54. Solo con te (2/2)
♫Alec Benjamin - Let Me Down Slowly ♫
Ci irrigidimmo all'istante. I nostri volti mutarono di espressione controvoglia. Seppur il corpo di Dylan coprisse la visuale, sapevo bene a chi appartenesse quella voce fastidiosa. Il moro, dopo aver tergiversato ignorando i richiami della rossa, mi fece segno di seguirlo in uno dei corridoi in cui si snodava il piano. L'avremmo ignorata senza guardare indietro. Entrammo in quello che doveva essere il bagno degli uomini. Era deserto e profumato. Vi era una zona centrale comune, dove erano disposti i lavabi ricavati dal granito e ampi specchi smerigliati, mentre dall'altro lato vi erano le cabine. Dylan mi afferrò per un polso entrando nel primo dei cinque scompartimenti. Non era certamente il nascondiglio migliore, considerando che la porta copriva fino ai nostri polpacci.
Eravamo in trappola.
Dylan fece pressione con il suo corpo così da immobilizzarmi contro la parete, posò una mano sulla mia bocca mentre con l'indice mi intimava di rimanere in silenzio. Acconsentii con un flebile cenno del capo.
Quella ragazzina era sicuramente il peggior incubo della mia vita. Così insopportabile, appiccicosa, capricciosa, acida e strafottente. Sperai che il suo smisurato ego fosse di gran lunga più alto del suo QI e che non ci trovasse. Avvertimmo un ticchettio provenire dal corridoio, dapprima lieve, poi sempre più forte fino a scemare del tutto. Come se ci avesse sorpassato e fosse andata oltre.
Dylan si rilassò lasciando la presa sulle mie labbra, lo imitai inarcando la schiena in avanti: eravamo salvi. O almeno credevamo di esserlo.
«Lanny! So che sei qui, ti ho visto entrare! Dove sei?» La ragazza superò il nostro scomparto aprendo con un rapido colpo la porta di quello accanto. Il suono ci fece sobbalzare per lo spavento. Dovevamo essere in un film horror, era certo. Dylan era spaventato e non sapeva cosa combinare a quel punto. Sperai solo che se ne sarebbe andata via il prima possibile.
«Sophia! È il bagno degli uomini, non mi sembra il caso di entrare!» improvvisò. Sotto pressione non dava il massimo. Mimò con le labbra qualcosa di incomprensibile come "non sapevo che dire".
«Ma suvvia, sciocchino! Ci sei solo tu e ci sono solo io, non vedo altri uomini a cui potrebbe dispiacere la mia presenza!» squittì la rossa. In quell'istante la maniglia venne girata e fulminei la bloccammo prima che potesse essere aperta.
«Lanny, tesoro, aprimi!» strillò dall'altra parte del divisorio.
«Sono nudo!» urlò Dylan di rimando. La presa sulla maniglia fu allentata solo per un secondo. Che cosa gli era preso? Sophia non avrebbe desiderato altro! «Non sapevo che dire!» si giustificò bisbigliando a qualche centimetro da me. Oh, Signore, peggio di così non poteva andare.
«Lo sai che così mi inviti a nozze! Dai, possiamo tornare come ai vecchi tempi... ricordi nella stanza qui affianco quante belle giornate?» Oh, davvero non c'era limite allo schifo che stavo provando. Un quadro raccapricciante iniziò a prendere forma nella mia testa... e nel mio stomaco. Sicuramente sarebbe stato un Picasso ciò che avrei vomito da lì a poco, se non avesse smesso di evocare tali immagini.
«No! Non puoi entrare perché-» Dylan mi squadrò allarmato. E come in un film tragicomico il mio telefono iniziò a squillare proprio nel momento meno opportuno. Chiusi gli occhi maledicendomi per la canzone delle Spice Girls che avevo impostato come suoneria il mattino precedente. Era una tradizione che avevo per il giorno del mio compleanno e mi ero dimenticata di cambiarla. Afferrai il cellulare interrompendo la chiamata, senza neanche vedere chi mi stesse cercando. Riposi l'apparecchio elettronico nella tasca posteriore della gonna, ma oramai il danno era fatto.
«Lanny, di chi era quel telefono?» La voce allarmata di Sophia riempì la stanza. Ora faceva anche la fidanzatina gelosa?
«Ci sono anche io, Lilian! Dylan è occupato!» urlai a mia volta non potendone più. Notai lo stupore nascere sul volto di lui. Non si aspettava che mi sarei esposta.
«Ma no, non è possibile, Lanny. Dimmi che è uno scherzo!»
«No, no... nessuno scherzo» mi diede man forte.
Avvertimmo Sophia girare in tondo nella zona comune per capacitarsi della cosa. «Tu sei nudo in un bagno con lei... oh, Lanny, questa volta non posso sopportarlo. Il tuo è-è un tradimento ed io ti amavo! È finita! Sappi che è finita e che siete rovinati! Vi farò licenziare!» Gridò senza ritegno, al che, come per magia, la voce di Sophia si disperse nell'aria. Aveva deciso di abbandonare la stanza in preda alle lacrime e a un isterismo riservato solo alle fidanzate più moleste.
Dylan aprì la porta solo quando fu sicuro che non ci fosse più traccia di lei. Dapprima solo un paio di centimetri, poi guadagnando sempre più spazio fino a spalancarla del tutto. Quando uscimmo da quella cabina mi sentii la donna più nei guai dell'intero pianeta.
«Le hai fatto credere che stessimo facendo sesso! Grande, Lil!» Dylan sospese una mano a mezz'aria aspettandosi che ricambiassi facendo scoccare un bel "cinque". Lo adocchiai sconsolata: non era stata una bella mossa, per nulla.
«E se i tuoi lo venissero a sapere?» rabbrividii solo al pensare di quell'evenienza.
«Oh, certo che lo sapranno, Sophia starà piangendo disperata tra le braccia di qualche collega. Avrei dovuto pensarci prima. Le serviva un finto tradimento per farle abbandonare la presa. Geniale, davvero geniale.» Dylan stava decisamente contemplando il vuoto e annuendo a casaccio.
«Sono seria, Dylan! Non va affatto bene! Non capisci quanto sia grave? Vuoi forse mettermi in cattiva luce? Prima mi trascini letteralmente qui con te perché "volevi tornare a casa", quando in realtà bastava una stupida copia inviata via fax per suggellare il contratto. Poi fai la stessa cosa per poter sistemare i tuoi casini con Sophia perché non sei in grado di farlo in autonomia. Ora addirittura rischio di essere licenziata ancora prima di avere il posto perché miss intelligenza ti crede il suo ragazzo ed io sono sprofondata nella vergogna più totale solo per salvare te! Perché mi stai facendo questo? Perché sto facendo questo? Siamo qui da meno di due ore e ti comporti come un ragazzino! Bel cambiamento!»
Vomitai quella valanga di parole senza neanche pensarci. Non volevo prendermela con lui, ma era impensabile non riconoscere che lui fosse l'unico responsabile. Sapeva bene quanto valesse per me quella opportunità, ma la sua strafottenza mi faceva intuire che non valeva lo stesso per lui. Se solo per un secondo si fosse fermato a riflettere.
Puntò i suoi occhi scuri nei miei cambiando radicalmente espressione: divenne più cupo, mitigando l'insofferenza con l'incredulità fino a che non riuscì a capire il significato delle mie parole.
«Mi dispiace... hai ragione. Credo di aver combinato un disastro» confessò mogio guardandosi attorno e passandosi una mano sul volto. Irritata presi ad appoggiarmi coi gomiti sul piano di marmo accanto ai lavabi. Mi coprii il volto con le mani per non mirare nello specchio la mia figura patetica e scomposta. Dovevo sistemare quel pasticcio. Respirai profondamente prima di darmi lo slancio e avere il coraggio di riaffrontarlo.
«Senti Dylan, io-» iniziai. Non mi accorsi esattamente quando, ma il moro aveva macinato la distanza senza emettere alcun suono. Incurvò le labbra in una smorfia sofferente che mi impedì di proseguire nel mio discorso.
«Non ti ho detto tutta la verità su questo nostro viaggio.» Aggrottai le sopracciglia indispettiva. Cosa voleva significare? «Ti costringo spesso a fare cose che non vorresti e mi dispiace davvero. Sophia non è un tuo problema, eppure ti ho accollato questa enorme responsabilità senza neanche chiedertelo. Probabilmente mi considererai egoista, e forse lo sono, ma credimi se ti dico che condividere questa esperienza con te è una delle cose più belle che mi sia mai capitata nella vita. Sono pronto a ricevere una miriade di insulti da parte tua che mi merito assolutamente e lo farò, te lo prometto, senza battere ciglio. Avevo voglia di portarti qui... o meglio, necessitavo della tua presenza nel mio mondo. Volevo farti conoscere una parte di me, farti scoprire quello che ancora non sai e se mi dovessi chiedere il perché sappi che non lo so nemmeno io. Semplicemente non ho in mente persona migliore con cui riempire le giornate e di cui io voglia prendermi cura. Ecco perché ho rifiutato lo stupido fax o ecco perché quando c'è Sophia di mezzo ti voglio al mio fianco: tutto diventa incredibilmente più interessante, divertente e prende una piega inaspettata quando sei con me... come in questo caso. Io divento inaspettatamente felice, come non lo ero da tempo.»
Dylan afferrò una mia mano, mentre con l'altra portava un ciuffo di capelli dietro il mio orecchio. Le parole che mi aveva appena rivolto erano diverse da tutto ciò che mi avesse mai rivelato. Non era ubriaco, né stava fingendo. Allora perché sembrava che stesse tenendo per sé la parte più importante di tutto il discorso? Scrutai nei suoi occhi e per quel poco che mi ci tuffai dentro non riuscii a scorgere l'onta di una bugia. Ci credeva sul serio.
«Bene, siete qui. E siete vestiti.» Hyna fece il suo ingresso senza neanche bussare, esprimendosi in un tono di voce del tutto neutrale. Arretrai spaventata eseguendo gli ordini della donna impaziente: picchiettava l'indice smaltato di rosso sulla cartellina, intimandoci di seguirla quanto prima.
Arrancai nel corridoio sotto gli sguardi indiscreti dei collaboratori. I loro occhi erano famelici di informazioni: volevano raccogliere dettagli succulenti per poter sparlare in ufficio con i colleghi per almeno le prossime due settimane. Dylan, al contrario, ostentava come sempre il solito sorriso irriverente. Aveva lo sguardo rivolto in avanti e mostrava fierezza. Nessuno avrebbe mai avuto da ridire sul conto del figlio degli O'Brien, ma non potevo asserire lo stesso per me.
«Hyna, per caso... sai perché ci guardano tutti?» chiesi con un fil di voce, mentre evitavo il contatto visivo con gli altri essere umani. Svoltammo l'angolo che ricordai essere quello che precedeva l'ingresso dell'ufficio di David.
«Sanno che se aprono bocca su quanto accaduto, essendo solamente la pura ingiunzione di una ragazzina con seri problemi di autostima, potrebbero essere querelati e messi al bando da tutte attività finanziare fino al 2057. Nessuno saprà niente, ovviamente, tranne chi già n'è a conoscenza. Per quelle occhiatacce non posso fare molto, purtroppo.» Mi ritrovai incredibilmente sollevata per l'efficienza della donna: era estremamente professionale. Mirai Dylan e quello che ne ricavai fu un "te lo avevo detto".
«Come se avessi previsto tutto ciò!» lo rimbeccai. Portai le braccia sotto il seno aspettando che accadesse qualcosa. Eravamo entrati in un ufficio vuoto e stanziavamo in mezzo la sala senza una vera ragione. Hyna iniziò a sistemare delle carte davanti al naso di Dylan, il quale aveva preso posto su uno dei tre divanetti posti dinanzi la scrivania in mogano.
«Purtroppo i signori O'Brien non saranno disponibili fino al pomeriggio. Mi hanno incaricato di farvi firmare il contratto e di augurarvi buon viaggio di ritorno. Ci tengono anche a farvi sapere che per qualsiasi ragione loro sono a vostra completa disposizione. Semmai decideste di rimanere qui qualche giorno hanno la casa completamente libera e arredata per poter ospitare una coppia, in qualsiasi momento.» Hyna ci sorrise per esattamente un secondo. Poi la sua bocca ritornò nella conformazione originale. Dubitai della sua umanità. Probabilmente era un cyborg.
Liquidammo gentilmente l'offerta.
Il bruno sembrava essere a suo agio. Sfogliava le pagine del contratto solo dopo aver passato il pollice sul labbro inferiore, così da avere maggior presa sui fogli. Delle volte indugiava più del dovuto su alcuni passaggi, ma la sua espressione concentrata non era mai stata così docile.
Il mio sproloquio mentale fu interrotto dall'arrivo di un messaggio. Trassi il cellulare dalla tasca leggendone il contenuto.
Messaggio da: Margot
Amanda ti ho chiamata perché ho una cosa urgente da rivelarti. Purtroppo sarebbe meglio parlarne di persona, perciò vorrei ci incontrassimo appena ritorni a Los Angeles. Fammi sapere, è importante.
Lessi quelle righe un paio di volte scorrendo sulle parole, domandandomi quale potesse essere la causa di tanto allarmismo. Le risposi che ci saremmo presto messe d'accordo. Quando alzai lo sguardo dal telefonino Dylan mi passò la stilografica facendomi prendere il suo posto. Mi sorrise mettendosi in disparte, aspettando pazientemente che anche io concludessi l'affare.
Lessi velocemente i punti d'accordo: stagista per un anno e poi collaboratrice a tempo indeterminato. Avrei avuto un ufficio tutto mio e la possibilità di assumere un assistente. Sbarrai gli occhi quando lessi la cifra a cinque zeri nella casella "compenso" annuo lordo. Era più di quanto costasse la mia intera casa e tutto ciò che avessi mai posseduto. Non c'erano clausole, né scappatoie e senza più indugiare siglai il contratto con il mio nome.
Lilian Amanda Peterson era ufficialmente una dipendente delle O'Brien Corp.
♣♣♣♣♣
Sarà valsa la pena aspettare per affondare i denti in questo succulento fine capitolo?
Sono proprio una Red Witch dispettosa, lo so. E gli incantesimi sono solo all'inizio, vi avrò stregato abbastanza per farvi andare avanti?
Alla prossima, cari Cursed ♥
PS. PREPARATE I FAZZOLETTI PER IL PROSSIMO CAPITOLO.
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