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33. Scelte

Alan Walker, Sophia Somajo - Diamond Heart

Il mattino ero giunta in università con largo anticipo, nervosa e imbarazzata per ciò che era accaduto il giorno precedente.

Non osavo fare un passo in avanti, né uno indietro, mentre mi mordevo l'interno guancia conscia del fatto che prima o poi avrei dovuto varcare la porta dell'aula dove si sarebbe tenuta la lezione del professor Lynch.

Il piano che avevo in mente prevedeva di far finta di essere appena giunta, nella speranza di incrociare Richard per il corridoio. Non aveva risposto né alle chiamate, né ai messaggi.

Strinsi a me il libro della Roberts.

«Stai calma Amanda, respira. Magari è malato!» mi appoggiai contro il freddo muro di mattoni. Non capivo il perché covassi tanta insicurezza. Abbassai le palpebre respirando a pieni polmoni.

«Ciao Amanda!» Mi voltai di scatto con un grosso sorriso sul volto per mascherare lo spavento e la tensione.

«Ciao Stephan, buongiorno!» quando constatai che fosse solo una linea bieca segnò il mio volto. «Sai dove è Richard?» chiesi timidamente sperando in una risposta sincera. Sembravo essere regredita allo stadio di pochi mesi prima: la paura di non essere abbastanza stava attanagliando la mia mente. Era colpa di Dylan: le sue parole che mi avevano esposto più del dovuto.

Lui ci pensò, mentre ci spostavamo all'interno dell'aula.

«Dovrebbe seguire la lezione. Potresti sederti con noi, se ti va di aspettarlo.» Accennai con la testa un segno positivo, discendendo i gradoni e ponendoci lateralmente in sesta fila. Per mia fortuna, dei gemelli non c'era ombra.

Notai entrare Cassidy, la quale sbatté furiosamente la porta alle sue spalle.

«Nervosetta la tua amica» commentò ridendo, Stephan. Non potevo dargli torto. Mi sporsi in avanti sistemando il libro nella borsa.

«Io credo anche di sapere il perché.» Il ragazzo distolse l'attenzione da Cassidy per posare i suoi occhi chiari su di me. Alzò un sopracciglio invitandomi a parlare. Sospirai facendo cenno verso l'uscita, poiché ero sicura che la causa del malumore della nostra compagna l'avrebbe attraversata entro pochi istanti.

E così fu.

Stephan squadrò Dylan da capo a piedi. Il ragazzo era annoiato e insofferente a ciò che gli accadeva intorno.

«Si sono lasciati?» mi domandò incuriosito.

«Una cosa del genere» confessai. Scossi il capo, mi piaceva parlare con lui, ma ero satura di commentare ciò che accadeva nella vita di Dylan. Il gossip su di lui alimentava solamente chiacchiere cattive sulla mia amica, perciò sarebbe stato meglio finirla lì.

«Oh, guarda, è appena arrivato Richard.» Levai gli occhi dal cellulare per fare spazio al biondino così che potesse sedersi al mio fianco.

«Vedi chi ti ho portato, Richy!» mi introdusse soddisfatto Stephan. Lo salutai timidamente con un cenno della mano.

«Ehi, Amanda. Mi fa piacere vederti.» Prese posto tra i due.

«Volevo ringraziarti dei fiori. Sei stato molto gentile.» Tamburellavo con le dita sul jeans a causa del nervosismo. Disegnavo cerchi e linee imprimendo tanta forza quanto imbarazzo provavo. «Non dovevi farlo, cioè no che non dovevi, ma che non era necessario se non ti piaccio.» Serrai le labbra quando Richard scoppiò a ridere. Strinsi la mano in un pugno sperando potessi scomparire all'istante, essere derisa non era di certo tra le mie aspirazioni.

«Amanda, stai tranquilla. Mi piaci e volevo dimostrarti che le mie intenzione sono serie, te lo dovevo. Spero che i fiori fossero di tuo gradimento» mi scrutò con i suoi occhi color ghiaccio. Schiusi le labbra e allentai il pugno.

«Le rose erano molto belle.» Sorrisi di rimando per poi vagare con lo sguardo sul led del telefonino. L'ultima notifica era un messaggio di Eric. Tanto bastò affinché mi ricordassi di dovergli comunicare il viaggio che era in programma.

«Richard» iniziai, poggiando nuovamente il cellulare sul banco. Il bel biondo mi osservò in silenzio. «La seconda settimana di gennaio partirò per Parigi. Sarà il compleanno di Nathan, il mio migliore amico, e ha deciso di festeggiarlo in grande stile. Ecco... volevo avvisarti così che avremmo potuto vederci prima, ecco... uscire insieme di nuovo, se ti va.» Rimase stupito.

«Certo, si può fare. Ce n'è ancora di tempo. Ma toglimi una curiosità, chi sareste? Tu, Nathan e...?»

«Emma, Eric, Cassidy, Margot e Matt. Infine...»

«O'Brien, ovviamente.» Digrignò i denti dopo essersi passato una mano tra i capelli. Scosse il capo prima di ritrovare serenità nel volto.

«Già... anche lui» risposi piatta scoccando la lingua al palato. Non volevo alimentare inutili rappresaglie.

«Va bene, nessun problema. Allora dovremmo cercare di uscire più spesso dato che anche io ho progetti per Natale e Capodanno. Partirò per San Francisco la prossima settimana.» spalancai le palpebre.

«Oh.» Probabilmente sarebbe ritornato dalla famiglia.

Mi prese il mento tra l'indice e il pollice sollevando la mia testa così da avere un contatto visivo diretto. «Tutto bene?» domandò. Scossi il capo.

«Certo, è solo che hai ragione... dovremmo vederci.»

«Stasera ti va di fare un giro?»

***

«Andiamo! Parigi! Mi prendi in giro? Quando ho chiesto a Nathan a chi fosse venuta in mente quest'idea malsana mi ha detto che tu, proprio tu, hai organizzato la gita allegra! Ma perché?» Dylan stava sbraitando da dieci minuti in piedi in mezzo alla grande stanza. Gesticolava e camminava. Camminava e gesticolava.

Lo studiavo sdraiata sulla poltrona di velluto. Mi aveva fatto venire un gran mal di testa. Posai una mano sui miei occhi stanchi.

«Dylan non farne la fine del mondo!» Arrestò la sua camminata solo per un centesimo di secondo. Il suono del suo incessante andare rimbombava tra le quattro pareti.

Sbuffai spazientita. Non ce la facevo più. Eppure, gli avevo chiesto se fosse entusiasta di partire per le vacanze.

«Lilian, ne avevamo parlato! La paladina delle gite in coppia a Parigi andrà nella città dell'amore da single! Incredibile e inaccettabile! Perché vuoi costringere anche me a tale supplizio? Perché hai scartato Barcellona, perché?»

Alzai il busto facendo leva sui gomiti. «Perché siamo a dicembre, chi va in Spagna a dicembre? E poi lo dovevo a un amico» borbottai in tono talmente basso da essere impercettibile.

«Io! Io ci voglio andare in inverno!» batté più volte la mano sul suo petto. Stava davvero esagerando con tutta quella teatralità.

«Sei un caso perso.» Roteai gli occhi al cielo. Poi mi venne in mente un modo per redimerlo. «E se ti dicessi che la città sarà piena di modelle che potresti conoscere? È la settimana della moda.» Dylan attizzò le orecchie.

«Come?»

«Ho proposto Parigi perché ho scoperto che Emma ed Eric saranno ospiti fissi della manifestazione. Stando con loro potresti incontrare qualche ragazza durante una delle sfilate, giusto per dirne una.» Mi misi seduta scrollando le spalle.

«E cosa aspettavi per dirlo?» scosse il capo incredulo. «Dylan ama Parigi, va benissimo per me!» schioccò le dita per poi fare una giravolta. Sembrava la brutta copia della brutta copia di Elvis. Non volevo guardare ciò che stava facendo.

«Sei davver-» non riuscii a terminare la frase che la porta dello studio venne aperta senza darci neanche il tempo di chiedere chi ci fosse dall'altro lato.

Osservai dapprima Dylan, poi la persona che stava aspettando sull'uscio. Il primo serrò i pugni e digrignò i denti. Notai immediatamente la tensione nelle braccia e come le vene iniziarono a pompare più del dovuto. Mi alzai di scatto per sedare la situazione esplosiva.

«Ehi, Amanda, dato che non mi avevi ancora inviato un messaggio ho pensato di passarti a prendere e potarti a cena fuori.» Richard non degnò neanche di uno sguardo Dylan, il quale avanzava minaccioso. Inspirò profondamente. In quel momento credetti che l'unica cosa che volesse era quella di far sparire il sorrisetto dal viso di Richard il più velocemente possibile.

«Richard! Certo, certo. Scusa, stavamo lavorando. Non è che mi potresti aspettare nel parcheggio? Prendo le mie cose e arrivo.» mi posizionai davanti a Dylan arrestando la sua corsa. Mi morsi le labbra perché stavo facendo presa sul pavimento con tutte le mie forze, ma il moro sembrava non volersi fermare. Lo sentii grugnire.

«Certo, bambolina, ti aspetto di sotto. O'Brien.» Buttai fuori l'aria ritornando a respirare normalmente quando chiuse la porta dietro di sé.

Mi voltai verso l'unico rimasto con rimprovero. «Si può sapere che diavolo avevi in mente di fare?» domandai seccata. Lui era teso e visibilmente arrabbiato: schiuse le labbra in una linea sottile e impercettibile, mentre nei suoi occhi infuriava la tempesta.

«Io? Adesso è colpa mia? Mi sbaglio o ieri ti avevo esplicitamente avvertito che Richard non avrebbe più dovuto interferire con il nostro lavoro qui, altrimenti...?» mi chiese retorico.

«Ma non stavamo lavorando, in fin dei conti! E poi tu sei il primo che si è impicciato nella nostra relazione, non so se ricordi il bowling!» provai a giustificarlo. Il suo sguardo mi fece raggelare il sangue nelle vene. Lasciai che le mie pupille mettessero a fuoco altro che non fosse lui. Mi sentivo a disagio e, cosa più importante, non capivo perché reagisse in quel modo. Mi strinsi nelle spalle.

«Non me ne frega un cazzo. All'epoca volevo solo innervosirlo e allontanarlo, ma a quanto pare non ha funzionato! Non lo vedi lo sporco giochetto che sta attuando? Ti fidi già di lui?» Non lo seguivo.

«No. Cioè, non lo so! Lo sto conoscendo, Dylan. Gli ho dato un'opportunità e non sta facendo niente di male, al contrario di quanto abbia fatto tu. Sono settimane che mi tatti con sufficienza e non ho qualcuno con cui condividere i miei pensieri.» Lui rise portandosi una mano sugli occhi. Era il suono più sinistro che gli avessi mai sentito fare. Scosse il capo facendo un passo indietro.

«E guarda caso nel momento in cui sei più fragile lui ricompare come un principe azzurro! Ecco perché gli hai dato un'altra opportunità... santarellina. Perché non sia mai che mister stronzo si conquisti qualcosa in maniera onesta! Scommetto che non gli hai neanche confessato che non ti piacciono le rose.» Rimasi in silenzio non riuscendo a reggere il confronto con le sue accuse. Scoccò la lingua al palato, riprendendo più feroce di prima.

«Ma certo che no! Il signorino ci sarebbe potuto rimanere male. Preferisci farti andare bene le minestre riscaldate rischiando un'indigestione, invece che buttare tutto nel tritarifiuti. Pensavo fossi una ragazza tenace, ma invece sei la sua "bambolina", o come cavolo ti ha chiamata? Te lo fai andare veramente bene? Ma ti rendi conto che ti stai facendo manipolare e che gli vai anche dietro?! Che poi neanche sa che a te non interessano quei gesti plateali.» Sbatté i palmi contro il freddo legno della scrivania centrale. Era iracondo, bollente di una rabbia inasprita da un passato che non conoscevo.

Nessuno mi aveva mai detto nulla del genere. Quella stessa bontà d'animo, che lui stava definendo "sbagliata", era ciò di cui io ero più orgogliosa: con le sue parole stava spezzando il mio fragile equilibrio.

«Che vuoi dire, Dylan?» la mia voce risultò più sottile di quanto mi aspettassi. Era sconvolto. Fece dei passi in avanti allargando le braccia come se fosse pronto a liberarsi di pesi invisibili che si portava dietro.

«Voglio dire che sei ingenua. Hai così tanta paura di rimanere sola e di soffrire che pensi valga la pena accettare tutto. Pensi che il mondo sia un posto migliore solo se condiviso con qualcuno, ma non è assolutamente vero! Pensi che la gente ti ami perché sei buona e dolce con tutti, ma questo non frega alla gente! Alla gente piaci per il tuo faccino da angioletto, non certo per quello che dici. Molte più persone di quel che credi sono pronte a masticarti e a sputarti viva solo per il gusto di farlo. Il peccato più grande di tutti, però, è che non te ne accorgi! Parli tanto di valori e di come vorresti fosse la tua vita, ma sei la prima che non persegue i suoi stessi obiettivi. Ti illudi che vada tutto bene, ti accontenti di quel poco che ottieni e questo è anche peggio... non esiste il lieto fine in questa vita. È solo una vecchia favola che ci si racconta per dormire meglio la notte. E, prima accetterai che così non è, prima aprirai gli occhi. Fino ad allora sarai solo una povera illusa, Lilian. Circondata da gente di merda.» Mi si formò un groppo in gola.

Avrei voluto urlargli contro che forse lui era proprio una di quelle. Coloro che ti illudono per poi gettarti via. Che invece che provare a comprendermi preferiva inveirmi contro, quando io non avevo fatto altro che supportarlo dal primo vero istante insieme. Ma in quel momento non ci riuscii. Ero rimasta senza parole, forse una delle poche volte in vita mia. Schiusi le labbra, ma nessun suono ne fuoriuscì. Perché in parte era vero: ero una povera illusa che provava a sgomitare nel suo mondo di incertezze per non colare a picco. Cercavo di incastrare i pezzi più disparati della mia vita per ottenere come risultato un puzzle che mi compiacesse, almeno in parte.

Dylan si passò una mano sul mento riacquistando calma e freddezza.

«Senti, Lilian, io non ce la faccio.» Era fin troppo deciso. Deglutii nervosa. «Se tu vuoi vivere così, fai pure, nessuno te lo vieta. Come spesso mi ricordi, io non sono niente per te. Perciò non ho il diritto di importi nulla. Ma lui, lui... si approfitterà di te e tu non riesci a vederlo. E io non mi arrabbiavo così da... da troppo. Per questo ho bisogno di andare via. Andare via da te e da voi insieme.» Lo guardai torva. Non poteva dire sul serio. Allungai un braccio in avanti che venne schivato.

Continuò. «Non ci riesco, capisci? Richard è tutto ciò di negativo che ho voluto abbandonare trasferendomi qui. È il mio passato, mi perseguita e io non lo reggo. Mi dispiace, ma non ce la faccio una seconda volta a rivivere tutto quello schifo.» Mi si avvicinò con gli occhi lucidi e la voce tremante. «Perciò la decisione è tua. Quella è la porta, puoi andare via continuando a seguire quello in cui credi o che pensi di credere, ma che sai di non volere nel tuo cuore; oppure scegli di restare qui...» Passò la sua mano sul mio viso, fino a disegnarne i contorni per poi discendere e sfiorare il dorso della mia mano. «Resta qui con me. Scegli di fare chissà quali stronzate per poi accorgerti essere sbagliate; mi insulterai, mi dirai che sono pessimo e io ti risponderò male solo perché adoro stuzzicarti. Andremo avanti finché vorrai, perché farai solo ciò che vorrai veramente. E anche se non sarà tutto perfetto sarà un mondo vero, dove il lieto fine potrebbe essere il più imprevisto dei finali, ma non l'unico.» Mi tirò a sé trattenendomi tra le sue braccia.

Ascoltai ogni parola con il cuore in palla, ma era forse troppo. Scrutai le sue dita muoversi veloci e fluenti. Il tocco lasciava una calda scia di piacere, ma allo stesso tempo mi faceva sentire in colpa e offesa. Dovetti metterci tutta me stessa al fine di interrompere quel contatto. Digrignai i denti arrabbiata. Non era giusto che decidesse per me o che mi mettesse spalle a muro. Non me lo meritavo, soprattutto non senza una spiegazione concreta che mai arrivò.

Non avevo fatto nulla male, eppure, mi sentivo il ladro più ricercato al mondo e in quel momento volevo solo fuggire dai suoi occhi. Fisicamente ci separavano solo pochi centimetri, ma sapevo che, in realtà, tra di noi si era creato un abisso.

Lo avevo appena rifiutato. Avevo rigettato la sua idea di mondo.

Levò il capo sorridendo malinconico. Si passò la lingua sui denti prima di abbassare le braccia all'altezza dei suoi fianchi e irrigidirsi.

«Dylan...»

«Hai fatto la tua scelta. Non c'è niente da dire. Va'.» Si girò allontanandosi sempre più. Ma non mi mossi. Rimasi in attesa, finché le sue urla non mi fecero tremare. «Ho detto che devi andare! Lilian, vai da Richard e non farti più vedere!» sbraitò lui con più forza di quanta ne avesse mai mostrata.

Ingoiai il groppo. «Come sarebbe a dire che non mi devo più far vedere? Noi... Nathan e...» indicai lo studio tutt'attorno. Il cuore galoppava a velocità esorbitanti.

«Io ho Nathan. E per il resto, faremo a turno, un giorno io e un giorno tu.»

«Ma...»

«Non abbiamo più niente da dirci.» Si scostò bruscamente da me per dirigersi verso l'archivio e chiudersi dentro.

Mi passai due dita sulle palpebre strofinandomele. Era stata più dura del previsto. Non volevo piangere e dovevo stoppare quei pizzicori fastidiosi prima di incontrare Richard. Raccolsi le mie cose scappando da quella stanza.

Mi diressi al parcheggio e, quando individuai la macchina di lui, vi entrai furtiva.

«Ehi» salutai con un filo di voce.

«Ehi, bambolina, tutto bene?» domandò preoccupato notando il rossore del contorno occhi. Mi costrinsi a sorridergli.

Bambolina, ero davvero la sua bambolina?

Scossi il capo più volte accennando una risposta positiva, anche se ero a conoscenza di star spudoratamente mentendo.

Mi voltai verso il finestrino quando mi accorsi che nel più totale dei silenzi le lacrime avevano iniziato a rigare il mio volto. Le asciugai con il dorso della mano prima che Richard potesse accorgersi che ci fosse dell'altro.

Avevo fatto la mia scelta. Allora perché faceva maledettamente male?

♣♣♣♣♣

Non mi ammazzate vi prego! 

DOVEVA ESSERE FATTO! 

Per lo scopo che voglio dare a questo libro è necessario che ci sia riflessione. Amanda ha vissuto delle settimane in solitudine e nella tristezza più totale, credendo di essere veramente sola. Potete biasimarla nell'essere accorsa nella braccia di quello che sembra essere il suo salvatore? Questa scelta è solo il primo passo per capire meglio i suoi  stessi sentimenti. In fondo, per costruire qualcosa, c'è bisogno di tempo.

Alla prossima, dalla vostra Red Witch

Haineli ♥♥

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