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01. Into You


Quello che Eren stava attraversando era un periodo davvero orribile. Il suo ragazzo, Jean, lo aveva tradito col suo migliore amico Armin.

In un solo colpo aveva perso tutto: l'amore, l'amicizia, le sue sicurezze.

Se ne stava chiuso lì, nella sua stanza del college, tentando di evitare i due in tutti i modi. Ormai conosceva le macchie del soffitto a memoria, quando qualcuno bussò alla sua porta.

«Eren, ci sei...?»

Il dolce ed ingenuo Marco: del loro gruppo di amici, era l'unico che ogni giorno aveva la premura di passarlo a trovare anche solo per assicurarsi che fosse vivo e non avesse piantato radici nel pavimento scolorito della propria camera.

«Entra» rispose mogio.

Il ragazzo lentigginoso schiuse lentamente la porta, facendo capolino all'interno.

«Ehi, come va?» gli chiese, quasi sussurrando.

Il castano, disteso di schiena sul letto, sbuffò appena.

«Va.»

«Eren, non puoi continuare così. È un mese che sei chiuso qui dentro, hai intenzione di diventare un santone? Sai, di quelli imbalsamati che si venerano in Oriente...!»

Eren, per la prima volta dopo tanto tempo, accennò un sorriso.

«Non mi va di vedere nessuno.»

«Non puoi evitarli per sempre...»

Marco aveva colto nel segno, ma il ragazzo si rifiutava di accettare lo stato delle cose.

Delle volte si svegliava di soprassalto in piena notte, completamente sudato, e si guardava intorno credendo fosse tutto un incubo. Ma quando sentiva il freddo dove Jean era solito dormire, o notava gli aloni sulla parete dove prima c'erano le foto con Armin, stringeva le braccia al petto tentando di colmare il vuoto che sentiva.

«Facciamo così!» esclamò improvvisamente il lentigginoso. «Stasera vieni con me al locale dove lavora la mia amica! Hai bisogno di distrarti, vedere facce nuove e lì non incontrerai nessuno di tua conoscenza.»

«Marco, ne abbiamo già parlato, io non -»

«Discorso chiuso: stasera passo alle 23:00, e se non sei pronto giuro che ti trascino fuori dal campus con la forza, se necessario.»

🕦

Perché diamine si era fatto convincere?

Il locale si chiamava "L'attacco dei Giganti" ed era un pub dall'aspetto piuttosto rustico: luci soffuse, tavoli in legno grezzo e sgabelli vecchio stile.

Marco gli aveva consegnato due talloncini per le consumazioni, e si era avvicinato al bancone dove la sua amica aveva appena iniziato il turno di lavoro.

«Eren, lei è Mikasa. Mikasa, Eren» li introdusse brevemente il ragazzo.

La giovane gli strinse la mano con espressione neutra, tornando subito dopo a lucidare dei grossi boccali di birra.

«Ti piace il posto?» gli chiese Marco, accomodandosi al bancone accanto al ragazzo.

«Carino, però non ho fame, se vuoi mangiare tu -»

«Oh, ma non siamo qui per quello! Siamo venuti per ballare!»

Eren lo fissò, perplesso, guardandosi intorno subito dopo: non c'era alcuna pista, né lo spazio per fare qualunque altra cosa che non fosse semplicemente camminare. Di sicuro aveva capito male.

Marco guardò il proprio orologio da polso che segnava le 23:45, e sfregò le mani con impazienza.

«Aspetta e vedrai.»

In quel momento un paio di ragazzi, con indosso le polo del pub, iniziarono a spostare verso le pareti tavoli, panche e sgabelli, ripulendo accuratamente le superfici e liberando una buona porzione della sala che comunque non era eccessivamente grande. Il locale sembrò riempirsi all'improvviso, come se tutti si fossero riuniti in vista di un grande evento, ed un giovane dj prese posizione alla consolle nell'angolo a cui prima non aveva fatto assolutamente caso.

Uno dei due ragazzi dello staff, non molto alto e dai capelli corvini rasati sulla nuca, si avvicinò al bancone poggiandovi sopra l'avambraccio.

«È tutto pronto Mika, io stacco.»

«D'accordo. Divertiti» fu la risposta della ragazza che, impassibile, continuò a riporre i bicchieri in maniera ordinata.

Il giovane si voltò appena verso Eren, trapassandolo da parte a parte con le sue iridi di ghiaccio: un solo istante, prima che si allontanasse aprendo una porta di servizio, ma al castano fu sufficiente per sentire il suo cuore mancare un battito.

Non era riuscito ad osservarlo bene in volto data la scarsa illuminazione, ma era certo che due occhi così non li aveva mai visti prima di allora.

Le luci si spensero rimpiazzate da piccoli fari colorati che, come impazziti, si muovevano forsennatamente lungo tutta la sala.

«Mika, fammi un Mojito! E tu cosa prendi, Eren?»

«Ehm, non so... Un Black Russian.»

La ragazza collezionò i talloncini, preparando subito dopo i cocktail e servendoli ai due.

La musica ad alto volume risuonò dalle casse, stordendoli per un attimo, ed un numero sempre crescente di persone iniziò a raggrupparsi lì dove poco prima c'era il mobilio.

«È mezzanotte, ragazzi! Stanotte non siamo le prede: siamo i cacciatori!» urlò il dj al microfono sollevando il pugno in aria. Seguirono le urla della folla che, senza alcun riguardo, iniziò a salire sui tavoli - intenzionata a sfruttare più superfici possibili per scatenarsi e ballare.

«Dai su, buttiamoci!» lo incitò Marco, scendendo dal proprio sgabello e dirigendosi verso la massa di corpi che aveva riempito ogni centimetro disponibile.

«Vai tu, io finisco il drink.»

«Hai tempo fino alla fine della canzone, poi vengo lì e trascino il tuo culo nella mischia.»

E Marco lo avrebbe fatto eccome! Così Eren si limitò ad annuire, vedendolo sparire in mezzo alla calca.

Sorseggiò il proprio cocktail con calma, assaporandone il gusto simile al caffè, quando qualcuno nel superarlo lo urtò versandone alcune gocce sui jeans.

Il castano sollevò lo sguardo, accigliato, ma qualunque cosa avesse intenzione di dire evaporò dal suo cervello non appena due pozze gelide lo trafissero da parte a parte.

«Scusa, moccioso» disse il colpevole, perdendosi subito dopo tra la folla.

Era lo stesso ragazzo di prima, Eren ne era certo: il colore di quegli occhi era troppo unico per sbagliare.

Questa volta era riuscito a vederlo meglio in volto, e l'unico aggettivo che la sua mente riuscì ad elaborare - con grande sforzo, tra l'altro - fu perfetto.

Guidato da un'inspiegabile forza il castano lasciò il proprio posto, poggiando il bicchiere sul bancone e seguendo la scia invisibile che il corvino aveva lasciato. Si fece largo con non poco sforzo tra le persone che, sudate ed accaldate, si dimenavano a ritmo di musica. Lo cercò con lo sguardo, intravedendo solo Marco ballare poco più in là, quando sentì qualcuno picchiettargli la spalla.

Eren si voltò e lui era lì, in piedi su uno dei tavoli, leggermente chinato in avanti per osservarlo e farsi udire nonostante il frastuono.

«Oi, se cerchi qualcuno sali qui, si vede meglio.»

Lo studente notò che si era cambiato: la polo con il logo del pub era sparita, sostituita da una semplice t-shirt nera slim che ne evidenziava i muscoli ed il fisico tonico; ai polsi rilucevano grossi bracciali in metallo ed alle dita, lunghe ed affusolate, portava numerosi anelli d'acciaio; al collo indossava una semplice kefiah, nonostante il caldo lì dentro iniziasse a farsi sentire.

«L'ho appena trovato» disse Eren, la cui voce fino a quel momento sovrastata dalla musica risultò invece chiara e limpida, mentre la canzone sfumava lentamente lasciando il posto alla successiva.

Il corvino inarcò un sopracciglio, sollevando in modo quasi impercettibile un angolo di quella bocca piccola e sottile.

«Oh, sei audace moccioso. Non male» disse, saltando agilmente giù dal tavolo e parandosi di fronte a lui.

«Non sono un moccioso! Mi chiamo Eren!» gridò al suo orecchio, dato il volume di nuovo eccessivamente alto. Lo sconosciuto mosse il capo in un breve cenno d'assenso, afferrandolo poi per il polso e trascinandolo più in là verso la postazione del dj.

Eren si lasciò guidare, docile ed ubbidiente.

Come si era ritrovato in quel posto...? Non lo ricordava più: tutto quello che lo aveva preoccupato ed afflitto in quell'ultimo periodo era completamente sparito dalla sua mente, volatilizzandosi come se non fosse mai esistito, sostituito dalla presenza di quel ragazzo che lo trascinava tra la folla.
Non si era mai sentito così attratto da una persona in vita sua: una morsa al centro dello stomaco gli contorceva le viscere, spingendolo a seguirlo ovunque avesse intenzione di condurlo.

Quando furono ai margini della sala il giovane sconosciuto sembrò soddisfatto del punto in cui si trovavano, lasciando la presa sul suo polso e iniziando a ballare seguendo il ritmo.

Eren lo imitò, senza ragionare affatto su cosa stesse facendo: voleva solo una scusa per stargli il più vicino possibile, e l'ammasso di persone che scatenandosi li spingeva e urtava gliene forniva una ottima.
I due erano vicini, così tanto da toccarsi di continuo, ma - con sommo disappunto dello studente - il corvino sembrava non prestargli troppa attenzione. Non appena un tipo allampanato andò a sussurrare qualcosa all'orecchio dell'oggetto dei suoi desideri, Eren percepì distintamente il sangue risalire velocemente fino al cervello: chi diamine era quel tipo che gli parlava con tanta confidenza?

Il castano sentì qualcosa strusciare sul cavallo dei propri pantaloni e il suo corpo reagì quasi istantaneamente a quella frizione; nel maledire mentalmente l'intruso non aveva notato l'altro che, dandogli le spalle, muoveva il suo culo sodo il quale - accidentalmente - stuzzicava le parti intime di Eren.

Avanzando di un passo, il ragazzo dagli occhi verdi annullò la distanza già minima tra di loro, offrendogli ciò che cercava e vedendo spuntare un sorriso sul suo volto.

Dio, era bellissimo, ed Eren sperò con tutto se stesso di aver interpretato bene i segnali perché altrimenti sarebbe morto sul colpo nel ricevere un rifiuto: voleva parlargli, conoscerlo - qual era il suo nome? - ma nell'attimo in cui il corvino si voltò le sue speranze si infransero come fragile vetro.

Sogghignava, palesemente divertito, ed Eren capì: il suo era stato il gioco di un momento, una scommessa forse, e l'affascinante sconosciuto avrebbe dimenticato il loro incontro non appena si fosse allontanato.

Il castano fremette di rabbia a quel pensiero. Si sentiva troppo incuriosito ed irrimediabilmente attratto perché quel giovane gli sfuggisse così.

Senza realmente pensare alle proprie azioni, allungò le mani afferrando i lembi della kefiah che l'altro indossava e lo attirò talmente vicino a sé da riuscire a distinguere chiaramente le sfumature bluastre che adornavano quelle iridi mozzafiato.

Si fissarono studiandosi a vicenda, la tensione talmente alta da poter quasi percepire l'elettricità che i loro corpi così vicini producevano.

Il respiro caldo dello sconosciuto aveva il sentore di menta - dovuto sicuramente a qualche cocktail che aveva bevuto - ed Eren trovò la cosa eccitante all'inverosimile. Una luce di sfida balenò negli occhi azzurri dell'altro, invitandolo a varcare un confine dal quale non avrebbero più potuto far ritorno, e per i due non ci fu scampo.

Il castano lo baciò con foga: le mani che stringevano il tessuto sottile si spostarono sulla nuca rasata del ragazzo il quale, rispondendo con la stessa avidità, afferrò con le dita affusolate le ciocche color cioccolato dello studente.

Il loro non era un semplice bacio, ma una lotta per la supremazia: chiunque ne fosse uscito vincitore avrebbe avuto le redini del gioco, ed Eren odiava perdere.

Le loro lingue si cercavano, fameliche, assaggiando ogni anfratto della bocca dell'altro ed accarezzando le rispettive labbra, mordendole e succhiandole con voracità. Non c'era calma, in quel gesto, ma solo la frenesia dettata dalla fretta di arrivare al sodo e consumare la portata principale.

Si mossero tra la folla che, senza considerarli troppo, li lasciò passare mentre inconsapevolmente si dirigevano verso una delle pareti. Il corvino vi si trovò schiacciato dal corpo di Eren, e seppe con certezza di aver perso la battaglia.

Il più alto era praticamente ovunque: tra i suoi capelli, nella sua bocca, contro il suo petto e tra le sue gambe, che aveva distanziato con un ginocchio. Aveva bisogno di aria, di riprendere fiato, ma il moccioso non sembrava intenzionato a concederglielo - forse desiderava che morisse tra le sue braccia e di certo sarebbe stata la più appagante delle morti.

Eren lo sentì letteralmente cavalcare la propria gamba, muovendo i fianchi alla ricerca di più frizione, ed emise un grugnito trionfante. Lasciò quella bocca morbida ed intossicante solo per dedicarsi a quel collo pallido parzialmente nascosto dalla kefiah, e udì la sua preda ansimare al proprio orecchio mentre riprendeva fiato.

«Seguimi» esaló tra un sospiro e l'altro, ed Eren non se lo fece ripetere due volte.

Il corvino lo trascinò velocemente verso la toilette, spingendolo all'interno di uno dei bagni e richiudendo la porta con un tonfo secco facendo scattare il chiavistello. Neanche il tempo di voltarsi che si stavano di nuovo mangiando la faccia, incuranti del fatto che si trovassero in un luogo pubblico ed oltretutto sporco.

Le mani del castano esploravano ogni centimetro di pelle, scoperta e non, dell'altro: percorrevano le sue braccia forti e dalle vene sporgenti, sfiorando i suoi addominali e accarezzando con la punta delle dita la zona poco al di sotto dei jeans, chiedendo di più.

Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio si era ormai arreso ad Eren, completamente in balìa della sua passione bruciante. Gli sbottonò i pantaloni calandoli insieme ai boxer, inginocchiandosi subito dopo con un movimento tanto fluido quanto rapido. Osservò compiaciuto la sua erezione svettare turgida in tutto il suo splendore, accogliendola all'interno della propria bocca ed aiutandosi con la mano lì dove non riusciva ad arrivare.

Fu tutto così improvviso che Eren, travolto da quell'audacia così inaspettata, rischiò di venire lì sul momento. Diede fondo a tutto il suo autocontrollo nel tentativo di trattenersi ma lo sguardo con cui lo scrutava l'altro, oltremodo compiaciuto dall'effetto che sortivano le sue attenzioni, lo metteva davvero a dura prova: sentiva la sua lingua, calda e morbida, avvolgere il proprio sesso; la sua bocca lo succhiava e ripuliva degli umori di cui era ricoperto; i suoi mormorii di soddisfazione e godimento avrebbero potuto mandarlo in Paradiso, tanto gli suonavano celestiali.

Quando il corvino lo ritenne duro abbastanza - non che prima non lo fosse, ben inteso - si rimise in piedi, estraendo dalla propria tasca l'involucro di un preservativo. Senza distogliere neanche per un attimo lo sguardo dalle iridi smeraldine del ragazzo, lo srotolò con precisione sul suo membro eretto. Gli diede le spalle, calandosi i jeans e l'intimo fino alle caviglie e, poggiando i palmi contro le fredde mattonelle di quel posto sudicio, si chinò leggermente in avanti sporgendo il sedere dalla pelle nivea verso l'altro.

Eren quasi cadde in ginocchio, venerando e contemplando quella che ai suoi occhi sembrava una vera e propria opera d'arte. Accecato dalla lussuria strinse a piene mani le natiche del ragazzo, separandole quel tanto che bastava per avere facile accesso alla sua apertura piccola e rosata: la vezzeggiò con la lingua strappando un sonoro gemito al ragazzo, lubrificandola con dovizia, assaporandola e stuzzicandola al contempo col dito indice.

I due, persi in un mondo composto esclusivamente da loro, sussultarono nell'udire qualcuno bussare alla porta, ripiombando in quel bagno lurido e quindi alla realtà. Non risposero.
Il castano era completamente assuefatto dal corpo dell'altro che tentava di trattenere i gemiti con una mano, ma lo scocciatore sembrava fin troppo insistente.

«Ehi, ne hai ancora per molto lì dentro?»

«È occupato, idiota, vai a cagare da un'altra parte!» grugnì il corvino, battendo un pugno contro la superficie scolorita della porta.

«Ma che stronzo...» sentirono mugugnare.

Eren si rimise in piedi, facendo scorrere il proprio membro nel solco che separava i glutei del ragazzo, accorgendosi solo in quel momento che il profilattico era uno di quelli già lubrificati.

Pensò che il compagno fosse un tipo pronto a qualsiasi evenienza, irritato allo stesso tempo dal fatto che con molta probabilità lui era uno dei tanti che si era scopato in quel modo.
Non voleva essere un volto anonimo nella sua memoria. Voleva che ricordasse ogni singolo istante di quel momento: ogni respiro, tocco, gemito doveva restare impresso nella sua mente e nel suo corpo, affinché gliene chiedesse ancora.

Lo penetrò con un movimento secco e deciso, aiutato dalla sostanza viscosa e dalla propria saliva, ed il corvino quasi perse l'equilibrio, spinto in avanti e lasciandosi scappare un verso di piacere.

Eren continuò a muoversi dentro di lui risucchiato dal suo corpo caldo, dapprima con movimenti veloci e precisi per poi diminuire il ritmo e proseguire in modo volutamente lento e calcolato. Al corvino ormai non interessava più trattenersi, non ne aveva alcuna forza: ansimava senza ritegno, inarcandosi sotto quelle mani che gli percorrevano la schiena, accarezzandogli gli addominali e facendo presa sui suoi fianchi.

«Ah! Sì, così...! Ancora...!»

Il castano afferrò quei capelli scuri e setosi tirandoli con forza, costringendolo a sollevare il viso e voltarlo quel tanto che bastava da poterlo guardare negli occhi.

«Ti ricordi il mio nome...?»

«Moccioso...»

Eren si spinse dentro di lui con un movimento repentino, affondando completamente e stimolando il punto magico che lo fece letteralmente gridare.

«Sbagliato: riprova.»

«E-Eren...!» esalò senza fiato, e lui sorrise.

«Esatto. Dillo ancora.»

«Eren...» e ad ogni sussurro dedicava una carezza al membro dell'altro a cui non aveva ancora prestato la giusta attenzione. La mano di Eren si muoveva sempre più velocemente, guidata dal ritmo che il ragazzo scandiva pronunciando quelle quattro lettere come un mantra. Si appropriò di quel corpo magnifico che, sotto di lui, tremava sull'orlo dell'orgasmo.

Un'ultima stoccata più poderosa delle precedenti ed il corvino venne gridando il suo nome, seguito subito dopo dal castano che si riversò all'interno preservativo.

Erano sudati, accaldati, in condizioni davvero pietose, ma Eren pensò che fosse stato il sesso più appagante ed eccitante della propria vita. Osservò con adorazione l'amante, il quale riprendeva fiato ancora appoggiato con le mani alla parete, accarezzandogli la schiena umida con devozione.

«Hai intenzione di restare lì per molto?» sbuffò all'improvviso, ed Eren arrossì fino alla punta dei capelli. Iniziarono a ripulirsi e sistemarsi come meglio potevano.

Desiderava parlargli con calma, presentarsi in modo civile - data la brutalità con cui avevano consumato quell'atto carnale - e magari chiedergli un appuntamento, ma gli sembrò che l'altro stesse impiegando più tempo del necessario.

«Inizia ad uscire. Ne ho ancora per un po'» disse il ragazzo, e nonostante Eren si sentisse respinto non aveva alcuna intenzione di desistere. Decise di attenderlo fuori e silenziosamente uscì dal bagno, la cui porta si richiuse immediatamente seguita dal familiare suono del chiavistello.

Tornò nella sala principale, dove se possibile faceva ancora più caldo di prima, e si guardò attorno alla ricerca di Marco che nel frattempo era tornato a chiacchierare con Mikasa al bancone. Si accomodò sullo sgabello accanto a lui, e il lentigginoso lo osservò squadrandolo da capo a piedi.

«Se non fossi certo di essere nel torto, giurerei che questa sia un'espressione post-coito.»

Mikasa osservò i due, quasi annoiata.

«Perdonami, come si chiama il tuo collega? Quello dai capelli scuri...» domandò Eren alla giovane barista, ignorando il commento dell'amico.

«Perché ti interessa?»

«Già, perché ti interessa?» si aggiunse Marco, abbozzando un sorriso.

Il castano scrollò le spalle, tentando di minimizzare la reale importanza che aveva per lui quell'informazione. Cristo, lo aveva scopato e non sapeva neanche il suo nome!

«Così, è carino» fece spallucce.

Il sorriso dell'altro si allargò a dismisura.

«Carino, eh...?»

«Ohh, vaffanculo Marco!» lo spinse giocosamente, e i due risero di gusto.

Una capigliatura familiare si diresse verso una porta poco distante e, quasi saltando giù dal posto che occupava, Eren lo seguì rapidamente per evitare di perderlo tra la folla. Si ritrovò in quello che probabilmente era il retro del locale dove, poggiato ad una pila di contenitori per le bibite, il corvino fumava pigramente una sigaretta.

«Ehi.»

L'altro lo fissò per un breve istante, dedicando poi la sua attenzione alla nuvoletta di fumo appena uscita dalla propria bocca.

«Che vuoi?»

Eren rimase spiazzato. Non si aspettava di certo salti di gioia ma neanche una tale freddezza dopo quello che era successo tra di loro.

«Volevo parlarti, tutto qui.»

Il corvino fece una breve risata, lasciando cadere la cenere in eccesso con un gesto della mano.

«Vuoi parlare ora? È un po' tardi, mi sembra.»

«Beh, abbiamo saltato la fase di conoscenza e siamo passati direttamente al sodo, ma non mi è sembrato che la cosa ti dispiacesse....» borbottò il giovane, leggermente imbronciato.

«No, infatti.»

Eren raccolse tutto il coraggio che possedeva, stringendo i pugni.

«Voglio conoscerti.»

«Mi hai già conosciuto» disse l'altro con fare canzonatorio.

Il castano arrossì di nuovo: tutta la sua sicurezza era andata a farsi benedire, annientata da quello sguardo profondo e penetrante.

«Intendo di persona, insomma- Mi hai capito...!» balbettò. «Esci con me.»

Il ragazzo schiacciò la cicca con l'anfibio mezzo slacciato, prestando finalmente la giusta attenzione ad Eren e incrociando le braccia al petto.

«Vuoi un appuntamento...?»

«Sì, esatto.»

«Non sarai uno di quegli idioti che crede ai colpi di fulmine, per caso...?»

Non sapeva cosa rispondere: qualche ora prima avrebbe sicuramente negato, ma in quel momento non ne era più così sicuro. Forse quella era la definizione più vicina a ciò che aveva provato non appena i loro sguardi si erano incrociati.

«Può darsi.»

Il corvino sembrò riflettere un istante su quella risposta, poi sbuffò.

«Va bene. Sei interessante e scopi bene. Ma, se dovesse capitare ancora, sappi che la prossima volta sarai tu a gridare il mio nome.»

Eren sorrise, decisamente più sicuro di sé.

«Beh, il mio a quanto ho sentito lo ricordi piuttosto bene. Non mi hai ancora detto il tuo.»

Il corvino lo guardò quasi con ammirazione: il moccioso aveva fegato, gli piaceva.

«Levi.»

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