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43. Nottate alcoliche (2/2)

♫ Imagine Dragons - Whatever It Takes ♫

A interrompere il mio stato di beatitudine furono delle urla. Estremamente vivide.

Stramazzi che nella mia mente mi riportarono a un paio di mesi precedenti.

Alzai il busto di scatto: era buio, ancora molto buio. La sveglia con le lancette illuminate era a terra da un bel po' di settimane, perciò non seppi con precisione dire che ore fossero. Tutta la mia attenzione era canalizzata su Dylan. Si attivò una specie di campanello di allarme, poiché non era la prima volta che accadeva.

Indossai una vestaglia per poi passare davanti la camera di Emma. La porta si aprì e la bionda ne uscì devastata.

«Che sta succedendo?» chiese sbadigliando e stropicciandosi gli occhi guardinga.

«Niente, niente, torna a dormire, ci penso io» la dileguai. Lei fece come avevo detto richiudendosi in stanza.

Percorsi a grande falcate il corridoio raggiungendo Dylan in pochi attimi, il quale si era accomodato sul divano come ipotizzato.

Stava ancora dormendo, eppure, sembrava stesse soffrendo.

Mi misi in ginocchio accanto a lui afferrandogli una mano. Le urla sommesse non terminarono, almeno non subito. Nonostante la mia presenza, sembrava che non potessi calmarlo se non svegliandolo. Notai una scia traslucida rigargli il volto in tutta la sua lunghezza. Le lacrime terminavano cadendo sul parquet.

Gli accarezzai la cute leggermente arrossata, mentre cercavo di rendere più salda la presa tra le sue dita. Il moro sembrò destarsi alzando impercettibilmente la testa e schiudendo gli occhi per la prima volta. Ero a pochi centimetri da lui e notai subito come fosse spaventato: aveva il respiro accelerato e la fronte imperlata di sudore.

«Ehi» sussurrai. Non smisi di sfiorargli il viso neanche per un attimo delineando senza accorgermene i contorni della sua mascella. La pelle risultava ruvida al tatto, complice la barbetta incolta che gli ricopriva il volto. Pungeva un po' al contatto, ma non volevo interrompere la continuità: lo avrei tranquillizzato.

Sembrò riprendere il contatto con la realtà quando finalmente strinse la sua mano attorno alla mia. Forse un tacito segno di riconoscimento?

«Stavi sognando, era solo un incubo...» gli confidai più dolce possibile. Serrò le palpebre per poi inspirare a pieni polmoni al fine di riprendere un ritmo normale. Quando li riaprì notai come le sue pupille fossero differenti rispetto l'attimo precedente: più lucide e profonde. Un'altra lacrima discese sul suo viso senza che potessi fare nulla. Feci in tempo a bloccarla all'altezza delle labbra con il pollice sfiorando delicatamente quel lembo di pelle rosato e indugiando più del dovuto. Mi stavo perdendo nei contorni della sua bocca.

«Mi dispiace...» sussurrò sommesso. Retrassi la mia mano quel tanto che mi sembrava opportuno, ma una nuova forza mi costrinse a ritornare sui miei passi: Dylan aveva arrestato i miei movimenti.

Mi si bloccò il cuore. Perché si stava scusando? Non aveva fatto nulla di male, non quella volta. Se c'era una cosa che avevo potuto intuire di Dylan, era che lui fosse una persona non si perdonava facilmente. Aveva il più forte senso del dovere di chiunque avessi mai conosciuto. Mi interrogai su quale sbaglio stesse rimuginando e cosa non gli stava dando pace, chissà a quale dolore stava attingendo quella volta. Il ragazzo ubriaco di qualche ora prima era solamente un lontano ricordo: aveva lasciato il posto a un'ombra sofferente.

Quello, purtroppo, era il prezzo che bisognava pagare nei confronti dei propri pensieri: per quanto si provasse a scappare, non ci sarebbe mai stato scampo. Non si poteva fuggire da sé stessi.

E Dylan si era appena ritrovato dopo il blackout della serata.

«Shh... è tutto a posto. Sei solo ancora un po' brillo. Domani ti sentirai meglio» provai a consolarlo. Le sue iridi scure saettavano freneticamente da quando li aveva riaperti senza trovare pace. Al suono delle mie parole sembrò calmarsi e i movimenti oculari divennero più placidi. Non c'era più incertezza o paura, ma solo ardore. Una distaccata quanto livida voglia di perseguire il nuovo obiettivo prefissato: me.

Mi scrutò fin dentro l'animo forse per la prima vera volta da quando aveva urlato. Un brivido percorse la mia schiena, bloccando persino i miei movimenti oltre che il respiro.

E così cessai di sfiorargli il volto, mentre inconsciamente ero giunta nuovamente sulle sue labbra imprimendo una forza tale da costringere quel lembo di pelle a incurvarsi. Ero troppo concentrata a ricambiare il suo sguardo, i miei occhi fissi nei suoi quasi neri, per accorgermi di aver spostato il peso del mio corpo più in avanti.

Non potevo spiegarlo, ma sembrava fossimo persone totalmente differenti rispetto a quelle di qualche attimo prima.

Con il favore dell'oscurità sembravamo cullarci dell'incertezza in cui quei respiri smorzati ci avrebbero portato. La notte sarebbe stata nostra complice. Le sensazioni che stavamo provando sarebbero rimaste marchiate a fuoco in noi per molto tempo ancora.
La presa sulla mia mano si rinvigorì crescendo fintanto che il nostro contatto visivo aumentava di durata e intensità.

Le pupille corvine si allargarono impercettibilmente, segno dell'adrenalina che vi era in circolo. Mentre al contempo le nostre fronti entrarono in collisione. Mi abbandonai solo per qualche istante, interrompendo quella strana malia data dai suoi occhi. Ne ero attratta senza averne consapevolezza. Inspirai profondamente accorgendomi solo allora che il mio fiato rimbalzava sulla sua pelle e che persino i nostri nasi erano entrati in contatto. Avevamo annullato quasi tutte le distanze.

Dylan piegò di lato il capo quel tanto per osservarmi meglio: e come in una danza struggente iniziò a focalizzare la sua attenzione su tutti i piccoli particolari che sarebbe stati difficili inquadrare in qualsiasi altra condizione. Il mio cervello aveva smesso di emettere segnali congruenti. Ero in completa balia delle sue azioni. Era il mio incantatore e io non sapevo come sottrarmici.

Non sapevo se volessi sottrarmici.

Come in un movimento riflesso schiusi le labbra lasciando che un lieve sospiro ne fuoriuscì. Fu allora che divenne più evidente come in realtà non c'era più niente a separaci. Avevamo sincronizzato i battiti dei nostri cuori: andavano di pari passo, accelerati e così dannatamente instabili.

Potei avvertire numerosi brividi percorrere impertinenti il mio dorso.

Avvertivo la tensione, era papabile, e sapevo che in qualche modo era stato lui a darle avvio. La trepidante voglia di superare i confini invalicabili della razionalità partiva dalla presa sulla mia mano, continuava sul suo corpo incollato al mio per proseguire tramite il contatto con le nostre fronti. Ma non era finita lì.
La stessa si trasferì sul volto per poi continuare inspiegabilmente sulla sua bocca, come una calamita.

Vidi come si protese in avanti e io non feci niente per evitarlo. Non feci assolutamente nulla per tirarmi indietro. Il suo slancio era solo il risultato della chimica accumulata in tutti quei giorni: inevitabile.

«Lilian...» sussurrò prima di fare un gesto che mai mi sarei aspettata di ricambiare in quel momento. Un gesto che a dir la verità, desideravo con tutta me stessa.

Eravamo nel centro del ciclone e non avevamo coscienza della tempesta che stava intercorrendo intorno a noi.

Lasciai che le nostre labbra si incontrassero e scontrassero ardenti e vogliose. Era un contatto che bruciava fin dentro l'anima e che mi faceva sentire così spoglia di fronte l'evidenza che le nostre bocche sembravano essere state create per unirsi. Molteplicemente e senza riserva. Lasciai a me stessa l'opportunità di assaporare quel dolce e soffice lembo di pelle rosea per tutto il tempo che fosse stato necessario. Lasciai che il mio corpo prendesse il sopravvento sulla mia razionalità.

Abbassai le palpebre ricambiando il suo bacio, premendo prepotente. Ci stavamo concedendo qualche secondo per approfondire al meglio quel nostro nuovo contatto e per ricavarne quante più informazioni possibili. Era casto e molto dolce, ma era un bacio a tutti gli effetti: carico di passione, carico del sapore salmastro delle sue lacrime e carico di noi, forse di un noi che non vedevo l'ora di essere.

O forse di un noi che non doveva esistere.

Perché era quello il problema con i pensieri. Sarebbero riusciti sempre a riaffiorare nonostante tutta la fatica fatta per accantonarli. Non si poteva fuggire.

Mi separai precocemente lasciando un vuoto incolmabile, così come quello che avvertii dentro di me quando riaprii gli occhi di colpo risvegliandomi da quel sogno impossibile. La sua mano allentò la presa istantaneamente, mentre il suo capo ricadeva all'indietro adagiandosi sul cuscino e regolarizzando il suo respiro.

Mi assicurai si fosse riappisolato, allontanandomi da lui con uno scatto.

L'oggetto dei miei desideri era diventato il mio incubo peggiore. Mi raggelai portandomi le mani in viso. Cosa avevo appena fatto?

Mi sfiorai la cute come per rievocare quelle sensazioni peccaminose. Non potevo credere a quello che avevo appena acconsentito.

I miei pensieri furono uno più distruttivi dell'altro.

Era tutto sbagliato.

Avrei buttato al vento la mia possibilità di vivere una vita felice per qualcuno di così profondamente danneggiato. Io... non avrei mai tradito. Io era quel tipo di persona che non feriva qualcuno a cui voleva bene, mai.

Mi alzai dal parquet lucido più spaventata che mai. Corsi in camera richiudendo la porta con un colpo secco. Stavo tremando.

Mi appoggiai con la schiena contro il muro discendendo lentamente verso il basso fino a toccare terra. Non dovevo permettere che certi atteggiamenti mi rovinassero la vita, non dovevo permettere che Dylan me la rovinasse. Lui non era l'uomo ideale per me. Era così dannatamente testardo, così sbruffone, così sbagliato.

Lui non amava. Non più. Da molto tempo.

E di certo non aveva voluto baciarmi perché provava qualcosa per me. Io c'ero cascata come una stupida e patetica bambina

Ingenua, come mi aveva definito.

Sapevo che non gli avrei potuto dare ciò di cui lui aveva bisogno e lui non sarebbe riuscito a curare il mio cuore ferito.

Mi ripromisi che mai più avrei ceduto alle sue provocazioni. Lo dovevo a me stessa e ai sentimenti sinceri che provavo. Una lacrima prepotente e piena di rimpianto discese.

Nell'incertezza dell'inizio di un nuovo giorno, mi ripetei più volte che quel bacio non aveva avuto nessun valore se dato senza un briciolo amore.

Ma quello non potevo ancora saperlo.

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