41. Love . . .
♫ Nightcall - Sleepwalking ♫
Eravamo chiusi in quella scatola per sardine da più di un'ora.
Sapevo che prima o poi Emma e Nathan si sarebbero accorti della nostra assenza, o almeno quello era ciò che mi ripetevo. Il mio telefono si trovava oltre la porta bloccata, mentre quello di Dylan aveva deciso di scaricarsi nel momento del bisogno.
Eravamo da soli, così vicini eppure così lontani. Occupavamo le pareti opposte della stanza dopo aver tracciato una linea immaginaria di confine: ognuno aveva la sua giurisdizione. Avevo raccolto le ginocchia al petto mantenendo lo sguardo basso, mentre lui non aveva fatto altro che osservare la flebile luce a incandescenza della lampadina diminuire e aumentare d'intensità.
Il tipico ronzio dell'elettricità riempiva il vuoto di quello spazio, ma non era abbastanza. Con il calare del sole persino il gelo si era fatto più pressante. Strofinavo le braccia con le mani in modo da generare calore. Appoggiai la fronte contro le ginocchia abbassando le palpebre per concentrarmi e non pensarci.
«Stai bene?» Accennai con la testa una risposta positiva, senza effettivamente importarmene se il messaggio fosse stato recepito.
L'agitazione stava iniziando a prendere il sopravvento sulla razionalità: non ero claustrofobica, ma non mi era mai capitato di ritrovarmi bloccata da nessuna parte. Iniziai a digrignare i denti per il freddo, stavo fremendo e io non ce la facevo più.
Mentre la mia mente divagava, una leggera sensazione di calore si fece strada sulla mia pelle. Alzai lo sguardo notando Dylan in piedi, di fronte me, mentre la sua giacca di lana ricopriva le mie spalle. Rimasi spiazzata da quel gesto.
«Gr-grazie» balbettai. Dylan scrollò le spalle prima di ritornare al punto di partenza.
«Rimani qui... staresti più al caldo.» Notai un cambio sul suo volto. Accennò un sorriso, che scomparve subito dopo, accettando la mia proposta. Si sedette al mio fianco rimanendo con solo il maglione. Nessuna emozione traspariva dal suo viso.
«Scusami. Non volevo...» iniziai insicura. Dylan sbuffò.
«È solo una giacca, non ti lascio morire assiderata» rispose acidamente. Non mi riferivo a quello, però.
«Non mi hai capito. Mi dispiace per tutto. Mi dispiace di essere stata e di essere un peso per te, di aver esagerato e di aver interferito con la tua vita. Non lo avrei mai voluto e vederti così adirato nei miei confronti non fa che aumentare la mia angoscia e il mio sentirmi colpevole.»
«Lo sappiamo bene che c'è un solo colpevole in tutta questa faccenda e non sei tu.» Si scombinò i ciuffi ribelli con un semplice gesto della mano, cambiando posizione e mettendo ancora più distanza tra di noi. Mi rannicchiai verso le ginocchia.
«Richard ha solo la colpa di essersi interessato a me. Non conosco i tuoi problemi con lui, ma credo che-» mi bloccò fulminandomi con i suoi occhi scuri in tempesta.
«I miei problemi con lui sono i miei problemi e credimi se ti dico che non c'è niente di carino, né di sistemabile! Lui fa parte della mia vecchia vita e non posso fare nulla per cambiare il passato. È così, è stato scritto così e sarà sempre così. Perciò che tu voglia averci a che fare nonostante le mie raccomandazioni sono affari tuoi, ma non costringermi a convivere con delle scelte che non posso accettare.»
«Va bene. Non tirerò più in ballo questo argomento...» In realtà non era vero, volevo parlare, dire la mia e sfogarmi di un mese di silenzi e lacrime soffocate. Non poteva cavarsela con poco, non ancora una volta. Non volevo rimanere in un angolo e lasciare a lui tutte le decisioni. «Anche se, sai... è strano! Pensavo a una delle prime volte in cui noi abbiamo parlato, reputandoti una persona estremamente onesta. Mi avevi mostrato il tuo peggio e, nonostante tutto, dai tuoi occhi avevo intravisto il tuo bisogno di affetto. Di qualcuno che potesse darti una seconda possibilità visto che a te non era mai stata concessa. In questo momento sono io a chiedertene una, eppure, vengo ripagata con indifferenza e sufficienza. Sei ingiusto e ipocrita.»
«Lilian...» sussurrò per intimarmi di smetterla. La mascella tirata aggiungeva ancora più durezza al suo sguardo arcigno.
«No, Dylan! Basta! Ora parlo io!» Mi ero infervorita. Mi sentivo ribollire il sangue nelle vene e di colpo tutto il calore che avevo accumulato stava per essere liberato in una esplosione di sentimenti. Mi alzai da terra solo per scivolare su di lui puntandogli un dito contro. La sua giacca ricadde pesante con un tonfo.
«Sai cosa c'è? Penso sia inutile essere una brava persona con te. Credo che tu sia troppo egoista: ti frega solo di te stesso soffermandoti su ciò che può ferire te, senza mai realizzare che gli altri hanno i tuoi stessi sentimenti. Affermi di voler rimanere solo e per non legare con nessuno preferisci mostrarti sprezzante e arrogante. Rigetti anche il più piccolo briciolo d'amore che qualcuno ti dona, preferendo di gran lunga la solitudine come tua grande amica, ma ti sbagli di grosso e inconsciamente lo sai. Vedo come i tuoi occhi vorrebbero parlare, invece che spaventare chi hai intorno. Noto come allontani gli amici mentre il sorriso ti muore sulle labbra. Sei alla continua ricerca di motivi per odiare, ma in realtà hai dei momenti in cui ti lasci scivolare via tutta la negatività della tua mente e in cui sei assolutamente incredibile. Però, in una manciata di secondi tutto ritorna come prima perché basta una scintilla per farti ricadere di nuovo nel baratro incredibile della tua oscurità interiore. La verità è che hai una grande anima, riserva di dolore e malinconia che ti porta a essere così dannatamente ostile, ma anche così dannatamente bisognoso di aiuto.
Perciò, Dyl, perché mi spingi via? Perché lo fai, di cosa hai paura?» Le mie parole avevano avuto l'effetto contrario. Invece che appianare il mio spirito, avevano alimentato la fiamma. Il moro si alzò nello stesso tempo in cui i miei pugni si aggrappavano a lui, battendo prepotenti contro il suo petto rigido. «Perché continui a dirmi che sto sbagliando, ma tu non te ne riesci a rendere conto?» continuai a scontrarmi con la sua figura. Non volevo ferirlo, ma solo fargli accorgere del mio dolore. «Perché mi illudi di essere una persona speciale per poi trattarmi come una perfetta sconosciuta?» provai a tirare un altro colpo che, però, venne intercettato dalla mano di Dylan a mezz'aria. Una lacrima sibillina, calda, iniziò a discendere sulle mie gote seguita a ruota da una seconda, terza e così via, come un fiume in piena.
Sapevo che era sbagliato: non mi aveva mai promesso nulla. Desideravo solamente non sentirmi in quel modo vile che non mi lasciava in pace neanche nei sogni.
Inaspettatamente avvertii la stretta Dylan intensificarsi attorno il mio polso, costringendomi ad avvicinarmi a lui. Mi raccolse tra le sue braccia sovrastandomi e accogliendomi come custode delle mie fragilità.
«Sei così dolce e ingenua. Persino adesso stai provando a fare la dura, ma la realtà che tu vedi, il Dylan vittima, è tutta una bugia. Non mi merito questo, non mi merito neanche una tua lacrima. Sono una cattiva persona e non devi rovinarti la tua vita per me. Non devi...» Alzai gli occhi lucidi verso di lui, sembrava sinceramente dispiaciuto. Mi discostai ricacciando indietro il pianto. Sarei dovuta essere più forte, non solo provarci. Tirai su con il naso.
«Mettimi alla prova, dimostrami quanto tu sia una persona tossica. Ti sto chiedendo di fidarti per l'ultima volta, sarò io a decidere se le mie lacrime saranno state versate invano» lo provocai. E fu proprio sotto il peso delle mie parole che notai un cambiamento improvviso nella curvatura delle sue labbra. Era impressionato. Forse perché nessuno mai prima d'ora gli aveva chiesto di elencare le nefandezze che secondo lui avrebbero reso marcio il mondo.
«Forza, sono qui, aspetto di sentire quanto tu sia orribile. Voglio conoscere ogni cosa. Quanto orgoglioso tu sia stato, quante ragazze ti sei portato a letto senza più richiamare. Quante volte hai infranto la legge e quanti cuori hai spezzato. Quanti desideri hai spento e quanti altri hai conquistato. Se non vuoi darmi il meglio di te, allora dammi il tuo peggio, Dylan!» gridai facendo un passo indietro e liberandomi dalle sue braccia con uno strattone. Notai la tensione a fior di pelle: sul collo le vene pulsavano tediose facendo aumentare il rossore del suo viso a vista d'occhio.
«Non lo vuoi veramente sapere» sussurrò Dylan. Risi amaramente portandomi le mani tra i capelli scombinati.
«Oh, no, è qua che ti sbagli! Mi fai scenate assurde sul fatto che io sia una ficcanaso e poi mi dici che in realtà non voglio saperlo? Se sono arrivata a questo punto è solo grazie a te. Hai la strana ossessione di voler avere il controllo di ogni cosa, ma il mondo non gira sempre a tuo favore! Delle volte si è costretti a fare anche ciò che odiamo, come me in questo momento! Sto aspettando! Non ti compatirò, perché ho capito che con te non c'è mai limite alla bontà che una persona possa offrirti e che tu non sarai mai in grado di ricambiare. O almeno non lo farai fintanto che ti sembrerà di non meritarla. Ti sto dando un ottimo motivo per comportarti da stronzo, perciò accetta l'offerta e, forse, avrai ciò che vorrai: non vedermi mai più. Perché alla fine è questo che vuoi, vero? Allontanare chi inizia a volerti bene, chi potrebbe farti soffrire? Vuoi buttarmi via ancora prima che ci possa essere una qualsiasi forma di amicizia perché pensi possa tradirti e farti stare male?» Continuava a flettere e tendere i muscoli delle braccia come un animale in gabbia. Non poteva scappare più e lo sapeva anche lui.
«No, non sono così!» prese fiato rivoltandosi e serrando i pugni. «Io non sono una brava persona! Non ho paura di essere ferito! E non mi piace essere un bastardo che dispensa terrore e dolore! Io non voglio allontanarti, ma tutto questo non ha importanza. Perché io lo devo fare! Sono fatto così, Lilian, io sono questo!» gridò a sua volta sbracciandosi verso di me con una voce rotta dall'emozione.
«Dimmi chi cazzo sei, allora!» buttai fuori tutta l'aria che avevo, livida di risentimento.
E, mentre il dolore attraversava come una scheggia il volto di Dylan, l'aria intorno a noi si era rarefatta rendendo indelebile la sensazione di tedio fin nelle ossa.
«Sono un assassino, Lilian! Io sono un fottuto assassino!»
Le sue parole rimasero sospese in quell'atmosfera carica di incredulità. Immobili, come se il tempo si fosse fermato e io stessi elaborando. Dylan mi scrutò sconfitto come se avesse appena scoperchiato il vaso di Pandora. Le sue paure, il suo crogiolarsi e la sua alterigia si immischiarono intimamente vedendo la luce per la prima volta dopo troppo tempo. Lentamente e inesorabile prese a tastare il muro alle spalle, incespicando nei suoi stessi passi. Si raccolse sul pavimento mantenendosi la testa tra le mani e ripetendo a bassa voce quella stessa frase.
«Sono un assassino, Lilian. Non ho paura di essere ferito, ho paura di ferire come è successo in passato. È sempre così... chiunque mi sta intorno finisce per provare ancora più dolore.»
Dimenticai all'istante tutti i motivi per cui dovevo essere arrabbiata. Cosa significava ciò che mi aveva confidato? Aveva ucciso qualcuno? Non poteva essere vero, non volevo crederci, non poteva essere così. Sbarrai gli occhi sconcertata. Ci doveva essere una spiegazione. Dylan vedendomi in difficoltà iniziò a ridere amaramente.
«Non te lo saresti mai aspettato, vero? Sai perché Richard non può sopportarmi? Perché lui conosce questo mio segreto. Sa quanto io sia stato vile e vederlo ogni giorno non fa altro che alimentare in me la rabbia che avevo assopito per così tanto tempo. Lui mi odia e mi odia così tanto che ho iniziato a odiarmi anche io. Pertanto so di non meritare niente di buono da questa vita. Volevi sapere la verità e ora che la sai puoi finalmente starmi lontano, magari in questo modo non ferirò anche te.» Si strofinò il viso con le mani prendendo finalmente fiato. Chiuse gli occhi appoggiando la nuca contro la fredda parete di mattoni. Per lui era finita: il re dei segreti era stato spodestato e non c'era più nulla che potesse mascherare i suoi sentimenti. Per la prima volta aveva esposto le sue fragilità interiori: armi da utilizzargli contro.
Io rimasi lì, imbambolata e immobile.
«Non ti credo» sentenziai abbassandomi alla sua altezza. Gli afferrai le guance con un gesto veloce della mano costringendolo a scrutare solo me. Non sarei scappata come aveva pianificato. Dylan rimase stupito incurvando le sopracciglia con fare dubbioso.
«Ti ho appena rivelato di aver tolto la vita a una persona e tu dici che non mi credi?» indagò retorico con gli occhi lucidi e la voce incrinata.
«Non credo che questa sia tutta la verità. È solo una parte della storia che ti sei raccontato per tutti questi anni, ma non mi basta. Quella lettera che ho letto racchiude molto più di questo. Se avessi veramente ucciso qualcuno tu non saresti qui. Perciò o mi racconti tutto per filo e per segno o penso proprio che non ti crederò. Non ti libererai di me così facilmente» lo provocai. Lui accennò un sorriso di sfida dopo qualche attimo di riflessione. L'unico modo che avevo per convincerlo era fargli varcare il suo limite mentale.
Mi sedetti a pochi metri da lui aspettando una reazione. E per la prima volta da quando lo conoscevo, Dylan era semplicemente Dylan, e il peso della sua colpa pian piano si alleviò con l'andare delle sue parole.
«Sei una delle persone più testarde che abbia mai conosciuto.»
♣♣♣♣♣
Ebbene, cari Cursed, siamo arrivati al fulcro della storia, seppur ben lontani dalla sua conclusione.
Ci tengo molto a questo capitolo e a quello che seguirà perché in queste brevi righe si evince ed è racchiuso il significato profondo che ho voluto dare a tutto il libro.
Perché amare è il motore del mondo, ma fa così dannatamente paura.
La vostra Red Witch dal cuore tenero♥
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