24. Il gioco delle dieci domande
♫ Fedez - Cigno Nero ft. Francesca Michelin ♫
Avevo fatto la scelta giusta ad acconsentire alla richiesta di Dylan?
Era ciò che mi domandavo dal giorno precedente. Mi prudevano le mani per l'insicurezza che mi causava quella situazione. Non volevo pentirmene, ma sapevo che oramai era troppo tardi per tirarsi indietro. Serrai le palpebre prima di schiacciare il pulsante che avrebbe sancito il mio arrivo definitivo.
Fu il moro dagli occhi azzurri ad aprirmi la porta, non si aspettava la mia presenza lì.
Nathan era intento a masticare spinaci stipati in una scatoletta verde smeraldo con le scritte gialle. Pensai che fosse indubbia la sua somiglianza con braccio di ferro.
Scrollò le spalle facendo segno di accomodarmi.
«Sono venuta per Dylan, a dir la verità» risposi con curante del suo sguardo indecifrabile. Si ripulì le labbra con il dorso nella mano prima di parlare nuovamente.
«Va bene. Ci terrei a parlarti più tardi» sentenziò con un sorriso bieco sul volto.
Serrai le labbra stranita. «Cosa vuoi dirmi?» domandai.
Il ragazzo fece segno con la mano per dissimulare. «Purtroppo devo andare via per una decina di minuti. Spero di trovarti al mio ritorno» disse pensieroso.
Aspettò il mio assenso prima di dissolversi in cucina dove avrebbe terminato il pasto.
«A più tardi» sussurrai impegnando i primi gradini della lussuosa scalinata. Afferrai il telefono dalla tasca posteriore dei jeans per inviare un messaggio a Emma, chiedendole se avesse potuto prelevarmi dopo il corso di moda. La sua risposta fu fulminea e positiva.
Il secondo piano di casa Kingstone si snodava in un doppio corridoio da cui dipartivano le varie stanze. C'erano due bagni, la camera patronale di Nathan, una per gli ospiti e una adibita a sala giochi e cinema. Era la casa perfetta per quando le serate erano troppo fredde per poter uscire.
Voltai a destra andando a colpo sicuro verso la stanza degli ospiti, credendo di imbattermi in Dylan. Bussai un paio di volte, ma senza ricavare alcuna risposta.
«Che ci fai qui?» mi interrogò una voce alle mie spalle. Sobbalzai per lo spavento. Stavo aspettando che qualcuno aprisse una porta e non che mi intercettassero da dietro.
«Dylan! Non comparire all'improvviso!» lo rimproverai prima di tornare ad avere una frequenza cardiaca regolare. Mi appoggiai contro la porta di legno scuro per poterlo scrutare negli occhi.
«Come vuoi» rispose sornione facendo segno di seguirlo. Stavamo andando verso la sala cinema?
Lo seguii strisciando i piedi per terra. Non mi aveva rivolto neanche un sorriso e tutto ciò che in quel momento vedevo era il suo dorso. «Sono qui per quella cosa che mi hai chiesto ieri» bisbigliai vergognandomene. Allungai la manica della felpa afferrandola con le dita della mano. Stritolare qualcosa era sempre stato il mio antistress preferito.
«So che sei qui per questo, intendevo davanti camera mia» ribatté con tono sicuro e al limite dello scocciato. Entrò nel cinema richiudendo la porta dopo avermi fatto passare.
«Ti stavo cercando... non hai sentito il campanello?» domandai stupidamente.
«No, stanza insonorizzata!» schioccò la lingua al palato indicando con l'indice l'aria intorno a noi.
«Oh, giusto» farfugliai. In quel preciso istante mi sentii totalmente inadatta per il ruolo che Dylan mi avrebbe voluto affidare. Come potevo anche solo fingere se tra di noi non c'era né feeling, né complicità? Si sarebbero accorti della farsa molto prima del previsto. Magari ero solo la ragazza più facilmente manipolabile e non quella capace di stare al suo fianco.
Mi sedetti sul primo divanetto della fila aspettando un qualsiasi gesto che stava tardando ad arrivare.
«E tu che ci facevi lì?» domandai a mia volta sciogliendo i nodi delle mie scarpe per sfilarmele, così da avvicinare le ginocchia al petto senza sporcare il tessuto della poltrona.
«Stavo per chiamarti, a dire il vero. Ho lasciato il cellulare in camera» rispose piatto sedendosi a terra dinanzi a me e incrociando un polpaccio sopra l'altro. Mi fissò per svariati secondi.
«Sai...» iniziò greve «credevo mi avresti dato buca» continuò piegando la testa di lato per osservarmi meglio. In un secondo quell'espressione corrucciata scomparve. Con un gesto della mano portò il suo busto più avanti incrociando le gambe subito dopo. Si distese in volto. «Ma ora sei qui e mi fa piacere, ti devo ringraziare» premette le sue labbra con forza in una linea aspra, come se ricordare il motivo della mia presenza non fosse di suo gradimento. Si confermava per l'ennesima volta l'essere più lunatico del pianeta.
«Di niente, figurati» acconsentii accennando un sorriso e sciogliendomi un po'. Vagai lo sguardo altrove. Le luci erano soffuse e indicavano tutte lo schermo, eppure i lineamenti del ragazzo di fronte a me erano facilmente distinguibili.
«Allora cosa vuoi sapere?» iniziò a domandare Dylan premendo i due palmi delle mani tra di loro e poggiando gli indici sulle labbra. Stava forse sopprimendo qualche pensiero?
Scossi il capo. «Come prima cosa vorrei capire il tuo obiettivo. Cioè fingere di stare insieme per non dover sopportare una ragazza va bene... ma i tuoi genitori? Sei sicuro sia giusto mentirgli? Non se la prenderanno con me se qualcosa dovesse andare storto?» Era una domanda lecita, la mia. Volevo delle garanzie. Non avrei interpretato per sempre la sua ragazza solo per evitargli un possibile fidanzamento, né tanto meno mi sarei voluta precludere la possibilità di lavoro in futuro.
Annuì. «L'obiettivo è dimostrare ai miei che non ho bisogno di Sophia per essere felice. Mia madre è ossessionata dal pensiero che io rimanga solo a vita, così ha trovato in quell'accordo finanziario un appiglio. Non c'è nulla di scritto, ovviamente. Per questo sono sicuro che non appena saprà del nostro fidanzamento mia madre accantonerà per sempre l'idea del matrimonio combinato. Non le interessa nulla dell'eredità di Sophia, vuole solo sapermi felice, presumo. Per quanto riguarda il futuro, farò passare un paio di settimane prima di sganciare la bomba che ci saremo lasciati: mi prenderò tutte le colpe e parlerò sempre bene di te. Vedila come un modo per farti adorare dai miei genitori ancor prima di essere assunta, potrebbe rivelarsi vantaggioso per entrambi» rispose scrollando le spalle e poggiando le mani sulla moquette rossa.
«Mi sembra un buon compromesso» pensai ad alta voce. Avrei dovuto solo far vedere quanto fossi in sintonia con il loro figlio. Sarebbe stata un'impresa ardua, a dir la verità.
«Cosa non ti convince?» indagò notando una nota di dubbio nella mia voce.
«La parte dell'essere felice. Non fraintendermi, ma tu non hai l'aria di uno che si fidanzerebbe per amore e non so se e come potremmo riuscire a impressionare i tuoi» ammisi mirandolo negli occhi e arricciando il naso.
«Sì, è vero. Non sono quel tipo di ragazzo, ma posso fingere con il tuo aiuto. E poi chi ha detto che due ragazzi per stare insieme devono avere costantemente il sorriso sulle labbra? Io penso dovremmo solo essere noi stessi e credimi, mia madre penserà che i nostri bisticci da coppietta innamorata siano dolcissimi» strillò apostrofando con le dita le ultime parole. Risi per la pessima imitazione di una voce femminile. «Proprio perché mi conoscono sarebbe stato surreale avere una ragazza come Cassidy al mio fianco. Con te non ho pretese e viceversa. Saremo noi stessi al cento percento. Con te mi riesce molto più facile che con qualsiasi altra ragazza. Un Dylan tutto baci e coccole non se lo berrebbe nessuno» aggiunse sommesso.
«E va bene...» sospirai. «Ha senso. Però, ho bisogno di avere qualche informazione su di te o sulla tua famiglia così che se sarò costretta a rispondere a qualche domanda saprò cosa dire. Dobbiamo creare una storia che abbia senso.» Era una prerogativa fondamentale, altrimenti il piano sarebbe fallito ancor prima di iniziare.
«Hai ragione, per questo è arrivato il momento di giocare!» esultò scattando in piedi e afferrando una mia mano.
«Giocare, come?» chiesi guardando riluttante le sue dita affusolate intrecciate alle mie. Scossi il capo prima di fare forza a mia volta. Mi alzai dalla poltrona per poi essere accompagnata davanti alla porta. Lasciò la presa su di me per dirigersi verso la parte opposta della stanza.
«È molto semplice. Per movimentare le cose ho pensato che sarebbe stato divertente capire quanto in realtà sappiamo già l'uno dell'altro. Quindi faremo così: dieci domande ciascuno a cui dovremmo dare anche la risposta ipotizzando quella corretta. Chi indovina fa un passo in avanti. In totale da dove mi trovo fino alla porta ho contato esattamente dodici passi. Quindi il vincitore sarà il primo che dirà sei risposte esatte arrivando così al centro della sala. Che ne dici, vediamo chi ne azzecca di più?» mi spiegò con attenzione. Sembrava che l'idea di giocare lo stuzzicasse parecchio.
«Come fai a sapere quanti passi ci siano tra me e te?» risi osservando il suo imbarazzo.
«Cammino spesso qui» si affrettò a rispondere. «Iniziamo?»
Lasciai correre, seppur la sua affermazione mi avesse colpito. Aveva un'intera casa a disposizione, perché mai chiudersi lì dentro? Voltai il volto quel tanto per rendermi conto che non vi era neanche un film in proiezione. Che stesse lì perché l'insonorizzazione della stanza era ciò che cercava, magari per pensare... o sfogarsi?
«Iniziamo» acconsentii. «Come prima cosa direi che devo conoscere la data del tuo compleanno. Se capitasse in questi giorni e io non lo sapessi farei una pessima figura... direi dicembre? Sei un tipo freddo e glaciale» tentai.
«Sbagliato, signorina, ventisei agosto. Pieno caldo estivo. Non si direbbe, ah?» Sbuffai apostrofandolo come ridicolo. «Ti pongo la stessa domanda. Sei nata in inverno?» si leccò il labbro superiore con lentezza, mentre assaporava la vittoria.
«Sì,» ammisi piatta «Febbraio.» Lo sentii esultare. Tipo freddo e glaciale, ah?
«Però non è corretto. Io ho detto un mese e tu te ne sei uscito fuori con un'intera stagione!» protestai alzando il tono di voce.
«Potevi essere più furba e fare come me.» Lo ignorai. Dovevo pensare alla prossima domanda.
«I nomi dei tuoi genitori sono per caso Samantha e Carl?» provai a buttare giù. Volevo davvero conoscere quei particolari che potevano fare la differenza tra una fidanzata eccellente e una bugiarda di prima categoria.
«Ci sei andata vicino, ma no. Lyanna e David.»
«Vicinissimo» ironizzai ridendo di me stessa. Ero davvero lontana dal vincere a quello stupido gioco.
«Dato che non voglio perdere una domanda in questo modo, ti chiedo se hai fratelli o sorelle e secondo me no» pensò il moro portandosi una mano sulla mandibola e sfiorandosela con le dita.
«Sbagliato! Ho una sorella più grande di me di quasi vent'anni. Sei tu il figlio unico, vero?» risposi orgogliosa di essere la secondogenita.
«Indovinato.» Bene, eravamo entrambi a cinque passi dal centro. Avevo a disposizione altre sette domande, mentre lui ne aveva otto.
«Tra carne o pesce direi che i tuoi piatti preferiti sono a base di carne.» Fu il suo turno. Annuii. A quel punto era a quattro risposte esatte dalla vittoria.
«Tra il mare e la montagna credo proprio che tu preferisca la solitudine dell'alta quota.» Lui scrollò le spalle.
«Mi piacciono i posti freddi, è vero» ammise sbuffando. Era un punto essenziale per me. Dylan sbagliò la domanda successiva.
Eravamo pari, entrambi a quattro passi dal centro e con sei domande rimanenti. Chiedermi quale città avrei preferito tra Parigi e Barcellona in quella settimana era stata davvero una mossa rischiosa per lui.
«Ti facevo una tipa romantica, cioè andiamo, sei una donna!» si giustificò Dylan.
«E io ti credevo un tipo che si accorgesse che non ho un vero ragazzo con cui andare in vacanza.» Gli feci una linguaccia, mentre lui assottigliava la vista. Entrambi detestavamo perdere.
«Barcellona anche per te» ritrattai subito dopo. «Troppo facile» ammise passandosi il pollice sulle labbra e incrociando le braccia al petto. Ero a tre domande dalla vittoria. Il gioco iniziava a essere divertente.
«Il tuo colore preferito è il bordeaux» si rifece dopo averci accuratamente pensato.
«E tu come fai a saperlo?» chiesi sconvolta. Mi indicò la mano: stava facendo riferimento alle unghie. Alzai gli occhi al cielo. Avevo scelto lo smalto quella mattina in maniera del tutto casuale. Che fortuna sfacciata. Cinque domande, tre passi e il gioco sarebbe terminato.
«Cibo preferito pizza» commentai sperando di avere ragione perché era il cibo preferito di tutti!
«E direi che è anche il tuo» asserì lui tutto contento. Entrambi ci facemmo avanti. Era innegabile che stava sfruttando il mio potenziale per porre le sue domande.
Due lunghezze per ciascuno era tutto ciò che rimaneva per sancire il vincitore. Nel caso peggiore avevo a disposizione ancora quattro domande, in quello migliore avrei vinto in un paio di semplici mosse.
«Hai avuto la tua prima ragazza al liceo e vi siete lasciati a causa del tuo caratteraccio o per qualcosa che hai fatto. Te lo chiedo nel caso mi vogliano mettere in guardia sul tuo atteggiamento nei confronti di altre damigelle» ironizzai. Ma fui l'unica a ridere. Notai come il suo volto si irrigidì di colpo e una vena sul collo pulsargli più del dovuto. La mascella era serrata e non sembrava voler cedere a nessun sorriso.
«Tu, invece, sei stata tradita?» domandò a bruciapelo dopo avermi afferrato un braccio: mi attirò in avanti così da farmi compiere uno dei due passi rimanenti. Avevo avuto ragione. Rimasi allibita per la freddezza con cui mi aveva costretto, così come per quella domanda personale e dannatamente veritiera. Aveva avuto ragione anche lui e si era mosso senza neanche il bisogno di una conferma.
Si vedeva così tanto?
Mi mancava solo una domanda per vincere. E così era anche a lui.
Eravamo entrambi vicinissimi e all'improvviso era calato il più totale dei silenzi. Ci separavano solo una ventina di centimetri a quel punto. Il divertimento del gioco scomparve lasciando posto ai suoi occhi cupi e spenti.
Il battito del mio cuore era improvvisamente accelerato. Stavamo giocando, eppure, nonostante avessi ancora tre domande a disposizione, quella che volevo fare realmente era solo una. Avrei vinto il gioco con largo anticipo.
«Cosa pensi dell'amore?» chiesi. Sorrisi amaramente prima di scrutare in basso e rispondere per lui. «Io credo che in realtà tu abbia amato. Devi aver per forza amato, altrimenti non saresti triste o nervoso ogni qualvolta qualcuno parlasse di legami. Credo anche che tu, ora, non ne voglia più. Forse perché sei rimasto troppo deluso o forse perché hai capito che vuoi solo divertiti. Pensi che sia una perdita di tempo e che non ne valga la pena. Credi sia meglio ridere e farsi scivolare tutto via, ma io lo vedo come ti chiudi a riccio con le persone che ti stanno intorno. Penso che tu abbia paura dell'amore perché potrebbe renderti debole, perché non vuoi provare più quello che hai provato. Perché forse ne hai bisogno, ma non lo ammetteresti mai» soffiai con un filo di voce senza mai distogliere lo sguardo dalla moquette. Osservai come la sua mano si mosse verso l'alto fino a sfiorare il mio mento. Avevo probabilmente esagerato.
Alzò il mio viso spingendo contro la mia pelle per far incrociare i nostri occhi. Trattenni il respiro per tutto il tempo che ne derivò. Una semplice constatazione: "Fai un passo avanti."
Quando abbandonò il mio volto io ripresi a respirare. Mi ritrovai così al centro della sala. Avevo vinto quello stupido gioco?
«Cosa pensi tu sull'amore, invece?» riprese rabbioso. Non era ancora finita. «Io credo tu sia davvero troppo ingenua. Farti innamorare sarebbe il giochetto più facile del mondo. Sei come una bambina che sogna il principe azzurro. Per questo non vuoi relazioni a metà o uomini che non abbiano totalmente perso la testa per te. Come ho capito che fossi stata tradita? Perché ti comporti come una persona ferita e che ha paura di amare, non essendo ricambiata. Come vedi siamo in due ad avere paura, io per ciò che posso fare e tu per quello che puoi subire, ma entrambi egualmente egoisti. Ho forse detto qualcosa di sbagliato?» terminò il suo discorso non distogliendo le iridi corvine dal mio volto imbarazzato.
Era freddo, fermo e teso, ma più di tutto aveva dannatamente ragione. Mi morsi il labbro incredula.
«Abbiamo un pareggio» commentai insofferente pronta per andare via da quella stanza.
«In realtà...» si affrettò a rispondere Dylan facendo un passo in avanti in quel minuscolo spazio che era avanzato. Non ci saremmo mai stati entrambi se non mi avesse stretta a sé in una morsa. Mi tenne ferma per evitare che potessi cadere per la velocità con cui fece la sua azione. Se ci fossimo spostati di un solo millimetro anche i nostri visi sarebbero andati in collisione. «Ora siamo pari.»
Forse non sarebbe stato così difficile fingere di capirci qualcosa l'uno dell'altro. Le nostre fragilità erano esposte: di facile lettura a qualsiasi occhio attento. Troppo paurosi nell'ammettere di avere insicurezze, ma allo stesso tempo caparbi e orgogliosi. Non era stato solo un gioco: avevamo preso una decisione ben precisa. "Io sono qui. Non sei solo, non siamo soli e in qualche modo possiamo essere uniti e completare le nostre debolezze."
Oppure, si stava prendendo gioco di me ancora una volta.
Avrei voluto parlare, dirgli qualcosa, ma le sillabe mi morirono in gola. Mi sentivo persa sotto il suo sguardo severo, sotto quella montagna di muscoli che avvolgeva il mio corpo e lo faceva combaciare perfettamente al suo.
Subito dopo avvertimmo la porta aprirsi. Ci allontanammo di scatto come se quella nostra complicità fosse un peccato che non doveva essere confessato a nessuno. Ma era ormai troppo tardi.
«Non è come sembra» strillai imbarazzata, pregando che Nathan se la sarebbe bevuta.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro