38. Confessioni al sapore di sambuca
♫ Green Day - American Idiot ♫
Per chi viveva di moda e costumi, come Emma ed Eric, la sfilata era stato l'evento del secolo.
Il duo era entusiasta: avevano avuto l'opportunità d'incontrare i personaggi più facoltosi e i modelli più richiesti nel mercato internazionale. Avevano avuto l'occasione di confrontarsi con gli stiliti di rilievo, saggiando quello che sarebbe divenuto il loro futuro.
Non sarebbero mai stati più felici in vita loro.
Ma quelli erano Emma ed Eric, tutt'altra storia era la mia.
Stavo ingurgitando il terzo bicchiere di un qualche tipo di vodka, la gola pizzicava, ma più il liquido scendeva attraverso l'esofago, più i miei muscoli si rilassavano. Poggiai il vetro sul tavolino del "Le Poison" scrollando le spalle.
«Non è stata una vacanza perfetta?» domandò la bionda spalmata sul braccio di Cassidy, la quale afferrò il suo volto tra le mani premendo con insistenza il pollice e l'indice contro le sue guance.
«Certo, Emma, tutto perfetto...» sussurrò tra i suoi ciuffi ribelli. Era pensierosa: i suoi occhi vagavano senza un ben preciso motivo. «Vado un attimo in bagno, torno subito» ci comunicò poco dopo.
«Nooo, non andare... oh, Matt» Emma afferrò il bicipite dell'ala dell'UCLA con chiari intenti. «Tu non vai da nessuna parte, vero? Sei stato bene con noi?» continuò sbattendo le lunghe ciglia. Il ragazzo non sembrava imbarazzato per nulla, anzi, circondò le spalle di Emma con fare fraterno per cullarla e rassicurarla.
«Ma tu non sei fidanzata con mister fantasma?» le chiesi sottovoce. Matt non diede peso alla domanda, per lui non c'era alcuna malizia e trattava ogni amica con il massimo del riguardo. Al contrario, Dylan sbuffò scocciato.
Margot continuava a girarsi i pollici poiché di Nathan non c'era traccia. Sbadigliò: si stava palesemente annoiando.
«Sai dove è Nate?» domandai a quell'ultima.
«Aveva detto che avrebbe fatto subito. Doveva prendere da bere... non vorrei gli fosse accaduto qualcosa. Sembra un po' pensieroso nell'ultimo periodo, persino la cena che aveva organizzato non è andata nei migliori dei modi» mi confidò oscurandosi in volto.
Mi avvicinai. «Tutto bene tra di voi, Margot?» volevo essere il meno invadente possibile.
Lei sussultò, ma prima di potermi rispondere una voce roca fece capolino nei nostri discorsi.
«Possibile che non riesci a farti gli affaracci tuoi per una volta? "E Nathan dov'è, il tuo ragazzo chi è, avete litigato?", sei davvero una lagna continua. Pensa a Richard e non romperci le scatole! Tanto sappiamo tutti la realtà: ti importa solo di lui o di te stessa più di quanto ti sia mai fregato di noi!» Ero sconvolta. Le parole erano cariche di risentimento e malcontento. Non ero mai stata una persona egoista e il fatto che Dylan lo pensasse mi stava facendo fumare per il nervoso.
«Richard!? Vuoi davvero tirare fuori questo argomento? Se non ricordo male sei stato tu ad aver detto di non voler più avere niente a che fare con me e ora ti lamenti perché sto cercando di parlare con un'amica? Sai che ti dico, non voglio ascoltarti. Voglio stare lontano da te, dai tuoi stupidi pensieri, dalla tua stupida vita, dalle tue stupide proposte, stupido bambino viziato!» gli puntai il dito contro la fronte imprimendo con più veemenza dopo ogni parola. Avrei continuato a chiamarlo "stupido", ripeterlo nella mia mente annebbiata era così liberatorio.
«Ah, e così io sarei il bambino? Poppante capricciosa che non fa altro che spiattellare in giro ciò che io faccio o con chi sto. Era proprio necessario rivelare a Emma ciò che faccio nel tempo libero e il nome della mia amica? Ti pare che sia un comportamento maturo?» mi rinfacciò Dylan sporgendosi e increspando le labbra. Mi retrassi spaventata riacquisendo immediatamente la sicurezza che mi mancava. Chissà da quanto covava quell'imboscata e io c'ero cascata con tutte le scarpe.
«Lola sarebbe tua amica? Chiamala piuttosto come la tua... tua amante!» avrei messo i puntini sulle "i".
Dylan scattò sull'attenti scrutandomi dall'altro. «Ma sei impossibile! Cosa stai farneticando? Lei non è la mia amante! Non ci sono neanche andato a letto! Se proprio ti interessa saperlo l'ho aiutata a riconciliarsi con la fidanzata. All'inizio avevo intenzione di provarci, non lo nego, ma durante la sfilata mi ha rivelato di essersi da poco lasciata con la barista, così ho provato a risollevarle il morale. Dato che non c'era nessuno a cui sarebbe mancata la mia presenza, ho passato l'intera notte ad ascoltarla! Siamo stati nella stessa stanza, è vero, ma solo perché si era fatto tardissimo. A mie spese ho scoperto che Lola nel sonno si agita e accidentalmente mi ha colpito al collo lasciandomi questo vistoso livido. Ora che sai la verità sei soddisfatta? Hai avuto le risposte che cercavi, perciò non hai più scuse per non risolvere i casini della tua di vita e lasciare in pace le nostre!»
«Non lo sapevo... avresti potuto stare con noi! Perché tu pensi-» urlai alzandomi in punta piedi per seguire i suoi movimenti. Cosa era quella strana sensazione che avvertivo dentro di me?
Matt ci separò con le buone. «Ragazzi, smettetela. Amy, se vuoi ti accompagno fuori a prendere un po' d'aria» mi consigliò come un fratello. Era proprio amico di Nathan.
«Sì, forse è proprio ciò di cui ho bisogno...» risposi con un filo di voce.
«Certo, vai! Corri Lilian, non sia mai potresti darmi ragione! Brava, scappa!» mi derise con tono sprezzante allargando le braccia e facendo segno verso le scale. Dopo di che si ributtò a peso morto sulla poltroncina rossa, mentre Emma afferrava da dietro Matt continuando a ciondolarsi su di lui.
Rimasi interdetta quando affrontai il viso dispiaciuto dell'ereditiere. Non era mio solito rimanere in silenzio alle provocazioni, ma in quel momento mi sentivo umiliata, come fossi un sacco da box preso a calci, il cui contenuto era stato riversato sul pavimento.
Feci cenno di non seguirmi, almeno ci sarebbe stato qualcuno che avrebbe potuto tenere Emma sotto controllo e compagnia a Margot. Di Dylan non ci si poteva fidare.
O meglio, lui non si sarebbe mai fidato di noi.
Uscii all'esterno, svoltando appena fuori "Le Poison". Mi appoggiai contro il muro, scivolando lentamente verso il basso.
Mi accomodai sul freddo marciapiede di una delle stradine di Parigi. L'aria francese era pungente a quell'ora della notte. Mi strinsi tra le braccia e il cappotto, appoggiando la testa sulle mia ginocchia accovacciate.
Negli istanti che seguirono avvertii la presenza di un'altra persona. Tutto ciò che potevo udire erano respiri sommessi, frammisti a singhiozzi. Mi costrinsi a indagare per capire se fosse tutto frutto della mia immaginazione. Ma colui che vidi seduto per terra a piangere non era un fantasma, bensì Nathan.
Gli corsi incontro strappandogli la bottiglia che aveva tra le mani. Certe abitudini erano difficili a morire in famiglia. Che diavolo stava succedendo?
Dei ricordi dolorosi mi attraversavano la mente, ma li ignorai ponendoli in un angolo remoto del mio inconscio. Mi abbassai per scrutare il suo volto. I cugini avevano più cose in comune del previsto.
«Che stai facendo, Nathan? Perché piangi? Perché sei qui fuori da solo?» strofinai sul suo viso le mie dita gelate per eliminare i residui salmastri. Lui mi scrutò stupito, non aspettandosi la mia presenza. Le congiuntive arrossate erano ben visibili nonostante la poca illuminazione del retro bottega. Il suo alito sapeva di alcool in maniera pungente.
«Amanda? Non dovresti essere qui... non dovresti vedermi così!» farfugliò abbassando lo sguardo per nascondersi. Mi inginocchiai accanto a lui per afferrargli una mano.
«Sono esattamente dove dovrei essere. Non ti lascio solo. Stai tranquillo, Nate...» gli accarezzai il volto abbozzando un sorriso. Aveva bisogno di tutto l'amore possibile. «Vuoi che ti chiami Margot?» domandai sperando di aiutarlo. Levò i suoi occhi su di me spaventato.
«No, ti prego, non avvertirla» mi supplicò. Rimasi interdetta. Che stesse soffrendo a causa sua?
«Va bene... allora resto io, se vuoi.» Aspettai un suo cenno di approvazione prima di sistemarmi definitivamente.
«Non capisco cosa c'è che non vada» iniziò lui dopo qualche minuto di silenzio. Accennai con il capo per farlo continuare.
«Ho la sensazione di stare sbagliando... io amo Margot, ne sono convinto, ma... ho un blocco dentro, qualcosa che ogni volta, se ci penso, non mi fa fare il passo successivo come coppia... E credo di star facendo soffrire una persona meravigliosa che non se lo merita. Mi sento un verme.»
Mi appoggiai contro la sua spalla. «Non sei una cattiva persona, Nate. Hai bisogno di tempo per capire ciò che vuoi. Dobbiamo capire tutti quello che vorremmo per non far soffrire chi ci sta intorno e per non tradire noi stessi. Non posso dirti cosa fare, ma sono certa che qualsiasi cosa tu decida di fare, sarà la scelta giusta. Per te. Sii orgoglioso e fiero di questo.» Forse sarebbe stato un consiglio adatto anche a me stessa.
Capendo la portata del mio discorso decisi di bere un sorso di quell'alcolico decisamente dolce e troppo strano per i miei gusti. Iniziai a tossire per il disgusto. Posai un braccio davanti la bocca strizzando gli occhi. Passai la bottiglia a Nathan, il quale l'afferrò saldamente prima di berne un lungo sorso. Ne avevamo bisogno entrambi, in fondo.
«Non ce la fai a reggere la Sambuca?» mi derise.
«Almeno ti faccio sorridere...» constatai abbandonando la testa all'indietro sul freddo muro di mattoni rossi.
«Grazie, Amy... ma tu perché sei qui?» domandò a bruciapelo porgendomi la bottiglia d'anice una seconda volta. Trattenni un respiro. Accettai di buon grado: afferrai il vetro, bevendo di nuovo quella pozione amara. Ripetei la stessa mimica facciale di qualche attimo prima. Facevamo veramente schifo.
«Tuo cugino è una totale testa di cazzo.» Dirlo ad alta voce era così liberatorio.
«Cosa ha combinato? E cosa ha fatto di nuovo, come ti ha ferita? Avevo immaginato che non sarebbe finita bene» borbottò Nathan un po' irritato. Non era il suo argomento preferito.
«Non si tratta di cosa fa per ferirmi, ma più che altro quello che non fa. Non riesce a fidarsi di me e io non capisco il perché. In verità, non lo capisco proprio nonostante ce la stia mettendo tutta... ha dei momenti in cui tira fuori la sua anima e poi attimi in cui mi fa sentire una nullità. Abbiamo litigato, ma senza un vero motivo! Il tutto è iniziato perché secondo lui quello che faccio nella mia vita è sbagliato! O meglio, il fatto che frequenti Richard sia sbagliato! Vuole risolvere i miei problemi rimproverandomi di continuo. Ma lui non può farlo! Non devo assecondarlo solo per paura. Perciò per dispetto il signorino mi evita, mi riempie di insulti, mi chiama illusa e mi fa arrivare allo sfinimento facendomi credere di essere incapace di gestire la mia vita, mettendo in discussione i miei principi. E la cosa che più detesto è che forse ha maledettamente ragione!»
Nathan sembrò stupirsi: i suoi occhi si illuminarono per un breve istante.
Continuai. «È così ottuso, si comporta come se io fossi una bambina. Si aspetta che io esegua a bacchetta ogni suo ordine senza chiedermi cosa ne penso! Potrò scegliere io con chi frequentarmi o devo avere la sua approvazione? Ripassami la Sambuca, ne ho bisogno.» Afferrai nuovamente la bottiglia, mi sentivo stranamente meglio dopo ogni sorso.
«Sono stupito. Non fraintendermi, sei in una situazione delicata, ma avrei giurato che il tuo malcontento fosse dovuto al fatto che lui non avesse più voluto avere a che fare con te dopo aver ricevuto un due di picche da parte tua. Ma mi rendo conto che la realtà è ben diversa. Si sta prendendo cura di te come se fossi una bambina. È strano. È la prima volta che fa così da...» rise coprendosi le palpebre. Cosa c'era da ridere? Era divertente che mi umiliasse?
«Si sta prendendo cura di me?» domandai brusca. «Al contrario! È proprio tutto il contrario! Non mostra rispetto per i miei sentimenti, parla come se conoscesse tutte le risposte e non è certo il ragazzo più solare del mondo.» Nathan ritornò a fissarmi negli occhi dopo qualche istante di illazioni.
«Amanda, lui è... lui è la persona più chiusa e indisposta che potrai mai incontrare. Non avrà mai qualcosa di carino da dirti se non lo pensa con ogni fibra del suo corpo. Anzi, di solito non parla mai, con nessuno. Non permette che ci sia qualcuno che conosca il suo vero io e tu sei la prima, da quel che mi stai dicendo, che riesce a far uscire una parte del suo carattere che non sia il buffone di corte o l'apatico musone. Credimi, in uno modo contorto, ciò che tu odi di lui in questo momento, è quello che mi è mancato di Dylan in tutti questi anni. Mi sono mancate le sue emozioni fastidiosamente irritanti e i suoi ragionamenti ad alta voce. Era da troppo che non lo vedevo sorridere. Ero convinto ti avrebbe fatto soffrire perché inesorabilmente compromesso e incapace di provare qualcosa nei confronti di un altro essere umano. Però, ora lo vedo. Tutto ha senso. Come si arrabbia nei tuoi riguardi, come risponde e come si inebria di questo gioco quasi malato e io non so se essere felice. Dopo tanto tempo, sembra diverso. Forse finalmente è riuscito a perdonare se stesso, dopo tutto questo tempo qualcosa in lui è cambiato.»
Nathan riprese a bere pensieroso. La gola mi pizzicava così come le mie mani. Cosa voleva significare tutto ciò?
«Sorpresa la mia piccola e dolce Amanda? Anche i mostri hanno un cuore. Nascosto nel profondo lo hanno anche loro, basta solo saper cercare bene...»
E io ci avevo messo anima e corpo per trovare quel cuore che lui stesso stava decantando, ma evidentemente non ero stata abbastanza abile. O forse non ero solo abbastanza. Mi sentivo punta nell'orgoglio e insignificante, perciò decisi di troncare quel discorso che non avrebbe portato a nessuna soluzione: avevo solo aggiunto altro materiale su cui rimuginare nelle mie notti insonni.
Mi morsi un labbro stizzita.
Dylan stava infestando i miei pensieri.
«Credo sia ora di rientrare di hotel?» mi scrollai di dosso il rimorso. Mi pulii alla ben meglio i pantaloni per rimuovere quel sottile strato di terriccio che si era depositato.
«Dove sono gli altri?» chiese lui. Mi seguì a ruota.
«Dentro. Li vado a cercare. Puoi chiamare i taxi?»
Nathan annuii.
«Amy...» mi voltai dopo un paio di passi, «Grazie». Il bruno sorrise sollevato prima di terminare, fino all'ultima goccia, la fonte della verità.
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