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48. Love is in the air

♫ G-Eazy & Bebe Rexha – Me, myself & I ♫

Passato il fine settimana, passò anche la sbornia. L'alcool era stato smaltito e le relazione interpersonali sistemate.

Richard era passato un paio di volte, approfittando per chiarire con Nathan su quanto discusso in precedenza. Come avevo immaginato, tra i due, si presentò subito il sereno.

Dylan si offrì di sostituirmi da Lynch per tutto il tempo necessario: non voleva che il lavoro interferisse con la mia completa ripresa. Non me lo feci ripetere due volte.

Inaspettatamente il rampollo di casa O'Brien mi stava mostrando il meglio di sé, convincendo il professore a concedermi un appello extra per l'esame. Il buon vecchio non esitò a darmi quell'opportunità.

Era il primo venerdì di febbraio quando ritornai in quella stessa aula.

Una volta consegnato il mio compito mi sentii la persona più felice sulla terra.

***

Gli avvenimenti si susseguivano veloci, rasentando una tranquillità inusuale. Avevo tutto sotto controllo: i miei amici, il mio ragazzo e la mia carriera. Si poteva dire che avessi una vita quasi perfetta.

Ed io ero lì, in attesa, a godermi quelle giornate di sole prima che la bufera imperasse e che la vita pareggiasse i suoi conti.

La nuova settimana si presentava abbastanza promettente. Come era ormai solito da qualche giorno, Dylan mi affiancava nel percorso dall'auto verso la classe, sorvegliandomi a vista. Doveva essersi procurato un bello spavento per riservarmi cotanto riguardo.

«Qual è il tuo problema?» indagai osservando il suo disagio.

Il ragazzo si rigirava per i corridoi guardingo e disgustato, fissando le pareti con faccia truce.

Alzò una mano per grattarsi la nuca e fare mente locale. «Niente... non mi ero reso conto di quanto fosse... febbraio» rispose titubante. Spalancai gli occhi stralunata. Cosa diamine significava?

«Sì, Dylan, il tempo scorre. Sai c'è gennaio, febbraio, marzo... qualcuno dovrà pur averti insegnato come si susseguono i mesi.» Lo superai deridendolo goliardicamente.

Ci vollero una manciata di secondi prima che avvertissi il suo passo pesante accanto al mio: si era fermato per una breve sosta.

«Non intendevo questo! Non ti rendi conto? È febbraio!» Mi soffermai sul posto attanagliando i quaderni e i libri che portavo in braccio. Faceva freddo, era vero, ma non era il clima a rendere quel mese così speciale. Piegai un sopracciglio scrutando stupore e malcontento sul suo volto. Scoccò la lingua al palato prima mi mettersi alla ricerca di qualcosa che avrebbe potuto sciogliere i miei dubbi.

Puntò deciso verso un fogliettino rosa attaccato alla parete con dello scotch. Lo staccò senza riserbo puntando il volantino mentre si avvicinava con grandi falcate.

«Intendevo questo! Tutti saranno incredibilmente smielati e appiccicosi. Che cosa insopportabile... Febbraio» biascicò scocciato.

Il foglio stampato recitava a caratteri cubitali "Festa di San Valentino". C'erano tutta una serie di indicazioni per il luogo. Tra le varie frasi mi balenò agli occhi "l'alcol è il tuo unico vero amore, vieni a festeggiarlo".

Non ero per nulla dell'umore. Accartocciai la locandina gettandola direttamente in un bidone per la differenziata. Non volevo saperne niente.

«È una stupida festa in uno stupido mese, smettila di fare il bamboccio e fregatene» sputai acidamente senza neanche pensare al mio interlocutore.

Mi resi conto di star esagerando quando notai la punta di delusione sulle sue labbra incrinate.

Dischiusi le palpebre per redimermi. Strinsi i pugni avvertendo la carne infilzata dalle mie stesse unghie. Non potevo trattarlo in quel modo per un mio malcontento personale.

«Dylan, io-» In quell'esatto momento Stephan si palesò ai nostri occhi. Non avrei mai parlato dinanzi a lui di quello, perciò rimasi bloccata sul posto.

«Hola, chica!» Al suo seguito comparvero anche Greg e Steve, i gemelli più stupidi della storia. Non avrei aperto bocca: era certo.

«Ciao ragazzi! Vi unite a noi?» propose Stephan. Al che accennai un segno positivo con il capo.

«Per te va bene?» mi avvicinai a Dylan sfiorandogli un braccio. Mi guadagnai una sua occhiata furente. Per quanto potesse andare d'accordo con Stephan, non potevo avere la stessa certezza per i gemelli. Era sempre stato un tipo restio nei confronti di gente appartenente al circolo di Richard.

«Non vorrei... disturbare. Diciamo così» schioccò la lingua al palato portando via la mani dal mio tocco.

«È per Richard?» sussurrai leggendo tra le righe quel suo comportamento. Lui arricciò le labbra e io pensai di aver fatto centro.

«Anche» sputò, incenerendomi con lo sguardo.

«Lui non c'è oggi. Mi ha appena scritto che viene più tardi. Non te lo ha detto, Amy?» Stephan s'intromise cercando di mantenere il sereno tra di noi.

«No, in realtà... forse avrò spento il telefono e non avrò sentito il suo messag-» provai a giustificarmi, prima di essere bruscamente interrotta da Dylan.

«Certo che sono dei vostri! Andiamo a prendere posto?» I ragazzi mi sorpassarono con a capo proprio Dylan, il quale si presentò ai gemelli. Mi maledissi per aver acconsentito a quella piccola rimpatriata. Di sicuro, senza Richard, non ne sarebbe uscito nulla di buono per me.

Quando mi decisi a entrare in aula, notai come si fossero disposti. I due consanguinei erano seduti avanti, mentre Dylan e Stephan direttamente dietro di loro. Mi accomodai accanto al biondino.

«Avete sentito della fantastica festa?» Greg, mi parve, si voltò per poter intrattenere una conversazione con noi. La trovai esagerata persino definirla "fantastica". Si trattava solo di un posto dove persone ubriache si sarebbero riunite.

«Io vorrei andarci. E voi?» domandò Stephan guardandosi intorno. Steve lanciò un occhiolino di intesa. Dylan scrollò le spalle.

«Neanche morta verrei.» Mi guadagnai delle occhiatacce da parte dei gemelli, ma li ignorai. Stephan sembrò sorprendersi.

«Come mai, Amanda?» domandò interessato. Da dietro la sua spalla sbucò la testa di Dylan, abbastanza incuriosito. Assottigliò la vista appoggiando il mento sul palmo della sua mano.

«Oh, sì, come mai, Amanda?» fece il verso. Che volesse farmela pagare per il comportamento di poco prima? Strinsi gli occhi in due fessure osservandolo con sufficienza. Lui fece altrettanto.

«Perché trovo che la festa di San Valentino sia patetica.» La mia risposta fu letta come un oltraggio da parte di tutta la corte maschile. Sperai che Dylan non aggiungesse altro e che si accontentasse della mia frecciatina.

«Ma quale patetica! Ve lo dico io, l'unica ragione per cui dice così è perché non troverebbe nessuno con cui spassarsela. Noi, però, siamo adoni greci adorati da tutte! Ehilà, Sheila, ci vediamo più tardi!» Greg si alzò in piedi per flirtare con la ragazza con dei corti capelli corvini e la minigonna inguinale. Sheila, diede il suo "okay" con un bacio volante.

«Ecco qui! Vedete come si rimorchia? E la prossima settimana ce ne saranno ancora. Ma vi ricordate Richard l'anno scorso? Quanto l'ho invidiato con quella brunetta e la rossa, per non parlare dell'altra piccoletta. Saranno state almeno tre, Steve, ricordi quella sera?» Il più intelligente dei due si spostò gli occhiali davanti il naso per rifletterci.

«Ora che mi ci fai pensare, fu un vero portento. Quanto vorrei essere stato nei suoi panni quella notte» rispose dimostrando i limiti del suo QI. Abbassai il capo verso le mie mani intrecciate. Non avevo smesso di torturarmi, neanche un secondo. Sapevo che l'assenza del capobranco non avrebbe frenato i due imbecilli dall'essere dei totali stronzi. Non mi sentivo a mio agio e piano che il tempo passava le mie dita perdevano progressivamente colore.

Serrai la mascella ignorando i due citrulli.

Che Richard fosse adorato dalle ragazze ne ero ben conscia. Che non cercasse relazioni serie in quel periodo, pure. Allora perché mi stava dando così fastidio? Probabilmente perché non si stava avendo rispetto dei miei poveri sentimenti. In fondo, ero solo una ragazza che andava conquistata dagli adoni greci e che forse non avrebbe avuto nessun accompagnatore. Strinsi ancora più forte la presa.

Stupida festa, stupida.

«Smettetela, razza di coglioni! Richard è il suo fidanzato!» Stephan tuonò risoluto. Si voltò verso di me chiedendomi con lo sguardo se fosse tutto a posto, mentre Dylan sembrava essere sul punto di attaccare quei due sbruffoni da un momento all'altro. Un mio cenno del capo e avrebbe fatto ciò che volevo.

Con l'entrata di Lynch calò il silenzio tombale nell'aula. Stephan tornò a sedersi dopo aver sgridato i due patetici "amici". La lezione era appena cominciata, eppure l'aria era carica di elettricità accumulata.

***

Sembrava che quella giornata fosse stata concepita con l'idea di tenermi sulle spine.

Io e Dylan eravamo nello studio del professor Lynch, il quale ci stava illustrando la missione del giorno: i bilanci in vista di San Valentino. Saremmo stati i banchieri della facoltà, calcolando quanto quella festa avrebbe condizionato gli introiti dell'università. Era uno studio retrospettivo basato su dati degli anni precedenti e se fosse stato particolarmente rilevante l'avremmo persino potuto pubblicare su una nota rivista del settore. Come se non ce ne fossero già abbastanza di stronzate su quella tradizione popolare.

L'amore era nell'aria, era sui muri, era nei conti, era ovunque e mi stava soffocando.

Quando Lynch andò via, lasciandoci fascicoli su fascicoli da analizzare, mi diressi verso la scrivania più grande. Avrei gestito lì la mia parte di lavoro. Dylan aveva scelto, come suo territorio, il divano sotto il davanzale: lo adorava per la posizione strategica e la comodità. Non potevo dargli torto.

Mi misi le mani tra i capelli e sbuffai. Non ne potevo già più. Era un incubo visionare quanti babbei avevano speso soldi per comprare cioccolata e rose alla caffetteria del college. Per non parlare dei libri acquistati e presi in prestito nella biblioteca o del videonoleggio saturo di richieste. Persino i distributori automatici erano stati svuotati in ottemperanza della festività.

Abbondonai per un attimo la vista dei numeri per concentrarmi su quello che c'era dall'altra parte della stanza: Dylan. Sembrava così rilassato e spensierato. Aveva una mano dietro la testa a sorreggerla, mentre con l'altra giocherellava con una matita che sapientemente faceva girare senza mai perdere di aderenza. Intercalava a quei momenti degli attimi in cui corrugava la fronte e rosicchiava l'estremità del portamine. I miei occhi non smisero di fissare la sua figura tanto presto. E fu quando notai la maglietta stropicciata e tirata leggermente in alto che persi la cognizione del tempo. I muscoli dell'addome erano contratti in maniera naturale, così come quelli del tronco e delle braccia che flettevano e si rilassavano in un circolo continuo. Un flash balenò nella mia mente: l'accoppiata Dylan e divano era troppo evocativa.

«Perché continui a fissarmi?» mi domandò Dylan malizioso interrompendo il flusso dei miei pensieri.

«No-non stavo guardando te! Cioè, sì poteva sembrare, ma-» provai a giustificarmi sotto il suo sguardo indagatore. Lui incurvò un sopracciglio e un angolo della bocca. Si divertiva a mettermi in difficoltà.

«Ma?» aggiunse con voce melliflua. L'intonazione sensuale mi fece arrossire alla stessa velocità alla quale era stata pronunciata.

Abbassai lo sguardo sulle carte, ricordandomi di ciò che era accaduto poche ore prima e di come lo avevo trattato.

«Ma non sapevo come scusarmi per ciò che è successo questa mattina. Quindi... ecco qui, te l'ho detto!» improvvisai ritornando a scrutare i conti e utilizzando quel blocco per coprire la visuale.

Sentii quasi subito il rumore di passi che si muovevano nella mia direzione. Il muro di carta venne abbattuto, mentre dall'alto lato Dylan mi fissava confuso.

«Qual è il problema, quello vero? Perché mi hai trattato in quel modo?» era incredibilmente serio. Mi morsi l'interno guancia.

«Non mi piace questa festa... perché dovrebbe esserci un problema?» domandai con voce squillante aumentando di un'ottava. Mi alzai dalla poltrona girevole. Dovevo mettere dello spazio tra di noi, le gambe mi tremavano per l'agitazione.

La mia corsa venne interrotta da Dylan che mi si parò dinanzi con il corpo. Afferrò un mio polso costringendomi ad avvicinarmi a lui. Piegai la testa di lato pregandolo silenziosamente di lasciarmi andare, cosa che non fece. Al diavolo i miei buoni propositi.

«Non è possibile che Lilian, la paladina dell'amore, non adori questa festa. È come dire che a Babbo Natale non piaccia il Natale. È impensabile. Ci deve essere sotto qualcosa ed io voglio saperlo» decise risoluto. «Non costringermi a prendere le informazioni con la forza» minacciò strattonandomi e avvicinandosi sempre più. Dylan notò che forse stava esagerando e fece un passo indietro.

«Non quel genere di forza... non ti farei del male, mai. Volevo intendere il solletico, ma mi è uscita male» si scusò. «Spero non ti sia spaventata. Se non vuoi dirmi niente stai tranquilla. Non sono affari miei.» Sapevo che non ci fosse alcune malizia nelle sue parole.

In pochi istanti feci mente locale di ciò che erano già a conoscenza Nathan ed Emma: il perché di quello mio strano atteggiamento. Magari avrei potuto fidarmi anche di lui.

«Il quattordici febbraio è il mio compleanno.» Feci spallucce notando lo stupore sul suo volto.

«Ero sicuro che Babbo Natale adorasse il Natale! Andiamo Lilian, qual è il problema? Non dovresti essere contenta? È per caso brutto perché non ricevi due regali dai tuoi fidanzati? Come per chi nasce a Natale? Ora che ci penso vorrei fosse già Natale...» Dylan si massaggiò il collo e la mascella ripensando all'unica festività che gli metteva allegria. Stava davvero vaneggiando. Lo lasciai nel suo mondo portandomi a sedere sul divano più comodo della stanza. Puntai i gomiti sulle ginocchia, raccogliendo il viso tra le mani.

«Ho detto qualcosa di sbagliato? Scusa, lasciamo perdere il Natale se non ti piace...» Dylan si avvicinò mettendosi al mio fianco e afferrando le mie mani così che potessi guardarlo negli occhi. Incurvò il sopracciglio indagatore.

«Tutto bene?» Ma non andava tutto bene. Gli occhi iniziarono a pizzicare, mentre la visione diveniva sempre più sfuocata.

«Ricordi quando ti ho raccontato del mio ultimo ragazzo?» feci a lui. Annuì.

«Quello che ti aveva tradito?» domandò senza peli sulla lingua.

«Già. Lui. Indovina che regalo mi fece per il mio compleanno?» gli lanciai la bomba nella maniera più sarcastica possibile.

Dylan sembrò collegare il puzzle in pochi istanti, passandosi la lingua sulle labbra prima di proferir parola.

«Non mi dire... che gran figlio di-» lo troncai sul nascere, nonostante condividessi a pieno il suo pensiero.

«Mentre io pensavo di star festeggiando il compleanno migliore della mia vita, l'ho trovato a letto con la cugina. E fu così che da simbolo dell'amore, il quattordici febbraio è diventato per me il ricordo dell'amarezza e la causa del mio cuore spezzato... e semplicemente lo odio.»

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