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11. Caffè amaro

Bebe Rexha - I Can't Stop Drinking About You ♫

Ero appena giunta in università. Quella mattina ero più di corsa del solito, a causa delle fotocopie che avevo mandato in stampa e che erano tardate ad arrivare. Avevo il fiatone, ma ciò non mi impedii di portarmi fino alle aule del terzo piano, sicura di aver trovato Dylan seduto su una delle tante panchine del corridoio.

Alzai un angolo della bocca quando lo vidi. Avevo avuto ragione.

Mi portai nella sua direzione cacciando dal borsone un mucchio di fogli in bianco e nero.

«Bu-buongiorno, Dyl-» presi fiato. "Dyl" sarebbe stato un soprannome accettabile, ma subito scacciai quel pensiero ripromettendomi di utilizzare solo il suo nome completo. «Dylan!»

Lui alzò lo sguardo dal telefono per prestarmi attenzione, ma quando lo fece non riuscì a trattenere una sonora risata nel vedermi boccheggiare.

«Buongiorno Lilian. Che ti è successo? Una mandria di bufali inferociti ti stava inseguendo?» si beffeggiò di me. Usai il blocco di carta come arma da puntare alla gola.

«Sono gli appunti che ti avevo promesso. Siamo in ritardo.» Gli mollai il pacco accorrendo in aula: tutti erano già seduti. Probabilmente sarei rimasta in piedi. Invidiai la calma di Dylan con quale mi seguì.

«Il professore non è ancora arrivato» si giustificò scrollando le spalle, mentre dava un'occhiata alle stampe. Sfogliò alcune pagine dal lato non rilegato passandoci il pollice inumidito per avere una migliore presa sulla carta. L'odore dell'inchiostro arrivò fino alle mie narici.

«Lo so, ma è meglio sedersi, non credi?» ribattei con tono saccente.

«Come vuole, principessa. Prego, vada pure avanti.» Sorresse la pesante porta di metallo dell'aula facendomi passare per prima. Probabilmente era una giornata buona per il nostro DylanlunaticoOBrien. Lo superai ringraziandolo con un cenno del capo.

Notai immediatamente la testolina bruna di Cassidy ondeggiare nella nostra direzione. Aveva un sorriso smagliante, probabilmente per la bella serata trascorsa. A contenderci la coppa da vincitore eravamo rimaste io e lei, mentre Dylan, come ipotizzato, non aveva la benché minima idea di dover mirare ai birilli. Menzione onorevole per Richard che almeno ci avevo provato.

Quello che ancora non capivo era che tipo di rapporto avessero i due. Non si erano rivolti la parola neanche una volta.

«Buongiorno ragazzi! Dydy, ti ho preso posto accanto a me.» Quel nomignolo era decisamente più imbarazzante di "Dyl", trattenni una risata. Cassidy allungò la sua mano per poter afferrare quella di Dylan. Il quale spalancò la palpebre, farfugliando qualcosa in modo sommosso. Quando erano loro a prendere iniziativa, non era più così spavaldo con le ragazze. Gli piaceva condurre il gioco, ma non sarebbe sempre possibile.

Mi misi comoda osservando la scenetta con le braccia incrociate sotto il seno. Dylan probabilmente si accorse di come la cosa mi facesse piacere, tant'è che provò un disperato cambio di atteggiamento all'ultimo secondo, mutando tono di voce e soggetto della conversazione.

«Non possiamo lasciare Lilian da sola» si giustificò. Non glielo avrei permesso. Mi bastò meno di mezzo secondo per scrutare tra la folla Richard in compagnia di Stephan. Feci loro un cenno di saluto e di tutta risposta il secondo mi indicò un posto libero proprio tra di loro.

«Non vi preoccupate per me. Sarà in buona compagnia. Buona lezione, ci vediamo dopo» li salutai divertita. Sentii Dylan grugnire e la cosa non fece altro che provocare un moto di piacere dentro di me. Probabilmente ero una persona più dispettosa di quanto credessi. I pensieri, però, iniziarono a vagare e a non avere più importanza una volta che raggiunsi Richard.

«Grazie per avermi tenuto il posto» pronunciai con voce affabile, mentre mi sistemavo tra lui e Stephan, il quale strinse le spalle dei due ragazzi avanti a noi per farli voltare.

«Amy, figurati. È stato Stephan a notare che non eri in classe quando oramai era tutto pieno.»

«Devo averti colpita» scherzai incrociando lo sguardo di quell'ultimo. La mia era una battuta che forse mi sarei potuta risparmiare.

«No, ti prego, lo hai già fatto con la borsa l'altra volta!» Il senso dell'umorismo non gli mancava. Forse era per il sorriso enorme o gli occhi ridenti, ma mi faceva sentire a mio agio.

«Greg e Steve vi presento Amanda, l'amica di Emma, ve la ricordate?» Richard mi introdusse ai due davanti.

«Certo, la sexy bomba bionda.» Sorrisi tirata. Quei commenti mi mettevano in imbarazzo. La mia amica era favolosa, ma sarebbe bastato anche meno.

I due ragazzi erano fratelli e dal loro accento e dalla carnagione più olivastra immaginai potessero avere origini europee, spagnole probabilmente. I loro occhi erano di un intenso verde e i capelli portati ribelli e ricurvi.

«Sono gemelli» mi sussurrò Richard in uno orecchio. Ciò significava che uno tra Greg e Steve stava dando della bomba alla mia amica, mentre l'altro gli batteva il cinque.

«Calma, ragazzi» li ammonì Stephan. Era lui quello più sensibile del gruppo?

«Non fa niente. So che Emma possa suscitare tali esclamazioni, per questo ci tengo a precisare che sia già occupata» confidai pensando a Eric nella sua vita.

«Peccato. Comunque sia io sono Steve, il più intelligente» si presentò colui che non aveva parlato prima e che era seduto alla mia destra: portava gli occhiali, cosa che lo differenziava dal gemello.

«E io sono quello bello» ribatté il secondo, leccandosi il labbro inferiore e provando a fare un bacia mano. Retrassi il braccio ancora prima che potesse essere afferrato dalle sue dita affusolate.

«Fratello, ti ha appena rifiutato» lo schernì Steve dandogli una pacca poderosa sulle spalle.

«Taci citrullo» lo apostrofò, Greg.

«Non ci fare caso, fanno sempre così» commentò Richard. «Spero non ti abbiano messo in soggezione» continuò.

«Solo un po'» ammisi con un sorriso di circostanza. Arrossii e per evitare che i miei vicini notassero il mio imbarazzo, iniziai a sistemare il materiale che avevo nello zaino sul banco.

«Come mai sei arrivata in ritardo? Non sei la cocca del professore?» indagò Richard anche se non compresi il suo tono.

«Come, scusa?» riproposi fulminandolo con lo sguardo. Era così che ero stata etichettata?

«Sai, per il fatto che tu sia un suo assistente. Tutti sono a conoscenza della tua bravura e del tuo curriculum.»

«Oh» bisbigliai mogia. «Ne sono lusingata, ma...»

«Ti ho offesa, per caso?» cercò di rimediare con un cipiglio preoccupato sul volto. Pensai volesse solo intavolare una conversazione. Scossi la testa e, dopo un breve cenno, mi tornò il sorriso sulle labbra.

«Va tutto bene.» Tossì per riprendere il filo del discorso. «Sono arrivata in ritardo perché dovevo ritirare una cosa per conto di Dylan.»

«Il pagliaccio di ieri? Siete molto legati, ah?» domandò irritato. Incurvai un sopracciglio sorpresa. I due avevano dei trascorsi per cui ero all'oscuro?

«In realtà, no.» Avvertii Richard distendersi. «Lo conosco da troppo poco tempo. Ma ieri mi è sembrato che voi due vi foste già incontrati prima, o sbaglio? Potresti aiutarmi a capire che tipo sia?» aspettai una risposta da parte del biondo fissandolo dritto negli occhi color cielo.

Sospirò combattuto prima di rispondermi «Ti ho già detto che provengo da Stanford, giusto?» annuii.

«Abbiamo frequentato lo stesso liceo. Non eravamo grandi amici, anzi, tutt'altro. Era un teppistello irrecuperabile. Ho provato in tutti i modi ad aiutarlo per integrarsi, ma la verità è che lui non aveva alcun interesse nell'avere degli amici. Alla fine si mostrò per la serpe velenosa che era, rubandomi la ragazza verso la metà del secondo anno, incredibile, vero?» Il ragazzo serrò la mascella «Non mi sarei mai aspettato di rivederlo dopo tutti questi anni. Sembra che io abbia una seconda occasione...» avvicinai la mia mano alla sua per supportarlo.

«Mi dispiace, se lo avessi saputo ieri non saremmo rimasti. Si è imbucato all'ultimo e non volevo deludere la mia amica» proferii stringendo le sue dita tra le mie. Per qualche motivo quella rivelazione non mi aveva impressionata. Dentro di me sapevo che ci fosse qualcosa che teneva nascosto.

«Tipico di lui, credimi. Sembra che non sia cambiato molto dall'ultima volta. Continua a sfruttare la generosità di altri, quando in realtà è completamente solo. È ciò che si merita dopo...» Richard si bloccò evitando di proseguire il suo monologo.

Il mio cervello stava finalmente iniziando a collegare i fili. Le frasi che Dylan mi aveva ripetuto più volte erano quelle in cui tutti lo avrebbero abbandonato.

Aveva fatto qualcosa che avesse portato gli altri ad allontanarsi?

«Dopo cosa?» la mia lingua non riuscì a frenarsi.

In quel preciso istante l'intera classe si smosse a seguito dell'entrata del professor Lynch. Cercai di prestare attenzione a Richard in contemporanea al chiacchiericcio generale che stava scomparendo nell'aula.

«Dopo Lydia, ma non mi va di parlarne.» Non riuscì a trattenere un misto di dispiacere a delusione nel mio sospiro. «Senti, ti andrebbe di prendere un caffè domani dopo le lezioni?» mi chiese di sua sponte.

«Sarebbe perfetto» affermai prima che il signor Lynch iniziasse la sua lezione pretendendo silenzio.

Nella mia mente il puzzle denominato Dylan stava prendendo forma. E non una bella.

***

Quel pomeriggio svolgemmo il tirocinio regolarmente finendo di sistemare i libri negli scaffali. Io avevo optato per l'ordine alfabetico, mentre Dylan aveva scelto quello cromatico per lunghezza d'onda.

Non trovando un punto d'accordo ci eravamo divisi la stanza in due metà e ognuno avrebbe arredato come meglio credeva.

Dopo ciò che mi aveva confidato Richard, ero sul chi va là: lo scrutavo da lontano tramite i suoi gesti e le sue parole. Era distaccato e bloccato in una specie di bolla, dalla quale era impossibile notificare le sue vere emozioni.

Che potesse essere uno dei motivi per cui non aveva coltivato amicizie fin dal liceo? L'umore altalenante non aiutava le persone ad avvicinarsi a lui.

Perciò rimasi in disparte non sapendo se dietro i suoi scherzi e i larghi sorrisi ci fosse del reale interesse o se voleva solamente prendersi gioco di me come aveva fatto con Lydia.

Quel pensiero rimase fisso nella mia testa per tutto il giorno.

Eppure mi sarebbe bastato poco per convincermi di qualsiasi verità avesse voluto raccontarmi.

Ma lui era Dylan. Imprevedibile, cocciuto e maledettamente solitario.

Mi riaccompagnò a casa come se nulla fosse, mentre quel gesto che mi avrebbe portato a ricredermi su di lui non arrivò mai.

***

«Hai degli amici simpatici» confidai a Richard come prima cosa. Presi tra le mani la tazza di ceramica contenente la cioccolata calda che avevo ordinato. La portai delicatamente alle labbra soffiandoci sopra. Eravamo lì da appena dieci minuti, avevamo ordinato e ci eravamo seduti. Il bar era un delizioso posticino in centro, c'erano odori di pasticceria provenienti dalla cucina e le mie narici se ne bearono per tutto il tempo. Avrei ordinato quintali di dolcetti, se solo fossi stata dell'umore.

Lui strabuzzò gli occhi come se non si fosse reso conto di ciò che avessi detto. «Sì, ci conosciamo da un po'» aggiunse senza troppo trasporto.

«Siete un gruppo affiatato... stando a quanto ho sentito» mi corressi per evitare di infiltrarmi in una conversazione più grande di me e dovergli spiegare che la mia cotta per lui era sbocciata due anni or sono. Ripresi a sorseggiare la cioccolata solo per evitare di incrociare i suoi occhi.

«E chi le dice queste cose?» chiese il biondo sporgendosi in avanti e sorridendo rinvenuto. Mi morsi il labbro dall'imbarazzo.

«Sono solo voci di corridoio, sai.» Le gote stavano andando in fiamme.

«Fa piacere saperlo» rispose abbandonandosi sulla sedia e respirando a pieni polmoni. Gli sorrisi tornando a concentrarmi sulla tazza.

«Senti, Amy, ti ho chiesto di venire qui perché volevo parlarti.» Per poco non mi strozzai tossendo.

Poggiai la ceramica sulla tovaglietta a quadri del tavolo. Sembrava essere un discorso serio. «Voglio essere onesto con te. Sono stato bene, devo ammetterlo, ma io credevo che tu fossi un altro tipo di persona. Cioè, non fraintendermi, mi sembri una brava ragazza, ma io non sono proprio in cerca di una storia seria in questo momento. Pensavo che essendo una amica di Emma voi foste simili... ma poi ho notato come tendi a imbarazzarti e come sei voluta tornare di corsa a casa l'altra volta.»

Oh, quello sì che faceva male.

«Cioè, quindi tu pensavi che io...» provai a spiegarmi gesticolando in maniera goffa accalorando la sua tesi.

«Mi sono fatto dare il tuo numero da Emma perché ti avevo notato. Non che ci sia qualcosa di male nell'essere come sei, ma non è ciò che voglio» si giustificò. Quanto ero stata ingenua. La piccola Amanda che credeva nell'amore. Lui mi piaceva, mi piaceva sul serio, ma non potevo dargli ciò che chiedeva.

Sarei potuta essere un suo passatempo e divertimento, ma mai niente di più.

«Nessun problema» mi costrinsi a forzare un sorriso. Mi alzai dalla sedia facendola strisciare all'indietro. Presi la mia borsa cercando il portafogli. Dovevo andarmene. Richard mi afferrò il polso costringendomi ad alzare lo sguardo verso di lui.

«Vai pure, ti ho invitata io.» Se i suoi occhi non fossero stati così ingannatori, magari non mi sarei sentita in quel modo.

«Grazie» farfugliai.

«Amanda, potrei anche cambiare idea un giorno» provò a consolarmi, come se fosse un palliativo. Dovevo ammettere che fosse coerente.

«Non è detto che io aspetti in eterno» risposi con il tono più severo che avessi, serrando le labbra in una linea dura. Mi liberai dalla sua presa per sistemarmi la giacca di pelle sulle lunghezze.

«Correrò il rischio. E semmai dovessi farlo tu, sai dove trovarmi» rilanciò dirigendosi verso la cassa.

Non seppi in cosa sperare.

Solo una cosa era certa:così come era iniziata, la nostra frequentazione era già finita. 

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