando una realtà distorta. Agonizzante doveva essere il senso che attanagliava la sua mente. Avevo osato mettere in discussione il suo giudizio. Ma quello che non capiva era che non la stessi rimproverando, né tantomeno spaventarla.

Non fosse mai che la signorina sbagliasse una virgola nella sua vita e che qualcuno glielo facesse notare! Virgola... esattamente come quello che era Richard per lei, un'inutile virgola da eliminare.

Rilassai i pugni abbandonandomi contro il freddo intonaco con la fronte. Mi sarei sorretto eliminando l'astio e il nervosismo dal mio corpo. E, con le braccia accanto la mia testa, iniziai a ragionare su quanto dovessi risultare patetico. Mi consideravo un idiota che aveva fallito nel semplice compito di evitare di commettere gli stessi errori.

Chissà se un giorno mi sarei perdonato.

Sorrisi tiratamente. Proprio io, il lupo solitario di Stanford, stava provando ad aiutare qualcun altro con un innato slancio di altruismo. Ero io quello incasinato, ma credetti che in quel momento avessi trovato qualcuno messo anche peggio.

«Sono un idiota» biasciai scostandomi dalla parete facendo leva su un gomito. Sfiorai il volto coprendomi la visuale del resto del mondo, mentre a tentoni mi gettavo a peso morto sul letto al centro della stanza. C'era una fastidiosa vocina nella mia mente che continuava a ripetere che avrei potuto fare di più.

Un ghigno d'irritazione nacque spontaneo, che mi costrinse a retrarre le braccia per far presa sul piumone che aveva lo stesso odore del mio dopobarba. Alzai il busto quel tanto per avere una stazione semi-eretta. Mi sembrava di aver ritrovato un minimo di lucidità e convinzione.

Così che nell'improvviso tormento una domanda spiccò tra tutte.

E se il mio problema fosse stato Richard fin dall'inizio e non era vero che volessi solo proteggerla?

Che fossero scuse che mi ero detto per far pace con la coscienza e riuscire a dormire la notte. Magari la mia ira cieca era la causa per la quale non riuscissi a credere alle parole di lei e all'amore che tanto aveva professato avere nei confronti del giovane.

Se mi fossi invischiato senza avere reale motivo di appello? Sarei stato forse una persona orribile?

Scossi la testa eliminando quella losca constatazione.

No. Non era possibile.

Sapevo solo che avrei fatto di tutto per allontanarla da lui... per non farla soffrire.

La mia mente prolifica aveva elaborato diversi scenari e quello più terribile che mi si era presentato riguardava proprio Lilian e l'immensa bontà che avrebbe donato a quell'essere spregevole. La sua fiducia sarebbe stata pian piano ricompensata con omissioni, trasgressioni e persino manipolazioni. Lui lo avrebbe fatto, ci avrei messo la mano sul fuoco io stesso... perché non era cambiato per nulla da quando lo avevo conosciuto.

Ritornai indietro, navigando tra i ricordi di quando ero ancora un ragazzino e avevo avuto l'opportunità di entrare nella sua cerchia ristretta.

La prima volta che lo vidi, Richard, fu dinanzi l'aula di scienze naturali. Mano nella mano, e a contatto con il suo petto, c'era Lydia. Lei brillava di una luce propria inestinguibile.

Sembravano la coppia più bella di tutto il liceo e forse lo erano persino agli occhi di altri studenti e non solo dei miei. Lei era perennemente sorridente stretta fra le braccia del capitano della squadra. Qualsiasi ragazzo sarebbe stato invidioso di avere un tale angelo al proprio fianco. Persino io.

Perché quello era, un essere intangibile e inafferrabile creata dalla bontà del suo stesso cuore. Eppure, il sorriso e la luce vennero soppiantanti dalle lacrime in un tempo indecifrabilmente corto.

La prima volta che riuscì a scambiare due parole con lei in totale libertà, mi sentii essere il ragazzo più fortunato del mondo. Avevo appena avuto un incidente sul campo di lacrosse e a fine partita lei si era presentata in infermeria. La timidezza si fece strada tra le sue gote arrossate quando mi chiese se stessi bene. Incespicando tra le parole, senza mai riuscire a mantenere un contatto visivo prolungato, mi aveva accennato degli auguri di pronta guarigione.

L'unico motivo per cui mi ero distratto, distogliendo l'attenzione dal campo di lacrosse, era perché l'avevo intravista sugli spalti. Ero certo fosse lì per me, solo per me. E mi piaceva credere che lei lo avesse capito, anche perché non avevo mai avuto il coraggio di rivelarglielo.

Mi ero incantato a osservarla solo qualche istante... e quando avevo riaperto gli occhi lei era ancora lì.

"La prossima volta tieni la vista sulla palla" aveva scherzato appena riacquisiti i sensi primari. Era così intelligente e gentile.

E quello fu solo il primo dei mille modi in cui era riuscita a salvarmi. Dalla solitudine, da me stesso e anche da Richard.

Lui. Era un chiodo fisso nelle nostre conversazioni. Ci eravamo scontrati così tante volte a riguardo perché io non capivo. Non riuscivo a capacitarmi nel trovare una motivazione che la costringesse a fare coppia fissa con qualcuno di così autoritario e superficiale. Perché Whitemore non aveva mai neanche considerato di apprezzare l'umanità di Lydia, né tanto meno esaltato la sua luce. Ma giornalmente raschiava un pezzo del suo animo così che si uniformasse alla massa senza più alcun candore. Li avvertivo ancora i suoi profondi respiri che precedevano una semplice occhiata di sguincio prima di proferire le parole "e tu perché fai quello che fai ogni giorno?"

Non riuscivo a capire la logica dietro quella frase. Eppure, lo notai durante il corso dell'anno come i suoi sorrisi tra le braccia di Richard divennero sempre più rari. Come il tempo iniziò a scorrere veloce, facendoci avvicinare sempre più e come i minuti in mia compagnia divennero delle ore insaziabili. Qualcosa stava cambiando e mutando in una maniera totalmente inaspettata.

"Mi rendi felice" fu la sua prima e vera dichiarazione nei miei riguardi. Non aggiunse altro che potesse minare la veridicità di quel suo commento. Eravamo nei corridoi della scuola, poco prima del suono della prima campanella della giornata quando me lo aveva confessato. Ero di spalle, ma la sua voce l'avrei riconosciuta tra un milione. Mi stoppai dalla mia corsa solo per voltarmi e osservarla beata. Non era ancora l'inizio della nostra storia d'amore, ma quello fu l'incipit che diede forma ai nostri sentimenti. Una piccola scintilla di speranza nacque nel mio cuore. Fece dei passi nella direzione opposta alla mia, allontanandosi con ancora in volto quel sorriso che sapevo sarebbe stata la mia rovina e fu lì che mi resi conto che quello felice ero io.

Felice perché aveva iniziato a sorridere per me e non più per lui.

Mi donava costantemente parte della sua luce che io avrei custodito gelosamente fino alla fine dei tempi.

E una delle tante sere, mentre Richard era occupato in uno dei suoi allenamenti, lei giunse da me piangendo, bussando alla mia porta. Cercò di nascondere tutta la malinconia e il dolore che stava provando buttandosi tra le mie braccia. Non riuscivo a sentirla così.

"Ho visto Richard baciare un'altra alla festa di ieri sera. Abbiamo discusso e mi ha promesso che non accadrà più... però fa così male... non so se riesco..." mi confessò tra le lacrime amare che scendevano copiose fino a bagnare il mio volto e i singhiozzi mozzati.

La strinsi a me ancor più forte. Non volevo lasciarla andare, né tanto meno approfittarmi di lei. Sapevo che quello non fosse ancora il momento. Ero diventato il suo migliore amico, il suo confidente e la persona che l'apprezzasse al meglio. Mi ripromisi che non avrei più permesso a nessuno di spegnerle il sorriso una seconda volta. Di riflesso anche lei divenne la mia prima confidente, l'unica capace di sguizzare dentro la mia anima e di apprezzare i piccoli dettagli smussi che nascondevo al mondo. Lei arrivò a conoscermi persino meglio di me stesso.

Al suo fianco, giorno dopo giorno, con l'unico scopo di poterla vedere felice.

Eppure, nell'ultimo periodo accadeva sempre più spesso. Correva tra le mie braccia tremante e piangente perché Richard non la stava trattando con riguardo combinando un'altra delle sue. Spuntava una nuova ragazza o qualche ordine da parte sua. La goccia che fece traboccare il vaso, per Lydia, fu quando lui le proibì di vedermi.

Con la differenza che quella volta niente sarebbe andato come progettato da Richard.

Ero appena tornato da uno dei miei allenamenti e lei aveva aspettato seduta sul ciglio della strada che io mi facessi vivo. Quando mi notò mi corse incontro sfogandosi di tutto e liberandosi dei pesi del suo animo. "Non può farmi questo, io non permetterò mai più che mi impedisca di vivere come voglio... e con chi voglio!" aveva confessato a denti stretti, serrando le sue mani tra i miei ciuffi ribelli. Quella sera fu la notte in cui le nostre labbra si sfiorarono per la prima volta e avrebbero tanto voluto non smettere mai. La sera in cui le nostre mani si intrecciarono e i nostri cuori si fusero a contatto con la pelle rovente. Tutto quello aveva il sapore della passione e dell'irrazionalità.

C'erano mille motivi per non cedere e solo uno per farlo: eravamo innamorati.

E finalmente capii cosa avesse voluto intendere Lydia tempo addietro.

Io continuavo a fare ciò che facevo ogni giorno per abitudine. Richard era diventata la sua abitudine. La costante di una vita in una cui la paura dell'ignoto l'aveva resa prigioniera di un mondo che non desiderava. I sentimenti che provava per lui, tutto ciò che faceva per assecondarlo non erano altro che gli ultimi residui di una pozione d'amore che stava scomparendo.

Lei aveva deciso di ribellarsi a quella monotonia quando... "Ti amo" aveva pronunciato a pochi millimetri dal mio orecchio stretti e avvinghiati fra le lenzuola. Quel suono era stato il più bello del mondo. "Ti amo anche io" avevo risposto senza esitazione tornando ad accanirmi sulle sue labbra e assaporando ogni centimetro della sua pelle. Perché non avevo mai abbastanza di lei e mai ne avrei avuto.

Mi aveva spogliato di tutto: del mio ego, dell'ipocrisia e della malinconia. Mi aveva reso una persona migliore, scavando dentro di me aveva aiutato a tirar fuori il Dylan che avevo tanto paura di essere.

Quel Dylan che avevo represso in tutti quegli anni dalla sua scomparsa.

Perché mi mancava essere felice come un tempo... perché sentivo di non meritare di essere la felicità di qualcun'altro.

Perché mi faceva male da morire ricordarmi di lei.

Non avrei mai permesso a Lilian di fare la sua stessa fina, costretta a sopportare per abitudine Richard e i suoi ricatti morali. Imprigionata da catene mentali infrangibili, se non a costo di grossi sacrifici.

Lydia non lo aveva mai amato veramente, Richard. Lilian non lo stava di certo facendo o almeno non ancora... ed io ero solo l'idiota che non aveva fatto abbastanza. Il giullare di corte che aspettava di essere richiamato a servizio.

Decisi di alzarmi dalla mia sudicia posizione per poter mettere qualche passo. Se avessi voluto dormire tranquillo almeno quella notte avrei fatto bene a dedicarmi ad altro.

Mi diressi in cucina con l'intento di fare uno spuntino. I miei occhi scorsero una striscia illuminata sul piano superiore del forno: erano già le undici passate. Ero rimasto ingabbiato nella mia stessa mente per più ore di quante volessi ammettere. Con le dita che attanagliavano il maniglione freddo del frigorifero, decisi di ritornare al piano superiore, poiché non c'era niente che stuzzicasse il mio appetito.

In quel preciso istante sentii armeggiare alla porta d'ingresso. Poteva essere solo Nathan, non avendolo visto, né sentito per l'intero pomeriggio. Se mi fossi confidato con lui, se gli avessi spiegato la situazione, magari mi avrebbe aiutato con Lilian, in fondo la conosceva meglio di tutti.

«Nath, ci sei? Ho bisogno di te» domandai retorico recandomi in soggiorno. Ma quello che avevo davanti ai miei occhi non era il cugino ligio che ricordavo. Il ragazzo barcollava incerto nel ricercare un appiglio cui attingere per non cadere di lato. Tastava il divano in segno di sicurezza sulla sua andatura. Aveva gli occhi arrossati e i capelli scombinati, per non parlare della camicia semi aperta e la cinta dei pantaloni lasciata libera nei passanti. Sarebbe presto caduto se non fossi intervenuto.

Mi precipitai in suo soccorso attorniando la vita con un braccio. Allungai il collo per poter sentire il suo alito: inspirai abbastanza approfonditamente buttando poi fuori l'aria con un colpo di tosse.

«Qui qualcuno c'è andato giù pesante» scherzai constatando di star quasi parlando da solo.

«St-sto ben-benissi-» singhiozzò «-issimo.»

«Certo, cugino... sei una favola.» Lo trascinai quasi di peso verso la sua stanza aiutandolo a coricarsi. Ci mettemmo molto più del previsto considerando il percorso tortuoso in cima le scale e l'esserci portati fino all'ultima porta del corridoio. Lo spogliai della camicia e dei jeans, assicurandomi che avesse almeno un paio di bottigliette d'acqua per la notte.

«Rimani su un fianco e bevi ancora un po'. Se dovessi avere fame ti ho portato dei cracker. Non fare cose stupide e, se hai bisogno di me, urla.» Mi voltai solo dopo che ottenni come riposta un grugnito.

«Dylan! Un favore...» biascicò quando ero intento a sorpassare l'uscio di ingresso. Immediatamente ritornai al suo capezzale assicurandolo di essere a sua completa disposizione.

«Dimmi, Nate, vuoi delle altre cose da mangiare tipo burro d'arachidi e patatine?» Il bruno spalancò le sue palpebre per mostrarmi le iridi azzurre. Sembrava stare davvero male e mi dispiacque notificare una tale situazione, non era mai successo che fosse lui a perdere il controllo ed io mi sentivo così inadeguato nel ruolo di quello responsabile. Patatine e burro d'arachidi... quale infermiere sano di mente avrebbe riservato quel cibo ai propri assistiti per il post-sbornia?

«Amy... le devo parlare» sussurrò prima di serrare le palpebre e voltarsi sul lato.

Rimasi alquanto scioccato. Mi raddrizzai sulla schiena pensando al da farsi. Sarebbe stato forse il caso di chiamarla e informala? Rimboccai un'ultima volta le coperte di Nathan così da bloccargli i movimenti durante la notte. Spensi la luce della sua camera poco prima di richiudere la porta di rovere, notando come lo spiraglio di luce che si proiettava verso la stanza si facesse sempre più sottile.

Incenerii i pochi metri che separavano le nostre camere, mentre mi torturavo le mani ripensando ai pro e ai contro della sua richiesta. Da un lato era molto probabile che Nathan non si sarebbe ricordato di nulla il giorno dopo e, considerando l'umore di Lilian, forse sarebbe stato meglio così. Dall'altro lato, però, subentrò il senso di colpa nel caso avessi ignorato la richiesta dell'unica persona che era sempre stata al mio fianco, non importasse cosa.

Probabilmente c'era un motivo se la voleva con sé.

Mi chiusi in camera attraversandola per il largo più volte: avanti e indietro fino a quando non afferrai il cellulare iniziando a comporre il suo numero sul tastierino. Avrei approfittato della situazione per chiarire con lei.

Certo, sarebbe stata la cosa più matura da fare...

Mi passai una mano sul volto, mentre gli ingranaggi del mio cervello iniziavano a lavorare per riflettere su cosa sarebbe stato più corretto fare una volta che lei avesse accettato.

Poi mi arrivò l'illuminazione.

Incurvai un angolo della bocca verso l'alto, quando portai la cornetta all'orecchio. I *bip* si susseguivano lenti uno dopo l'altro, mentre nella mia testa iniziava a delinearsi un piano che non aveva assolutamente nulla di maturo. E non potei che esserne fiero.

«Cosa vuoi ancora, Dylan?»

♣♣♣♣♣

Quanto mi piace vagare nella testa di Dylan e avere questi momenti introspettivi. Spero che per voi sia lo stesso, cari Cursed.

Il prossimo capitolo diciamo che prenderà una piega più... famelica! 

Riuscite a immagine il piano di Dylan? Non avrete una sfera di cristallo, ma sono certa che state sperando in qualcosa di particolare. 

Alla prossima, dalla vostra Red Witch, Haineli

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