46. Appuntamenti e altri rimedi
♫ Grace - You Don't Own Me ft. G-Eazy ♫
Tutto mi sarei aspettata nella vita, tranne che trovarmi al "Le Familè" in compagnia di Matt. Era uno dei ristoranti più lussuosi di tutta Los Angel e il non saper pronunciare correttamente le pietanze in francese mi metteva particolarmente a disagio.
Squadrai più volte da cima a fondo quel libricino rivestito in pelle e con le corde di seta.
Il locale apparteneva a un ristoratore che aveva fatto fortuna nel vecchio continente e che tutti reputavano un genio della cucina tradizionale. Ne erano testimoni il personale altamente qualificato e impeccabile, l'arredamento in stile minimale e raffinato e le tre stelle Michelin impresse a fuoco all'entrata. Ragion per cui le prelibatezze che erano state presentate erano estremamente pregiate e costose. Sbattei più volte le palpebre rileggendo i prezzi dei vari tagli di carne. Non sapevo neanche che fosse possibile mangiare del cervo nello stato della California.
Una mano abbassò di colpo l'elenco che stavo scrutando da più di mezz'ora. Matt mi sorrise con riserva, come se avesse intuito il mio disagio.
«Puoi ordinare ciò che vuoi. Non badare al prezzo.» Richiamò l'attenzione del maître affinché prendesse le nostre ordinazioni.
«I signori desiderano?» Osservai dall'alto in basso l'elegante uomo. Avevo i nervi a fior di pelle. E se si fosse accorto che non avessi saputo pronunciare correttamente l'entrée?
E mentre i pensieri affollavano la mia mente, Matt si accordò sul pranzo.
«Lo chef consiglia entrecôte di cervo alla salsa di rosa canina servita insieme a una gremolada classica, accompagnata da una glassa al mango e ginepro. Raccomandiamo caldamente anche di sorseggiare un bicchiere di Picpoul de Pinet durante il pasto.» Osservai interdetta il cameriere. Si poteva ottenere una glassa dal ginepro e una salsa da un fiore? Ma la cosa che mi fece desistere dal domandarglielo era che, in verità, non avevo capito cosa avremo mangiato.
Matt sembrò notare il mio disappunto, indicando subito dopo disposizioni più "semplici": costolette di agnello con purea e fichi. Per il dolce ci avremmo pensato in seguito. Deglutii afferrando la soffice seta della tovaglia aggrovigliandola tra le dita.
Il caposala segnò tutto sull'apposito apparecchio elettronico, inoltrando la nostra ordinazione direttamente alle cucine. Successivamente si dileguò come un fulmine.
«Sembri sconvolta» mi derise Matt dopo aver indicato al sommelier di versare il calice di vino rosso che ci avevano consigliato. Ringraziai con un cenno sorseggiando quel liquido vermiglio con moderazione. Era davvero squisito e, sicuramente, costosissimo.
«Lo sono! Ma davvero ammazzano cervi affinché noi possiamo mangiarli? Ma... ma dove è la protezione animali? Come mai sei così impassibile e perché ridi? Matt!» gli tirai addosso il tovagliolo ricamato a mano: aveva ormai perso la forma di cigno da tanto tempo. Per quell'efferato gesto mi guadagnai un'occhiataccia da parte di una donna appartenente all'alta borghesia. Lei sì che aveva il portamento di una regina. E anche l'aspetto.
Matt si massaggiò la cresta nasale continuando a ridere. Afferrò il mio fazzoletto porgendomelo con grazia.
«Sei così buffa quando ti agiti. I cervi vengono cacciati in aeree protette e sono pochi esemplari l'anno. Non ti preoccupare è tutto certificato, ci sono delle convenzioni specifiche. Invece, rido, perché è la situazione più strana della mia vita. Nathan mi aveva avvertito, ma io ho volu-» La mia espressione cambiò radicalmente. Matt si morse la lingua, provando a discolparsi.
«Cioè ho chiesto consiglio a lui, ma sai... il locale. Non dovevo portarti qui, cioè-» Incurvai un sopracciglio, avvicinandomi con il busto alla sua persona. Appoggiai persino i gomiti sul tavolo - oltraggio al galateo - incrociando le dita con fare molto traffichino.
«Che cosa c'entra Nathaniel, mio caro Matthew?» Non usavo mai il nome intero di Nathan o Matt. Ma quello era un caso speciale. Piegai la testa di lato sorridendo fintanto che il volto del mio accompagnatore diveniva sempre più ombroso. Mi morsi un labbro: lo avevo visto fare in molti film e sperai così di ottenere quell'aria fredda e distaccata capace di costringere chiunque a parlare. Volevo rassomigliare a un serial killer pronto a colpire in qualsiasi istante.
Matt si abbandonò sulla sedia coprendosi subito dopo il volto con le mani per fugare il mio sguardo. «Quando scoprirà che te l'ho detto di sicuro non mi parlerà più» confessò poco dopo.
«Dirmi cosa, esattamente?» incalzai scandendo perfettamente le varie sillabe. Ormai era finita per lui. Non aveva altra mossa da compiere che la verità. Matt lasciò le braccia penzoloni ai lati del suo tronco prendendo fiato prima di parlare. Balbettò per qualche istante, non sapeva evidentemente da dove iniziare. Due erano le ipotesi: o stava cercando una scusa plausibile, o stava formulando la frase nel migliore dei modi per evitare che potessi diventare a tutti gli effetti un'omicida.
Si grattò sotto il mento sfiorando la pelle ruvida e segnata dalla barba ispida. La zona interessata dal suo tocco aveva iniziato a prendere un colorito rossastro. «Beh, io e Nathan abbiamo fatto una specie di accordo. All'asta di beneficenza ti avremmo "comprata" noi a qualunque costo. Lui non voleva che capitassi con nessun altro se non con me, perché sono l'unico di cui si fida, e quindi... abbiamo fatto a metà. Se si fosse proposto lui, era sicuro ti saresti arrabbiata.» Rimasi sconvolta, ma come si erano permessi? Ecco il perché del locale già prenotato o dei loro sguardi complici quella sera. Mi avevano presa in giro e tutto per evitare che stessi con Richard?
«Ma con quale pretesa! Ma siete impazziti? E fin dove vi sareste spinti se Dylan avesse avuto la possibilità di pagare centomila dollari? Almeno con lui potevate lasciarmi in pace, non credete?» Matt si grattò nuovamente sotto il mento. Il sottile strato di barba incolta gli stava prudendo più del previsto.
«In realtà, il budget di Nathan prevedeva cinque zeri... e per lui il problema era proprio Dylan.» Spalancai gli occhi serrando le labbra in una linea aspra.
Evidentemente c'era ancora qualcosa che Nathan non mi aveva confessato. Non capivo la necessità di quella decisione iperprotettiva. Eppure ero convinta che dopo la chiacchierata a Parigi fosse tutto risolto. Aveva ammesso che Dylan avesse finalmente ritrovato il suo cuore. Dopo ciò che mi aveva confessato ero certa che non mi avrebbe più fatto soffrire, ma Nathan non poteva sapere come si era evoluto il nostro rapporto nell'ultimo periodo.
Dopo qualche minuto arrivai alla conclusione che Matt non fosse la mente malefica del piano e che non sarebbe valsa la pena riversare il mio malcontento su di lui.
Ritornai con la mente alla settimana precedente. Il ricordo più livido che avevo era di quel bacio dimenticato: il mio segreto più profondo. Né Nathan, né Matt potevano saperlo. Forse avevano potuto solo intuirlo.
In quel preciso istante le nostre ordinazioni giunsero a servizio. Matt mi osservò guardingo. Dal suo sguardo dedussi che volesse chiedermi se fossi ancora disponibile a passare quel pranzo in sua compagnia, nonostante la "trappola" in cui mi aveva attirato. Abbassai le palpebre sbuffando incerta sul da farsi, il tutto mentre il profumo della carne sfumata inebriava le mie narici. Quando riaprii gli occhi, i fari di Matt puntati contro mi fecero addolcire per un istante. Afferrai una forchetta puntandogliela contro.
«Spero per te che le costolette siano ottime, altrimenti farai i conti con la mia ira.» Alzai le sopracciglia come se fosse una minaccia davvero tremenda.
«Allora non corro rischi, è la carne migliore della città!» sospirò sollevato, facendomi così passare una delle migliori mattinate di tutta la mia vita accademica.
***
Matt fu un galantuomo anche nel riaccompagnarmi a casa. Non aveva mai provato a superare i limiti che non gli competessero. Come aveva anche confessato, Nathan si fidava di lui ciecamente e così avrei fatto anche io.
Di ritorno avrei dovuto necessariamente raccontare a Emma della splendida genialata del nostro caro amico Nate. Avrei scommesso che si sarebbe messa a urlare, rimproverandolo come quei soldi avrebbe potuto usarli per farle un mega regalo per il suo compleanno o per comprarle la borsa - sacco dell'immondizia – che aveva sfilato a Parigi. Non avrei dovuto aspettare molto per scoprire la sua reazione spropositata.
Salii le scale di fretta e furia, inserendo la chiave nella toppa e iniziando a gridare. «Emma, dove sei, devi assolutamente sapere cosa mi è successo!» Quando alzai lo sguardo verso la sala notai la mia amica interdetta. Era in piedi e stava consumando il pavimento a furia di camminare. Era anche un po' pallida.
«Oh, Emma, tutto bene?» mi precipitai direttamente da lei socchiudendo la porta alle mie spalle e lanciando la borsa su una delle poltrone senza pensarci due volte. Sentii qualcuno lamentarsi, capendo in quel momento che ci fosse un ospite in casa. Rimasi scioccata nel scorgere Richard massaggiarsi l'addome.
«Scusami tanto, non ti avevo visto!» sussultai coprendomi la bocca con una mano. Cercai un qualche tipo di messaggio nello sguardo di Emma, ma non ne ricavai nulla. «Cosa ci fai qui?» domandai.
«Volevo farti una sorpresa, a dir la verità. Emma mi ha lasciato entrare e mi ha permesso di aspettarti.» Scrutai la bionda, la quale sembrava non molto presente al momento. Sbatté le ciglia lunghe un paio di volte prima di proferir parola.
«Sì, sì. Stavo aspettando qui con lui, ma non mi sento bene, è meglio che ritorni in camera. Tu sei arrivata quindi la mia presenza non è più indispensabile. Ci-ci vediamo dopo, allora.» Si dileguò come un fantasma. L'ultima immagine che rimase impressa sulla mia retina era quella della sua fragile figura tremante.
«È successo qualcosa?» domandai preoccupata accomodandomi al fianco di lui. Mi portai una mano sulle labbra iniziando a morsicare un'unghia senza mai abbandonare lo sguardo verso il corridoio. Mi sentivo inquieta.
«Credo che Emma abbia preso freddo questa notte, mi sembrava un po' pallida, in effetti.» Ci pensai su. Sì, poteva essere. Il galà si era concluso in tarda serata.
«Hai ragione, non sarà niente. Ma devo anche scusarmi con te, non credo di poter uscire oggi. Domani abbiamo l'esame di Lynch, ricordi? Non posso fare tardi» confessai dispiaciuta. Il dovere veniva da sempre prima del piacere, era una lezione che avevo appreso fin da piccolissima a cui non avevo quasi mai trasgredito. Sorrisi per addolcirgli la pillola.
«E chi ha mai parlato di uscire? Ho portato tutto l'occorrente per poter fare un aperitivo qui da te. Sapevo che mi avresti risposto così, sto imparando a conoscerti, bambolina.» Arrossii distogliendo lo sguardo da quegli occhi color cielo che mi stavo ipnotizzando.
«Vuoi dire che il nostro vero primo appuntamento lo avremo in casa mia?» Lui rise per la battuta. Era alquanto assurdo, ma nonostante ci stessimo frequentando da così tanto non avevamo mai avuto nulla di serio. Le gote iniziarono ad andare a fuoco, mentre le mie dita impunemente cercavano di appigliarsi a qualsiasi cosa, trovando poi conforto nella stretta di Richard.
«Perché no? Dovremmo pur iniziare, non credi?» mi umidificai le labbra acconsentendo decisa a quella proposta. Gli mostrai la cucina, poiché mi avrebbe sorpreso preparando tutto lui. Mi aveva assolutamente vietato di sbirciare. Si sarebbe trattato solo di qualche stuzzichino e un paio di bevande che avrei smaltito in tempo per il giorno seguente, o almeno sperai.
Seduta sul divano a tre posti e mi girai i pollici per circa dieci minuti. Ogni tanto la testolina bionda faceva capolino da dietro lo stipite della porta chiedendomi se non stessi nella pelle nel scoprire le sue doti culinarie. Mi sentivo pietrificata, nonostante tutta la buona volontà per mettermi a mio agio, non ci riuscivo.
I miei polpastrelli tastavano la morbidezza del divano, quello stesso utilizzato da Dylan in diversi occasioni come letto improvvisato. Una fitta mi trapassò il petto. Non poteva essere che una coincidenza infelice: in quel salone si era già consumato un altro inizio.
Scossi il capo integerrima. Dovevo fare spazio ai nuovi ricordi e cancellare quelli passati. Eppure non riuscivo a muovere un muscolo con la consapevolezza che probabilmente avrei iniziato quella storia d'amore con una bugia. Rimasi lì, immobile, come una perfetta bambolina.
Bambolina. Il mio corpo fu nuovamente percorso da una strana scossa. Quel nomignolo portava con sé un grosso peso e nella mia mente stava iniziando pian piano a diventare indigesto. E quando trovai il coraggio di alzarmi per condurre la conversazione che doveva essere fatta, Richard mi anticipò presentandosi da me con un vassoio ricolmo di svariate leccornie. Aveva preparato diversi tipi di sandwich e disposti nelle ciotoline c'erano olive verdi, salatini e pezzi di frutta di stagione.
In mano aveva due cocktail arancioni. Me ne offrì uno: quello con la cannuccia rossa e l'ombrellino a strisce azzurre.
«Direi che ti sei dato proprio un bel da fare. Sembra tutto ottimo!» gli confessai meravigliata. Richard sorrise consigliandomi di mangiare qualcosa prima di bere, per mitigare gli effetti dell'alcol. Feci come mi disse.
Assaggiai l'intruglio solo verso la fine del nostro appuntamento. Non avevo fatto altro che torturarmi le mani e mordermi l'interno guancia. Lo trovavo assolutamente un ragazzo invidiabile da tutti i punti di vista, rivelandosi anche molto più spiritoso di quanto non avessi mai immaginato. Mi aveva intrattenuto raccontandomi aneddoti sulla sua infanzia. Ma proprio mentre sembrava che avessi finalmente trovato la possibilità di vivere la serata con la spensieratezza necessaria, la testa iniziò a girarmi. Si era fatta una certa ora.
«Richard, credo che dovrei andare a letto, sono abbastanza stanca, non mi sento al massimo. Mica ti dispiace se ci vediamo domani continuando magari il nostro appuntamento?» domandai provando ad alzarmi dal divano, ma ricadendo immediatamente all'indietro. C'era qualcosa che non andava. Avevo perso l'equilibrio a causa della forte emicrania? Credevo di sapere riuscire a reggere meglio l'alcool. Soprattutto se solo un bicchiere.
Richard venne in mio soccorso come un vero e proprio principe azzurro. Mi aiutò ad alzarmi portandomi verso la mia camera.
«Mi sa che non è stata una brillante idea la mia, spero tu potrai perdonarmi» si scusò seducente quando la mia mano era stretta alla sua e il mio corpo era adagiato per buona parte sul materasso. Non volevo lasciarlo. Sentivo di aver bisogno di lui, avevo necessità che qualcuno rimanesse con me in quel momento. Non ero abituata a stare male fisicamente e mi spaventava l'idea di dover stare sola.
«Vorrei che non te ne andassi...» confessai tirandomi un po' più su con il busto. Stavo facendo un grande sforzo, ero davvero stanca. Decisi di abbandonare l'idea di essere lucida dando solo ascolto al mio lato irrazionale.
«Resta qui a dormire» pronunciai quasi incespicando nelle parole. Notai lo sbigottimento iniziale di Richard, accettando poi di buon grado. Fece il giro del letto posizionandosi accanto a me. Mi accarezzò una guancia, scendendo poi verso la mia spalla e il mio braccio. Io rimasi lì in balia del suo tocco caldo.
La testa, per quanto girasse ancora, non mi permetteva di scorgere ogni dettaglio o di pensare al meglio. Ma fui certa che, in quella notte, più volte le mie labbra si scontrarono con quelle di Richard. Purtroppo, però, non riuscii a godere a pieno di quei nostri primi baci.
E mi dispiacque perché non avevano avuto il sapore che avrei tanto voluto avessero.
♣♣♣♣♣
Non sono qui per discolpare Amanda per ciò che ha appena combinato (tutta colpa sua eh, io non c'entro niente :P), ma sono qui per informarvi che tra un po' avremo un paio di capitoli raccontati dal punto di vista di Dylan!
Intrigati? Ovvio, vi ho appena lanciato un incantesimo! Beh, ci sarà solo da un aspettare un altro pochino, ma ne varrà la pena.
Un bacio e alla prossima, dalla vostra Red Witch, Haineli ♥♥
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