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04. In rotta di collisione

Linkin Park - Castle of Glass

«Mi scusi, lei è?» chiese la donna sulla cinquantina abbassando gli occhiali da lettura sulla punta del naso. Approfittando della mole di studenti presente nell'aula mi mimetizzai.

«In ritardo e profondamente dispiaciuto» si scusò il ragazzo portando la mano destra aperta al petto, mentre con l'altra si sistemava i capelli. Mai mi sarei aspettata una risposta da ruffiano.

Nonostante la velocità nella favella, i suoi gesti tradivano una lentezza innaturale e un aspetto del tutto ragguardevole. L'alcool lo aveva conciato per le feste e il post-sbornia non gli si addiceva. Mi augurai fosse finito lì per sbaglio.

Si bagnò le labbra disidratate con la lingua. Un gesto che fece tremare le gambe della signora Roberts.

«Che passi per questa volta soltanto! Accetto le sue scuse, ma cerchi di essere puntuale d'ora in avanti. Si accomodi, prego... dove eravamo rimasti?» Ero allibita dal cambio di atteggiamento della megera, in quanto non era mai stata così permissiva nei miei confronti.

Cercai di concentrarmi sulla lezione, ma non era affatto semplice. I miei occhi vagavano verso la metà opposta dell'aula, attirati dallo scrutare lo strano tipo che aveva approfittato della comoda seggiola per schiacciare un pisolino.

Perché diamine frequentasse l'università era un mistero.

Terminate le tediose ore della lezione di finanza, corsi fuori dall'aula alla velocità della luce. Prestai poca attenzione alla gente che avevo intorno con l'unico obiettivo quello di evitare il ragazzo spocchioso che avevo avuto la sfortuna di conoscere.

Purtroppo, però venni arrestata nel mio moto da un abbraccio fin troppo fraterno.

«È così che si saluta, ah?» chiese retorico Nathan sorridendo. Con quella luminosità le sue iridi sembravano riflettere il cielo, calmandomi all'istante.

«Hai ragione! Vieni qui. Vedo che ce l'hai fatta a presentarti!» sospirai prendendolo sottobraccio, mentre proseguivo nella direzione che mi sembrava più congeniale a evitare tu-sai-chi.

«Sì, con un po' di ritardo» ammise scompigliandosi i capelli arruffati. Lo trovavo adorabile quando faceva così.

«Hai lezione con Wilde?» chiesi per conferma accelerando il passo. Con la coda dell'occhio notai come il moro fosse distante solo qualche metro.

«Sì, ma quanta fretta hai?» cantilenò in tono scherzoso. «Volevo presentarti mio cugino» concluse.

«Nate, sono di corsa. Facciamo domani, a colazione alla caffetteria qui all'angolo. Ti avrei detto dopo le lezioni, ma non ce la faccio perché voglio ritornare a casa per assicurarmi che Emma stia bene: le ho lasciato un messaggio, ma non mi ha ancora risposto. Ci saremo entrambe, promesso. Mi perdoni, vero?» chiesi sbattendo più volte le palpebre.

«Dirò a Dylan che vi conoscerà domani.» Gli saltai al collo lasciandogli un sonoro bacio sulla guancia, guadagnandomi un suo sospiro intriso di arrendevolezza.

La lezione con il signor Wilde sembrò durare meno del previsto, considerato che non ci fu traccia del ragazzo maleducato.

Come avevo riferito a Nate, al termine di quella giornata mi diressi immediatamente a casa.

Varcata la soglia iniziai a richiamare più volte il nome della mia migliore amica senza, però, ricevere alcuna risposta.

Ma l'apprensione scemò di colpo, quando procedendo verso la sua camera la trovai stesa pancia in giù con la bocca aperta, un braccio penzoloni e un lenzuolo che a malapena le copriva le gambe.

Emma non era mai stata così buffa: lei che era l'incarnazione della perfezione.

Mi avvicinai per scostarle una ciocca di capelli dal volto così da veder meglio le sue gote appena arrossate. Non sarebbe stato carino svegliarla. L'avrei aggiornata in seguito sulle novità scolastiche e sui programmi che avremmo avuto per l'indomani. Così la lasciai riposare ancora qualche ora.

***

Eravamo nella caffetteria da un paio di minuti. Emma aveva fatto uno sforzo gargantuesco nello svegliarsi così presto, indossando come unico accessorio degli spessi occhiali da sole per coprire i solchi sul suo volto.

Approfittai dell'attesa dell'arrivo di Nathan e Dylan per ordinare qualcosa da spiluccare.

Porsi la banconota da due dollari al commesso. «Un cornetto al cioccolato, grazie» dissi sfoderando un sorriso. Il ragazzo accettò i soldi spostandosi verso la cucina e lasciandomi da sola al bancone.

La mia attenzione venne presto catturata dall'esterno della caffetteria. Le macchine sfrecciavano, lasciando che diverse foglie rossastre si raccogliessero sull'uscio d'ingresso. Poi, però, qualcosa mi fece sobbalzare.

«Diamine, ancora lui» sibilai a denti stretti maledicendo il caso.

«Ecco a lei, signorina.»

Mi voltai verso il commesso afferrando il mio ordine, per poi fiondarmi al fianco di Emma, la quale si stava ripassando il trucco. Presi uno dei menù a ventaglio dai tavoli adiacenti, sfogliandolo e nascondendomici dietro nella speranza di non essere vista.

«Cosa sta succedendo?» indagò Emma sconcertata scrutandomi dall'alto della sua incoscienza.

«Ti ricordi quando ieri ti ho detto che non era accaduto niente di importante al falò fintanto che ti sei ubriacata?» domandai retoricamente.

«Cosa mi stai nascondendo, Lilian?» Ecco, beccata.

«C'è stato un ragazzo che insomma... era ubriaco, volevo aiutarlo, ma mi ha trattato parecchio male. Ed è da ieri che lo ritrovo ovunque vada. Che cosa devo fare? Aiutami!»

«Uhh, capisco. Vediamo un po' per caso ha capelli scuri, alto un metro e ottanta circa. Lineamenti ben marcati del volto e l'aria di chi non ha dormito tutta la notte?» commentò serafica assottigliando la vista per sbirciare fino all'entrata, dove il suono della campanellina sulla porta mi fece intuire il suo ingresso.

Annuii.

«Credo che presto avrai un grosso problema.»

«Cosa intendi dire con "grosso problema"?»

«Sta venendo verso di noi, sorridi» cinguettò solare scrollando le spalle come se nulla fosse.

«Cosa stai facen-?» Emma abbassò il menù lasciandomi completamente indifesa.

Mi pietrificai all'istante notando davanti ai miei occhi la presenza di Nathan, proprio accanto a quella del – per nulla gradito – ragazzo molesto.

Il prodigio delle bevute alcoliche notturne mirò nella mia direzione, inarcando un sopracciglio con estremo disappunto, finché non distolse lo sguardo.

«Buongiorno, ragazze! Vi presento Dylan, mio cugino» la voce pacata di Nathan era carica di entusiasmo, in contrasto con il mio estremo risentimento e rassegnazione. Finalmente unii i puntini: l'università, il ritardo alla lezione dalla Roberts lo stesso giorno in cui Nathan aveva detto che suo cugino si era svegliato tardi, persino l'orario d'arrivo del parente di secondo grado coincideva con quello del ragazzo del falò.

Non poteva essere tutto un caso, vero?

Impallidii al pensiero di ciò che era stata la nostra prima conversazione e alla paura che potesse essercene un'altra dello stesso calibro. Detestavo le persone arroganti piene di sé e lui mi aveva ferita in qualche modo.

Non lo conoscevo e non avevo alcuna voglia di essergli amichevole. Non se lo meritava.

Nathan mi scrutò con la sua tipica espressione confusa dipinta sul volto. Forse aveva intuito qualcosa in quel silenzio inusuale.

«Piacere, Emma Woods. Spero che il nostro Nate ti stia trattando bene!» ruppe il ghiaccio allungando una mano verso il nuovo conoscente. Era così spontanea che invidiai la sua calma.

«Dylan. Dylan O'Brien. Nathan mi aveva promesso un incontro con una ragazza splendida ed eccoti qui», era lascivo e allusivo. «Scommetto che tu sei la bellezza con cui parlava ieri al telefono.»

Intrecciò la stretta di Emma con risoluzione, la quale arrossì ai complimenti del moro.

«No, non sono io» squittì. «Credo si riferisca ad Amanda» rispose lei indicandomi con fare civettuolo. Retrasse la mano per poter sistemare alla ben e meglio gli spessi occhiali da sole sulla testa e mostrare le sue iridi cristalline.

Accennai con il capo: ero pronta a ricevere qualsiasi frase di scherno da parte di colui che non voleva essere aiutato.

Mi osservò di sguincio, evitando di incrociare il mio sguardo severo, per poi sghignazzare infastidito.

Smorzato il suo entusiasmo iniziò a guardarsi attorno. Non si sarebbe presentato?

«Dylan? Che ti prende?» chiese Nathan in imbarazzo.

«Sono stanco e ho fame, possiamo ordinare?» rispose con nonchalance.

Nathan divenne sempre più rubro in volto. Non volevo crederci, era forse uno scherzo?

«Incredibile» convenni sottovoce. «Certo che non ti smentisci proprio.» Il ragazzo si grattò il sottomento come se ci stesse seriamente pensando. Scosse il capo prima di proferire parola.

«Non so di cosa tu stia parlando» si discolpò con aria da falso ingenuo.

Strinsi i pugni.

«Io vado via» pronunciai senza alcun pentimento. «Fintanto che la mia presenza non è gradita non vedo motivi per restare.»

Nathan si premunì di farmi calmare, ma non volevo ascoltare ciò che aveva da dirmi. Ero infastidita e innervosita dal suo accompagnatore e in quel momento non sarei stata a mio agio.

Non era assolutamente la persona che il mio amico aveva dipinto. Sensibile, chiuso? Spocchia era il suo secondo nome. Forse era solo un ragazzino che aveva avuto tutto dalla vita, il solito tipetto che credeva che il mondo gli fosse dovuto senza il benché minimo sforzo.

Negli occhi del moro comparve uno strano lampo. Il sorriso gli si smorzò per qualche attimo. Poi come se nulla fosse riprese imperterrito con il suo teatrino. «Touché. Credo di aver capito il problema. Sei una delle mie ammiratrici e ci sei rimasta male che non ti abbia riserbato le giuste attenzioni?» fece il sarcastico piegando un angolo della bocca.

Era un tripudio di tedio e fastidio. Eppure, quel sorrisetto mi pareva assai in pieno contrasto con le lacrime che avevo visto versare sul suo volto.

«Ora basta! Dylan smettila di comportarti in questo modo assurdo. Lei è Amanda, fai il gentiluomo per una volta. È una delle persone a cui voglio più bene sulla faccia della Terra e non ti permetto di esagerare.»

Dylan ritornò composto e sommesso, come se le parole del cugino fossero un deterrente al suo atteggiamento passivo.

Fece spallucce.

«Amy, ti siedi anche tu?» mi chiese gentilmente Emma riponendo gli occhiali scuri in un astuccio apposito. Per lei era stato facile, il bel moro non le aveva mica fatta sentire a disagio. Lei capì al volo il mio malessere con una semplice occhiata.

«Scusate ragazzi, ma io non ho più fame. Ci si vede a lezione.» Feci qualche passo, poi la presa del mio migliore amico mi costrinse a voltarmi.

«Sei sicura? Vengo con te?» indagò premuroso. Stavo quasi per cedere quando notai l'espressione arcigna di Dylan con la coda dell'occhio, il quale si arrogò il diritto di proferir sul da farsi.

«Lasciala andare, se è ciò che vuole non puoi costringerla.»

Nathan annuì dispiaciuto, mentre allentava la presa. A quel punto non c'era più nulla a trattenermi e così mi voltai senza più mirar al di là delle mie spalle.

«Prima o poi sarebbe andata via lo stesso... come fanno tutti» udii quando oramai ero troppo lontana per tornare sui miei passi.

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